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Autore: lovinfaber    18/07/2016    1 recensioni
[-Creepypasta-]
[-Creepypasta-][-Creepypasta-][-Creepypasta-]Lui: un assassino seriale, sfuggito alla giustizia per diciasette anni. Lei: una giovane costretta a fare del suo corpo una merce. Entrambi reietti (seppure per diversi motivi), sopravvivono in quello stesso mondo che li ha partoriti per poi rinnegarli. In un susseguirsi di incontri casuali, di omicidi, di personaggi che lasciano un segno nelle loro vite, i due si ritroveranno faccia a faccia con i loro demoni.
Avvertenze: contenuti maturi per scene violente e linguaggio forte.
La scelta dei personaggi e della trama è motivata dall'idea di proporre una riflessione (seppure molto parziale) su tematiche come la prostituzione e l'alcooldipendenza.
Eventuali critiche costruttive sono bene accette. Non si accettano commenti offensivi.
I personaggi, i luoghi, le storie e i nomi sono di pura fantasia (ad eccezione di Jeff, di cui non possiedo i diritti). Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.
Genere: Horror, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeff the Killer
Note: Lime, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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I tre bastardi


Arianne Rogers si avvicinò alla scrivania di Mckenzie recante due bicchieri di caffé. A differenza di altri suoi colleghi, la giovane agente non temeva mai di avvicinarsi a Damien, nemmeno quando, torvo in viso, esaminava archivi e files nella speranza di trovare una pista decente al caso a cui stava accoratamente lavorando. Lo vide incollato al computer, mentre cercava notizie inerenti agli omicidi seriali avvenuti negli ultimi anni.

«Smith ha chiesto di vederla.» annunuciò la poliziotta.

Trovarono il dottor Nathan Smith completamente assorto nel guardare la pianta della città affissa al muro, su cui aveva messo dei post-it che segnavano i punti esatti nei quali erano avvenuti i delitti.

« Il nostro uomo non fa distinzione sulla tipologia di vittime.» Esordì il giovane psichiatra « Sembra che esse siano selezionate a casaccio. Ciò che è interessante è la modalità con cui uccide: non ci sono segni di effrazione presso le abitazioni dei malcapitati, pare che trovi il modo di entrare senza essere visto e agisce indisturbato nella notte.»

« E' possibile che segua le vittime per giorni, ne studi i movimenti per poter agire nel momento migliore» si inserì Arianne.

« Esatto. L'altra cosa interessante è l'arma del delitto, la scientifica parla di un oggetto tagliente che non è stato mai rinvenuto sulle scene del crimine, è probabile che si tratti di un suo cimelio. C' è solo una cosa che non mi convince...»

« Cosa?»

«L' omicidio Dewey. In quel caso c'è stato un colpo d'arma da fuoco.»

Intervenne McKenzie: « E' probabile che l'omicida non volesse ucciderlo, o che abbia avuto difficoltà ad usare la sua arma, così ha improvvisato.»

« Non credo, sceriffo. Rispetto alla prima ipotesi, sappiamo che la vittima è stata seguita dal suo aggressore fino a casa, segno che vi era premeditazione; per quanto riguarda la seconda ipotesi, invece, dobbiamo immaginare che recuperare un fucile da una cristalliera richiede molto più tempo che abbattere l'avversario a colpi di fendente, cogliendolo magari alle spalle. Inoltre, la modalità di “esecuzione” del nostro soggetto è sempre la stessa, nella sua psicopatia è molto organizzato, difficilmente romperebbe il suo “schema”.»

« Mi sta forse dicendo che a uccidere Robert Dewey sia stata un'altra persona?»

« Sì, è possibile.»

« Ma le impronte delle scarpe sono le stesse che abbiamo rinvenuto nell'appartamento della famiglia di Wernick!» rispose stizzito lo sceriffo Mckenzie.

« Le mie sono comunque ipotesi, l'unica cosa certa sarà un'indagine più approfondita da fare nell'abitazione di Dewey.»

Quel breve briefing terminò, Damien fu lasciato solo a rimurginare sulle parole di Nathan Smith. Quello stupido strizzacervelli non aveva capito un cazzo di niente: l'assassino di Bob era lo stesso che stava tormentando Oldfield da settimane, non poteva essere altrimenti, e Damien lo avrebbe dimostrato, scoperto, acciuffato e, se fosse stato necessario, avrebbe egli stesso fatto giustizia per il suo migliore amico. Le sue rabbiose elucubrazioni furono interrotte da una segnalazione urgente: il ritrovamento di un cadavere alla stazione di Oldfield. L'assassino aveva colpito di nuovo. Il particolare che gli fu comunicato gli lasciò un barlume di speranza, forse la risoluzione del caso non era poi così distante. Stavolta, la vittima in questione, John Mattews, 39 anni, era stata ritrovata con un pugnale conficcato nel petto: quel bastardo aveva finalmente commesso un passo falso.




