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Autore: _NightWolf_    13/07/2016    1 recensioni
Mi bastava solo vedere Armin per stare bene. Non dovevamo parlare per capirci, i nostri sguardi s'intendevano già alla perfezione. Eravamo due facce della stessa medaglia, che nessuno avrebbe mai separato, ma che il destino aveva diviso fin dal primo giorno
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia di ricordi





Il rumore delle rotaie cullava la mia insonnia; anziché placarla e lentamente soffocarla, non faceva altro che incoraggiarla a continuare, a persistere, a rovinare le mia notti e la mia salute. Ne soffrivo da parecchio tempo, oramai era questione di routine dormire quattro o meno ore a notte, tuttavia in vista d'un giorno pieno di impegni avrei preferito riposare il cervello e svegliarmi l'indomani mattina fresca e per quanto possibile riposata. Mi sarei dovuta aspettare che, dormendo in un treno, non sarebbe mai successo. A malapena riuscivo a chiudere gli occhi avvolta tra le mie fresche lenzuola, la camera da letto rischiarata da una lucina che tenevo costantemente accesa per un'infantile paura del buio, figuriamoci farlo in un veicolo in costante movimento, rumoroso per di più. Il suono delle rotaie non mi dava per nulla fastidio, tuttavia mi distraeva, imprigionava i miei pensieri su tutt'altri orizzonti tenendo così il mio cervello concentrato su qualsiasi cosa non fosse il sonno, tanto che fui sicura questa notte non avrei dormito per nulla. Sospirai, accomodandomi nella mia solita posizione da battaglia contro l'insonnia: pancia in giù,le mani sotto il cuscino e le gambe divaricate. Provai a focalizzare la mia attenzione su qualcos'altro, finendo così per immergermi in un passato che credevo sepolto e fossilizzato, ma che continuava a perseguitarmi da tanti anni.

_______________

Armin dai qua!

La mia voce bianca prorompette in un innaturale soprano quando, improvvisamente, il mio buonissimo ed a lungo agognato gelato alla fragola, con tanto di panna sopra, mi venne sfilato via da una mano tozza e familiare. La voce ridacchiante che udii alle mie spalle mi fece innervosire un poco e fui certa, a quel punto, chi fosse l'autore di quel furto.

Vieni a prenderlo allora. Disse con tono beffardo Armin. Stava scherzando, era il suo modo di prendermi in giro amichevolmente, ma ai tempi avevo solo dieci anni e non ero granché disposta a condividere le cose che a malapena riuscivo a procurarmi, soprattutto se era un gelato comprato dalla sottoscritta in persona dopo anni buttati a raccattare monetine per terra.

Dai Armin! Ho dato via tutti i miei risparmi per questo cono.

Dopo l'iniziale ira iniziai a piagnucolare, un bel broncio stampato in volto e intanto quel ragazzino dai capelli corvini che continuava a sventolarmi il mio gelato davanti agli occhi, per poi con fare saccente sfilare la lingua e raccogliere tutta la fragola che si stava sciogliendo.

Hmmm, non avevo mai assaggiato un gelato così buono prima d'ora! Fece, degustando piacevolmente il frutto del mio sudore. A quel punto mi arrabbiai davvero, o piuttosto persi tutte le speranze di riconquistare la dignità e scoppiai in un pianto imbarazzante. Armin, dopo la spavalderia dimostrata, si rese conto del dolore, per quanto possa essere tale, che mi stava infliggendo e, ingenui come eravamo entrambi, abbassò la testa facendosi rosso in viso per la vergogna. Ora che ci ripenso, riesco a percepire la sua frustrazione nel vedermi così affranta per quel cono ma allo stesso tempo il non volersi sottomettere a quel capriccio. Alla fine cedette e tendendo la sua manina paffuta verso di me, mi porse quel cono, la quale vista cancellò subito il mio rancore. Felice per quel gesto, gli sorrisi e dopo aver soppesato al lungo sul da farsi glielo porsi.

Se vuoi, lo dividiamo. Dissi, insicura. In fondo era il mio migliore amico e malgrado il suo comportamento mi spiaceva vederlo così affranto. Armin di fronte a quell'offerta non poté che sorridermi, il volto pieno di gratitudine, e si sedette accanto a me sul marciapiede che attraversava la nostra caverna segreta, il parco giochi. Ovviamente era scontato, ma noi col passare del tempo, le scorrazzate qua e là riuscimmo a creare di quel luogo il nostro nido, creandoci abitazioni fantasiose in determinati punti del parchetto, segnando il territorio con parole comprensibili solo a noi e altri piccoli indizi che avevamo sparso in giro e che nessun altro poteva comprendere. Erano i nostri piccoli segreti, solo nostri e di nessun altro. Passammo insieme il pomeriggio a mangiare quel cono, lui impegnato da un lato ed io da un altro, per poi dividerlo a metà.

