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Autore: Fedevier    15/07/2016    1 recensioni
La musica ha il meraviglioso potere di unire i cuori, le menti e le vite delle persone che la amano in maniera permanente e significante.
Quattordici giovani di diversa nazionalità ed età impareranno a conoscersi e si scontreranno con quello che il destino aveva già, in qualche modo, deciso per loro.
Una storia profonda di crescita mentale, familiare, di amicizia e di sentimenti puri e contrastanti che, tra un sorriso ed un pensiero, allieterà, spero, le vostre giornate.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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0.0 Chopin, Tarantelle



“Promettimi che non fumerai, Cat”.
Il forte rumore delle ruote sull’asfalto bollente ricopriva il suono della voce della madre di Cat, seduta accanto al posto di guida.
“Cat”, ripeté la madre della ragazza accovacciata sul sedile posteriore, spingendola per richiamare l’attenzione ma senza fare sforzo alcuno, “Promettimelo, giurami che non fumerai queste due settimane”.
Cat non rispose, con il mento completamente appoggiato al finestrino come un cane, la ragazza era troppo incentrata a guardare le targhe delle automobili che passavano accanto a loro, cercando di indovinarle e deglutendo di tanto in tanto molto rumorosamente.
Aveva passato tutta la notte insonne, cosa che, in verità, le capitava molto spesso ultimamente, ma mai in quel modo: l’idea di doversi confrontare con persone nettamente più brave di lei la rendeva nervosa e particolarmente impaurita.
Nonostante fosse allieva del Conservatorio di Lione, Cat non era mai sentita chissà quanto in gamba, un po’ per la sua scarsa autostima, un po’ perché aveva quel terribile vizio di confrontarsi con gente nettamente più grande di lei.
Cat aveva solo diciassette anni, troppo anziana, in realtà, per ambire ad una carriera concertistica con il suo scarso livello ma abbastanza giovane da potersi permettere, comunque, di avere dei sogni davanti ai propri occhi.
Suo padre, diversi mesi prima, uomo che sempre ha tenuto molto alla formazione pianistica della figlia in maniera quasi personale, provò a spingere Cat a frequentare un corso estivo di qualche giorno con un altro insegnante, appunto per invogliarla a studiare di più e lei, casualmente, trovò su internet una masterclass a Losanna, nella Svizzera francese, con un insegnante mai sentito prima ma che le avrebbe permesso di allontanarsi da casa per due settimane, cosa che, per lei, era sacrosanta; non che non le piacesse stare a casa sua, semplicemente lo scorso anno era stato molto duro per lei e per la sua famiglia e la necessità di staccare dal proprio ambiente familiare era diventata di grandissima importanza.
Il problema è ciò che vi era scritto sul volantino della masterclass: “Corso di alto perfezionamento”.
Alto perfezionamento? Cat non si riteneva nemmeno lontanamente brava, figuriamoci degna di perfezionarsi.
Di conseguenza, la povera Cat, assonnata ed intontita, si domandava assiduamente se sarebbe stata in grado di combinare qualcosa durante quelle due settimane o, al contrario, se avrebbe semplicemente perso tempo prezioso.
“Cat, rispondimi!”, gridò la madre della ragazza, quasi ferita nel profondo dal mancato rispetto della figlia.
“Cosa?”, rispose Cat distrattamente.
“Promettimi che non fumerai queste due settimane, Cat”.
“Promesso”, rispose di nuovo la ragazza meccanicamente, per poi tentare goffamente di spostarsi un ricciolo rosso dagli occhi.
La madre di Cat, quando aveva vent’anni, fumava moltissimo, smise di fumare non appena decise di avere una figlia e, da quel momento, solo l’odore del tabacco le faceva venire una nausea tremenda. Quando scoprì che proprio sua figlia Cat aveva iniziato a fumare fece di tutto per farla smettere, non poteva permettere la sua giovane ragazza cadesse in un vizio così pericoloso, ma invano, data la testa dura della ragazza la quale detestava solo l’idea di avere, un giorno, un figlio, di conseguenza smettere di fumare non era tra le sue massime priorità, in più era convinta, un po’ stupidamente, che se avesse ferito solo se stessa non avrebbe ferito gli altri.
