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Autore: Erule    15/07/2016    0 recensioni
Devon sospirò, poi lasciò il libro sullo scaffale e posò la mano sinistra al centro del petto di Cecilia, facendo combaciare i polpastrelli con le onde del battito. Cecilia lo fissò stranita, ma non poteva negare che quel tocco così improvviso aveva costretto il suo cuore ad un battito più accelerato.
- Due terzi a sinistra ed uno a destra. La gente tende a dimenticarsi che il cuore non sta perfettamente al centro del petto, perché in questo modo il polmone destro, che è più grande di quello sinistro, può occupare lo spazio che gli serve. -
- E questo cosa c’entra? E comunque, credo che sia il polmone destro ad adeguarsi, non il cuore. Il cuore comanda tutto. -
Devon si rabbuiò ed il suo sorriso si spense sulle labbra sottili.
- Lo credi davvero? -
- Io… non lo so, ma presumo che sia così. -
Devon tolse la mano dal petto di Cecilia, che sembrò improvvisamente più freddo di prima. Si chiese cosa avesse sbagliato, ma non aveva più il tempo per chiederglielo. Se avesse saputo che il tempo le sarebbe venuto a mancare per sempre, glielo avrebbe fatto notare in quel momento.
- Credi che io sia il cuore o il polmone? -
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Due terzi a sinistra ed uno a destra
 
Devon era sparito più di un anno prima e non è che la situazione fosse cambiata molto da allora.
Forse lui aveva pensato che, in fondo, la sua dipartita l’avrebbe aiutata, ma non era stato così. Era sprofondata nel baratro, andava in giro di sera con una bottiglia d’alcol a guardare gli innamorati che si baciavano per le strade, pensando che loro potevano ancora respirare, che il loro amore non era sbagliato, che loro almeno potevano godersi ciò che avevano, mentre lei no. Loro potevano ancora ferirsi a vicenda, sanguinare, ascoltare il battito del cuore, ma lei no, non poteva più farlo.
Pelle contro pelle, mentre fuori piove e dentro si gela.
Avevano tanti problemi, lei e Devon, ma aveva sempre creduto che li avrebbero risolti. Quando alla televisione avevano annunciato che era morto, aveva lanciato il telecomando contro lo schermo e lo aveva spaccato in mille pezzettini, poi aveva ridotto a brandelli i cuscini del divano, per evitare di piangere. Prima era arrivato il dolore, poi il vuoto.
Pelle contro pelle. Il freddo pungeva le costole, ma le labbra di Devon erano così calde, da far girare la testa.
Aveva finito per bruciare il diario in cui annotava tutte le volte in cui avevano viaggiato, pieno di racconti e foto. In ogni ritratto, non vedeva che una figura anonima, in bianco e nero, che le sorrideva e le faceva male.
Pelle contro pelle, anche quando Devon se ne andava e lei gli sfiorava una mano sulla soglia della porta.
Continuava a ripetersi che non le mancava, ma ogni piccolo dettaglio in quella dannata città le ricordava che lui era l’ultimo pezzo del puzzle che aveva perso. C’era quel cane che gironzolava intorno al suo quartiere a cui lui dava sempre da mangiare; c’era quel vecchio negozio di dischi a cui aveva chiesto se poteva servire un nuovo commesso e gli avevano risposto di sì; c’era stata quella promessa di una nuova vita dopo l’ultimo colpo (<< L’ultima vittoria, Cee, l’ultima volta che dovrò rubare per procurarci un futuro. Vedrai, nemmeno se ne accorgeranno >>, invece loro se n’erano accorti, quelli dell’FBI e lei aveva anche dovuto testimoniare per coprirlo un’ultima volta, con il cuore a pezzi e gli occhi rossi e le parole bugiarde che lui le aveva insegnato a dire); c’era sua madre, che sembrava camminare come una morta vivente e la salutava con occhi speranzosi ogni volta che la vedeva, come a chiederle tacitamente se lui fosse tornato, ma non era tornato e non sarebbe mai tornato.
Non erano stati pelle contro pelle al suo funerale, perché il corpo era andato perduto, carbonizzato assieme all’auto quella volta. I suoi amici si erano presentati alla funzione così dispiaciuti (dispiaciuti per averglielo portato via, ma non per averlo buttato dentro a forza in quell’avventura idiota che aveva inevitabilmente finito per ucciderlo), così dispiaciuti.
