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Autore: Arvo    15/07/2016    1 recensioni
Arvo è un giovane comandante mandato a difendere un bastione con pochi uomini e risorse, al confine tra due stati in guerra. Nel delirio della battaglia conoscerà una giovane prostituta mutilata, Una. Essa viene da una terra lontana, e non ha nulla a che vedere con le ragazze di Norderra. La storia di Arvo si intreccerà a quella di Una formando la potente dinastia del Corvo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO I

La scogliera di Torwyn appariva più desolata che mai in Novembre, soprattutto dopo che i pochi abitanti erano stati allontanati dal castello. Il mare si abbatteva quasi silenziosamente contro le scogliere e dei corvi volteggiavano nel cielo cullati dal vento del nord. Il sole, appena sorto, irradiava con una luce nostalgica e struggente il complesso fortificato. Il freddo, caratteristico dei fiordi, pungeva le budella e bruciava il viso. All’orizzonte, a causa della leggera nebbia autunnale, l’isola Dei Re appariva appena visibile. 
Torwyn torreggiava su un promontorio che gettava sul mare, con le sue torri alte e snelle, nere e buie, minacciose, tetre. Il castello sembrava un grosso ragno avvinghiato alla nuda pietra con un dedalo di grosse zampe sottili che si articolavano attorno a un massiccio corpo merlato.
La gigantesca bestia fortificata inoltre era stata protetta negli anni da due ordini di mura che ,dopo gli ultimi attacchi, ormai avvenuti da qualche decennio, apparivano già antiche e diroccate. Queste caratteristiche così peculiari avevano fatto guadagnare alla fortezza il nome di Torwyn, appunto, Ragno Nero.
Tutti gli elementi di questo paesaggio rimandavano a vecchi ricordi e sensazioni di malinconia ma, tuttavia, ispiravano calma. Tutto appariva come immerso nel miele, congelato nel ghiaccio, intrappolato in una goccia d’ambra.
Arvo durante gli anni a Torwyn aveva imparato ad amare quella tranquillità. La sua corte era famosa per essere sempre impegnata di in cose da poco: le donne filavano, gli uomini allevavano i cavalli e coltivavano il grano. Nessuno temeva la guerra da almeno due decadi. 
Tuttavia, in quella tranquilla mattina di Novembre, Arvo, il Signore di Torwyn, affacciandosi dalle mura  non vide la grande distesa erbosa dinnanzi al castello, ma una miriade di soldati della Terra Del Sud, pronti per l’assedio, schierati sui tre lati scoperti del forte.
Nel guardare negli occhi il nemico Arvo non si scompose. L’assedio era nell’aria da giorni e Torwyn era un bastione troppo importante, troppo strategicamente ovvio da conquistare, troppo vicino alla line di confine.
Nella guerra tra le due nazioni Torwyn rappresentava il portone d’ingresso per i fiordi e il nord. 
Le sentinelle sulle torri, avendo avvistato immediatamente l’esercito, avevano già fatto radunare tutta la guarnigione sotto le mura.
Arvo lanciò una rapida occhiata ai suoi soldati. Pensò senza troppo rammarico che sarebbero morti tutti, questione di giorni, forse di mesi. I rifornimenti primaverili erano quasi terminati già a Ottobre e forse le riserve sarebbero bastate per un mese. L’acqua nelle cisterne non mancava, ma anche quella sarebbe finita pressoché nello stesso arco di tempo. Bisognava pregare affinché il nemico si ritirasse, troppo stanco per continuare, oppure che da nord giungessero dei soccorsi. Ma Arvo non credeva che qualcuno sarebbe arrivato. 
