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Autore: Marco Monti    11/07/2016    2 recensioni
Ludwig, unico figlio ed erede della fortuna e della nobiltà della sua famiglia, abitante della città di Yarnham, conosciuta in ogni dove per la Notte della Caccia, soffriva di licofobia: la cosa che più lo terrorizzava erano i lupi, gli occhi scarlatti dei quali sembravano grondare sangue, come le loro terribili zanne e i loro minacciosi artigli. La nera pelliccia, così crespa e quasi affilata, permetteva loro di mimetizzarsi con il cielo notturno e di non esser visti, in attesa di tendere un agguato ad una debole e sciocca preda come lui. Un giorno, straziato psicologicamente da quella sua imperdonabile debolezza, decise che avrebbe tentato in tutti i modi di grattare via quella lurida macchia che imbrattava il suo onore di nobile. E, secondo la sua preclara ma testarda visione del problema, il modo più efficace per risolverlo sarebbe stato quello di affrontare faccia a faccia quelle creature che così tanto temeva.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Già dalla primissima infanzia, il giovane Ludwig, figlio di una nobile e abbiente famiglia che risiedeva in una villa appena fuori Yarnham, antica come la città stessa, aveva chiesto a suo padre di essere addestrato per diventare un cacciatore. Il genitore, restio ad accettare l’eteroclita richiesta del figlio, volle sapere il perché di un desiderio tanto estroso. Infatti, a quei tempi, era alquanto insolito che un membro di una famiglia nobile, soprattutto se così giovane, venisse addestrato ad essere un cacciatore. Comunque, il giovane fanciullo non volle rispondere, poiché si vergognava molto delle sue motivazioni e temeva che suo padre potesse mostrare sdegno nei suoi riguardi. Ludwig, unico figlio ed erede della fortuna e della nobiltà della sua famiglia, abitante della città di Yarnham, conosciuta in ogni dove per la Notte della Caccia, soffriva di licofobia: la cosa che più lo terrorizzava erano i lupi, gli occhi scarlatti dei quali sembravano grondare sangue, come le loro terribili zanne e i loro minacciosi artigli. La nera pelliccia, così crespa e quasi affilata, permetteva loro di mimetizzarsi con il cielo notturno e di non esser visti, in attesa di tendere un agguato ad una debole e sciocca preda come lui. Non appena sentiva annunciare che la Notte della Caccia stava arrivando, il sangue gelava nelle sue vene e gli dava l’idea d’esser diventato un viscosa poltiglia cremisi. Quando il fatale momento arrivava e sentiva gli ululati dei licantropi fuori dalla finestra, si nascondeva sotto le coperte, ansimante e ricoperto di una gelida patina di sudore freddo. Un giorno, straziato psicologicamente da quella sua imperdonabile debolezza, decise che avrebbe tentato in tutti i modi di grattare via quella lurida macchia che imbrattava il suo onore di nobile. E, secondo la sua preclara ma testarda visione del problema, il modo più efficace per risolverlo sarebbe stato quello di affrontare faccia a faccia quelle creature che così tanto temeva. Dopo diversi tentativi e false giustificazioni, riuscì ad ottenere il consenso del padre. Essendo Ludwig il membro di una famiglia nobile il cui prestigio era noto in tutta Yarnham, il suo maestro fu Gehrman, il primo cacciatore mai esistito, colui che considerava la caccia come una marcia d’addio e che rispettava le belve con sconfinato riguardo, come se fossero persone. Il suo insegnante lo addestrò, per prima cosa, nell’uso di armi non adatte alla caccia, come spade, spadoni e stocchi; in seguito, gli insegnò come utilizzare il Reiterpallasch, un’arma che ben si addiceva alla suo posizione altolocata. Fin dalle sue prime sessioni di addestramento, Ludwig dimostrò un’incredibile attitudine nell’uso delle armi che gli era concesso utilizzare: infatti, come il suo stesso maestro diceva, egli dimostrava un capacità combattiva ed un’abilità tattica davvero sorprendenti per la sua età. Ma questo non servì in alcun modo al giovane per sopprimere la sua paura nei confronti delle belve: veniva gettato nello sconforto quando, perterrito, ascoltava o leggeva descrizioni riguardanti gli effetti della piaga sulle persone, oppure quando, semplicemente, li immaginava. Ludwig continuò per moltissimi anni ad allenarsi, finché non raggiunse e superò il suo maestro in combattimento. Tutti rimasero impressionati da una tale abilità, più di tutti lo stesso Gehrman, che però non si vergognava affatto di aver perso contro il suo espertissimo e valente allievo. Ma, nonostante tutto, il nobile continuava a temere la Notte della Caccia e tutto ciò che di più terribile avrebbe portato con sé. Infine, dopo innumerevoli anni, l’infausto momento giunse e Ludwig si preparò ad affrontare le sue più