Sei stato cattivo oggi, sai. Dissi, fingendo di essere offesa. Ovviamente non capivo il suo comportamento ma al contempo non potevo non perdonarlo. E' sempre così tra i bambini. Le marachelle si perdonano.

Ma tu non volevi farmi assaggiare il gelato! Si difese, come se la cosa potesse giustificare la sua crudeltà. Io gli ricordai che ieri si era rifiutato di farmi giocare al suo ultimo videogioco, perciò dovevo agire di conseguenza. Era una regola, un principio: se lui mi negava qualcosa, io facevo altrettanto.

Ehy sei tu che continuavi a dire che tua mamma non voleva che giocavi con i videogiochi. E io ti ho protetta. Pensa se scopriva che giocavi a quei giochi di guerra, dove ammazzi mostri? Chissà che ti succedeva!

Soppesai le sue parole a lungo, come se in quel momento fossero una filosofia di vita che dovevo attentamente studiare. In effetti, quella affermazione mi aprì un mondo ed ai tempi pensai che Armin fosse il bambino più intelligente e saggio che avessi mai potuto conoscere. Il mio volto paffuto si sollevo in un'espressione di ammirazione, e gli occhioni luccicanti tradirono tutta la mia invidia verso quella mente geniale. Dal suo canto, Armin si sentiva estremamente importante in quel momento, poiché essendo più grande di me, secondo lui mi aveva dato un consiglio da genitore, un consiglio importante per cui una bambina come me doveva pendere dalle sue labbra.

Capisco, capisco. Dissi, accennando a non so cosa con la testa. Finiva che gli davo sempre ragione, ma in fondo lui aveva ragione. Non ero granché veloce nei ragionamenti da bambina.

Però...però lo sai che mamma non capisce, lei dice sempre che non devo giocare con te ma alla fine mi lascia farlo. E poi, e poi tu non devi mica dirglielo eh! E' un segreto che giochiamo insieme con i tuoi giochi, posso anche farlo di nascosto sai.

Nel frattempo continuai ad annuire, dandomi ragione ad ogni parola, sentendomi anche io potetne per aver avuto quel lampo di genio.

Armin mi guardò sorridendo. Si si Lily, però mia mamma potrebbe scoprirlo e dirglielo. E' un bel problema, e già e già.

Ci ritrovammo ad annuire entrambi, seduti su quel marciapiede calpestato da chissà quante scarpe, abbracciati alle nostre ginocchia quasi fossero l'unica certezza in quella nebbia di problemi nella quale incespicavamo, il cono gelato trasformatosi in poche briciole che le formiche non persero tempo a raccogliere via. Ripensando a quella scena, mi venne da ridere. Così innocenti, così ingenui nei nostri ragionamenti che non ci accorgevamo del destino crudele che i nostri genitori ci stavano tessendo.

 

4 anni dopo...

 

Ripescai una ciocca svolazzante, portandomela dietro l'orecchio assieme alla chioma nocciola che dominava la mia figura. Ricordavo quei capelli, quando li detestavo! Oltre ad essere indomabili e poco estetici, erano una piaga ogni volta che mi dovevo vestire o fare qualcosa di faticoso. Finivo sempre per impigliarmi in qualche bottone o cerniera e quando facevo qualche sforzo, ecco che la schiena si trasformava magicamente in una sgradevole cascata di sudore.

Quel giorno stavo aspettando qualcuno, Armin sicuramente. Era un caldo pomeriggio d'estate ed io, che soffrivo parecchio le temperature elevate, mi presentai all'incontro con un abitino corto e svolazzante, ricamato in cotone bianco e decorato da margherite gialle e bianche, la pelle che supplicava una temperatura più ragionevole. Ero seduta di fronte ad un bar, su una logora panchina, mentre con la mano destra controllavo i messaggi sullo smartphone. Mia madre non accettava di buon grado che utilizzassi un telefono cellulare. Era una donna molto rigida e teneva ad un'educazione più tradizionale, tanto che considerava gli smartphone come una manna contro il buon senso, ed in quanto tali andavano aboliti ai più giovani. Di fatto, non avevo nemmeno un portatile. In quel giorno, essendo uscita per un'occasione importante che lei stessa aveva architettato, mi permise di portarmelo con sé, solo per telefonare a casa non appena avessi finito e farmi venire a prendere, anche se ero convinta che si trovasse nei paraggi a spiare i miei passi. Faceva sempre così, era fastidiosa, il nostro rapporto ricordo esser stato molto tormentato, eppure era mia madre e non potevo contestarla. Quello era il suo carattere e ci avrei avuto a che fare per molti anni a venire, tanto valeva che accettassi passivamente le sue scelte, come quella che mi comunicò una settimana fa. Quando me lo disse, ero tentata di urlargli in faccia tutto il mio disprezzo e fuggire di casa. Si sa come sono gli adolescenti, a quei tempi tra l'altro ero anche abbastanza problematica. Tuttavia non lo feci. Osai protestare, questo si, poiché mi stava rovinando la vita, ma lei con una secca affermazione dissipò tutte le mie speranze e anche in seguito alla scenata che gli feci, mentre piangevo disperatamente supplicandola di non arrivare a tali drastiche decisioni per stupide ragioni, lei fu irremovibile. Con il suoi occhi nocciola come i miei, mi inchiodò in quella posizione e mi fecero capire che niente e nessuno avrebbe potuto farle cambiare idea.

