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Autore: Kurumi    14/07/2016    0 recensioni
Reidan le corse incontro e Umbra lo tenne d’occhio.
Fece per prenderla tra le braccia la ma sua pelle lo scottò, era come un braciere ardente.
«Reidan, che significa?» Chiese il compagno mentre andava a soccorrere Tiril, esanime al suolo.
«Questa ragazza…» le tolse i capelli dal viso per poterla guardare «io so chi è.»
Guardò Umbra, che si era seduto alle sue spalle e lo fissava con lo sguardo ardente.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tesla aprì lentamente gli occhi, girandosi sul lato sinistro per guardare fuori dalla finestra. Era mattina, riusciva a vedere gli scoiattoli che saltavano da una foglia all’altra su Ivtavishe.
Erano dei puntini neri e rossi che si muovevano su uno sfondo dorato mentre i primi schiamazzi si alzavano dalla città.
Si mise a sedere accusando un dolore alla schiena, ma poco dopo si abituò alla posizione.
Umbra era seduto in fondo al letto e la fissava con i suoi grandi e profondi occhi, aspettando che facesse qualcosa. Nel guardarlo, il ricordo del volere della volpe che le echeggiò in testa, così come il fuoco che le bruciava la pelle e il cervello senza che prendesse fuoco realmente.
Si massaggiò le tempie dopo una fitta alla testa e rivide l’immagine di quell’uomo vestito di bianco stritolato tra le spire delle sue code color della brace. La pelle che bruciava e le urla soffocate in gola rimbombavano ancora nelle sue orecchie.
Se le coprì con le mani in un vano tentativo di zittirle e queste si fecero più forti, tramutandosi in uno strillo scoppiettante.
Il rumore di pietre che rotolavano, le urla di una donna e il ruggito di un felino furono le ultime cose che udì prima di essere stritolata nell’abbraccio della zia.
La donna la cullava tra le sue braccia da un po’ e lei non se n’era accorta, avvolta da quelle immagini cruenti e dalle grida.
Ebbe un brivido lungo la schiena e finalmente riaprì gli occhi, accecandosi con la luce di un raggio che penetrava le foglie di Ivtavishe.
«Sssht, hasezovishe ket miu» «Keketa… miu fetö…» «Nö, luvtet, niut destsehani.»[1] Ryka si pentì amaramente di aver permesso a Reidan e i suoi due complici di restare, quella notte.
Tesla era una ragazza fragile o così almeno aveva sempre voluto credere. Quegli uomini erano nella loro casa, gli stessi uomini che avevano indotto in sua nipote Wüniuvishe e riducendola a quello stato.
Ryka schiuse le labbra per parlare ma l’arrivo di sua madre la interruppe. Nonna Hangzavar entrò energica nella stanza e andò a sedersi ai piedi del letto, scacciando Umbra con un gesto non curante della mano.
Sorrise alla nipotina, accarezzandole la caviglia nuda con le sue mani tremolanti.
Indossava un abito bianco ricamato di verde chiaro, con un girocollo di argento intrecciato con fili di erba cristallizzata, che nella loro lingua veniva chiamata Sehabajukaö. Secondo la cultura Ethrie, il Sehabajukaö portava fortuna a chi lo vestiva o forza di volontà se a indossarlo fosse stato un membro della famiglia Hangzavar.
La nonna metteva sempre un gioiello di Sehabajukaö, che fosse un bracciale, un anello o anche un orecchino.
Al quattordicesimo compleanno di Tesla le aveva regalato un elastico per i capelli fatto di rami di salice intrecciati e poi cristallizzati, augurandole una buona fortuna per il futuro.
«Ryka, dest niut kawühata?» La sua voce tremolava, roca come il gracchiare di un corvo e severa come quella di una qualsiasi madre.
«Nö, Miushe, zosheta dest!»[2] Liberò Tesla dal suo abbraccio e le diede un bacio sulla fronte, specchiandosi nei suoi grandi occhi verdi.
«Zoseta wüjukluvse vi Miushe.» Le infilò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio, accarezzando la pelle diafana leggermente arrossata.
«Keketa, ket miu zowüzoö?»[3] Prese il polso di Ryka, fermandolo, e la guardò seria negli occhi. Tesla non voleva pensare a sua madre, non voleva immaginare quanto i suoi lineamenti fossero simili alla donna che l’aveva cresciuta per cinque anni per poi morire disgraziatamente.
Tesla voleva capire perché avesse preso fuoco senza bruciarsi, perché avesse udito i  pensieri di Umbra.
