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Autore: Blue_Sephirot    15/07/2016    0 recensioni
«Takao, senti…», sussurrò la giovane, prendendo a giocare con una ciocca dei suoi capelli castani.
«Takao, insegnami a giocare a beyblade, ti prego».
«…perché mai?».
Oh, Hilary lo sapeva bene perché, ma di certo non lo avrebbe mai confessato. A nessuno, nemmeno a lui. Averlo confessato a se stessa l’aveva già spinta in un mare di difficoltà e in poche – ma buone! – situazioni scomode, da lei stessa cercate in momenti di poca lucidità mentale e troppa emotività.
[...]
Afferrò una biro rossa che giaceva dimenticata da qualche infermiere sul comodino del suo bel russo malconcio e l’avvicinò al suo beyblade, sotto gli occhi curiosi di Takao che, pur non capendo nulla di ciò che lei potesse avere in mente, decise di tacere per una volta nella sua vita.
Sospirò e poi finalmente si decise.
Con un movimento rapido, ma stando bene attenta a fare un buon lavoro, scrisse una “H” nella zona circolare del bit-chip.
Dopodiché, posò la biro dove l’aveva trovata e, senza dire una parola, mise il suo Tinkerbell sul cuscino di Yuri, di fianco a Wolborg.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hilary, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Innanzi tutto, non odiatemi: posso spiegare tutto.
Stavo scrivendo il nuovo capitolo della mia fanfiction “La vegeance en rose” quando sono stata colta da un’idea, che ho provveduto a buttare nero su bianco in un pomeriggio – quello di ieri.
Ed eccola qui.
Doveva essere una one-shot, ma la sua lunghezza mi ha convinto a dividerla in tre parti.
E’ una fanfiction senza pretese, scritta per il gusto di buttare giù una storiella, ma spero comunque che vi risulti gradevole.
Tengo inoltre a precisare che, per esigenze di storia, ho deciso di chiamare Boris non come sono abituata a chiamarlo, ossia Kuznetsov, ma ho optato per un’altra versione del suo cognome che mi pare sia altrettanto riconosciuta. Capirete leggendo.
Buona lettura!
-Nastja-

 

 

 

“H”
Cap. 1


 

«Takao, senti…», sussurrò la giovane, prendendo a giocare con una ciocca dei suoi capelli castani.
Due occhi scuri e profondi si fissarono su di lei, in attesa.
Lei, che giocava con quella solita ciocca di capelli laterale, tanto da averla ormai resa naturalmente ondulata.
Lei, che sospirava e si mordeva il labbro inferiore, visibilmente a disagio.
Lei, che allungava la sua mano destra e afferrava Dragoon, immobile a fianco del suo migliore amico, e che iniziava a studiarlo con un’attenzione degna del Prof K.
Un mugugno infastidito da quei comportamenti insoliti e straordinari le fece capire che ormai doveva terminarla, quella frase.
Quella frase che, più aspettava ad uscire, più sembrava scomoda e compromettente senza alcuna ragione effettiva – no, non c’era proprio niente di imbarazzante nelle parole che avrebbe voluto pronunciare; la vergogna che lei sentiva viva al punto da percepirla scorrere lungo la schiena, era dovuta al fatto che lei ne conosceva i motivi scatenanti, ben celati all’interno della sua mente che negli ultimi giorni sembrava aver subìto un trauma.
Voleva davvero pronunciarla, quella frase? Ne era convinta?
Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, in fondo, al posto di quello: «Takao, senti, ti vanno i noodles per cena?», ad esempio, e la discussione avrebbe preso tutt’altra piega.
«Allora? Hai visto qualcosa in Dragoon che non ti convince?», la spronò quindi l’amico. «Strano. Voglio dire, non capisci molto dell’ingegneria di un beyblade e il Prof K ha perfezionato Dragoon giusto l’altro giorno in vista della Just..»
«Takao, insegnami a giocare a beyblade, ti prego».

