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Autore: _Riri_Sunflower_    15/07/2016    3 recensioni
La guerra è guerra, e quando le scorte iniziano a scarseggiare ma il tuo nemico ne ha in abbondanza, non bisogna far altro che rubargliele.
Una breve vita da trincea per vedere come i soldati si preparano alle operazioni di saccheggio.
Genere: Comico, Demenziale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Soldati!» Il comandante era in piedi di fronte alla sua truppa, lo sguardo severo che non lasciava trapelare alcuna emozione. «Là fuori c’è abbastanza cibo per ognuno di noi, ma i nostri nemici ci tengono d’occhio. Pensano di essere più furbi, ma in realtà non lo sono.» I vari soldati annuirono: il loro comandante era sopravvissuto a molte guerre e sapeva come aggirare quel nemico che non riuscivano mai a sconfiggere del tutto. Fece qualche passo avanti e si fermò davanti alle panchine su cui era seduta la sua truppa, li guardò uno ad uno in faccia e continuò il suo discorso d’incoraggiamento: «Ci vuole lavoro di squadra: un solo errore e verremo spazzati via. Tenteranno di farvi fuori non appena si accorgeranno della vostra presenza, ma voi sapete come muovervi. Vero soldati?»

«Signor sì, comandante!» il coro di voci si levò forte e deciso; si alzarono contemporaneamente, come degli automi che avessero ricevuto nello stesso momento il comando. Uscirono tutti della stanza insieme al comandante, pronti per andare all’attacco. L’esercito era pronto per avanzare, lasciare la trincea e andare allo scoperto per raccogliere le provviste che i loro nemici tentavano di custodire con tanta cura. Il comandante lasciò il comando dell’operazione al suo sottoposto, un generale che era stato addestrato per queste manovre particolari. I militari si divisero in gruppi da cinque per riuscire a guardarsi le spalle l’un l’altro: tutti sapevano quanto il nemico fosse spietato verso di loro, ma non sempre riuscivano a vincere la battaglia.

«Mi raccomando, ragazzi: siate più furbi di loro.» Il primo gruppo uscì dalla trincea in cui si erano rifugiati e andò a perlustrare il campo avversario. Il nemico non si vedeva all’orizzonte. Continuarono ad avanzare, in fila indiana, controllando in continuazione intorno a loro nel caso l’avversario si facesse vedere. Il soldato al primo posto si girò appena verso gli altri: «Nel caso uno di noi dovesse cadere, disperdiamoci immediatamente, così non potranno farci fuori tutti.»

Riuscirono ad attraversare la terra di nessuno senza alcun problema, finché non arrivarono a una parete altissima e con pochissimi appigli per scalarla. Altri compagni avevano provato ad arrampicarvisi e, chi era sopravvissuto alla battaglia, aveva spiegato loro come farlo. Si erano allenati tanto per riuscire e, dopo alcune difficoltà iniziali, salirono la parete in poco tempo. Appena arrivarono alla pianura trovarono le provviste di cibo che i nemici tenevano in bella vista, come se lasciarlo lì in alto avrebbe indotto l’esercito ad abbandonare l’operazione. Da quella posizione riuscirono a vedere che un secondo gruppo di loro compagni erano usciti dalla trincea per aiutarli, prima che uscissero tutti gli altri a dare una mano.

Si avvicinarono sempre più alla montagna di provviste, controllando ogni possibilità per non essere visti: una volta trovata cominciarono le operazioni di saccheggio –perché così si poteva definire- delle scorte del nemico. Altre squadre si stavano avvicinando, cominciando così un passamano chilometrico di riserve di alimenti.

L’avversario non si vedeva e in questo modo la manovra di saccheggio poté durare a lungo senza intoppi. Quando dalla trincea fecero recapitare il messaggio che c’erano abbastanza scorte per tutti, dando l’ordine del comandante di sospendere l’operazione ed effettuare la ritirata prima che il nemico li scoprisse. Diverse squadre iniziarono a rientrare, il commando li accoglieva entusiasta, la riuscita di quella manovra decretava la loro sopravvivenza per altre settimane. Stavano rientrando tutti, mancavano solo tre squadre all’appello, quando il nemico si accorse della loro presenza.

Adirato per il furto di provviste e d’istinto, iniziò a schiacciarli con la sua innata potenza, poi sfoderò la sua arma segreta ed una pioggia di veleno si abbatté su di loro, stordendoli e rendendoli incapaci di rientrare in trincea. Non era la prima volta che accadeva e, come in precedenza, anche stavolta nessuno dei soldati rimasti ultimi riuscì a salvarsi. Il nemico, finalmente soddisfatto, si occupò di disfarsi dei cadaveri e li gettò via, lontano dal suo territorio.

«Ecco, tesoro, butta queste formiche morte nella pattumiera. Intanto io metto un altro po’ di veleno nella tana, così magari riusciamo ad ammazzare anche le altre che ci sono sfuggite.»
   
 
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