Entrò nel bar sfregandosi le mani per via del freddo. Portava i guanti neri di Devon, quelli con le punte delle dita tagliate, sfilacciati e le bruciavano i polpastrelli. Era morto con la sua solita giacca di pelle scura, il braccialetto indiano che gli aveva regalato lei e quegli occhi d’un castano chiaro. Portava sempre un piccolo libro di citazioni di Bukowski nella tasca interna della giacca, ma forse gli sarebbe tornato utile solo per difendersi da una pallottola. E persino pensare a questo la faceva sentire ancora peggio. Ciò che importa di più è quanto bene tu sappia camminare attraverso il fuoco, giusto?
Cecilia si sedette sullo sgabello più a sinistra, ordinando il solito. Il barista non la guardava neanche più con pietà, ormai si limitava a passarle velocemente il bicchiere per evitare di fissarla. A volte le sembrava di sentire ancora lo sguardo di Devon addosso, quando gesticolava di continuo e le sorrideva (gli brillavano sempre gli occhi quando le raccontava di una sua idea geniale), ma l’effetto terminava appena si ricordava che era impossibile. A Devon non piaceva rubare, ma sapeva farlo bene. No, a lui piaceva l’inganno, l’illusione, mostrare alle persone quello che si aspettavano, farli rallegrare e poi portarglielo via da sotto al naso. Be’, questa volta la vittima dei suoi scherzetti era stata lei e non era affatto piacevole. Non era neanche cattivo, Devon, perché sottraeva denaro solo alle aziende che posavano le basi su delle fondamenta losche e meschine, che poi venivano smascherate prontamente dalla polizia. Bevve un sorso, poi si passò le mani fra i capelli. Avrebbe preferito che lo avessero spedito in galera, così adesso avrebbe potuto perlomeno andare a fargli una visita. L’aveva un po’ delusa, quando alla televisione avevano annunciato che la banda era sopravvissuta, ma lui no. Credeva che Devon fosse il migliore fra di loro, ma non era sopravvissuto ad uno stupido incidente d’auto. La macchina era esplosa in mille pezzi, mentre a lei, contemporaneamente, era scoppiato il cuore nel petto, due terzi a sinistra ed uno a destra.
 
<< Dannazione, Devon! Possibile che tu debba spaventarmi ogni volta? >> chiese Cecilia, una mano sul cuore e gli occhi sorpresi, ma il sorriso sollevato di vedere Devon.
Il ragazzo prese a sorridere quasi saltellando, dopo essere sbucato fuori dal lato posteriore dello scaffale con un libro in mano, tutto felice come un bambino di cinque anni a cui hanno appena regalato una pista delle macchinine. Devon aveva sempre avuto questo lato un po’ infantile che a lei piaceva, ma a volte sapeva essere davvero irritante, soprattutto quando lei era preoccupata per lui.
<< L’ho trovato, l’ho trovato! >> canticchiò.
<< Cos’hai trovato? >> domandò Cecilia, cercando di prendergli il libro dalle mani.
<< Qui c’è l’ultimo pezzo che mancava al mio numero di domani sera, Cee. Vedrai, diventerò famoso in tutto il mondo. >>
Cecilia aggrottò la fronte, confusa.
<< Di cosa diavolo stai parlando? Non è niente di pericoloso, vero? >> domandò la ragazza. Devon scosse la testa, ma un sorriso beffardo stava facendo capolino sul suo viso. Cecilia allora gli afferrò un braccio e lo portò dietro allo scaffale, abbassando la voce per non farsi sentire dalla bibliotecaria o dagli altri. << Devon, nessuno ti conosce qui, ricordi? Ci siamo trasferiti a New York apposta, perché a Dallas tutti sapevano che sei… insomma… >>
<< Un ladro? >>
<< Per la miseria, abbassa la voce! >> lo zittì Cecilia. Si guardò intorno per controllare che nessuno l’avesse sentito, poi annuì. << Un ladro, sì. >> ripeté.
Devon sospirò, poi lasciò il libro sullo scaffale e posò la mano sinistra al centro del petto di Cecilia, facendo combaciare i polpastrelli con le onde del battito. Cecilia lo fissò stranita, ma non poteva negare che quel tocco così improvviso aveva costretto il suo cuore ad un battito più accelerato.