Da sempre, Cat aveva una bassissima considerazione di se stessa, un’autostima che andava addirittura al centro della terra per quanto era scarsa, seppur fosse dal viso carino, delle forme pronunciate e magari piacevoli agli occhi degli altri e con una personalità brillante, nonché con un’intelligenza molto elevata.
 
 
Il Conservatorio di Losanna, dove si sarebbe svolta la masterclass, era una struttura nettamente diversa da quello di Lione, forse meno solenne ma più gradevole e molto moderno, l’interno a vetrate rendeva tutto più luminoso e grazioso, entrando Cat sentiva una strana presenza nel petto, come se sapesse, all’interno del suo cuore, che c’era qualcosa di buono in tutto ciò e che sarebbe stata bene, in qualche modo.
Cat sorrise guardando, da lontano, i corridoi, poiché le ricordavano una piccola stazione, poi si voltò verso suo padre, attento a guardarsi intorno assiduamente mentre sorvegliava il bagaglio e verso sua madre, amareggiata e preoccupata osservando dei ragazzi nell’atrio esterno intenti a chiacchierare, bere caffè e fumare.
Il padre di Cat, all’improvviso, decise era arrivato il momento di andarsene, così, tutto d’un tratto, prendeva spesso decisioni senza un motivo apparente, posò le mani sulle spalle della ragazza e la guardò negli occhi per qualche secondo per poi andarsene senza dire una parola, senza un cenno o un sorriso.
Cat non se ne curò, era abituata a quella freddezza da parte di suo padre e non poteva fare a meno che prenderne coscientemente atto ogni giorno, nonostante, per quanto lei volesse nasconderlo, provava un dolore infinito.
Da sempre suo padre non era mai stato in grado di dimostrare i suoi sentimenti, soprattutto alla sua unica figlia, preferiva “farli capire”, ovviamente invano, difatti Cat ignorava completamente l’esistenza dell’amore sconfinato che lui provava per lei.
“Fai sempre il letto, Cat”, mugugnò la madre della ragazza, osservando ancora i ragazzi da lontano, “Sii educata, non rispondere male a nessuno e comportati bene con la persona con cui dovrai condividere la camera. Ah, soprattutto Cat, mi raccomando” ma la ragazza la interruppe di scatto: “Non fumerò”, rispose Cat cantilenante e facendo un sorriso a trentadue denti.
La madre di Cat si allontanò e, dopo un leggero cenno con la mano, si allontanò frettolosamente, scomparendo dalla vista della ragazza.
Gli occhi di Cat si appannarono ma non emise né un suono né una lacrima, si sentiva troppo forte per piangere in un luogo pubblico.
Per arrivare al dormitorio, Cat doveva prendere un pulmino della direzione del Conservatorio con altri ragazzi, casualmente proprio quelli che poco prima sua madre stava osservando tanto impaurita.
Inserita la valigia nel portabagagli del pulmino, Cat s’infilò con difficoltà nel posto più lontano possibile da una strana ragazzina, la quale avrà avuto su per giù tredici o quattordici anni, accompagnata da sua madre, entrambe giapponesi ma di lingua tedesca, però non il tedesco di Germania ma quello svizzero, aspro e sgradevole.
Arrivarono, poco dopo, un ragazzo ed una ragazza, lui con una custodia che sicuramente conteneva un ottone, forse una tromba, e lei con un grande ed ingombrante contrabbasso il quale, ovviamente, doveva assolutamente piazzarlo accanto a Cat, schiacciandola.
