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Autore: La Tigre Blanche    17/07/2016    5 recensioni
Come reagirebbe Spagna se venisse a scoprire dell'esistenza della Prumano? Ovvero: di modi fallimentari per rivelare ai propri boss di essersi fidanzati.
ATTENZIONE: Alto tasso di demenzialità. Perdete ogni speranza, o voi ch'intrate.
*
"« Devo parlarti. » Ripeté di nuovo il sud Italia con voce spettrale, incrociando le braccia. Antonio aggrottò di rimando le sopracciglia e piegò la testa di lato come un gatto, alquanto perplesso e confuso da quel siparietto:
« Romano, mi sto preoccupan—
« Ho deciso di convertirmi all’Islam. »
L’espressione di Spagna cambiò così repentinamente che Romano, per un attimo, ebbe seriamente paura gli svenisse davanti.
[...]
"Giunto in soffitta, ancora in boxer, con il volto tanto serio e tenebroso che sarebbe riuscito a far scappare Russia in persona, non esitò ad agguantare la sua fedele alabarda, compagna di mille avventure. Sorrise, un sorriso malefico: Prussia non l’avrebbe passata liscia, oh no, per niente.
Perché nessuno si aspetta l’Inquisizione spagnola. "
*
Principalmente Prumano, con accenni a cose perché sono malvagia. Enjoy!
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dies Irae – Nobody expects the Spanish Inquisition  

                                                                               *    

« Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla »  

 

 

« Gilbert, ricordami da quanto tempo stiamo insieme? »

« Ehm, sei mesi circa, no? »

« Esatto. E… stavo pensando, non ti sembra il caso di… insomma… anche lui ha il diritto di sapere, no? »

« Pulcino, lui chi? »

« Eh, ‘sto cazzo! Secondo te?! »

« Oh… OH! Lui Lui? »

« Esatto. »

« E… e come intendi fare? Non voglio morire, sono troppo magnifico, insomma!»

« Tranquillo. Ho un piano. »

« E chi sei, Austria? »

*

« Antonio, ti devo parlare. » Così aveva esordito Romano davanti alla soglia di casa Carriedo non appena l’allegro spagnolo aveva fatto capolino dalla porta di ingresso, un sorriso a quarantadue denti incastonato nel volto e il solito sguardo raggiante. A quelle parole, però, l’espressione allegra di Spagna vacillò e ne prese il posto una confusa, accompagnata a un “Eh?” somigliante in tutto e per tutto a una pessima imitazione di una foca monaca. E il fatto che fosse monaca, la foca, era quasi scontato, trattandosi di Spagna.

Antonio – praticamente svestito, fatta eccezione per un paio di orripilanti boxer di un arancione stinto che fecero accapponare la pelle di Italia –  scosse poi la testa, decidendo saggiamente di non farsi domande – quando si trattava di Romano, o dei fratelli Italia in generale, era sempre bene tenere conto di quanto certi atteggiamenti potessero sembrare illogici. L’onnipresenza del bidet nei bagni italici, tanto per dirne una, ne era un lampante esempio; che Antonio non avesse mai capito fino in fondo a cosa servisse quel buffo sanitario, poi, era un altro discorso.

Spagna si riscosse da quei pensieri fuorvianti solo quando Romano non lo afferrò per il braccio, trascinandolo quasi letteralmente in cucina e spintonandolo verso una sedia, il tutto senza che Antonio ebbe tempo anche solo di formulare un pensiero coerente su ciò che stesse accadendo. Si ritrovò quindi seduto al tavolo di legno scuro con Romano che, postosi davanti a lui, lo fissava insistentemente, sopracciglia corrugate ed un’espressione così assatanata che, per un istante, Antonio fu tentato di afferrare il crocifisso appeso al muro e di puntarlo contro di lui a mo’ di scudo con tanto di “Vade retro” incorporato.