Perché non fosse morta. Le persone morivano quando venivano possedute dagli animali, o così le era sempre stato insegnato.
«Tesla, niut zoshemiuö zodesthani ket zotashe zowükasezoö. Tamiuvise ket vi zotashe ivtaivshe.»[4] Rispose la nonna, stringendo la presa intorno alla sua caviglia in segno di avvertimento.
Non voleva che facesse altre domande, la storia doveva concludersi lì.
Constatò che era meglio lasciar perdere, se c’era di mezzo la nonna sicuramente non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
Ci avrebbe riprovato più tardi con la zia, rischiando di finire nei guai.
«Taö fetö lishemiuse» «Oh! Misheket! Fetö desthaviö kaöniuse.»[5] Corse alla porta, girandosi solo per sorridere alla nipote e incitarla a scendere in cucina, che avrebbe messo in tavola la colazione.
«Niuöshe, ivtaseniuta?» «Nö, fetö sheluvvihaö lishehase» «Ket ivwüöta.»[6] Si alzò dal letto, osservandosi le gambe e le braccia nude alla ricerca di lividi o scottature.
Nulla, solo pelle bianca e liscia.
Indossò una lunga gonna nera con gli orli colorati come l’arcobaleno e una maglietta verde scuro che si allacciava dietro il collo, quindi si legò i capelli in uno chignon sopra la nuca e scese in cucina.
Ryka stava apparecchiando la tavola quando dalla porta che dava sul giardino entrarono tre uomini in bianco.
Il cuore le mancò un colpo, facendola traballare. Vide il viso di Reidan Fystein accompagnato da due uomini mascherati.
Maschere di volpe.
«Dest?! Dest yr zoöniuö taniu kazoshe miu?!»[7] Ryka mosse alcuni passi nella sua direzione ma lei la fermò con un gesto della mano.
Reidan appoggiò le mani sullo schienale di una delle sedie infilate sotto al tavolo di legno, gli occhi marroni socchiusi e le labbra schiuse.
Aveva la pelle abbronzata, come chi sta perennemente al sole, una caratteristica che differenziava il popolo Ethrie da quello Idya, al quale egli apparteneva.
Si grattò i capelli facendo una smorfia, poi tornò a concentrarsi su di lei, cercando di incuterle sicurezza.
«Vi Keketa ni fetshe özovita dest niuövise. Öhashe ket zovitashemiuö sheniureö.»[8] Ryka allora scattò, arrivando quasi a raggiungere Reidan e toccarlo.
Persino Tesla rimase sbigottita da quella sua reazione. La donna aveva i capelli sciolti, lunghi fili bruni che discendevano lungo la sua pallida schiena avvolta in un leggero abito color crema.
Era bella come la luna, con occhi piccoli di colore verde e ciglia folte e lunghe.
«Nö! Hasezovishevise, iv desthasejukö» Reidan guardò la donna con occhi sgranati e sospettosi, come chi analizza un bugiardo.
Tesla strinse i pugni lungo i fianchi, nascondendo il suo disappunto. La reazione della zia alle parole del giovane uomo era stata molto eccessiva e fresca, quindi degna di approfondimento.
Umbra era da poco entrato in cucina quando avvolse una delle sue morbide code intorno alla caviglia di Reidan, anche lui d’accordo sul fatto che restasse.
«Zotasevise liöhazose taniu kaövishe ketvihaö miu?» [9] Ryka scosse il capo, dicendole che era meglio per tutti se non si fossero mostrati in città.
Le loro maschere avrebbero fatto scaturire dei sospetti nei cittadini, creando un putiferio.
Si scusò con gli intrusi, che lei chiamò Özodesttavita ossia “ospiti”, e si scusò per il cambio di programma, che fin dall’inizio avrebbe dovuto constatare che farli viaggiare di giorno era pericoloso.
«Niut fetö desttawü lishemiuse.» Con quelle parole Tesla proseguì e uscì, seguita immediatamente da Umbra.
Ryka non cercò di fermarla, era alleggerita dal fatto che sua nipote uscisse, così da poter agire indisturbata.
Umbra saltò sulla lunga corda che portava in città e così anche lei, voltandosi a guardare verso casa sua.
Reidan era ancora di fronte alla porta spalancata, la schiena curva sulla sedia e i suoi compagni ai lati.
«Lisekatashe.»[10] Disse con disprezzo. Cominciò a scendere, stando ben in equilibrio. Arrivato alla fine, Umbra saltò e con l’ausilio delle code rallentò la caduta sul pavimento di terra e sassi che era la strada.
