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Autore: Peppermint_Angel    14/07/2016    2 recensioni
Arielle è una ragazza come tutte le altre. Alla sua età, non c'è molto oltre il lavoro; per lei, tuttavia, pare esserci una via di fuga. Arielle ha un dono, quello di riuscire a fare sogni lucidi, che riesce a controllare e modellare a suo piacimento. Ma, un giorno, questa sua abilità sembra sfuggirle di mano. Il mondo in cui mette piede nei suoi sogni, è davvero irreale? E chi è il misterioso essere che dice di esserne il re, e le propone un patto così difficile da rifiutare?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo una marcia relativamente breve (cos’è il tempo in un sogno? Quella marcia avrebbe potuto essere durata anni, oppure pochi secondi) ci ritrovammo dinanzi ad un edificio. Grezzo, interamente in legno, ricoperto di muschio come le travi crollate che lo circondavano. A differenza delle travi, tuttavia, non sembrava essere bruciato e scuro: pur essendo legno vecchio, era stato scelto con cura, e il portone era decorato con gli stessi intarsi che avevo visto sugli archi dei miei sorveglianti.
Prima che potessi dare loro una seconda occhiata, i battenti si aprirono, rivelando un corridoio scarsamente illuminato da torce appese alle pareti. Nella penombra, venni portata ancora più avanti, verso la porta direttamente opposta all’ingresso. Intravidi altre porte sui fianchi del corridoio, ma erano tutte chiuse. Poco importava; la mia attenzione era completamente attratta dalla stanza verso cui ci stavamo dirigendo. I battenti che la separavano dal corridoio erano dorati, e anche alla scarsa luce del luogo rilucevano come gioielli.
Li oltrepassammo.
 
La luce improvvisa della sala in cui entrammo mi abbagliò per qualche secondo.
Quando fui in grado di vedere dove mi trovavo, vidi che si trattava di una stanza grande e molto alta. La luce entrava da grandi vetrate opache sul soffitto, e pur essendo rinforzata da alcune torce alle pareti, non era abbastanza calda da riuscire a lenire l’umidità del luogo. I muri dorati erano invasi dal muschio che, umido, gocciolava e scrostava la pittura, donando alla stanza un aspetto decadente, ma bellissimo.
La marcia dei soldati che mi trasportavano non si fermò fino a quando non raggiunsero un tronco bruciato posizionato contro la parete di fondo della sala. Sembrava come essere stato stroncato da un fulmine, e qualcuno, per ripararlo, vi aveva fatto colare dell’oro fuso. Si combinava perfettamente con il resto della stanza…E su di esso sedeva qualcuno che avevo già visto.
 
“Tu!” esclamai.
La creatura aprì gli occhi pigramente, e mi osservò.
Sbattè le palpebre pesanti un paio di volte, senza scostare la testa dalla mano su cui era poggiata, annoiato. Mi guardava, senza il minimo interesse, eppure io lo avevo già visto. Quelle grandi corna, coperte di muschio, quella pelle candida, il trono stesso su cui sedeva. Era la creatura che avevo incontrato nel sogno più vivido che avessi mai fatto.
Lui però non dava segno di riconoscermi. Sollevò, infine, la testa, cinta dalle pesanti corna, scostando la mano. Si alzò in piedi con un movimento elegante e morbido. La sua figura era quasi scheletrica, eppure dava l’impressione di essere flessibile e forte come un giunco. Non potevo negarlo: la sua figura era regale. Fragile forse, ma il suo sguardo e i suoi gesti non lasciavano spazio a dubbi: la sua autorità sui presenti e sugli assenti era indiscussa.
 