L’araldo Malderriano si avvicino alle mura a cavallo stringendo una pergamena, e intimò ai Norderriani, come di dovere, di arrendersi, assicurando che nessuno sarebbe morto se tutti i soldati avessero lasciato il castello senza opporre resistenza. Dalle mura di Torwyn le sentinelle e i vari soldati che si erano ammassati dietro le merlature fornirono un’eloquente risposta con gesti osceni. Persino Arvo, da sempre un uomo coscienzioso, si ritrovò inaspettatamente a provocare il nemico, sventolando il suo vessillo con il ragno nero. L’araldo Malderriano riarrotolò la pergamena e con un gesto sdegnoso annunciò alla sua schiera le decisioni dell’avversario. L’assedio era cominciato. Arvo scese rapidamente le mura e ordinò a tutti i battaglioni di prendere i posti. I Malderriani erano cinque volte i suoi uomini e potevano contare su una retroguardia di un numero enorme di arcieri equipaggiati con arco lungo e ben addestrati ad usarlo. I suoi arcieri erano pochi, addestrati approssimativamente e con uno scarso numero di frecce a disposizione. La soluzione era lasciar attaccare il nemico per primo. I Malderriani, consci della superiorità numerica, optarono per un assalto con l’ariete sul portone principale, mentre agli arcieri fu dato l’ordine di supportare l’avanguardia. Arvo vide il comandante Malderriano spostarsi a cavallo verso l’altura erbosa dove aveva piazzato la retroguardia e dare l’ordine agli arcieri di attaccare. I Malderriani sapevano bene che il buon esito dell’assedio si basava sulla tempistica.
Arvo non si fece trovare impreparato. Ordinò a molti uomini di ammassarsi contro la porta, così da essere protetti dall’alto dalle mura imponenti e nel frattempo essere in grado di fermare l’avanzata della fanteria che premeva contro le porte. Poi ordinò ai suoi arcieri di ripararsi dietro le merlature dell’anello interno di mura, per poi attaccare una volta finita la prima pioggia di frecce nemiche. Molti balestrieri, poco addestrati e quindi inutili con l’arco, si appiattirono contro le merlature dell’anello esterno, aspettando il supporto degli arcieri. Ogni battaglione, ogni tassello, ogni macchina d’artiglieria, ogni torre, era disposta come una pedina su una grande scacchiera. I due sfidanti, Norderriani e Malderriani, giocavano ad armi pari: un esercito poteva contare su una fortezza solida e su uomini agguerriti, l’altro, invece, si avvaleva di molti soldati ben addestrati. 
Tutto dipendeva dalle decisioni, dal tempismo, dall’intuizione, dal coraggio. In un assedio vince il comandante che si sporca di più le mani. 
Lo stesso Arvo era stato costretto a sgomberare il castello dai contadini rimasti senza casa. Occupavano spazio rappresentando un elemento in più da difendere e soprattutto da sfamare e da dissetare. Tuttavia Arvo pensava con malinconia che i castelli erano stati costruiti per difendere il popolo.
 
Il primo colpo d’ariete arrivò inaspettatamente, con un tonfo sordo, seguito da un sibilo acuto che annunciò un’imminente pioggia di frecce.
Arvo e i suoi uomini videro il cielo coprirsi di un una fitta coltre nera. Quel momento parve eterno, ed eterno rimase nella mente dei sopravvissuti. Qualcuno gridò che il dio degli inferi fosse stato invocato dai Malderriani, alcuni pregarono e altri tacquero solamente. Poi una neve scura ricadde terribile sul suolo seminando morte e distruzione. Le frecce si abbatterono per molti istanti, scanditi dal terribile suono dell’ariete, per un totale di circa dieci ondate da mille colpi. il terreno e le torri erano ricoperte da dardi. Non c’era tempo per accertarsi dei danni. I balestrieri spuntarono da dietro le merlature e scagliarono il maggiore numero possibile di frecce prima di tornare ai ripari. Dall’anello interno di mura partì un numero esiguo di dardi che tuttavia colpì con successo.
 
Arvo raggiunse i balestrieri e con l’aiuto di alcuni uomini gettò delle pesanti pietre dalle merlature. 
Il comandante nei giorni precedenti aveva fatto accumulare feci e urine in secchi, che vennero poi svuotati sulle teste dei nemici. Alcuni tra i Malderriani vomitarono diventando facili bersagli dei balestrieri, altri rimasero indifferenti e non si arrestarono. Dal campo degli assalitori si innalzarono molte pietre che colpirono a più riprese i balestrieri e, mentre alcuni si salvarono grazie all’elmo, altri, sprovvisti, caddero uccisi sul colpo.