<< Due terzi a sinistra ed uno a destra. La gente tende a dimenticarsi che il cuore non sta perfettamente al centro del petto, perché in questo modo il polmone destro, che è più grande di quello sinistro, può occupare lo spazio che gli serve. >>
<< E questo cosa c’entra? E comunque, credo che sia il polmone destro ad adeguarsi, non il cuore. Il cuore comanda tutto. >>
Devon si rabbuiò ed il suo sorriso si spense sulle labbra sottili.
<< Lo credi davvero? >>
<< Io… non lo so, ma presumo che sia così. >>
Devon tolse la mano dal petto di Cecilia, che sembrò improvvisamente più freddo di prima. Si chiese cosa avesse sbagliato, ma non aveva più il tempo per chiederglielo. Se avesse saputo che il tempo le sarebbe venuto a mancare per sempre, glielo avrebbe fatto notare in quel momento.
<< Credi che io sia il cuore o il polmone? >>
 
Il cuore. Nella sua logica, Devon era il cuore. Pulsava dentro di lei, bruciava nelle vene, si attaccava alla pelle. Chiuse gli occhi, asciugandosi una lacrima che era sfuggita al suo controllo. Le persone non vedono quello che accade, perché il dolore è invisibile e si nasconde bene alla vista, dato che è la prima cosa messa in mostra dagli occhi. Lei lo nascondeva bene, in effetti, perché nessuno sembrava accorgersi che stesse male.
<< Ehi, alza il volume! >> esclamò un uomo verso il barista, che eseguì il comando.
Cecilia si voltò ed ascoltò la notizia: a quanto pare qualcuno aveva fatto cadere un enorme mazzo di rose allo stesso modo del domino nel bel mezzo di Hyde Park ed era comparsa una scritta: Devi morire un po’ di volte, prima che tu possa veramente vivere.
Le si fermò il cuore. Due terzi a sinistra, un terzo a destra. Smise di respirare per un intero secondo. Corse subito a casa senza neanche pagare il conto, mentre nella sua mente si affastellavano i ricordi, che minacciavano di saltarle addosso. Si gettò dentro l’appartamento, frugò nell’armadio ed aprì la scatola dove stavano ancora i vestiti di Devon. Prese la giacca di pelle marrone, quella che Devon indossava solo quando l’altra doveva essere lavata e trovò il libricino ancora nella tasca interna a sinistra, lo aprì dove c’era il segnalibro ed il suo cuore mancò di un battito. Bukowski. Chiuse gli occhi, avvicinando il libro al cuore.
Pelle contro pelle.
Non poteva comprare un biglietto aereo per Londra e partire senza nessun sicurezza di trovarlo lì. Era sempre stata cieca quando si era trattato di Devon, ma adesso non poteva più permetterselo. Forse era stato solo uno stupido scherzo, un modo dei suoi amici per ricordarlo. (Ma il suo compleanno cadeva il 23 agosto, l’anniversario della sua morte era stato il 15 febbraio e quel giorno era il 6 novembre). Qualcuno doveva averlo emulato, certo. Sprofondò nella poltrona, osservando il cassetto pieno dei suoi calzini, che non aveva avuto il coraggio di svuotare. Una volta gli era caduto il profumo dentro e quindi tutto sapeva di lui e Cecilia aveva voluto preservare quel profumo per quando si sentiva troppo sola o troppo triste. A volte accadeva nello stesso momento. Ma adesso non era sola, c’era la speranza di rivederlo, di sapere che non era morto e quello era stato un messaggio per lei, perché Devon era sicuro che lo avrebbe capito.
Prese il cellulare frettolosamente e scorse la rubrica, finché non trovò il numero di Connor o di Maggie o di Kevin. L’unico che le rispose fu Kevin.
<< Ehi, Cecilia, che succede? >> chiese, imbarazzato.
<< Avete visto il telegiornale? >>
L’altro buttò fuori l’aria, poi mormorò qualcosa che lei non riuscì a decifrare.
<< Sei in vivavoce. >>
<< Ciao, Cecilia. >> disse Maggie, dolcemente.
<< Ciao. >> replicò Connor.
<< Ciao ragazzi, ditemi che avete visto il telegiornale. >>
<< Cecilia, sai che non mi fa piacere dirlo, ma Devon è morto. >> disse Kevin.