Così, col cuore affranto, gli occhi rossi e le labbra riarse, mi ritrovai lì, di fronte a quel bar, ad aspettare lui.

Lo vidi arrivare da lontano, i capelli corvini sferzati dal vento, acconciati in un codino sulla nuca per via della frangia troppo lunga, con le mani ficcate nei jeans e quel camminare leggermente gobbo che lo caratterizzavano fin da bambino. Vedendolo, a stento trattenni le lacrime.

Quando apparsi nel suo campo visivo, mi salutò con un cenno della mano, sorridente come sempre.

Scusa il ritardo Lily, stavo combattendo contro un boss, non potevo lasciare la partita altrimenti mio fratello l'avrebbe cancellata! Figurati se aspetta che ritorno quello!

Non appena vide il mio viso arrossato e le mie labbra inarcate verso il basso, cessò di parlare dei fatti suoi e mi chiese per quale motivo mi trovassi in quelle condizioni.

Io deglutii, insicura sul da farsi. Rischiavo di scoppiare in lacrime alla prima parola e non volevo. Riuscii a trattenermi, ancora per poco.

Senti noi...dobbiamo parlare. Ti devo dire una cosa importante.

Distolsi lo sguardo dai suoi occhi blu per portarlo verso il basso e presi ad osservarmi le punte delle ballerine. Respiravo a fatica.

Beh, dimmi, ti ascolto! Sorrise. Sorrideva sempre. Amavo quel sorriso ma in quel momento avrei voluto cancellarglielo dalla faccia, perché mi faceva male, era una pugnalata al cuore e lui non lo capiva.

Devo trasferirmi. Confessai in un soffio.

Un silenzio imbarazzato calò su entrambi. Io continuavo a guardare a terra, mentre Armin se ne stava in silenzio. Dopo un po' si trascinò vicino alla panchina e si sedette accanto a me, le mani strette, lo sguardo basso.

Ah. Disse. Mi sorpresi. Era tutto quello che aveva da dire in proposito? E dove? Aggiunse.

In Canada. Risposi. Ero di origini americane e avevo qualche parente lì, ma non conoscevo nessuno, ecco perché la prospettiva di andarmene era così ingestibile per me. Non m'importava niente se l'America era il sogno proibito di molti, l'unico mio desiderio era stare accanto ad Armin, a lui e nessun altro. Il solo pensiero di una nostra separazione mi mandava fuori di testa.

Ah. Ripeté. Era lui stesso a mandarmi fuori di testa. Come poteva rispondere in questo modo quando il solo rivelargli questa partenza era stato un gesto sofferto per me? Davvero non gli importava nulla? No, sicuramente il suo cuore era attraversato dagli stessi sentimenti che provavo io, ma era troppo sconvolto per poterlo dimostrare. Lo sapevo, eppure non potei fare a meno di rattristarmi per quella reazione. Sapevo ciò che stava pensando e sapevo che era consapevole chi fosse l'artefice di questa decisione.

Armin mi dispiace. Non posso farci niente. Vuole che mi allontani da te, a tutti i costi. Dice che stando qui continuerei a frequentarti, che sei un cattivo esempio per me. E poi...tuo fratello. Come si concia, la sua omosessualità... mi interruppi. Avevo la gola secca. Con la coda dell'occhio vidi le sue mani stringersi a pugno non appena nominai il fratello, e seppi tutte le maledizioni che stava mandando a mia madre. Lo avrei fatto anche io al posto suo. Lo capivo.

Ho provato a spiegarle come stanno le cose, le ho perfino promesso di non parlarti più pur di restare qui ma...è tutto inutile, non posso cambiare le cose.