profonde paure. Vestitosi con abiti leggeri ed armato di Reiterpallasch, uscì dalla sua magione prima del crepuscolo, dopo aver salutato i suoi cari, e, con passo incerto, si avviò verso le strade della tentacolare città. Lungo il cammino, l’uomo già riusciva a vedere con i suoi occhi orribili immagini di belve deformi, intente a divorare gli stolti abitanti che non si erano rifugiati nelle loro dimore. Più si avvicinava al centro di Yarnham, più un gelido brivido saliva su per la sua schiena, risalendo le vertebre tramite il midollo spinale. Non appena giunse nella piazza centrale, vide molti altri cacciatori, con i quali si sarebbe dovuto incontrare prima del tramonto. Ludwig era l’unico a mancare e, quando arrivò, tutti i cacciatori si augurarono fortuna l’un l’altro e, rapidi e silenziosi come l’aura, corsero ognuno in una direzione diversa. In quel momento, il sole era sparito del tutto, ingiottito dalla notte stessa. Anche il nobile corse via, al limite delle sue capacità, tentando di scacciare della mente le visioni di ciò che lo attendeva. Ma non ci riuscì. Non appena sentì i versi delle belve eccheggiare nell’aria frigida, ancor prima di averne anche solo vista una da considerevole distanza, si fermò ansimante. Appoggiandosi con le mani alle ginocchia, guardò il suo riflesso nella pozzanghera sotto i suoi piedi. Davanti a lui c’era un uomo, il quale non sembrava affatto un combattente quasi leggendario, la cui fama s’era sparsa per tutta Yarnham, ma solo un cerbiatto spaventato e consapevole del fatto che, molto presto, un lupo malvagio e famelico gli sarebbe saltato alla gola, sgozzandolo come un capretto sacrificale, strappandogli la trachea con le sue fauci insanguinate e divorandola. La sua pelle era pallida come quella di un cadavere, pareva quasi morta, i suoi capelli dorati erano impregnati di sudore freddo e sembravano uno straccio grondante acqua gelida, i suoi occhi azzurri erano inniettati di sangue e lasciavano trasparire tutto il suo infantile panico. Ludwig era sul punto di arrendersi, quando sentì un lamento provenire da un vicolo alla sua sinistra, sembrava quasi una richiesta d’aiuto. Mosso dal sentimento di bontà che era riuscito a sovrastare la sua paura, anche se per poco, arrancò verso la voce. Appena ebbe svoltato l’angolo, vide qualcosa che lo distrusse: una donna, più giovane di lui, giaceva in posizione prona, il volto rigato da lacrime rosse, tendeva una mano verso di lui come per supplicarlo, metà del suo corpo era stata divorata ed una pozza scarlatta nella quale erano immerse le sue interiora si allargava come un lago sotto ciò che rimaneva del suo torace. Ludwig rimase immobile, nella sua mente scolpita quell’immagine di osceno dolore, non riusciva a staccare gli occhi da quella cruenta ed atroce visione. Improvvismante, il cacciatore nemmeno si accorse di come, una belva era atterrata sul corpo della fanciulla e, feroce più di ogni altra fiera, affondò le fauci nel cranio della sua inerme vittima, facendo schizzare brandelli di cervello per tutto il vicolo, imbrattando i muri di liquido scarlatto. Quando il cremisi esplose, Ludwig lasciò cadere il Reiterpallasch che aveva sguainato d’istinto, producendo un tintinnio assordante, e cominciò a correre. Mentre fuggiva da quell’innominabile visione, le lacrime cominciarono a rigargli il volto: aveva paura, ma era anche colpevole di aver lasciato in vita quella belva che aveva massacrato una persona, colpevole di un così efferato ed inumano atto, qualcosa di così terrificante che nemmeno l’omicida più spregevole avrebbe potuto anche compiere. Non appena si fu ripreso il minimo indispensabile da ciò che aveva visto, cercò di sfondare la porta di una casa. Ansimante, continuava a colpirla con la spalla, desideroso solamente di trovare un rifugio dove potersi nascondere da quelle belve immonde. Dopo l’ennesimo colpo, riuscì a sfondare la porta e, con una fretta ossessiva, la richiuse e la bloccò con un mobile. Non appena ebbe fatto ciò, cadde in ginocchio e, coprendosi il volto con le mani, scoppiò a piangere e gemere, poi, per il dolore provato, iniziò ad urlare, inveendo contro la Notte della Caccia e tutti gli abomini che l’accompagnavano. Continuò nella sua disperazione per molto tempo, finché le lacrime non uscirono più da sotto le sue palpebre e la sua voce non si spense. Esausto, Ludwig si appoggiò con la schiena al mobile che bloccava l’entrata e, con immenso stupore, si accorse di una cosa che fino a quel momento non aveva notato. Nel mezzo della stanza, sulle assi di legno spezzate, una lanterna, attaccata ad un sottile palo di metallo leggermente incurvato, brillava di un bagliore azzurro, pallido come la luna di quella notte maledetta. Non appena la vide, il cacciatore rimase