Una nuova ondata di frecce partì dalle retroguardie Malderriane e un dardo vagante si conficcò nel petto di un fante che ricadde di peso su Arvo schiacciandolo. 
Le porte con un cigolio sinistro annunciarono l’imminente cedimento: un combattimento diretto era impensabile. Il comandante ordinò a tutti di ritirarsi nell’anello interno. Il primo blocco era perso. 
Mentre gli ultimi entravano nel secondo ordine di mura le porte cedettero e i fanti Malderriani in massa penetrarono nel blocco come un torrente in piena. Una ventina di uomini della fanteria di Torwyn, raggiunta dai nemici mentre le porte venivano chiuse fu costretta a girarsi per far indietreggiare il nemico. I loro compagni si ritrovarono a loro volta obbligati a chiudergli la porta alle spalle. Morirono tutti in pochi istanti, facendo involontariamente guadagnare agli altri il tempo necessario per fuggire. 
I trabucchi nemici, fissati e armati, scagliarono massi e proiettili di metallo da duecento libbre, che si abbatterono violentemente schiacciando come vermi due o tre uomini di Torwyn. All’offesa, l’artiglieria del castello rispose azionando quattro trabucchi armati con massi, causando un numero imprecisato di vittime tra le fila Malderriane. Le possenti mura interne della fortezza subivano colpi senza segni di cedimento e, dietro la porta, spessa e resistente, si cominciò ad erigere un muro per rendere l’ingresso inutilizzabile. Arvo venne colpito di striscio da una pietra. Per un attimo si guardò attorno, stordito. Accanto a lui due balestrieri giacevano morti. Uno era stato preso in pieno da un proiettile del trabucco e aveva la testa mezza maciullata. Gli altri ricaricavano le balestre mentre i fanti si davano un gran da fare a riempire batterie e pentole con pece, calce viva e quel che trovavano sottomano. Accanto al comandante un armigero affondò i guanti nella testa del balestriere morto e con uno strattone cavò dalla parte aperta una poltiglia sanguinolenta che gettò oltre le mura. I Malderriani non furono da meno: scagliarono con il trabucco interi corpi nelle mura di Torwyn per farli decomporre in campo nemico. Arvo giurò che mai nella vita si sarebbe aspettato di vedere un suo soldato schiacciato sotto il cadavere di un  Malderriano piombato dal cielo. Un fante si accostò a Arvo.
-Comandante, cosa facciamo ora?-
-Niente, aspettiamo.
 
 
 
La battaglia continuò fino all’imbrunire, senza vincitori né vinti. 
L’avanguardia Malderriana aveva perso molti uomini, ma aveva conquistato il primo blocco, mentre Torwyn aveva dimostrato l’impenetrabilità delle mura principali e la fierezza del popolo del Nord.
Più tardi, gli eserciti si ritirarono con il favore delle tenebre.
 
Arvo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. La fame gli attanagliava lo stomaco. Aveva toccato a malapena cibo. Accanto a lui Bryn, una giovane e bella prostituta, dormiva beata, come se il massacro appena interrotto non la turbasse affatto. Era la prostituta dei ranghi più alti e i soldati si erano lamentati di doversi accontentare delle puttane più vecchie e sfatte, oppure quelle giovani ma gravide, che non erano riuscite a lasciare il castello. Il signore di Torwyn si affacciò da una piccola e stretta monofora. Fuori le sentinelle armate di balestra, avvolte nei mantelli, riscaldavano le mani con il fiato. Due grosse colonne di fumo nero e denso segnalavano i roghi accesi dalle rispettive fazioni per smaltire i corpi. Tuttavia molti cadaveri, tra il primo e il secondo ordine di mura, non erano stati recuperati e nel tardo pomeriggio molti corvi si erano radunati. Con il vento, il mastio veniva investito da un odore acre e intenso di carne bruciata. Nell’accampamento Malderriano un altro fuoco veniva acceso. Si cuoceva la carne di un cavallo trovato morto, prima che andasse a male.