“Questa porta è strettissima!”, esclamò la contrabbassista entrando nel pulmino, prima di notare Cat completamente travolta da uno strumento sicuramente parecchio più alto di lei, “Ma evidentemente”, continuò poi, “altri riescono ad entrarci se sono messi meglio fisicamente” e fissò la povera Cat la quale non sapeva se prendere quelle parole come un complimento o come una battuta, date le sue forme accentuate e le sue gambe, a parer suo, non appartenenti al solito canone di bellezza “super stretto è bello perché la taglia M è da ciccione”.
Il ragazzo, invece, si sedette di fronte, aveva l’aria abbastanza addormentata e non troppo intelligente, quel tipo di persona, insomma, che Cat preferiva ignorare rigorosamente.
 
Una volta arrivati al dormitorio, Cat, i due ragazzi e l’altra ragazzina con la madre si avvicinarono al portone, scortati dall’uomo che guidava poco prima il pulmino, il quale aiutava a portare le valigie nell’ascensore.
Cat, però, detestava ricevere l’aiuto delle persone, soprattutto degli uomini, era bassa e poco forzuta ma riteneva di non aver bisogno mai di alcuna assistenza poiché, a parer suo, essere aiutati dagli altri era segno di estrema debolezza e fragilità, difetti che non si addicevano neanche lontanamente a lei, a suo parere.
C’era un solo piccolo problema: l’ascensore era completamente fuori uso e la camera di Cat era al quarto piano.
L’uomo afferrò velocemente la valigia di Cat con l’intento di portarla, gentilmente, su per le scale ma no, la forte Cat non poteva farsi aiutare da nessuno, non era come tutti gli altri deboli del mondo, lei doveva farlo da sola e lui la fissò, incredulo, per qualche istante prima di voltarsi e andarsene da qualcun altro, fregandosene di ciò che era appena successo.
E lei ce la fece, ci mise mezz’ora buona ma lo fece eccome.
Fu così, quindi, che Cat infilò finalmente la chiave nella serratura e aprì, dopo cinque goffi tentativi falliti, la porta del suo alloggio, scaraventò completamente in un posto a caso con una forza pari a quella un lanciatore di coriandoli olimpionico la valigia piena di vestiti per due settimane (ebbene sì, mezz’ora buona era completamente lecita) e si stravaccò sul pavimento, stremata.
Però il momento di meritato riposo sul parquet durò troppo poco per Cat, appena si rese conto che il pavimento era bollente, tanto caldo che un’ustione sarebbe stata la minima conseguenza, quindi con uno scatto aggraziato come un elefante saltò in piedi urlando per il caldo, corse ad aprire la finestra ma si rese conto che, purtroppo, era estate, un’estate molto calda, quindi non cambiò assolutamente nulla.
Il bagno, il bagno era la soluzione giusta, una bella scaraventata di acqua fresca del rubinetto era quello che ci voleva.
Cat corse, quindi, agitata verso il bagno, immediatamente dopo i due letti singoli ed aprì il rubinetto pronta per il suo intento ma niente, l’acqua era bollente e non solo, le era anche schizzata addosso, di conseguenza scivolò e cadde sul pavimento, ancora caldo e lì rimase per qualche minuto.
Ripresa mobilità del suo corpo e abituatasi ad una temperatura disumana, Cat iniziò a fare, finalmente, un giro per il piccolo alloggio, ovvero per la camera da letto doppia.
Si soffermò, quindi, su una grande scrivania dove vi erano appoggiate delle cose che, probabilmente, appartenevano alla compagna di stanza ovvero un astuccio aperto pieno di cosmetici e degli spartiti per arpa sparpagliati a caso.
Ecco, però, che il calore nel corpo di Cat sparì completamente non appena vide che l’introduzione del primo spartito che vide non era scritta in francese, bensì in italiano.
Cat rabbrividì all’istante: aveva studiato italiano per solo un semestre circa cinque o sei anni prima, non ricordava assolutamente nulla della lingua, nemmeno le cose più semplici come le presentazioni o via dicendo, come poteva pretendere di sostenere una conversazione quotidiana con una tipa italiana completamente a caso?