<< Lo so anche io, Kevin, ma quella citazione è di Bukowski e sai benissimo che Devon aveva sempre un piano B, nel caso in cui la faccenda si fosse messa male. È tornato, Kevin. >> disse e le bruciarono gli occhi. << Devon è qui. Cioè, non qui a New York, qui nel senso che è nel mondo dei vivi. >>
Dall’altra parte rimasero tutti in silenzio per un attimo, poi Connor prese la parola: << Cecilia, tu sai che per me Devon era come un fratello e lo so che hai sofferto tanto, ma non può essere vivo. Hanno trovato il suo corpo carbonizzato nell’auto, gettata nel fiume. È caduto dal Ponte di Brooklyn, Cecilia. >>
Cecilia non poteva credere alle sue orecchie: la stavano davvero lasciando da sola? Avevano sempre mentito, quando dicevano che amavano Devon, quasi quanto lo amava lei? Scosse la testa, incredula.
<< Vorrà dire che lo cercherò da sola. >>
E chiuse la comunicazione.
 
Devon accelerò il passo, mentre Cecilia gli stava alle calcagna. Affondò le mani nelle tasche del cappotto, mentre lo inseguiva. Entrarono in quel vecchio negozio di dischi e Devon prese a farli scorrere fra le sue mani velocemente, prima di trovare quello che aveva nascosto per comprarlo.
<< C’è una cosa che ti devo dire, Cee. >> esordì, prima di condurla alla cassa per pagare ed uscire. << E ho paura che non mi guarderai più allo stesso modo, una volta che l’avrò fatto. >>
Cecilia si inumidì le labbra, prima di parlare e notò che Devon la stava osservando intensamente, come se potesse vedere oltre la sua maschera, oltre la pelle e gli strati di bugie che la tenevano distaccata dal mondo, facendo scorrere lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra e poi di nuovo.
<< Devon, non c’è niente che possa farmi cambiare idea su di te, a questo punto. >>
(Dopo che gli aveva dato tutto, dopo che l’aveva amato incondizionatamente per due anni, dopo che si era fatta schiacciare il cuore da lui volontariamente confessandogli che provava qualcosa per lui, che le mancava quando non c’era, che lo amava, amava, amava più di ogni altra cosa al mondo, dopo aver messo a nudo persino le sue debolezze con lui).
<< Ricordatelo, quando ti dirò quello che ho fatto. >>
Tornarono a casa e Devon prese ad armeggiare con il giradischi. Cecilia si sedette sul letto, si levò il cappotto e si sciolse la treccia bionda sulle spalle. Devon si voltò e mentre le note della nuova canzone di Stevie Wonder risuonavano per la stanza, si chiese se avrebbe potuto smettere di amarlo, nel caso le avesse detto di aver commesso un crimine o hackerato qualche sistema bancario sconosciuto. Le tese la mano, un minuto dopo e la invitò a ballare. Cecilia appoggiò la testa nell’incavo del suo collo e chiuse gli occhi.
Pelle contro pelle.
Ma stavano perdendo tempo, il tempo che Cecilia credeva avessero, ma che in realtà era sempre venuto a mancare, fin dall’inizio. Il respiro di Devon, calmo, la tranquillizzava, una volta. Quando c’era. Sentì la pressione dell’anello che portava alla mano destra contro le sue dita. Avrebbe voluto chiedergli cosa c’era che non andasse, ma non voleva rovinare quel momento.
Poi la canzone cessò in un sospiro e Cecilia riaprì gli occhi.
<< Siediti, Cee. >> disse Devon e lei rimase spaventata da quel tono così serio che aveva usato.
<< Devon, che succede? >>
<< Volevo solo godermi un ultimo ballo con te, prima di dirtelo. >>
<< Cos’hai fatto, Devon? >> domandò, con il cuore che le batteva a mille.
<< Siediti, Cee. >> ripeté invece Devon e lei fece come le aveva detto. Devon serrò la mascella, prima di dire qualsiasi cosa e guardò in alto, verso il soffitto. Forse stava pregando. Devon a volte lo faceva, quando era nervoso. Diceva che pregare lo aiutava ad acquistare sicurezza. << Cee, ho fatto una cosa brutta, ma non posso fermarmi. Io credo che sia la cosa più giusta da fare, anche se il metodo non è uno dei migliori. >> replicò. Cecilia premette le unghie nelle cosce, avvertendole scalfire piano la superficie dell’epidermide. Devon se ne accorse – lui si accorgeva sempre di tutto - e per questo si fermò un attimo prima di continuare, ma non è che avesse cambiato qualcosa. << Ho rubato. Ho rubato ad un’azienda assieme ad altri ragazzi. Certo, noi aspettiamo sempre le direttive del nostro capo, John, però non lo facciamo per soldi. Io voglio che la gente sappia cosa c’è lì fuori. John può farcelo avere. >>
Cecilia si guardò intorno spaesata, come se non riconoscesse più nulla di quella camera, di quelle mura, di quell’appartamento, del ragazzo che le stava ora davanti. Si passò una mano sul volto, cercando di far scomparire l’immagine di Devon che rubava dalla sua memoria, ma inutilmente. Era il suo turno di parlare, lo sapeva, però era impossibile dare voce ai suoi pensieri.