« Devo parlarti. » Ripeté di nuovo il sud Italia con voce spettrale, incrociando le braccia. Antonio aggrottò di rimando le sopracciglia e piegò la testa di lato come un gatto, alquanto perplesso e confuso da quel siparietto:

« Romano, mi sto preoccupan—

« Ho deciso di convertirmi all’Islam. »

L’espressione di Spagna cambiò così repentinamente che Romano, per un attimo, ebbe seriamente paura gli svenisse davanti. Come biasimarlo! Insomma, doveva essere uno shock bello e buono per una nazione come Spagna: dopo aver faticosamente cacciato via i musulmani dal suo territorio durante la Reconquista, era palese che ricordi più che spiacevoli affiorassero al solo udirne il nome! E sapere che il suo Romanito – il suo piccolo bimbo innocente, luce dei suoi occhi, cresciuto secondo l’univoca legge del Dio cristiano ed educato secondo la Bibbia da lui e da Vaticano in persona – volesse addirittura convertirsi ad una religione dove vigeva la convinzione che, una volta morti, si venisse accolti da settantadue vergini dalla pelle semitrasparente col midollo osseo in bella vista, gli aveva fatto venire un attacco cardiaco bello e buono!

Si abbandonò sulla sedia – e con quegli gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto e la bocca schiusa sembrava  avesse appena visto la Madonna apparire da un punto indefinito del soffitto. Romano continuò a fissarlo, mordendosi il labbro inferiore a sangue perché, cazzo, l’espressione da ebete che il suo ex boss aveva stampata in faccia doveva assolutamente finire su Facebook! Quatto quatto, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare e, in un batter d’occhio, il trauma di Spagna era finito sui social, con allegato una frase di piccante umorismo made in Romano Vargas.

Antonio parve resuscitare grazie al miracoloso flash che Italia del sud si era dimenticato di disattivare: batté confusamente le palpebre ed un gorgoglio di dubbia entità grattò contro la sua gola, come se stesse cercando in qualche modo di spiccicare parola. Dopo interminabili minuti in cui intanto l’Italiano aveva continuato a sputtanarlo per bene su ogni piattaforma internet esistente e a scompisciarsi internamente dalle risate – doveva pur sempre mantenere una certa serietà in quel momento cruciale –, finalmente Antonio ebbe la forza di deglutire e di proferire verbo:

« D-dime que estás tomando el pelo, por favor... »*

E a quel punto, nel vederlo pallido come un crucco e con un’espressione tale e quale all’Urlo di Munch e sentirlo pigolare con una vocetta così tremula e spaurita, Romano non riuscì a contenere il classico grugnito che sfugge sempre quando si tenta di trattenere una risata. Si morsicò di nuovo il labbro, ma fu tutto inutile: un suono singhiozzante rimbalzò fuori dalla sua gola e aumentò di intensità alla vista di Spagna che, paralizzato sul posto, non accennava a cambiare minimamente faccia. Riuscì a riprendersi con qualche colpo di tosse e, quasi impietosito dall’aria bastonata di Spagna, si decise a passare alla seconda parte del piano – che, ricordiamo a tutti, non è quello di Austria:

« Sto scherzando, Antò! » Esclamò, sogghignando appena. Carriedo parve quasi sciogliersi in un sospiro di sollievo e, rincuorato che l’innocenza del suo bimbo fosse ancora in salvo, riprese subito colore:

« Diòs, che spavento che mi hai fatto prendere! »

« Già, la verità è che mi scopo Prussia da sei mesi, però l’importante è che non mi converta, giusto, Antò? » Romano era furbo. Molto furbo. Sorrise sornione quando Spagna non si scompose alle sue parole:

« Ah, menomale, guarda! Ed io già che pensavo al peggio! » Affermò con allegria, non rendendosi pienamente conto di ciò che Romano avesse detto. L’italiano in questione, rapido e vittorioso, gli diede un paio di pacche sulle spalle, salutò e, come se non fosse successo nulla, se ne andò via alla chetichella prima che Antonio realizzasse il fattaccio.

Uscì fuori dalla casa dello spagnolo tirando un sospirone e sorridendo fieramente: per quella volta la sfuriata sarebbe stata rimandata!

Intanto, ancora seduto sulla sedia di paglia in cucina, Antonio stava lentamente elaborando l’ultima frase di Romano. Socchiuse gli occhi: c’era qualcosa che non anda—¡Oh  mierda!

« Lui e Prussia COSA?! » Avvampò di rabbia, digrignando i denti al pensiero di come era stato bellamente raggirato – poi da lui! Dal suo bambino! Ma come aveva potuto fargli una cosa del genere!