Dopo che si fu alzato, si avvicinò a me. Non indossava nulla sul petto, solo un paio di pantaloni ampi che arrivavano al ginocchio, dove erano stretti da alcuni lacci. Non aveva scarpe.
“Un’umana.”
La sua voce era carezzevole, profonda. A differenza delle guardie che mi avevano fatta prigioniera, la sua non era una domanda. Sapeva benissimo che cosa aveva di fronte.
“…Curioso.” Aggiunse, mentre i soldati mi appoggiavano a terra, rete e tutto il resto.
Non potendo alzarmi, me ne rimasi rannicchiata sul pavimento, osservandolo in modo truce. Tutto a un tratto, non sapevo che dire, e lasciai che fosse lui a parlare.
“Nessun essere umano può mettere piede in questo luogo.” Proseguì, serio, rivolto al capitano del plotone che mi aveva trasportata lì
“Uccidetela.”
“COSA?!” Esclamai terrorizzata, cercando di alzarmi. Improvvisamente, sentivo freddo.
 
Era solo un sogno, eppure me ne ero dimenticata. Non si può aver freddo nei sogni.
Immaginai di scaldarmi, e funzionò. Questo mi lasciò perplessa, lì per lì. Forse stavo recuperando la facoltà di controllare il sogno in cui mi trovavo?
“Non possono toccarmi…” pensai, cercando di autoconvincermi e di fermare le mani delle guardie che cercavano di afferrarmi.
Ma niente poteva allontanare la loro presa gelida sulla mia pelle. Erano fuori dal mio controllo.
 “…NO!!!” questa volta serrai gli occhi e urlai a squarciagola.
Sentii che mi lasciavano andare, all’improvviso.
Quando riaprii le palpebre, li vidi indietreggiare, guardandosi le mani piene di scottature e vesciche. Sentivo caldo, ora. Molto, molto caldo.
Incredula, li guardai allontanarsi e osservarmi con rabbia e timore. Cosa era successo?
Senza che me ne fossi accorta, la rete che mi tratteneva era bruciata. Il mio corpo…era immutato alla vista, ma apparentemente, al tocco, era incandescente.
Mi alzai lentamente in piedi, osservando le guardie con sospetto. Prima che potessi anche cercare di capire cosa stava accadendo, si stavano già preparando alle armi. Avevano imbracciato gli archi intarsiati che avevo già visto nella foresta, incoccato le frecce, e le avevano puntate contro di me, in un cerchio di morte. Ero completamente circondata.
 
Improvvisamente, i battenti dorati che avevamo attraversato si spalancarono con un tonfo attutito. Un piccolo corteo di persone fece il suo ingresso, chiaramente alla volta del trono, ove Nikolao, come la guardia aveva chiamato il re nella foresta, aveva ripreso posto senza che io nemmeno lo notassi.
Il gruppo che aveva appena attraversato i battenti si componeva di creature leggermente differenti da quelle che popolavano il salone: sui corpi meno scheletrici e oblunghi, e dall’aspetto più umano, indossavano ampie vestaglie color bronzo, rosso e verde, che sfavillavano ad ogni loro movimento alla luce delle candele.
Il gruppo era composto da tre esseri femminili e quattro maschili. Soltanto una delle donne era abbigliata in modo particolarmente ricco e opulento: sulle sue vesti sembrava essere stata tessuta una decorazione simile ad un arazzo, con scene di caccia nella foresta e fiori candidi. Le altre fanciulle si stringevano a lei, ma non erano nemmeno lontanamente curate quanto la ragazza nel mezzo. I capelli neri le scendevano lisci sulle spalle, perfettamente pettinati. La pelle del viso, bianca come l’alabastro, faceva risaltare gli occhi cangianti gialli e azzurri.
Ebbi solo qualche istante per osservarla, senza che lei nemmeno mi degnasse di uno sguardo, gli occhi fissi sul trono ove sedeva Nikolao.
 