<< Devon… potresti finire in prigione. >>
<< John è un poliziotto, farà in modo che non accada. >> rispose prontamente, come se l’avesse già provata.
<< E se ti sparano? >>
<< Cerchiamo di ridurre i rischi. >>
<< Non puoi farlo. >>
Devon abbassò lo sguardo lentamente, sbattendo piano le palpebre. Cecilia non aveva neanche più il coraggio di guardarlo in faccia.
<< Non mi aspettavo che capissi. >>
Cecilia mandò giù il groppo in gola.
<< Non mi aspettavo che mi dicessi questo. >>
 
Non aveva creduto neanche per un secondo a tutte quelle balle, in realtà. Probabilmente gli altri erano già lì, ma qualcuno li stava tenendo sotto controllo, quindi non avevano potuto parlare. Pensò di scrivere un messaggio a John, ma sarebbe stato inutile, quindi lasciò stare. Preparò in fretta e furia la valigia, mentre era al telefono con l’agenzia per richiedere un biglietto aereo. Partì con il primo volo e la prima cosa che fece dopo aver toccato il suolo inglese, fu chiamare il telefono di Devon ed ascoltare il messaggio in segreteria. Però non le rispose nessuno, perché il numero non era più attivo.
 
***
 
Si svegliò chiedendosi dove diavolo fosse finita. Ah, già, si trovava in un albergo di Londra (che non sapeva come pagare) per ritrovare Devon (che non sapeva come fare). Decise di mettere da parte quello che non sapeva e di pensare a quello che sapeva, cioè niente riguardo a Londra o alla professione del ladro, ma di certo conosceva Devon.
Si ritrovò ben presto a girovagare per le strade buie di quella città senza meta e con pochi soldi in tasca, ma desiderosa di ritrovare Devon. Credette di scorgere il suo sorriso in quello di un passante o la sua giacca di pelle, ma in realtà Devon non c’era da nessuna parte, men che meno a Hyde Park. Tornò indietro, calciando via dalla strada i sassolini. Inciampò almeno un paio di volte, mentre la pioggia cominciava a batterle sul cappello. Non aveva l’ombrello, quindi dovette per forza ripiegare sul bar in cui era entrato un ragazzo di fronte a lei. Scivolò dentro e notò quasi subito un posto libero di fronte al bancone. Si sedette ed ordinò un bicchiere d’acqua. Il barista le fece l’occhiolino e lei si chiese se ci stesse provando con lei, poi scosse la testa. Bevve tutto d’un sorso e si meravigliò di sentire un pezzo di carta appiccicato sotto la bicchiere bagnato di goccioline. Lo prese e lo lesse. Guardò nella direzione delle scale, lasciò il bicchiere sul bancone e scese al piano di sotto, attorniata dal buio. Accese la luce del telefono per vederci meglio. Arrivò giù nella cantina e sui muri presero a danzare le ombre di alcune figure che conosceva molto bene.
<< Ragazzi? >> chiese, timorosa.
<< Siamo noi. >> rispose Connor.
<< Avevate il telefono sotto controllo, vero? >>
<< Sì. >>
<< Quello che è entrato nel bar era Connor, così che potessi essere indotta a seguirlo. >> spiegò Kevin. << Ti stiamo pedinando da tutto il giorno. >>
Cecilia rilassò le spalle.
<< Mi sono sbagliata, non è vero? Mi avete solo seguita per non impedirmi di complicare ancora di più la situazione. >>
<< Cecilia, tutti noi abbiamo perso qualcosa, a New York. >> replicò Maggie e Cecilia quasi sussultò a quelle parole, come se Maggie avesse riaperto la cicatrice. << Non volevamo perdere te a Londra. Devon non ce l’avrebbe mai perdonato. >>
Cecilia si trattenne dal singhiozzare o dal sedersi a terra per chiudersi nel suo angolo di solitudine, ma il cuore le cadde comunque nello stomaco. Aveva speso la metà dei suoi risparmi per volare a Londra inutilmente, cercando una traccia di Devon che non esisteva e rendendosi ridicola agli occhi degli altri. Se solo avessero capito come si sentiva, quanto le mancasse davvero Devon, forse l’avrebbero perdonata.