Spalancò gli occhi già iniettati di sangue e in un attimo era su per le scale, diretto in soffitta; ah, ma di certo era stato quel bastardo di Gilbert ad obbligarlo! Già, un vero e proprio bastardo! Prima si spaccia per migliore amico e poi cosa fa?! Si scopa le colonie altrui! Oh, il suo Romano, il suo piccolo Romano deflorato e seviziato da quell’albino pugnalatore di spalle! Ma la sua vendetta sarà impietosa, il flagello divino si sarebbe schiantato dritto dritto in mezzo alla fronte – o in mezzo alle gambe, ancora non aveva deciso per bene – di quel lanzichenecco privo di melanina.

Giunto in soffitta, ancora in boxer, con il volto tanto serio e tenebroso che sarebbe riuscito a far scappare Russia in persona, non esitò ad agguantare la sua fedele alabarda, compagna di mille avventure. Sorrise, un sorriso malefico: Prussia non l’avrebbe passata liscia, oh no, per niente.

Perché nessuno si aspetta l’Inquisizione spagnola.

*

Era una giornata piuttosto noiosa e accaldata in casa Beilschmidt: Germania, sfidando l’afa estiva e incurante del rischio di prendersi un’insolazione, era andato a fare una passeggiata coi cani e aveva lasciato Prussia a fare la muffa sul divano, con solo Austria – tirchio com’era, non esitava a scroccare vitto e alloggio a spese dei due fratelli tedeschi – a fargli compagnia e a martellargli le orecchie a colpi di note – era la quarta volta di fila che, piantato col culo seduto al piano, ricominciava a suonare il Notturno di Chopin, melodia che, sì, era bella e tutto, ma se ripetuta in loop riusciva a diventare estremamente irritante. 

In più faceva fin troppo caldo per poter solamente pensare di alzarsi dal divano ed andare a infastidire il damerino, nonostante l’idea lo allettasse alquanto. Sbuffò, stiracchiandosi e alzando al massimo il volume della TV – solo per irritare il caro, vecchio Roddy – dove lampeggiavano le colorate immagini dei dolci di Ernst Knam. Si stropicciò gli occhi, prestando improvvisamente ascolto: chissà, magari quando lui e Romano avrebbero fatto sette mesi poteva improvvisare una tortina di quelle piccole e graziose di cui andava tanto matto! Certo, Romano lo avrebbe preso per il culo per almeno due settimane ma, andiamo, quei coniglietti di zucchero erano semplicemente l’apoteosi dell’adorabilità e già fantasticava su come decorarla – chissà, magari ci avrebbe aggiunto un piccolo Gilbird assieme ai conigli.

Stava, insomma, perdendosi nel suo magnifico mondo di zucchero e creaturine tenere – mondo che, per carità, sarebbe dovuto rimanere ben segregato nella sua mente. Solo in pochi lo avevano visto in modalità “Ommioddioquantoècarino” e ci teneva che la cifra rimanesse invariata, sia mai che la propria magnifica reputazione venisse incrinata da sciocchezzuole del genere.

Proprio in quell’istante, il suono di notifica del suo cellulare lo riscosse dai suoi rosei vaneggi: era di Romano. Lo aprì e per poco non si strozzò la saliva all’idilliaca vista di Spagna in stato comatoso – l’immagine era accompagnata da un messaggio: “È KO, l’Islam colpisce ancora” e Gilbert ci mancò poco che soffocasse, perché quella frase era troppo anche per lui. Non poté però astenersi dal prorompere in una gracchiante risata da cornacchia bruciacchiata, così acuta e penetrante da far pigolare di terrore il povero Gilbird e farlo svolazzare via, lontano dal suo padrone degenere – dall’altra stanza si udì una stonatura seguita da una serie di improperi in austriaco stretto.

Si riprese dalle risate dopo qualche minuto, senza fiato, e subito si sbrigò a rispondere al messaggio, da bravo fidanzato quale era. Come al solito, aveva un sorriso ebete e intenerito al tempo stesso mentre si scriveva con Romano – chiunque dall’esterno, solo osservandolo, avrebbe potuto capire quanto quel coglione di un albino adorasse il sud Italia.