Arvo poteva vedere i suoi nemici, attraverso il velo della notte. Poteva guardare negli occhi i Malderriani e loro potevano vedere lui. Ma la notte fungeva da pacificatore e concedeva a tutti un meritato, seppur breve, riposo. Dal campo degli assalitori si levò poi una goffa ballata.
Bryn, nella stanza del signore di Torwyn, si alzò dal letto e disse al comandante di tornare a dormire. Arvo si voltò e la fissò con uno sguardo muto. Guardò il suo seno candido senza desiderio, poi alzò gli occhi e incontrò i suoi, belli, verdi, ma muti anch’essi, senza gaiezza.
da sotto le coperte spuntavano i piedi minuti, graziosi ma con la pianta resa ruvida da un’infanzia poco agiata, che sembravano invitare lo sguardo a seguire la linea della caviglia snella per arrivare alle lunghe gambe che si potevano solo immaginare dalle curve della stoffa che le ricopriva. 
-Non ho sonno- 
disse, e tornò a fissare il suo avversario.
Arvo quella notte non dormì, la notte è il lusso di chi non comanda, il sonno è il premio per una vita da sottoposto.
All’alba le percussioni dell’ariete contro il portone diedero inizio alla macabra danza dell’assedio con un ritmo incalzante, quasi tribale. La porta tremava contro i colpi come una pelle tesa di un tamburo. Gli uomini di Arvo seguivano il protocollo del giorno precedente, e così fecero quando le frecce cominciarono a piovere dal cielo, come ambasciatrici del Dio SIlferith, che governa la pioggia, le tormente e ogni altra punizione del cielo.
Durante l’assedio la guerra mostra il suo lato più musicale, tra i trabucchi che si azionano con suoni macchinosi, le frecce che sibilano fendendo l’aria, il canto straziato delle grida e gli olifanti che suonano per impartire ordini ben delineati secondo un codice sonoro. 
Sulla porta si abbatté un proiettile che aprì una piccola breccia tra due assi. Una fessura abbastanza grande da far passare un arma inastata. In quel caso fu una lunga picca ad attraversare la breccia, conficcandosi con la parte appuntita nel ventre di un soldato impegnato ad erigere il muro con i compagni. 
Arvo impartiva ordini senza sosta modulando la voce in modo da mantenere il tono freddo e autoritario. Aveva imparato l’arte di governare alla corte dove era cresciuto. In fondo la virtù principe di un comandante è il saper nascondere l’emozioni e il suo torto è quello di mostrare troppa umanità.
Gli scontri continuarono per tutte le ore di sole, come il giorno precedente.
Alla sera la scacchiera era rimasta immobile: I Malderriani avevano perso meno uomini del giorno precedente e Arvo constatò con piacere di aver a sua volta subito perdite irrilevanti. Nessuno dei due schieramenti poteva permettersi un assedio lungo, ma tuttavia entrambi si trovavano costretti dall’ostinazione del nemico. Durante la notte i soldati Malderriani scagliarono diversi proiettili contro le mura, che ferirono la gamba di una sentinella mutilandola. Arvo tentò un attacco a sorpresa in risposta. Fece scagliare delle frecce, che però non colpirono nessuno a causa della prudente distanza alla quale si erano accampati i Malderriani. In seguito ordinò di azionare due trabucchi, che distrussero il sostegno di un padiglione senza colpire nessuno. 
Alle prime luci dell’alba gli venne l’idea di far lanciare due proiettili incendiati, uno dei quali riuscì a colpire una tenda nemica scatenando un incendio che venne però estinto facilmente.
Per dieci giorni continuò quest’assedio congelato.
Un messaggero Norderriano tentò l’impresa impossibile di scappare arrampicandosi sulla scogliera dietro Torwyn per richiedere soccorso senza essere inseguito. Perse il sostegno su una roccia malferma e ruzzolò giù schiantandosi di schiena contro gli scogli sommersi in parte dal mare.