Pelle contro pelle e le mancava anche quando ce l’aveva a due passi da lei.
Pelle contro pelle, come la sera in cui lui aveva bussato alla sua porta e le aveva confessato di amarla seduti sul suo letto, gli occhi di Devon brillanti come le note di un allegro ritornello.
Pelle contro pelle, come quando l’aveva baciata, sempre quella stessa sera.
<< Cee. >> disse una voce dietro di lei.
Cecilia alzò lo sguardo, che si perse dietro Maggie e Connor, che si perse nel ricordo del profumo del cassetto o nella voce della segreteria telefonica. Si sentì sprofondare, mentre qualcuno  - non Devon, anche se rabbrividì perché credeva fosse lui, Devon avrebbe avuto un anello al dito della mano destra - le metteva le mani sulle spalle. Doveva essere John.
<< So che non ti sei mai fidata di me, ma ho fatto di tutto per aiutarlo. L’ho tenuto dietro le quinte apposta per proteggerlo >> disse John, poi si pose di fronte a lei, fra Maggie e Connor. 
Si voltò lentamente, perché ormai la curiosità era troppa. Era Devon, era sicuramente Devon, il ragazzo che se ne stava in piedi sulle scale davanti a lei ora, con le mani dietro la schiena e la giacca di pelle nera e gli occhi castani e quell’accenno di sorriso sul suo volto. Si sentì cedere le ginocchia, ma nonostante tutto, non riuscì a togliergli gli occhi di dosso. Devon scese gli ultimi scalini che lo separavano da lei, poi aspettò che Cecilia facesse qualcosa, qualunque cosa. Però lei non riusciva a muoversi. Allora Devon le sorrise, imbarazzato e con il cuore in gola.
<< Ti sono piaciute le rose? >> chiese.
Cecilia per poco non scoppiò a piangere.      
<< Due terzi a sinistra ed uno a destra. >> mormorò.
Devon le cinse il collo con il braccio destro, stringendola a sé con quello sinistro e Cecilia avvertì la pressione dell’anello sulla propria nuca. Lo abbracciò come non aveva mai fatto, così forte da far sbiancare le nocche e da rompergli una costola, se fosse stato più debole di lei. Inspirò il suo profumo, ridendo perché era troppo intenso e le pungeva il naso. Avrebbe voluto ricordare quel momento per sempre, per sempre nella sua testa e stampato sul suo corpo, anche se sapeva che era impossibile.
<< È finita, Cee. È tutto finito. >> disse Devon, prendendole il volto fra le mani. << Adesso che tutti credono che io sia morto, possiamo tornare a vivere la nostra vita lontano dalla polizia. Non mi stanno più cercando. John mi ha procurato anche una falsa identità. >>
Cecilia cacciò indietro le lacrime, annuendo un paio di volte.
<< Mi sei mancato. Mi è mancata la tua voce. >>
Devon fece scivolare piano le sue labbra su quelle di Cecilia, reprimendo il bisogno di sorridere.
<< Ti amo, Cee. >> disse Devon. << Mi dispiace di essere stato il cuore e non il polmone, ma sai, ho sempre avuto il vizio d’essere egocentrico. >>
Cecilia scoppiò a ridere ed il sorriso di Devon si portò via anche l’ultimo briciolo di tristezza che era rimasto in lei.










Angolo autrice:
Salve :3
L'altra sera ho visto al cinema Now you see me 2 (bellissimo) e mi ha ispirata a scrivere questa OS, che non c'entra niente con il film, ho solo preso spunto (chi l'ha guardato o si ricorda il primo probabilmente capirà). In più, come ciliegina sulla torta, Devon è "interpretato" da Dave Franco (ho letto che uno dei suoi autori preferiti è Bukowski, quindi è il preferito anche di Devon).
Ci sono un paio di citazioni di Bukowski, infatti: Ciò che importa di più è quanto bene tu sappia camminare attraverso il fuoco e l'altra è quella scritta con le rose.
Spero che vi sia piaciuta, ditemi cosa ne pensate :)
E.  
  
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