In città si erano già svegliati in molti, le luci che fluttuavano in cielo si erano spente, le finestre spalancate e il mercato e i negozi avevano aperto. Si sistemò la gonna e s’incamminò verso casa di Sissel, curiosa di vedere l’amica dopo le vicende appena trascorse.
Per merito della fitta vegetazione che si era creata intorno alla città, sotto l’albero Ivtavishe, il clima era umido e fresco, non si erano mai superati i venti gradi.
Infatti, nessun Ethrie sopportava temperature scottanti, e s’intendono quelle superiori i vent’un gradi. La loro pelle era molto delicata e pallida abituati com’erano al fresco e alla mancanza della costante luce solare.
Erano pochi i raggi che penetravano il tetto di foglie che copriva tutta la zona ed essi venivano sfruttati per creare energia solare per accendere le luci durante le ore buie.
Oltretutto, c’era un periodo caratterizzato dalla completa mancanza di luce solare per tre settimane.
Circa tre mesi prima i cittadini cominciavano a raccogliere più luce possibile per evitare di restare al buio durante quel periodo, altrimenti la città cadeva nell’oscurità e gli Sheniuta portavano disgrazie a Ethriel.
Sua nonna aveva vissuto quella situazione e le aveva promesso che un giorno glielo avrebbe narrato, ma non era ancora arrivato il tempo.
Camminando tra le stradine e passando per dei vicoli, raggiunse casa di Sissel. Era una piccola dimora, caratterizzata dal suo color avorio, attaccata a quella di Arild, di un grigio vissuto.
Sissel era seduta nel piccolo giardino che aveva sulla terrazza e canticchiava curando i fiori.
«Sissel!» La chiamò agitando la mano in segno di saluto. Umbra volteggiò le nove code. La ragazza si sporse oltre la barricata e le fece un amaro sorriso.
Era stranamente sconvolta nonostante apparisse tranquilla.
«Oi, Tes! Zosheluvta!» Salì i tre gradini di pietra posti prima della porta ed entrò.
La casa era poco arredata ma tempestata di fiori di ogni tipo. Gialli, rossi, verdi e persino blu.
Accarezzò una rosa verde pisello e salì al primo piano, entrando nella prima porta a sinistra, che era la stanza dell’amica.
La vetrata che dava sulla terrazza era spalancata e Sissel la esortò ad uscire.
«Ket zovisheta?» Chiese mentre prendeva posto accanto a lei. «Niut miu luvsheviö. Vi?»
«Taö… taö zoviö baseniuse. Siss, ket zowükasezoö tasehata?»[11] La ragazza corrugò la fronte come chi resta confuso da una domanda.
Sembrava non comprendere, ma poi sorrise e fece spallucce.
«Fetsheta retalisezoö miu se Arild. Niut sheluvvihaö» «Taö niut zoö ket zotashe zowükasezoö… niut hatakaöhareö miuöluvviö.»[12]
Sissel accarezzò il bocciolo di una rosa e fece un versetto indecifrabile.
«Niut desthavita, viwüviö litaniutaviö.»[13] Sbuffò e accantonò il discorso. Nessuno voleva rivangare l’accaduto del giorno precedente e non riusciva a capacitarsene.
Dopotutto era stata posseduta da Umbra e era stata a un soffio dall’uccidere un uomo.
«Siss, Tes?» Le ragazze si sporsero in avanti, entrambe strappate dai loro pensieri, e tra le sbarre della barricata intravidero Madas. Indossava una tunica nera con delle scarpe abbinate, i capelli biondi e lunghi fino alle spalle legati in un codino alto.
I suoi occhi azzurri catturarono l’attenzione delle ragazze.
Madas era il figlio di uno dei più ricchi uomini d’affari della città, la sua famiglia viveva su una delle colline alla periferia nord, vicino a dove iniziavano gli ultimi chilometri prima dell’arrivo ai confini dei rami di Ivtavishe.
Tesla ricordava che suo padre vantava spesso di essersi recato oltre le foglie della vita, raggiugendo la città vicina: Idyan.
Lei non aveva mai visto oltre Ethriel, non sapeva come fosse il mondo fuori da lì e la cosa la incuriosiva molto.
Avrebbe voluto correre e liberarsi dall’abbraccio soffocante della sua città e raggiungere nuovi luoghi e conoscere persone di culture differenti.
Persone come Reidan?
Un groppo le si formò in gola, accompagnato da un forte bruciore allo stomaco e Umbra si agitò, percependo la cosa.
Sissel si alzò in piedi con uno scatto delle gambe, lisciandosi il vestito color cachi lungo fino alle ginocchia e sistemandosi i capelli corvini legati in una treccia laterale.