 

Aveva esordito così Hilary Tachibana, in un afoso pomeriggio d’estate nel giardino della casa di Nonno Jay. Impossibile descrivere la prima reazione di Takao, semplicemente perché il campione del mondo non era stato capace di alcuna reazione, fisica o emotiva, per una buona manciata di secondi.
A vederli da fuori, sembravano i protagonisti della scena di un film messo in pausa nell’esatto momento in cui la giovane donzella si abbandona alla sua confessione; e colpo di scena, fermo immagine. Gli occhi di lui incollati sul volto di lei e la bocca aperta; la mano di lei che stringe Dragoon, all’altezza del petto, e il capo un poco inclinato.
Svariati aggettivi sarebbero stati in grado di descrivere quell’attimo, e Takao l’aveva presto realizzato, dal momento che la sua seconda reazione fu quella di sforzarsi di tenere la bocca chiusa – sforzo non indifferente per lui  - per scegliere la risposta migliore a quella singolare richiesta.
Hilary aveva trascorso quei secondi immaginando quali sarebbero potuti essere gli atteggiamenti e le parole del suo amico. Lo conosceva bene, tuttavia in talune straordinarie situazioni, le reazioni di Takao riuscivano ancora a disattendere le sue aspettative per prendere un’altra inaspettata direzione. Il campione era una persona aperta e facilmente leggibile, praticamente per chiunque, ma era anche un ragazzo parecchio istintivo: per quanto ci si potesse vantare di conoscerlo alla perfezione, prevedere le sue mosse in circostanze di estrema difficoltà o di totale sorpresa, risultava possibile solo per un veggente.
Quella, di certo, poteva dirsi una situazione di quelle che lo trasformavano in un cappello magico dal quale sarebbe potuto uscire qualsiasi cosa, e ciò non rendeva facile alla giovane giapponese eleggere la reazione finale più consona a Takao Kinomiya.
L’avrebbe presa in giro?
«Tu con in mano un beyblade?! Ahahahah! Hilary, giocare a beyblade non è come imparare a cucinare il riso, senza contare che tu non sai fare nemmeno quello. Ci vuole tempo, serve costanza! Tu… non ha mai toccato un caricatore in vita tua».
Oppure avrebbe cercato di farla desistere con qualche mezza verità:
«Scusami, Hilary, ma non posso permettermi di accontentarti ora. La Justice 5, gli altri bladers qui con noi, lo stress… Ma non appena…».
Chissà, magari ne sarebbe stato entusiasta e l’avrebbe aiutata, avrebbe accettato con un largo sorriso.
O forse avrebbe solamente riso – o meglio, si sarebbe piegato in due dalle risate e si sarebbe fermato solo per dirle che aveva fame.
Eccole, le più naturali reazioni di Takao Kinomiya: risa sguaiate, prese in giro, battute.
Tuttavia quella volta lo sguardo speranzoso di lei e lo stupore riuscirono a vincerle, permettendo a quel cappello magico di tirar fuori solamente un flebile:
«…perché mai?».

 

Oh, Hilary lo sapeva bene perché, ma di certo non lo avrebbe mai confessato. A nessuno, nemmeno a lui. Averlo confessato a se stessa l’aveva già spinta in un mare di difficoltà e in poche – ma buone! – situazioni scomode, da lei stessa cercate in momenti di poca lucidità mentale e troppa emotività.
«Nulla! Che c’è, non può cominciare a piacermi davvero? Dopo più di due anni che conosco te e gli altri, magari qualcosa mi si è acceso dentro», avrebbe risposto quel pomeriggio, alzando le spalle e sforzandosi di fare il più aperto dei suoi sorrisi. Inutile dire che ciò non corrispondeva affatto a verità, ma l’importante era che Takao ci fosse cascato.
Il vero motivo lo sapeva solo lei, e stava per andare a fargli visita, assieme al suo beyblade nuovo di zecca color arancione che aveva assemblato per lei il Prof K con l’aiuto di Emily e dei pezzi di ricambio della squadra americana – la Dottoressa Judy era stata così gentile da fornirle addirittura un caricatore personalizzato, con una sfavillante lettera “H” glitterata sul manico.