Quella sera circolò la voce di un nuovo omicidio in città: di nuovo non si sapeva chi fosse l'assassino, e di nuovo il Sandie's Bar era gremito di gente che, invece di irretirsi di fronte ai pericoli, sembrò incoraggiata a rincorrerli disperatamente tra una sbronza e una scopata.

Non li caveresti via da qui neanche se sapessero che c'è una bomba” pensò Andrea sorniona, mentre uno sfigato cinquantenne dall'alito di fogna le sussurrò all'orecchio: «Quanto?».

Avrebbe voluta metterla sul serio una bomba, precisamente sotto il bancone del bar, per vedere quel bastardo di Frank esplodere in mille pezzi o semplicemente mutilarsi le gambe.

Il motivo di tutto questo era Laura: negli ultimi giorni si era incupita parecchio, parlando quasi a monosillabi. Non fece in tempo a domandarle cosa fosse accaduto, che Laura scoppiò in lacrime. Le raccontò di aver visto Frank con un'altra. Qualche giorno a seguire, il barman aveva portato la sua nuova fiamma al bar: ne ottenne che la ragazza in questione, inorridita dalla gentaglia che frequentava quel posto, non volle mai più mettere piede lì dentro; continuò ad uscire con lui, proponendogli di sbarazzarsi quanto prima del bar e di acquisirne uno in centro, nei quartieri alti. In questo modo, ad ubriacarsi, a fare risse e andare a puttane sarebbe stata gente per bene. Andrea seppe di questi particolari grazie a Sandy, la quale, orgogliosa dell'ormai imminente fidanzamento del figlio con una così brava ragazza, aveva spiattellato tutto proprio in presenza di Laura, guardandola con sadica soddisfazione.

Andrea rimproverò mentalmente anche la sua amica, che si era lasciata soggiogare da quattro stronzate che Frank le aveva detto, forse per rimediare qualche scopata gratis: le aveva detto di amarla, le promise che l'avrebbe portata via da Paul, e lei stupidamente gli credette.

Altrettanto stupida fu la sua amica Mary, il cui corpo divenne cibo per i ratti della discarica, solo per inseguire le sue fantasie.

Le brillarono gli occhi nel ripensare a Mary e allo sguardo spento di Laura, a cui rivolse un'ultima occhiata prima di appartarsi con il suo cinquantenne sfigato dall'alito di fogna.





L'unico appartamento le cui luci erano ancora accese alle due di notte si trovava al terzo piano di un antico palazzo.

C'era un placido viavai di gente che, dal vecchio portone, passava accanto a una corona di fiori e un manifesto funebre: Susan Mathers, di anni 34.

Jeff stette a lungo a fissare nel vuoto di quelle lettere stampate a caratteri cubitali, celato da sciarpa e cappuccio, suoi fedeli compagni di viaggio.

Un brusio che contornava quell'assordante silenzio raccontò la dipartita della giovane avvocatessa: quella mattina non si presentò in tribunale. Ciò aveva suscitato le preoccupazioni dei suoi colleghi, i quali andarono a casa della giovane che sapevano non godesse di buona salute. Dopo varie insistenze fecero aprire la porta dell'appartamento di Susan dal portinaio, che aveva una copia delle chiavi. Trovarono Susan che dormiva beatamente, di quel sonno da cui ti svegliano solo gli angeli. Era fredda, il suo volto era disteso, le sue labbra sembravano accennare a un lieve sorriso, come quello di chi dice addio senza rimpianto alcuno.

Dire che fosse morta sola era sbagliato: Jeff la vegliò in ogni singolo momento, affacciato alla finestra di un appartamento vuoto, che si trovava proprio nel palazzo di fronte. La vide rantolare nel sonno e fermarsi. Per sempre. Tornò a dormire da sola, vegliata da Jeff Alan Woods e dall'unico killer in grado di uccidere le sue vittime dall'interno, silenzioso ed efferato, inafferrabile come la sabbia. Lo chiamano “il male del secolo”, “il bastardo”, “l'alieno”, o semplicemente “cancro”, tanti i nomi ma nessuno è mai stato in grado di sconfiggerlo o condannarlo a morte.

Con questi pensieri, preda di un cordoglio quanto mai alieno al suo modo di essere, prese il primo bus per la periferia di Oldfield.

Il pulman era quasi derserto, ma né la vecchietta che si sedette accanto a lui, né tantomeno il pingue e ignaro autista furono per il killer una beata fonte d'ispirazione per i suoi impulsi omicidi. Jeff ignorò tutto ciò che non era il volto di Susan, impresso come marchio a fuoco nella memoria.

   
 
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