Mi bastava solo vedere Armin per stare bene. Non dovevamo parlare per capirci, i nostri sguardi s'intendevano già alla perfezione. Eravamo due facce della stessa medaglia, che nessuno avrebbe mai separato, ma che il destino aveva diviso fin dal primo giorno.* Abituati a stare accanto, nessuno si è mai separato più di qualche mese dall'altro, era come se fossimo fratelli, gemelli, dividendoci ci toglievano una parte di noi. Eppure come potevo contrastare mia madre? Era più forte di me. Gli sfiorai la mano, ma lui la ritrasse subito, quasi gli facesse senso stare a contatto con la mia pelle, con una traditrice.

In quel momento, una lacrima solcò il mio viso, alla quale si aggiunsero altre, fino a trasformarsi in un pianto indomabile.

Sciocchezze. Sussurrò. Sciocchezze! Ripeté, questa volta ad alta voce. Sei sempre stata così tu! Non hai nemmeno un po' di spina dorsale, Lily. Non provi nemmeno ad opporti a tua madre, accetti tutto come una se fossi un'ameba, impassibile.

Il suo tono mi spaventò. Non l'avevo mai visto così arrabbiato. Come puoi permettere a quella donna di dividerci? Io, una cosa come questa, non l'avrei accettata nemmeno sotto tortura! Scommetto che non le hai detto niente, scommetto che quando ti ha dato la notizia hai semplicemente acconsentito e basta! Hai quattordici anni, non sei una poppante!

Silenzio.

E' questo quello che mi fa imbestialire, Lily. Io per te avrei lottato, avrei fatto qualsiasi cosa, qualsiasi, persino farmi mandare in un collegio pur di rimanerti accanto! Ma tu a quanto pare...mi deludi.

Con queste parole, mi abbandonò e fu l'ultima volta che lo vidi.

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Ripensandoci ora, la cosa mi sembra ridicola. Era una situazione estrema, certo, ma non ingestibile come pensavo. Esisteva internet, potevo sempre utilizzare il telefono di mia madre di nascosto, con il compimento della maggiore età avrei potuto andarmene di casa e ritornare da lui, in Francia. Ma non successe. Non potevamo contattarci, mia madre lo proibiva. Lei ha sempre detestato Armin e Alexy, non li ha mai potuti sopportare ed era pronta a tutto pur di garantirmi una buona educazione, cosa che con i videogiochi e il fratello non poteva sembrare possibile. E poi l'omosessualità di Alexy non aiutava. La disprezzavo per questo, poiché aveva una mente così bigotta da non poter capire che in realtà in lui non c'era niente che non andava, che in quei due non c'era niente che non andava poiché il problema principale era lei stessa...eppure non potei farle cambiare idea, in alcun modo. Armin aveva ragione a dirmi quelle cose, se fossi stato in lui l'avrei fatto senza esitazione. In fondo, sono sempre stata soggiogata sotto l'influenza di lei e per quanto mi fossi sforzata, non ho provato a fare il passo più lungo della gamba, ad impuntarmi sulla mia decisione e dirle no, io di qui non mi muovo, senza Armin non mi muovo, perché noi ci apparteniamo. Ma ciò non successe. Eravamo giovani in fondo, lui con i suoi sedici anni sulle spalle e con la mente annebbiata dalla fantasia, era convinto di potersi comportare come un'eroe di Skyrim in quella situazione, o come Mario all'inseguimento di Peach,quando in realtà procurò solo dolore a entrambi.

Ad ogni modo, da allora non ci rivedemmo più. Mia madre ed io ci trasferimmo in Canada, da alcuni suoi parenti, e rimanemmo lì finché non finii l'Università. A quel punto, ritornai varie volte in Francia e devo essere sincera, provai a rintracciare Armin e la sua famiglia, ma la casa in cui abitavano era messa in vendita e di loro nessuna traccia. Aveva cambiato numero da allora, sui social non ero iscritta e personalmente non mi interessavano, finendo così per allontanarci definitivamente.

Anche se è andata così, sono felice. Adesso. Ho avuto la fortuna di incontrare la mia anima gemella e di trascorrere con lui ben quattordici anni della mia vita, quattordici anni che mi hanno reso la persona che sono oggi e che senza il suo aiuto non sarei mai diventata. Se potessi, tornerei indietro, certamente, cambierei le cose e farei in modo di poter passare tutta l'avvenire assieme a lui.

Non sempre va a finire come desideriamo, ma io sono sinceramente grata dei ricordi che mi ha lasciato, dei momenti che abbiamo passato assieme e del fato che ci ha fatti incontrare, anche se per poco tempo.

E sono convinta che anche adesso, dopo tutta una vita, lui ovunque sia stia pensando a me, così come io penso a lui e che assieme continueremo ad essere quella sola entità nel più profondo nei nostri cuori, almeno finché il ricordo rimarrà in entrambi.

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Grazie per aver letto questa storia, spero vivamente che vi sia piaciuta!
E ringrazio doppiamente chi l'ha recensita, è davvero importante per me.

   
 
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