 

«Vai a trovarlo? E come mai?», chiese Takao stupito, in quell’ennesima mattinata dedicata a sfiancanti allenamenti in vista della Justice 5.
Richiamò Dragoon dalla sfida contro il Driger di Rei, gesto grazie al quale Hilary intuì subito la sua incredulità. Ancora una volta lo aveva stupito. Già, pareva che in quei giorni Hilary fosse una sorpresa dietro l’altra – ma insomma, doveva anche ammettere che da quando era sorta la BEGA, le sorprese erano all’ordine del giorno e arrivavano da ogni dove.
«Sì, vorrei solo… solo vedere come sta», gli aveva risposto l’amica, sorridendo.
«Oh beh, non sto dicendo che fai male, anzi: vorrei andare a fargli visita anch’io. E lo farò presto!», si era poi corretto il campione, probabilmente temendo che la sua domanda fosse risultata scortese.
«Piacerebbe anche a me, Takao», intervenne Rei. «Solo è curioso da parte tua, Hilary: non l’hai mai conosciuto né tantomeno salutato per tutta la durata del torneo».
C’era una luce, negli occhi ambrati del cinese, che la fece sentire sotto interrogatorio. Che fosse più furbo e sveglio di Takao era palese. La faccenda a lui non era del tutto chiara.
Conoscendo Rei, non c’era malizia nei suoi pensieri, ma mera curiosità. La stessa curiosità che avrebbe colto alcuni altri bladers – ma soprattutto le altre bladers -  dopo essere venuti a sapere della sua idea. O meglio, della sua esigenza.
«Vorrei andarci sola», si premurò di chiarire lei. «So che è strano, mi dispiace. Non l’ho mai conosciuto, ma quello che ho visto alla sede della BEGA mi ha scosso e… vorrei vederlo da sola, adesso».
La presenza di tutti gli altri bladers partecipanti all’ultimo torneo ormai terminato, non la stava aiutando affatto: era difficile tenere nascosti i reali motivi dei suoi insoliti comportamenti; tentare di nasconderli ad altre donne, poi, di cui una letteralmente dotata di una sorta di sesto senso felino, era praticamente impossibile.   
«Se lui potesse vederti coi suoi occhi, sono sicura che ti ringrazierebbe per essere passata a fargli visita», le aveva detto sorridendo Mao quella stessa sera strizzandole un occhio.
«Dici che conosce la parola ‘grazie’?», aveva ironizzato la giovane castana, per smorzare la tensione che giocava coi suoi nervi alla sola idea di essere presto al suo fianco.
La cinese scoppiò a ridere.
«E chi lo sa? Magari durante quest’ultimo torneo, l’avrà sentita dire da qualche parte».

 

E ora ingannava la sua mente, Hilary, mentre camminava con passo veloce in direzione dell’ospedale.
Si sentiva agitata e cercava di distrarsi tentando di indovinare chi, fra i bladers ospitati da Nonno Jay, avrebbe potuto intuire il suo segreto – Mao a parte, ovviamente.
“Julia? Beh sì, indubbiamente. Poi… no, Max decisamente no. Forse Emily, e anche Michael, che mi sembra abbastanza perspicace”.
I nomi si susseguivano nella sua mente come prodotti su una lista della spesa, assieme a considerazioni approssimative.
Le interessava davvero quello a cui stava pensando? Assolutamente no.
“Poi c’è Rei che, oddio, forse sì, dubita qualcosa. E vediamo… nah, Takao è un imbranato, di certo no. Il Prof K, invece mh, non saprei”.
Pensieri futili, vaneggiamenti. Tanto inutili quanto efficaci, però, perché era giunta a destinazione senza farsi prendere dal panico.
Panico.
Aveva parlato troppo presto.
Entrò nell’edificio bianco e grigio imponendosi di non titubare e guardando dritto di fronte a sé, annullando all’improvviso ogni pensiero cosciente. Le sue gambe tremavano sugli scalini antecedenti l’entrata, ma non poteva bloccarsi: non voleva tirarsi indietro.
Ormai era lì e sarebbe andata fino in fondo, nonostante il suo cervello stesse già andando in tilt.
Sentiva l’interno del suo cranio come svuotato da un vento ghiacciato, che stava spazzando via ogni cosa e gelando le pareti. Una bufera che mai nella sua giovane vita aveva subìto. Una gelida tempesta che le aveva fatto conoscere la Siberia senza esservi mai stata.

   
 
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