Gli eserciti avevano mantenuto inalterato lo schema iniziale e ripetevano meccanicamente gli stessi ordini, con la sola differenza che gli arcieri e i balestrieri erano a corto di frecce. Perciò le due fazioni si scambiavano solo pietre, proiettili di ferro, carcasse e teste umane. La guerra era soprattutto psicologica. Si puntava a spaventare a morte il nemico ma entrambi i comandanti si rendevano sempre più conto della cocciutaggine del rivale.
 
La sera del decimo giorno a Torwyn terminarono le ultime scorte di cibo. Le previsioni di Arvo si erano rivelate sbagliate. I soldati erano stanchi, molto affamati e assetati per via della scarsità dell’acqua nelle cisterne. Il comandante fece così abbattere due magnifici cavalli, con suo grande dispiacere, per farli pulire e arrostire. Alcuni uomini ne bevvero il sangue per la sete. Disgustoso, ma necessario. Il comandante prese alcuni tagli sostanziosi di carne e li pose su un vassoio con una piccola brocca di vino. Si alzò dal tavolo dove tutti mangiavano e, con grande sdegno e polemiche da parte dei commensali, portò il vassoio alle prostitute e alle donne inferme, che dormivano in una piccola sala adiacente a quella principale. Le donne si avventarono sulla carne in un modo che Arvo non aveva mai visto fare. A causa della loro inutilità in battaglia non gli veniva dato da mangiare da giorni e ormai avevano perso completamente la dignità di fanciulle. Dormivano in un stanza ammassate, senza acqua per lavarsi, al freddo. Mangiarono come uomini, ma con più avidità . Le donne incinte avevano abortito quasi tutte per lo stress e per la malnutrizione. Solo una portava avanti la gravidanza nonostante le compagne la pregassero di ingerire qualche erba per l’aborto. Lei rifiutava e diceva che suo marito, disperso da qualche parte nelle campagne, sarebbe stato felice di avere un figlio. La ragazza si chiamava Nan e aveva 15’anni.
Nella foga e nella fame nessuna si era accorta che a portare loro il vassoio era stato il comandante in persona, che le osservava con curiosità scientifica, ma tutte lo ringraziarono. 
Lo sguardo di Arvo si posò verso una ragazza poco più grande di Nan, con un braccio reciso, cicatrici sul collo e il volto pieno di lividi. Non aveva toccato cibo, e aveva lo sguardo di qualcuno che si sta per addormentare. Vacillò alcune volte e i suoi occhi grigi si chiusero per poi riaprisi lentamente. Fu colta all’improvviso da conati, e tenendosi il ventre vomitò una poltiglia trasparente cadendo su di un lato, esausta.
-Per gli dei, qualcuno la aiuti!- Arvo era sconvolto, quella ragazza stava male, probabilmente da giorni, e nessuno l’aveva aiutata. In realtà in quella stanza avevano sofferto tutte e a nessuno pareva così strano vedere una delle ragazzine, le più deboli, stare male.
Il comandante prese delicatamente la ragazza in spalla la portò nella sala dove gli uomini mangiavano e chiese al medico di soccorrerla. All’inizio calò il silenzio nella sala, e nessuno si mosse, anzi, guardarono il comandante con aria strana “si allarma per una puttana, mentre fuori dalle mura ci sono montagne di corpi carbonizzati o decomposti di soldati?”
-Medico ti ordino di soccorrerla, per gli dei!- ripeté urlando.
Cardyff, un sacerdote e studioso delle arti mediche, si alzò lentamente con sguardo solenne e seguì il comandante nella stanza delle donne, dove la ragazza fu fatta sdraiare su un tavolo.
La fanciulla era stata picchiata sulla testa da qualche soldato. -Quando la testa viene battuta di solito si perdono le forze e si vomita- spiegò il medico al comandante perplesso -Dovrebbe riposare e bere, ma con il suo lavoro e nella nostra situazione dubito che ne avrà la possibilità. Potrebbe morire di fame tra poco-
La sua voce non era minimamente turbata.
