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Autore: Formi    19/07/2016    0 recensioni
Una storia semplice, senza pretese. Racconta dell'amicizia nata ad Amsterdam tra due adolescenti: Agatha e Vincent. I due si trovano sulla stessa lunghezza d'onda e crescono insieme tra un giro in bicicletta e una cioccolata calda, imparando a conoscere non solo l'altro, ma anche se stessi.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una giornata grigia, dei grandi nuvoloni all’orizzonte, probabilmente avrebbe diluviato. Niente di nuovo per Amsterdam e tantomeno per Vincent che come ogni mattina prese la sua bicicletta. Non si preoccupò di prendere l’ombrello, ormai lui e la pioggia erano diventati una cosa sola, dopo tutti i diluvi che aveva conosciuto.
Sapeva di essere in ritardo per la scuola e sapeva che Agatha non sarebbe stata contenta, ma dopotutto le stava per offrire un passaggio in bicicletta. Infatti la trovò lì, dietro l’angolo, ad aspettarlo con le braccia incrociate e il suo zaino azzurro che lei amava definire con maggiore precisione “color cielo”. Vincent ricordava perfettamente il giorno in cui glielo aveva mostrato dicendo “è per rendere un po’ più colorate queste giornate grigie”, quella era un po’ la sua filosofia di vita.
-Vince!- esclamò con tono di rimprovero, appena lo vide arrivare, per poi salire anche lei sulla bici senza dire altro.
La bici correva veloce tra le strade della città che si stava svegliando. Agatha si stringeva forte alla vita di Vince, che correva veloce per non arrivare in ritardo. Il vento era pungente, ma i due amici non ci fecero nemmeno caso, abituati al clima rigido dell’Olanda. Era un giorno come tanti, avrebbero affrontato la lunga giornata di scuola e probabilmente saltato la lezione di storia senza troppi scrupoli. Salutarono come ogni mattina la signora della pasticceria all’angolo della strada, come sempre aveva pronti per loro due croissant alla crema. Per loro era un po’ come una zia, era donna piccoletta, molto aperta, dai modi tranquilli e gentili, sorrideva sempre. Aveva fatto amicizia con i due ragazzi da quando loro le avevano insegnato ad usare il computer che le era stato appena regalato dai figli. Per un po’ di tempo erano andati a casa sua la sera per insegnarle qualcosa, e lei per ringraziarli preparava sempre il tè da mangiare con un po’ di pasticcini.
-Oggi ti ho sognata, sai?- fu Vincent a rompere il silenzio, quella mattina
-Davvero? E cosa facevo?- chiese Agatha, anche troppo sorpresa.
-Stavi dipingendo e non volevi farmi vedere che cosa.
-Che strano… io non so nemmeno disegnare, figuriamoci dipingere. Però mi piacerebbe molto. Sì. Comunque anche io ti ho sognato!
-Davvero? E cosa facevo?- chiese Vince, imitando la voce dell’amica, che provò a trattenersi ma non riuscì a non ridere.
-Niente. Non facevi niente.- rispose Agatha, facendo finta di essere arrabbiata
-Ma ho il diritto di sapere che cosa faccio nei sogni degli altri!
-E va bene. Stavi giocando a calcio, poi a un certo punto sei caduto e ti stava uscendo moltissimo sangue dal ginocchio e…- Vincent dovette frenare bruscamente per non investire un gatto, e Agatha sussultò. Poi continuò a dire:- Non ricordo altro, forse finiva così.
-Beh, del resto mi è successo milioni di volte, se ti impressiono così tanto cercherò di non cadere più durante le partite.
-Ma non mi fai impressione! Forse la ferita…
-Capisco, se devo essere sincero anche io mi impressiono a volte…
-Ti fai impressione da solo?- chiese, ridendo.
Ad Agatha piacevano molto quelle conversazioni del mattino, quando erano ancora un po’ addormentati, soprattutto Vincent in realtà, che si alzava dal letto sempre a fatica. Dentro di sé andava fiera del fatto che con lei Vince fosse così spontaneo, ogni volta che si metteva a ridere per lei era una specie di traguardo. Probabilmente perché era raro che Vincent si lasciasse andare con le persone, per questo motivo molti lo giudicavano freddo, i suoi compagni delle scuole elementari lo avevano addirittura soprannominato “occhi di ghiaccio”. Così Agatha si sentiva una delle poche persone privilegiate che potevano conoscere anche questa parte di lui.
La loro amicizia era molto particolare. Non erano amici da sempre, si conoscevano solo da pochi mesi, eppure si erano subito accorti di essere sulla stessa lunghezza d’onda. Anche se discutevano non litigavano mai, esprimevano opinioni contrastanti ma sempre con una spontanea comprensione dell’altro.
 
Nessuno dei due era nato ad Amsterdam, Vince si era trasferito poco prima dell’inizio della scuola, mentre Agatha circa due anni prima.