Il più anziano degli uomini che componevano il resto del gruppo si fece avanti con un gesto teatrale e si inchinò profondamente, disegnando un ampio cerchio con le braccia, davanti al trono.
“Nikolao” esordì, mentre ancora si trovava con il ginocchio poggiato a terra e lo sguardo basso, rivolto ai piedi del re “Ci presentiamo umilmente a te, re di queste lande del sogno. Ti ho portato il dono più bello che potessi recare con me: mia figlia.”
Alle sue parole, la ragazza bruna fece una riverenza. Lo sguardo del re si posò su di lei, stanco.
“Ti prego di accettarla in moglie, e di-“
All’improvviso Nikolao si alzò in piedi, mettendo a tacere l’uomo che subito si affrettò a guardarlo con ansia, senza osare muoversi di un millimetro. Il re non lo degnò di uno sguardo, la sua attenzione era rivolta solamente alla ragazza.
“Chi sei?” Le chiese. La sua voce era annoiata, pigra. Sembrava una domanda già posta un milione di volte, eppure aveva una sua profondità. Mi ritrovai a pensare cosa avrei potuto rispondere io.
La ragazza sorrise, mostrando dei denti candidi e affilati nascosti dietro alle labbra piene e rosse come mele.
“Il mio nome è Sylk, figlia di Fustian, figlio di Aramid.” Disse, mentre si inchinava di nuovo in un’aggraziata riverenza.
“Mi sono state insegnate le arti che una donna deve conoscere. So cucire, cucinare, amministrare le persone a mio seguito.”
Nikolao si avvicinò alla fanciulla, muovendo quei pochi passi che li separavano. Il suo viso era a qualche millimetro da quello di lei, che non aveva mai perso il sorriso sfrontato e sensuale che gli aveva regalato all’inizio della loro conversazione.
“Ti ho chiesto chi sei.” Tagliò corto, interrompendo la sua presentazione. Non sembrava più annoiato, ora era chiaramente infastidito.
Il sorriso della ragazza che aveva detto di chiamarsi Sylk vacillò. Era chiaro che non sapeva che altro rispondere, tranne…
“…Chiunque voi vogliate che io sia, immagino.”
“…Immagini.” Ripetè lui, sacastico. “L’unica cosa che voglio che tu sia è…lontana. Lontana dalla mia vista.”
 
La ragazza doveva essere coraggiosa, sotto sotto, e realmente nobile. Sopportò con estrema dignità la stilettata di quelle parole. Con un altro grazioso inchino, sussurrò “Come sua maestà desidera.”
E mentre quelle flebili parole ancora aleggiavano nella sala, il gruppo intero si ritirò, in un silenzio sconvolto e frustrato. Le porte si richiusero con lo stesso tonfo sordo con cui si erano aperte solo pochi minuti prima.
 
Fu allora che il re riportò la sua attenzione su di me. Le guardie che avevo attorno non si erano mosse nemmeno di un millimetro, le loro frecce ancora puntate contro di me.
“…Portatela via. Nei sotterranei.” Ordinò.
 
Fu quando nessuno poteva più ascoltare le sue parole, che sussurrò:
Lasciatemi solo.

____

 

Probabilmente attraversai qualche breve attimo di dormiveglia, poiché, senza accorgermi di come ci fossi arrivata, improvvisamente ero in una cella.
…Oh, no.”


Mi guardai attorno. Non c’era il pavimento, ero seduta su un fondo di terra battuta, scomoda e polverosa. Cercai di muovermi, ma mani e piedi erano tenuti fermi da manette e catenacci in metallo pesante. Alzarsi in piedi era fuori discussione.
La cella dava su un corridoio relativamente bene illuminato, da quella che pareva essere luce naturale. La mia stessa prigione aveva una finestrella, da cui entrava altra luce…e altra polvere.
Rimasi ad ascoltare il mio respiro per un po’, prima di sentire una voce flebile sussurrare:
“Sei sveglia?”
Sobbalzai, guardandomi attorno. Nel corridoio, stava ritto sulle zampe il piccolo cervo dal manto stellato che avevo incontrato nel bosco, quando ero stata catturata. Mi osservava da oltre le sbarre, anche se piccolo com’era sarebbe potuto facilmente passarvi attraverso. Negli occhi dorati della creaturina colsi una punta di apprensione, non saprei dire se per sé stesso o per me.
“Chiaramente no. Sto sognando.”
Annuì, soddisfatto. Prima che potessi domandare qualsiasi cosa, mi precedette.
“Ti ho vista, nella Sala del Trono. Non so come tu abbia fatto ad arrivare qui, ma ciò che mi è chiaro da come ti sei comportata poco fa è che non sai dove ti trovi.” Disse. “Non abbiamo molto tempo, ma farò quello che posso.” Fece un respiro profondo, ed iniziò a spiegare.