L’inglese, quella era la soluzione, peccato che l’accento di Cat era pessimo e, improvvisamente, la ragazza cadde in un abisso profondo quanto gli oceani più lontani ed inesplorati al solo pensiero di essere giudicata per il suo pessimo modo di parlare.
Quindi, dopo essere stata schiacciata da un contrabbasso, insultata per le sue forme appariscenti e “troppo femminili”, aver traportato una valigia pesante quanto un uomo per quattro piani, essere stata ustionata dal pavimento, dall’aria, dall’acqua e ancora dal pavimento ed aver appreso che con la sua futura compagna di stanza era già una causa persa in partenza, Cat aveva lo sconfinato bisogno di tabacco.
Si sedette nervosamente su una sedia del tavolo dell’ingresso, attaccò un filtro al suo labbro superiore e prese il tabacco, versandolo distrattamente più sul ripiano che sulla cartina ed ecco che, intenta a fare quel disastro, udì la porta dell’ingresso aprirsi lentamente ed il suo cuore si fermò per la paura.
Dalla porta entrò una ragazza dal viso molto abbronzato, i capelli castani ma gentilmente schiariti dal sole lunghi e lisci, bassina e molto magra e dagli enormi occhi verdi, tipica persona da invidiare, pensò immediatamente Cat, la quale si vergognava di continuo dei suoi mossi capelli rossi che le ricoprivano la testa in maniera disordinata, a volte ricci, a volte lisci, in un caschetto che faceva fatica ad essere riconosciuto come un vero taglio di capelli.
Le due ragazze si fissarono nervosamente per qualche istante, l’atmosfera era talmente pesante da dover essere per forza tagliata con un coltello per il pane.
“Are… you…”, ogni parola dalla bocca di Cat usciva come un miagolio stonato di qualche gatto trapassato con un tir, “French?” e l’ultima sillaba era così lunga da durare forse anche dieci secondi buoni.
Dopo interminabili attimi di silenzio, seguiti da mugugni disperati nella testa di Cat, la misteriosa ragazza rispose, velocemente come il verso di un pulcino al quale è appena stata strappata una piuma, “Sì” e rise, mentre si poteva tranquillamente ammirare, per la terza volta, la faccia abbrustolita di Cat sul pavimento rovente.
Dopo qualche minuto di imbarazzo, Cat e la ragazza, Danièlle, legarono immediatamente, un po` perché accomunate da quella demoralizzante paura di non essere abbastanza brave da poter partecipare ad un corso di “Alto perfezionamento”, un po` perché  entrambe conoscevano le parole di Bohemian Rhapsody a memoria alla perfezione, di conseguenza la loro giornata terminò con loro, Cat quasi ubriaca e l’altra completamente sobria, cantando a squarciagola quella canzone per le strade, ignorando di essere in Svizzera e incapaci di orientarsi ma pazienza, erano serene e quella serenità sarebbe durata poco.



Mi è sempre piaciuto scrivere ma, negli ultimi due anni, qualcosa mi bloccava e sono stata costretta a dedicarmi ad altro.
La verità è che c'era, da qualche parte, una storia che mi tormentava, che andava scritta, ed eccola qua.
(Per chi non lo sapesse, infatti, una Masterclass è un corso intensivo che può essere di musica ma anche di tante altre cose, una sorta di Workshop, praticamente. In ambito musicale, vi sono diversi insegnanti, uno per ogni strumento, e gli allievi devono suonare dei brani davanti a questi che già hanno studiato e ricevono, così, dei consigli su come eseguirli al meglio, per poi suonarli, eventualmente, davanti ad un pubblico più numeroso).
Spero che la mia storia vi possa piacere e che vi coinvolga quanto ha coinvolto me.
Qualsiasi consiglio sarà ben accetto, grazie per la pazienza,
al prossimo capitolo!
Fedevier

 
   
 
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