Per quanto riguarda Vince, la decisione di trasferirsi con sua madre ad Amsterdam era stata un sollievo, nonostante avesse dovuto lasciare il suo amico Luke e tutti gli altri. Vivere ad Utrecht, tuttavia, era diventato impossibile, in casa si respirava una tensione sempre maggiore a causa delle continue e pesanti discussioni dei suoi genitori che, per come la pensava Vincent, erano rimasti insieme fino a quel momento solamente per lui. Probabilmente non era stata una grande idea, la situazione era diventata tale che fu lui stesso ad urlare, con una rabbia che probabilmente non aveva mai provato prima: “Allora, cosa aspettate a divorziare?”. Suo padre e sua madre quel giorno erano rimasti senza parole, nonostante che fino a quel momento avessero continuato a dirsi cose terribili e decisamente esagerate. E se era stato per Vincent che i due avevano deciso di stare insieme e di formare una famiglia, allo stesso modo fu per Vincent che decisero di separarsi. Dopo quel giorno cambiò tutto: i genitori, una volta presa la definizione definitiva, si erano come liberati di un peso. Erano improvvisamente rilassati e sereni, avevano perfino smesso di litigare.
In quel breve periodo di Vincent riuscì a recuperare il suo rapporto con loro. La madre di lì a poco ottenne il trasferimento del suo lavoro ad Amsterdam, dove trovò un appartamento abbastanza spazioso vicino al canale. Inutile dire che Vince continuò per molto tempo a domandarsi se avesse fatto bene a proporre lui stesso il divorzio come soluzione, eppure almeno quella volta la sua impulsività non sembrava aver provocato effetti negativi. La madre, che aveva appena quarant’anni, per lo stress di quegli ultimi anni era invecchiata precocemente, ma da quando erano iniziati i preparativi per il trasferimento il suo viso appariva più rilassato, rideva e sorrideva spesso, era tornata quella dolcezza che, secondo il parere della nonna di Vince, l’aveva caratterizzata durante la giovinezza. Diventò persino più bella.
Il padre invece riprese a suonare la chitarra dopo alcuni anni in cui l’aveva abbandonata vicino all’armadio del ripostiglio. Vincent rimase molto sorpreso da questa evoluzione inaspettata degli eventi, tanto che iniziò a pensare che si sarebbe sistemato tutto tra loro e che si sarebbero riconciliati. Ma così non fu.
Probabilmente nonostante avessero tante cose in comune, erano due persone che avevano bisogno di libertà, e insieme non riuscivano a trovare un equilibrio.
L’unica cosa che davvero dispiaceva a Vincent era di dover allontanarsi non solo da suo padre, ma dal suo migliore amico Luke, una delle poche persone con cui si sentiva davvero libero di essere se stesso. Si chiedeva se sarebbe riuscito a trovare qualcun altro con cui confidarsi, una volta ad Amsterdam, ma aveva dei seri dubbi a riguardo.
Quando Vince aveva detto a Luke che presto si sarebbe trasferito, lui era rimasto senza parole per qualche istante, per poi dire:
“Ma come, mi abbandoni? Possibile che tra tutti i deficienti che popolano questa città sia proprio tu ad andartene, unico essere dotato di cervello?” poi sospirò, e con una faccia più seria continuò: “Ma a parte gli scherzi, mi mancherai, amico.” Luke tese la mano e Vincent gliela strinse. Sapevano essere molto solenni in certe situazioni.
Quella sera fu proprio con Luke che Vincent finì per sfogare anche le più insulse di preoccupazioni. Non riusciva spesso a sfogarsi e a mostrare le sue debolezze ma Luke era una delle poche persone che riuscivano a far venir fuori anche questo lato di lui.
“Prova a sorridere di più, ad Amsterdam” gli disse prima della partenza “E forse… dico forse, troverai anche una bella ragazza. Forse”
“Quante volte vuoi continuare a ripetere la parola forse, dubitando del mio fascino?” E fu così, con una risata e un abbraccio, che i due si lasciarono, promettendosi di scriversi molte mail e di vedersi spesso.
Durante il viaggio che l’avrebbe separato per sempre da casa sua e che l’avrebbe catapultato in una nuova realtà, l’Olanda gli era sembrata più bella. Non sapeva come avrebbe affrontato la nuova scuola, né come sarebbe riuscito a fare nuove amicizie, non sapeva neppure cos’avrebbe mangiato a cena e se il letto della sua stanza sarebbe stato comodo. Anche se una parte di lui già rimpiangeva le partite a calcio con suo padre e le chiacchierate che facevano durante le serate estive, l’altra parte era felice e dentro di lui stava nascendo una nuova forza. I cambiamenti hanno bisogno di coraggio, presentano un rischio e possono spaventare, ma in alcuni casi sono necessari.