Era davvero una giovane e bella donna, con gli occhi color del mare e il sorriso bianco latte.
Tesla però non aveva nulla da invidiarle, lei era una Hangzavar.
Imitò il suo gesto di alzarsi per poi appoggiare i gomiti sulla barricata e guardare Madas.
Il ragazzo aveva una borsa a tracolla di una stoffa forestiera, eppure la sfoggiava come se fosse argento.
«Niut zoshedestseivö ni liözose sheniukafetse Tesla» «Nö, ivseniuwüvishe zoöluvö dest wü shevitamiuö. Öhashe zose ivshe!»[14] Si scaldò un pochino nel dirlo, come se desse per scontato che la sua amica non potesse stare insieme a lei e a Madas insieme.
La guardò storto e fece spallucce.
«Zota, miu ivshereö. Zowü, Umbra!»[15] La volpe si alzò sulle quattro zampe, smettendo di giocare con la terra, e seguì la padrona fin fuori la casa. Madas le sorrise, chinando leggermente il capo in segno di saluto.
«Tesla, niut ivwüöta lisevita dest tamiuhase luvtaniujukwüshe kaömiuse» «Nö, niut zoöniuö taniuvishe.»[16]
Madas amava, proprio come il padre, vantarsi delle sue conoscenze, una tra le quali la capacità di parlare la lingua comune. L’aveva imparata da bambino, all’età di cinque anni suo padre l’aveva portato con sé a Idyan, dove erano rimasti per un anno. Era tornato abbronzato e con una nuova parlata.
Si allenava con sua sorella per non dimenticare la lingua e da quando Sissel aveva trovato il coraggio di chiederglielo, lo insegnava anche a lei.
Tesla però non aveva alcun interesse a farsi insegnare la lingua comune da lui. Avrebbe dovuto sorbirsi auto elogi e rimproveri dalla persona che più odiava sulla faccia della terra, quindi evitava.
«Sheluvöhashe she desthasezoviö!» Le sorrise amabilmente ma lei lo ignorò e corse giù per la strada, svoltando l’angolo e svanendo insieme a Umbra.
Se Sissel apprezzava passare il suo tempo con quell’individuo erano affari suoi, lei non aveva alcun interessa per Madas e la sua lingua comune.
Però la sua testa aveva altro di cui preoccuparsi.
Se nessuno voleva darle informazioni riguardo al giorno precedente, allora le avrebbe cercate da sola. Fu così che si ritrovò nella biblioteca centrale, circondata da scaffali di libri e pergamene.
Umbra era accoccolato sotto il tavolo in mogano e sonnecchiava mentre Tesla girovagava alla ricerca del libro che le occorreva.
Ne trovò più di uno: libri sulle magie degli esseri selvaggi, libri sulla biologia degli animali e altri ancora. Però lei non era interessata a quel genere di cose.
E poi finalmente scovò quello che stava affannosamente cercando.
Sfilò il libro e accarezzò la copertina, ammagliata dal colore verde scuro della copertina.
Si chiamava Wüniuvishe, e cioè “unità”. Sotto erano disegnati degli animali con più code, tra cui una volpe.
Corse a sedersi, spalancando il libro e iniziando a leggere avidamente ciò che nascondeva.
 
[1] Resta con me - Zia, io ho… - No, piccola, non pensarci
[2] Ryka, perché non la curi? - No, mamma, lo sai perché!
[3] Sei uguale a tua madre - Zia, cosa mi è successo?
[4] Tesla, non sappiamo spiegarci cosa sia successo. L’importante è che tu sia viva
[5] Io ho fame - Ma certo! Ho preparato la colazione
[6] Nonna, vieni? - No, ho altro da fare à Come vuoi
[7] Perché?! Perché questi sono in casa mia?!
[8] Tua zia ci ha ospitati per la notte. Ora ce ne stiamo andando.
[9] No, restate, vi prego - Siete forse in combutta contro di me?
[10] Feccia
[11] Come stai? - Non mi lamento. Tu? - Io… io sto bene. Siss, cosa è successo ieri?
[12] Hai solo difeso me e Arild. Nient’altro - Io non so cosa sia successo… non ricordo molto.
[13] Non preoccuparti, è tutto finito.
[14] Non sapevo ci fosse anche Tesla - No, è venuta solo per un attimo. Ora se ne va
[15] Si, me ne vado. Su, Umbra!
[16] Tesla, non vuoi fermarti per imparare la lingua comune? - No, non sono interessata.
  
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