Chiunque, tranne Antonio.

« ¡Buenos días, mi amigo! » Una risata acuta e agghiacciante si levò nell’aria, seguita da un frastuono pazzesco, dirompente come non mai; polvere e calcinacci si sparsero ovunque e Gilbert, nell’udire quella voce ben conosciuta parlare con quella intonazione – la stessa che aveva mentre, nel lontano millecinquecento, costruiva la sua Armada per “Detronizzare quell’arpia e potermi finalmente legare indissolubilmente al mio querido inglese – che rimane uno stronzo traditore ma che amo tanto” – si sentì ripetutamente mancare.

La cosa che, però, gli fece accapponare ancora di più la pelle non fu tanto la consapevolezza che Antonio – sorriso alla Jack Torrance di Shining e con addosso solo dei boxer sdruciti di un colore osceno – avesse appena sfondato il muro con una testata da guinness, quanto il fatto che Spagna avesse addirittura scomodato la sua alabarda. E tutti sapevano che, se era arrivato a disturbare la cara e vecchia Dolores, voleva dire principalmente due cose: la prima era che l’inquisitore che era in lui scalpitava per mietere eretici; la seconda era che la povera vittima che doveva subir la sua ira era essenzialmente fottuta.

Gilbert deglutì, desiderando ardentemente di venire risucchiato dai cuscini del divano. Percepì distintamente il proprio sangue defluire dal suo volto, facendolo sembrare ancora più slavato del solito, e brividi di puro terrore zampettare lungo la sua spina dorsale. Bene, a quel punto c’erano solo due opzioni: calmare la bestia assetata di sangue o levare rapidamente le tende e prendere il primo volo per il Messico – scelta decisamente più sensata, considerato con chi si aveva a che fare. Purtroppo, però, quel povero Cristo di Gilbert, oltre ad avere un recondito lato masochista, mancava di raziocino – era, in parole spicciole, un emerito deficiente:

« Oh, ehm, hallo Antonio, come mai questa entrata in scena… particolare? » Il sorriso di Prussia, in quel momento, ricordava più la smorfia di uno stitico che altro – stille di sudore imperlavano il viso del tedesco avente il medesimo colorito di un lenzuolo lavato con la candeggina. Spagna alzò lo sguardo su di lui – due occhi verdi e penetranti da bimba dell’esorcista – e lo fissò, sorridendo sornione:

« Como hai osato… » Sibilò l’ispanico, facendo vibrare la s in un modo innaturalmente eccessivo – tale e quale a Banderas col suo “Rrrrossssita”, pensò Gilbert, e si dovette trattenere dallo scoppiare a ridergli in faccia quando nella sua mente comparve uno Spagna che, sorridente, mostrava fiero le proprietà del biscottone della Mulino Bianco. Antonio strinse l’alabarda tra le mani e le nocche sbiancarono per lo sforzo. La lama scintillò cupa nella luce della stanza. E rise, rise Spagna, alzando l’arma sulla testa, caricando il colpo fatale che si sarebbe abbattuto su Gilbert, annientandolo – l’albino era paralizzato sul posto dalla paura che, perfida, gli stringeva il cuore e gli avvelenava il sangue. Dimentico di possedere un paio di gambe, fece l’unica cosa che gli era rimasta da fare.

Prese un respiro profondo, il Magnifico. Gonfiò i polmoni, pronto a gettare il classico urlo di guerra capace di destabilizzare il nemico:

« Gilbert, vuoi abbassare il fottuto volume oppure—Cosa diamine sta accadendo qui?! »

L’urlo da donnina di Prussia si sgonfiò subito e dalle sue labbra fuoriuscì un verso inumano, simile al gracchiare di un’aquila ubriaca appena andata a sbattere contro un albero.

In tutto questo, Austria si ergeva fiero sulla soglia della camera da pranzo, ritrovandosi davanti a una scena che aveva in sé dell’epico: a incominciare dall’enorme buco nel muro che, ora che ci faceva caso, aveva una forma vagamente umana, per poi passare a guardare Antonio che, in mutande e con un filo di pancia strabordante dai boxer che lo rendeva adorabile in modo quasi inquietante, si era cristallizzato nell’atto di sfracassare l’alabarda in faccia a Gilbert, ed infine giungere a Gilbert, raggomitolato sul divano in una posa da prima donna, il volto deformato nell’atto di cacciare un urlo che, Austria ne era sicuro, avrebbe come minimo sfracassato tutti i vetri della casa.

