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Autore: Evanescente84    15/07/2016    0 recensioni
Mi guardai intorno ma vedevo solo grigio, e mi sentivo vuoto, come quella panchina di metallo affianco a me. Chissà quante persone avevano aspettato lì, quante persone si erano ritrovate; eppure adesso era vuota. Vuota. Non c'era nessuno lì. Persino io mi sentivo nessuno, un uomo invisibile, fatto di aria...
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce irradiava tutto come in un sogno e definiva lenta e stanca i contorni di quella stanza colorandola di grigio.

Definiva oggetti quasi insignificanti: una bacheca puramente decorativa, poiché i documenti in essa racchiusi erano datati anni e anni addietro¸ una panchina di metallo come quella su cui ero seduto io, vuota, di fronte un’altra panchina, vuota anch’essa. Tutto lì era incredibilmente e terribilmente vuoto, quasi surreale come la luce bianca accecante dietro la finestra. Di sottofondo si sentiva il deragliare dei treni, come cavalli stanchi, sfiniti, rallentavano, si fermavano per pochi minuti per poi ripartire prima lenti e poi veloci verso grandi città, verso la speranza di una vita nuova, verso il futuro impalpabile.

Su uno di quei treni ci doveva essere lei. Non sapevo quando, come o perché, ma mi sentivo che stava arrivando. Lo sentivo come quando si sente che cambia il tempo e che sta per succedere qualcosa di speciale. Ecco perché ero lì; in quella sala d’attesa, e sapevo che lei sarebbe arrivata.

Man mano che il tempo passava i miei nervi si facevano sempre più tesi, le mie mani iniziavano a tremare, il mio respiro a farsi convulsivo e sempre più dubbi iniziavano ad invadermi il cervello man mano che aumentava il tempo. Avrei voluto fumarmi una sigaretta, ma un cartello seminascosto attaccato precariamente al muro sgualcito di quella sala me lo impediva. Non potevo uscire d’altronde. Se lei fosse arrivata mentre io non c’ero? Se non mi avesse trovato e se ne fosse andata? Avrei perso tutte le speranze di rivederla. No, non potevo permetterlo.

Una voce apatica stava annunciando l’arrivo di un treno e di “allontanarsi dalla linea gialla”. Forse questo era quello giusto. Mi alzai, la tensione si era trasmessa a tutto il corpo, già mi prefiguravo la sua figura delicata stagliarsi contro la porta illuminata come un angelo, già vedevo la sua espressione piena di meraviglia piena d’amore e di felicità, e i suoi occhi, così limpidi e chiari, riempirsi di lacrime di commozione. Già mi pregustavo l’odore del suo profumo e della sua pelle in un abbraccio, già immaginavo la sua voce dolce e melodiosa… invece sentii solo il treno in partenza e la solita voce apatica che ribadiva di allontanarsi dalla linea gialla. Non era sceso nessuno da quel treno.

Misi una mano sul cuore per impedirgli di scoppiare. Lei non c’era.

Forse aveva perso il treno, il prossimo sarebbe stato dopo qualche ora. Infondo era plausibile uno sbaglio, no?

Seduto su quella panchina aspettavo, aspettavo, ma lei non arrivava mai. Intanto i dubbi avevano invaso tutto il mio cervello e volevano prendere possesso di tutto il mio corpo, continuavano a ripetermi che lei non sarebbe arrivata mai e che io avrei fatto meglio ad andarmene, infondo per quale ragione lei avrebbe dovuto fare un viaggio tanto lungo per me? Io rispondevo sicuro che l’amore ti fa affrontare ogni cosa ma loro, i dubbi, avevano molti più argomenti di me. Allora che fare? Restarmene lì ad aspettare o tornare a casa?

Alla fine decisi di restarmene lì ad aspettare, anche se non era logico per niente. E infondo io non avevo una casa, la mia casa era lei, era sempre stata lei. Lei con il suo sorriso, i suoi capelli, i suoi occhi intelligenti. Lei era la mia felicità e quando se n’era andata l’aveva portata via, ma io l’aspettavo sempre, ed anche ora.

Mi guardai intorno ma vedevo solo grigio, e mi sentivo vuoto, come quella panchina di metallo affianco a me, chissà quante persone avevano aspettato lì, quante persone si erano ritrovate, eppure adesso era vuota. Non c’era nessuno lì. Persino io mi sentivo nessuno, un uomo invisibile, fatto di aria…

Nella mia mente un pensiero, grigio come quella stanza, iniziava ad oscurare tutto. Dieci minuti e sarebbe arrivato l’ultimo treno della giornata. Sapevo che lei non ci sarebbe stata su quel treno. La mia felicità era perduta ormai, e io l’avevo aspettata, invano.