Incitato dal comandante preparò controvoglia un decotto con il vino, che la ragazza, appena rinsavita, bevve avidamente. Il medico si allontanò ma il comandante rimase li a vegliarla finche non divenne buio pesto. Arvo trovò piacevole la compagnia delle donne, presenti nella sala. Tuttavia non parlò molto, ma si limitò ad ascoltare come faceva sempre. Si informò delle loro famiglie, e ascoltò le loro richieste, giurando che avrebbe governato Torwyn e il feudo con leggi uguali per uomini e donne, e che le fanciulle della sua terra sarebbero state protette come i veterani. Una scena insolita in un castello Norderriano. Quando la ragazza si fu completamente ripresa Arvo la guardò, con uno sguardo che le prostitute conoscevano bene. La desiderava. 
-Tu- disse -vieni nelle mie stanze-. 
Bryn, che era sempre stata la sua preferita, si risentì. Le donne più anziane guardarono Arvo con un po’ di disprezzo. Dopotutto la fanciulla si era appena svegliata, dolorante, e probabilmente aveva anche la febbre. Inoltre pensarono era davvero strano per un comandante scegliere una storpia, che era di solito riservata ai soldati di rango più basso. “I senza armatura”.
La fanciulla sentì gli occhi addosso e rispose imbarazzata. -Non ce la faccio ad alzarmi-. I suoi occhi si inumidirono, e avrebbe anche pianto se non fosse per la disidratazione che le aveva prosciugato la gola. Arvo le mise un braccio sotto le gambe e una mano sotto la nuca e l’alzo come fosse una piuma, stupendosi di quanto fosse leggera, e la portò nella torre. 
 
La ragazza si svegliò in piena notte, nel letto imbottito di piume del comandante. Un vero lusso. Non aveva mai dormito su niente di così comodo. Attorno a lei tutto era completamente buio. Sulla testa aveva una pezzuola imbevuta di un liquido maleodorante che non era acqua. Tuttavia era fresco e le dava sollievo. Si sentiva lo stomaco rilassato e non più contratto in spasmi e conati come prima. Le dolevano solo un po’ la testa e i lividi. Si alzò a fatica con il suo solo braccio. Davanti a lei la tenda del baldacchino si aprì lentamente facendo penetrare la flebile luce di una candela. Il comandante, seduto su una sedia, la guardava, elegante nel suo mantello nonostante la guerra e la miseria di quel castello. Arvo allungò una mano e accarezzò il viso della fanciulla con uno strano sguardo, quasi curioso, ma la ragazza non poteva capirlo bene con quella luce.
Sentì il freddo anello con il sigillo sulla guancia. 
-Sei nel mio letto. Avevi un po’ di febbre così ti ho messo in testa uno straccio imbevuto di sangue di cavallo. L’ho lasciato un po’ fuori all’aria aperta, così ora è fresco. So che non è il massimo-
disse il re di Torwyn a bassa voce porgendole un piccolo bicchiere colmo di acqua che aveva preso di nascosto dalle cisterne.
-Come ti chiami?-
aggiunse, mentre lei beveva avidamente.
-Una, signore-
rispose lei intimorita. 
Il re di Torwyn gli appariva ora come una sagoma nera e spaventosa, imponente e severa.
- Cosa hai fatto al braccio?-
La ragazza, con un sorriso triste, si toccò la spalla dalla quale spuntava solo una giuntura monca.
- Un incendio, due anni fa. Il braccio era orrendamente ustionato, il medico ha dovuto amputarlo.-
-…il tuo volto, perché il tuo occhio è livido, così come la tua fronte e le tue guance?-
-I tuoi soldati sono molto violenti a volte, signore. Si sentono impotenti davanti al nemico così picchiano chi sanno di poter sconfiggere-
-Non parli come una prostituta, e non ti rivolgi al comandante come dovrebbe rivolgersi una donna-
Disse Arvo angolando un po’ il collo, come fa un piccione davanti a una mollica di pane.