Quell’apparizione divina fu come manna dal cielo per la povera e candida – letteralmente – vittima che, commossa dalla prontezza di quel damer—ehm, paladino della giustizia altresì noto come Roderich Edelstein, non esitò a balzare con uno scatto da centometrista verso di lui, rotolando giù dal divano e nascondendosi in modo molto virile dietro ad Austria, il quale, con una pokerface che Lady Gaga gli faceva un baffo, se ne stava fermo impalato, osservando il proprio ex marito desnudo mulinare come una majorette la fida Dolores per poi piantarne il pesante manico nel pavimento. Per Spagna era arrivato il momento di chiudere i conti una volta per tutti. Grugnì, fissando i due con gli occhi iniettati di sangue, e, Rod avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco, si intravidero distintamente due sbuffi di fumo dipartirsi dalle sue narici, a mo’ di toro pronto a caricare.

Un silenzio tombale calò nella stanza, interrotto dallo sbuffare di Antonio che, era il caso di dirlo, si stava letteralmente imbufalendo. Ci mancava solo strusciasse il piede contro il pavimento ed era un bovino fatto e finito; in quanto alle corna, beh, quelle metaforiche ce le aveva già da secoli, considerate le scappatelle di quelli che definiva “mariti fedeli et casti”, aggettivi decisamente inadatti se accostati a persone del calibro di Inghilterra e Austria.

Gilbert, tremulo come una foglia al vento, si affacciò dalla spalla di un Roderich in procinto di colpirsi da solo per la confusione e scelse il momento meno opportuno per aprire la boccuccia e dargli fiato:

« T-Tonio, se è per Romano, ecco… io pensavo che, siccome sono il tuo migliore amico, a-avresti accettato la nostra relazio—

« COME HAI OSATO DEFLORARE IL MIO BIMBO VIRGINEO?! » Muggì lo spagnolo, snudando i denti bianchi e dritti, così splendenti da accecare per un attimo la patata candeggiata – Austria, il più etero (si fa per dire) dei tre, era immune a quegli sporchi trucchi da latin lover e perciò non fu colpito dal raggio “Mentadent-mi-fa-una-sega” di Antonio.

Gilbert indietreggiò, la sua magnifica vista danneggiata per sempre, ed emise un pigolio sconsolato che non fece altro che aumentare l’ira di Carriedo che, alabarda alla mano e testa bassa, si lanciò – letteralmente, nessuna menzogna: saltò in stile Naruto nella sua direzione – all’inseguimento di Prussia, il quale, gettando un gridolino da donnicciola spaurita, schizzò via per la casa:

« Antonio, posso spiegare! »

« COME HAI OSATO INSUDICIARE IL CANDORE DEL MIO PUPILLO, VILE ERETICO?! » Un colpo e la lama si scagliò contro le tende, un attimo prima dove vi era il tedesco.

« Antonio, abbiamo la stessa religione! »

« MENZOGNE, LO HAI MACCHIATO CON LE TUE MANACCE PRIMA DEL MATRIMONIO, BRUTTO FIGLIO DI— » E addio anche all’argenteria.

« AUSTRIA FA QUALCOSA CAZZO! »

L’austriaco in questione, intanto, dopo aver percepito distintamente lo spostamento d’aria dovuto a causa di un Antonio infuriato passatogli a tre millimetri di distanza e ripresosi dallo shock, si era lentamente voltato all’interno dell’oramai irriconoscibile sala da pranzo, osservando con sguardo i cocci a terra e le tende lacerate appese al lampadario. Un altro spostamento d’aria e il suo occhio attento notò Prussia sfrecciare in scivolata proprio sotto al suo pianoforte.

Spalancò gli occhi con orrore e un’espressione di terrore si impresse sul suo viso quando Spagna menò l’ennesimo fendente. L’alabarda scintillò nella luce pomeridiana, malvagia.