Iniziai ad avviarmi verso l’unico binario che c’era, sul quale a breve sarebbe comparso il treno. Faceva freddo, un freddo che ti penetrava nei vestiti, nella carne e nelle ossa e rendeva ogni movimento lento e faticoso. Ma il pensiero oscuro che mi aveva infettato il cervello era sempre lì. E non se ne sarebbe andato finché non avessi fatto ciò che mi chiedeva.

La neve e il buio facevano apparire il paesaggio soffice, ma il freddo pungeva come tanti coltelli. Mi guardai intorno, il mio respiro era visibile nell’aria congelata. I miei occhi si fermarono su un uomo, seduto su una panchina, stava aspettando il mio stesso treno.

Non so perché mi avvicinai, era un uomo come tanti altri, viso stanco coperto da sciarpa e cappello, non portava i guanti e la fede al dito brillava sotto la luce del lampione.

“è una bella serata, oggi però fa più fresco del solito” non so perché mi rivolse la parola, forse aveva voglia di parlare, infondo mancava ancora un po’ all’arrivo del treno. “Sì, fa davvero freddo” risposi senza pensare molto a quello che dicevo.

Poi cordialmente si mise a parlare con me, come se fossi un suo vecchio amico:“Pensi signore che ho perso il treno precedente, sto quasi congelando qui, appeno arrivo in città per fortuna che c’è mia moglie che mi starà aspettando con ansia. Questi treni passano uno ogni due ore, quindi è davvero un disagio per chi cerca di tornare a casa..”

Cercare di tornare a casa. Sì, forse era questo quello che volevo disperatamente fare. Io non avevo una casa, la mia casa era lei, ma mi aveva buttato fuori ormai… forse l’unico modo per ritrovare la felicità era buttarsi sotto quel treno, infondo non ero nessuno, non avevo nessuno…che senso ha continuare ad aspettare qualcosa che non arriverà mai e che neanche esiste? Forse non sapevo nemmeno cosa stessi aspettando veramente, ma provavo invidia per quell’uomo, anche se mi vergognavo di provarne; infondo lui sapeva dove andare, aveva qualcuno da amare, qualcuno che lo aspettasse. Invece io mi sentivo come se non avessi avuto più niente ormai… niente da guadagnare, niente da perdere.

“Lei sta cercando di tornare a casa?” chiesi, non so neanche io perché, e poi era ovvio.

“Sì, lei cosa cerca?”

Quella domanda mi lasciò spiazzato, non sapevo cosa stessi cercando, e quel dialogo stava diventando sempre più strano. O forse sapevo cosa cercassi, cercavo lei, la mia felicità, ma non avevo la più pallida idea di dove trovarla. Forse quell’uomo aveva capito le mie intenzioni, ho il brutto difetto che la verità mi si legge in faccia.

“Cerco la felicità perduta”

Non so perché risposi così, era la verità. Forse l’unico modo per trovare la felicità era non sentire più niente…o forse cercavo solo una via di fuga all’infelicità. Tre minuti e sarebbe arrivato il mio ultimo treno. Mi volsi e mi misi sulla linea da cui bisognava sempre allontanarsi. Non avevo paura.

Inaspettatamente l’uomo che era seduto sulla panchina si alzò e si mise un passo indietro rispetto a me.

“Sa, la felicità perduta ormai è perduta, bisogna crearsi altre felicità. Quante volte uno vede questa vita e vuole fuggire via in qualsiasi modo. Mi creda io ho cercato la felicità tanti anni e l’ho trovata proprio mentre non la stavo cercando perché ero troppo impegnato ad essere felice.” Dicendo così mi mise una mano sulla spalla e mi scostò leggermente indietro, io lo guardai negli occhi. Erano limpidi come quelli di lei. Pensare a lei mi spaccava il cuore; ma forse quell’uomo aveva ragione: io volevo fuggire, fuggire per sempre da un paesino solitario, dai pensieri soffocanti di infelicità, volevo fuggire da me stesso.

Lo strisciare del treno sulle rotaie si faceva sempre più assordante. Invece di fare un paso avanti ne feci due indietro e poi salii sul treno.

Il silenzio era interrotto dal leggero movimento del treno e una luce particolare rendeva tutto un po’ meno freddo.

“Mi scusi signore, lei sa dove va questo treno?” chiesi. Non avevo valutato la possibilità di fare un viaggio. Ma adesso questa possibilità era divenuta una nuova realtà, ero pronto ad andare, a vivere, ero stato fermo troppo a lungo.

“Questo treno? Va verso casa”

E in quel momento mi sentii felice.

   
 
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