-Chiedo venia-.
Arvo alzò la mano con un gesto di perdono. Non era in collera, ma era curioso del suo modo troppo raffinato di articolare il duro accento della lingua Norderriana. I suoni Ch, Gh, Tzi, Gw, tra le sue labbra fini e rosee suonavano ovattati, più dolci. Ed ecco che Ch diventava una dolce C, Gh uno J, Tzi un Si e Gw un Gu.
-Da dove vieni, Una?- Il nome della ragazza lasciava un sapore dolce tra le labbra. 
-Dall’est signore, vengo dalle colline di Raum, la terra delle campagna fertili, dei boschi rigogliosi, dei cipressi e della pietra bianca. Una terra completamente diversa da questa-
Gli occhi chiari di Arvo si illuminarono anche se Una non poteva vederli. 
-Parlami di questa terra…Una-.
 
Parlarono fino a notte fonda. Arvo ascoltava con curiosità sempre viva, e incalzava la ragazza con molte domande: “E poi?” “Com’è questa città” “quanto è grande questa montagna?”.
A Una il re della gelida fortezza di Torwyn a un tratto sembrava solo un bambino in un grosso mantello rosso, investito di una carica troppo grande per lui.
Poi alla ragazza balenò un pensiero in mente e il ragazzino goffamente avvolto nell’ingombrante mantello ridivenne un grande soldato stanco e severo.
Era stata chiamata per svolgere un compito. Da quando la guerra era iniziata, e lei era stata affidata al castello, quello era il suo lavoro.
Così tolse lentamente  la sopravveste, sperando che Arvo la fermasse, che le dicesse che non voleva niente da lei, almeno per quella notte. Era troppo stanca, aveva troppa paura degli uomini. Usci dal letto a baldacchino, e si slacciò la sottoveste lasciandola ricadere ai suoi piedi.
Il re non l’aveva fermata. Anzi ora la guardava, intensamente…non le guardava la pelle, il corpo…il suo sguardo la spogliava ancora, le penetrava nelle viscere. Era uno sguardo intimo che le guardava nell’anima. Perché le faceva questo? Perché cercava l’intimità di una donna quando la vedeva già nuda davanti a lui? Perché non le lasciava almeno una veste di dignità? Preferiva sentirsi oggetto piuttosto che una ragazza vulnerabile, quando andava con un uomo. 
Seguita insistentemente con lo sguardo si sdraiò sul letto. Pensava ormai di essere smaliziata e seducente, nonostante le mutilazioni. Ma Arvo vedeva solo una ragazzina impacciata e pudica…pura. Il signore di Torwyn si sedette sul letto. Allungò una mano e le accarezzò il morbido seno delicatamente. Una fu scossa da un brivido di disgusto e di disprezzo. Conosceva il percorso che faceva la mano di un uomo. Nessuna mano era mai salita sul suo seno al collo per poi accarezzarle affettuosamente i capelli. Lo sguardo di un uomo era verticale. Muovevano gli occhi come una spada, dall’alto verso il basso. Era una strada senza via di ritorno, quella per l’intimità di una donna. 
La mano di Arvo lasciò però il candido seno  e si spostò verso sinistra. Le toccò le costole delineate dalle rientranze dalla pelle rovinata dal fuoco. Le toccò tutte le costole una ad una. Poi la sua mano risalì e le accarezzò la spalla e infine di nuovo scese descrivendo una curva sinuosa. Con le dita callose le sfiorò l’articolazione del braccio amputato. La guardò negli occhi.
-Perdona la mia curiosità Una, la tua anima mi riempie di desiderio-
Raccolse la veste dal pavimento, si inginocchiò e la porse alla fanciulla  con rispetto.
La tensione che Una provava si sciolse in un pianto sommesso. Era al sicuro. Per una notte nessun uomo l’avrebbe violata. Arvo chiuse la tenda del baldacchino augurandole una buonanotte.
“Un angelo con un’ala spezzata” pensò.
   
 
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