“Sei nel Dreamworld. Quando nel mondo umano viene costruita una casa, dai ricordi vissuti tra le sue mura si costruisce la sua storia, ed anche il suo Dreamworld. Tutto ciò che di importante la casa ha attraversato - incendi, guerre, ma anche risate, feste, banchetti - viene ricordato dal Dreamworld. E, più la casa è antica, più il suo Dreamworld è grande e potente. Se prendi per esempio casa tua, che come sai è stata costruita cinquecento anni fa, capirai perché il Dreamworld in cui ti trovi sia così sfarzoso, ma anche in un certo senso abbandonato a sé stesso. Cinquecento anni non si dimenticano in fretta! Capisci cosa sto dicendo?”

Ci fu un attimo di silenzio, in cui la piccola creatura mi osservò con intenzione.
“Capisco che il mio sogno è piuttosto contorto, e che ci troviamo in una specie di teoria di Freud delle case” mormorai infine, confusa.
Capivo cosa mi aveva appena spiegato, ma il sogno era così assurdo che mi prendeva alla sprovvista. Abituata a controllare i sogni che facevo, un tale livello di casualità mi turbava, e non poco.
“Freud? Chi è Freud?” chiese il piccolo cervo, inclinando appena la testa di lato. Si riscosse appena un attimo dopo. “Non prenderti gioco di chi ti aiuta, umana.” Sembrava offeso, e non potendo fare altro decisi di restare in silenzio e di lasciarlo finire la sua storia.
“Dicevo, il Dreamworld. Il vostro mondo e il nostro sono completamente separati. Non c’è modo per gli umani di venire qui, e viceversa, tranne pochissime eccezioni.” Fece una piccola pausa.
“E tu sembri essere una di queste.”
Cercai di fare spallucce, ma le catene mi impedivano praticamente qualsiasi movimento. Ciò che ottenni fu un concerto di tintinnii.
“Non che la cosa mi faccia piacere, onestamente. Guarda dove sono finita!” esclamai in risposta. Tanto, peggio di così.
“Avrebbero voluto uccidermi!”
“Esatto.” Fece un piccolo passo verso di me “Avrebbero voluto.”
Rimasi in silenzio ad osservarlo. Si trovava in una chiazza di luce ora, e riluceva d’oro e di blu, come trapuntato di stelle. Su di esso, sembrava che costellazioni e galassie fossero in lento ma costante movimento.
“Come hai fatto? Come sei arrivata qui? Perché non hanno potuto mandarti via?” Chiese, osservandomi con sguardo rapito. “Devo saperlo!”
“Io…non lo so!” risposi titubante, presa alla sprovvista dal fervore nel suo tono di voce e dalla quantità delle sue domande.
In lontananza si udì un rumore di passi. Qualcuno si stava avvicinando al corridoio.
“Devo andare” disse il piccolo cervo, allontanandosi verso l’altra estremità del passaggio, con un sobbalzo. Mi osservò un’ultima volta.
“Non temere” aggiunse. “Andrà tutto bene”.
E con un altro salto, scomparve dalla mia vista, mentre i passi si facevano sempre più vicini.
Sempre più vicini.

   
 
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