Il resto accadde al rallentatore. Le pupille si restrinsero come capocchie di uno spillo quando Dolores si abbatté impietosa sul lucido legno laccato di nero. Il pianoforte stridette – un canto di morte – mentre schegge di ogni dimensione impattarono tristemente il pavimento.

Un urlo si levò in casa Beilschmidt e rimbombò e riecheggiò per tutte le stanze.

I vetri si creparono. Spagna, che era riuscito ad agguantare Gilbert, si paralizzò sul posto. Entrambi, raggelati da quel trillo disumano da sopranino, si volsero lentamente verso Roderich, sul baratro della crisi isterica. Deglutirono in sincrono e due sole parole si fecero spazio tra i loro pensieri, pregne di significato:

 Oh cazzo.

*

« E poi, cosa è successo? » Un Germania abbrustolito dal sole, con braccia e gambe color gambero arrosto, se ne stava seduto su una poltroncina, severo e impietoso. Davanti a lui, ricoperti di lividi e graffi di svariate dimensioni, sedevano Prussia, con la testa fasciata e dei tamponi nel naso, e Spagna, una bistecca congelata premuta sulla mascella e una guancia incerottata; sdraiato sul pavimento, distante da loro e prontamente legato con i rimasugli delle tende, ancora rantolante e in preda alle convulsioni – con tanto di bava alla bocca – vi era Austria nella sua versione da Terminator.

« Ci ha sbranati. » Borbottò Antonio, tutto imbronciato, mentre occhieggiava tentato la povera Dolores, prontamente sequestratagli da Germania prima che potesse sfasciargli l’altra metà casa.

Il biondo in questione prese un profondo – molto profondo – respiro, ricercando la pazienza necessaria per non sbraitare contro a quei due perfetti idioti che si ritrovava davanti:

« Ora vado a farmi una doccia. » Sancì, spostando lo sguardo prima dal fratello, poi da Antonio; « Mentre io sarò via, voi due – e qui calcò il tono di voce – rimettete a posto questo bordello. » E l’occhiata che lanciò loro li fece ammutolire prima ancora di aprire bocca e protestare.

« E se non lo facessimo…? » Azzardò Gilbert, allontanandosi per precauzione da Antonio. A quel punto, Ludwig sfoggiò un piccolo sorriso bastardo, di quelli che preannunciano un ricatto coi fiocchi:

« Romano verrà a sapere tutto. E voi di certo non volete mica che si arrabbi, no? » I due impallidirono:

« N-no! Preferisco che sleghi Austria piuttosto! »

« Si, si, meglio Austria che Romanito! »

Germania si alzò, trionfante:

« Allora pulite tutto. » Ordinò. « E questa viene con me! » Agguantò all’ultimo l’alabarda di Antonio; « Sotto sequestro » Asserì, per poi sparire al piano superiore. I due amici sospirarono, rassegnati:

« Beh, a quanto pare dovremo collaborare… » Mormorò Gilbert; « Tregua? » Porse poi la mano verso Antonio che, diffidente, se lo squadrò da capo a piedi. Alla fine sbuffò e gliela strinse.

« Tregua! » Si sorrisero appena, quasi riappacificati.

E, pian piano, le acque si calmarono e tutti vissero felici e contenti—

« MIERDA, AUSTRIA SI È SLEGATO »

« OH PORCA—»

…Un paio di ossa rotte a parte.

 

 

 

 

* « Dimmi che mi stai prendendo in giro, per favore… »

 

Note dell’Autrice:

 

ABBIATE PIETÀ DI UNA POVERA SCRITTRICE DEMENTE.

Allora, parto dal fatto che l’idea mi è venuta in mente per colpa del requiem di Verdi. Il Dies Irae (da cui ho tratto quelle due frasette in lingua arcana) è tanta robbba, andate ad ascoltare che è bello— ma comunque, perdonatemi per questa cagatina nosense ad alto tasso di demenzialità, ‘ché era da tempo che volevo scriverla e solo oggi son riuscita a terminarla-

Spero vi sia piaciuta eeee niente, se volete lasciate pure un commentino su quanto sono tarda LOL-

Bacini,

 

La Tigre Blanche

 

   
 
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