catturato dalla sua flebile luce e cominciò ad osservarla con sguardo interessato. Scrutare quella piccola fiamma causava in lui una sonnolenza ed un senso di pace mai provati prima. Lentamente, si alzò e si avvicinò a quella lanterna, sedendosi a gambe incrociate davanti ad essa. Più la fissava, più un le palpebre diventavano pesanti, più una coltre di sonno calava sulla sua mente straziata. Infine, tutto divenne sfocato, e il cacciatore cadde addormentato sul pavimento in assi di legno di quella casa abbandonata. Nei suoi sogni bui e senza percezioni, Ludwig credette di vedere l’oscurità, o forse il nulla: solo la tenebra lo circondava e si sentì perso in quel vuoto dall’impercettibile enormità. E fu allora che li vide: piccoli esseri di luce danzavano davanti ai suoi occhi come stelle del profondo firmamento, riproducendo il moto degli astri e trasferendo in lui un coraggio mai sentito prima. Nel loro movimento, quegli allegri spiriti sembravano fargli da guida, invitandolo ad aprire gli occhi, senza che il cacciatore riuscisse a capire come potessero comunicare con lui. Egli, rinvigorito dalla presenza di quelle creature, inspirò profondamente e schiuse il proprio sguardo senza alcuna esitazione. Davanti a lui si palesò una visione di amenità e potere ineffabili: tutto intorno, l’oscurità era colmata dalla luce delle stelle più risplendenti e luminose; meteore e comete solcavano il profondo spazio siderale, lasciando dietro di sé scie verdi ed azzurre; il buio era stato bruciato dallo splendore inenarrabile di nebulose lucenti come migliaia di soli e colorate come i fiori dei campi in primavera; il fulgore di ammassi galattici ardeva imperituro, sprigionando un’incantevole luce divina. Quello pareva essere il cuore stesso del Cosmo, vivo e pulsante, nel quale scorreva sfolgorante fluido astrale. Ludwig, osservando questo spettacolo, rimase incantato da quella visione tanto sublime, sentiva come se quello splendore celestiale stesse fluendo dentro di lui, nel suo petto, per fortificare il suo spirito ed incrementare la sua forza. Poi, improvvisamente, tutto quel fulgore cosmico cominciò ad assottigliarsi e concentrarsi in un sottile filo, divenedo sempre più piccolo. Infine, nell’oscurità, risplendeva solo quel capello di luce. Titubante, Ludwig si avvicinò ad esso e, quando si trovò molto vicino a quello stelo, si accorse che era il filo di uno spadone, infisso nel suolo, composto di pura luce lunare. Il cacciatore non aveva idea di come fosse possibile una cosa del genere, ma conosceva bene il nome di quella reliquia cosmica: Spada della Luna Sacra. Lentamente, allungò la mano verso di essa e, non appena toccò l’elsa dell’arma, sentì quella luce che poco prima aveva ammirato trasformarsi in potere e fluire dentro di lui, rafforzando la sua stessa essenza. Afferrò con decisione l’arma e si sentìil vigore scorrere nelle sue membra. Pervaso da nuova forza, Ludwig si sentì inarrestabile e sollevò lo sguardo verso l’alto: il cielo notturno era costellato da grandi astri, risplendenti di colori meravigliosi e mai visti prima, la cui luce si rifletteva negli occhi estasiati del cacciatore, ora rinvigorito. Poi, egli guardò sotto i suoi piedi e vide che essi poggiavano su un suolo completamente coperto da grandi fiori bianchi, che sembravano riflettere il fulgore dei corpi cosmici del cielo. Ludwig si ritrovò a pensare a quella donna che, poco prima –o così, almeno, credeva- era stata dilaniata dalle fauci di una belva. Ma, ripensando a quell’orrenda immagine, egli non provò alcuna paura, né timore. Sentiva solo una grande determinazione crescere dentro il suo petto, deciso a porre fine a quell’orrendo incubo di ululati e sangue. Chiuse gli occhi e vide, di nuovo, quegli allegri esseri di luce: gli davano coraggio e lo spingevano, come guide, ad affrontare quelle che un tempo erano state le sue fobie più terrificanti, donandogli la forza per la quale aveva sempre anelato. Si ritrovò a fissare con decisione la lama fulgida di quell’arma empirea, pronto a combattere contro ogni suo vecchio demone. Guardò verso il firmamento dalla luce celestiale e disse:

“Mia Luce Guida, mia Mentore, giuro sulla Spada della Luna Sacra che abbatterò tutte le crudeli belve che la Notte della Caccia porterà. Tu mi hai donato il coraggio e la forza, ed io accetto il tuo dono ed onere. Consacrerò la mia vita alla caccia e annienterò ogni creatura d’incubo, affinché Yarnham venga mondata da quel sangue impuro. Ogni mia battaglia sarà un inno a te, Danzante Luce Lunare, Cosmo Abissale, Ombra di Luce Oscura! Io giuro questo sul mio nome, sulla mia vita, sul mio onore e sulla mia umanità! Questo giuramento io faccio a te, mia Luce Sacra!”
 
 
 
   
 
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