Anche se la madre di Vincent gli era apparsa così rilassata e anche se non voleva darlo a vedere era preoccupata per il figlio. Conoscendolo aveva paura che non si ambientasse nella nuova città, che la scuola non gli piacesse, e di tante altre cose che delle quali solo una madre riesce a preoccuparsi. Si dava un po’ la colpa di quell’apparente chiusura del figlio, probabilmente non era stata abbastanza affettuosa con lui, non era facile nemmeno per lei dimostrare quanto gli volesse bene.
Quando erano arrivati nell’appartamento Vincent si era sentito per un attimo sperduto, sarebbe riuscito a chiamare “casa” quelle mura, quei mobili, quelle stanze?
-Vince, ci guardiamo un film insieme oggi?- Gli aveva chiesto la madre, quella sera, e forse se fosse stata una giornata normale avrebbe rifiutato, ma come dirle di no? Probabilmente la madre si era sentita più sperduta di lui.
Quella notte Vincent non riuscì a dormire bene, continuava a svegliarsi durante la notte, a rigirarsi nel dormiveglia facendo incubi che il giorno dopo gli lasciarono solo molta ansia. Si alzò dal letto un’ora prima del suono della sveglia, si sentiva debole e aveva una faccia terribile, le guance rosse e i brividi. Probabilmente gli stava salendo la febbre ma dopotutto quello sarebbe stato il suo primo giorno di scuola, così decise di far finta di niente. Lentamente si preparò un’enorme tazza di caffè e si preparò. Nonostante la sua lentezza era comunque troppo in anticipo quando la madre si svegliò lo trovò seduto sulla poltrona che guardava in un punto imprecisato, un po’ incantato.
-Vince? Tutto bene?
-Si, si- mentì lui. Poi si alzò dalla poltrona e prese lo zaino –Ci vediamo stasera.-
-Buona scuola tesoro- sua madre non l’aveva mai chiamato “tesoro” e gli fece un po’ impressione, ma non disse nulla.
Uscì dall’appartamento e per un po’ si sentì disorientato, scese le scale e uscì dall’edificio. Solo dopo si ricordò del biglietto dell’autobus, e dovette tornare indietro. Trovò sua madre che lo aspettava sulla soglia della porta col biglietto in mano.
-Grazie mamma, a dopo.- La madre gli lanciò uno sguardo preoccupato, poi tornò dentro casa, sospirando.
 
Vincent si diresse verso la fermata dell’autobus, ma per strada non poté fare a meno di entrare nella pasticceria dietro l’angolo, che emanava un profumo di dolci a dir poco paradisiaco. In quello stesso momento Agatha stava parcheggiando la sua bicicletta rosa lì vicino e si ritrovarono a entrare nello stesso momento. Vincent la fece passare senza pensarci troppo e lei gli sorrise. Agatha sorrideva spesso alle persone, anche se non le conosceva. Aveva una sua filosofia: se i bambini sorridono a tutti senza nessun problema perché gli altri non possono? Del resto è solo un sorriso, no? Non è niente di male, e può fare la differenza in molte occasioni.
Sul momento Vincent rimase un po’ sorpreso, dato che le persone che incontrava di solito erano abbastanza serie, ma le sorrise anche lui perché non sapeva che altro fare. Continuava anche a sentirsi la febbre, quindi non riusciva a fare grandi ragionamenti.
Quando entrarono li accolse una simpatica signora alta e un po’ robusta con gli occhi chiarissimi e un’aria particolarmente allegra.
-Ciao Agatha! Tutto bene?- le chiese. Evidentemente si conoscevano
-Ciao! Sì, tutto bene, grazie!
-Ti preparo il solito?- Agatha annuì
-E tu? Dimmi pure. - disse rivolgendosi a Vincent, che in quel momento stava pensando a prendere qualcosa per la febbre e si scosse.
-Come? Oh, sì. Un muffin alla vaniglia e uno al cioccolato.- La signora lo guardò stupita e chiese ad Agatha:
-Ma vi conoscete? Siete amici?- Agatha, sorpresa come la signora e un po’ divertita rispose:
-No! Mai visti prima d’ora!-
-Allora è proprio una bella coincidenza, eh?- Vincent continuava a non capire, poi vide che la signora aveva preparato due sacchetti esattamente uguali e con gli stessi due muffin.
Vincent, un po’ imbarazzato, si era limitato a prendere il suo sacchetto senza dire nulla. Mentre pagava la signora approfittò per chiacchierare un po’.
-Ti sei trasferito da poco?
-Sì.
-Quanti anni hai?-
-Diciassette- rispose, sorridendo. Anche se era un tipo chiuso a Vince piacevano molto le persone amichevoli, in realtà gli sarebbe piaciuto molto essere così.
-Davvero?- disse Agatha, sorpresa. –E vai alla scuola qui vicino?-
-Sì.
Dicendo questo Agatha uscì dal negozio, prese la bici e scappò via, sotto gli occhi stupiti di Vincent, che non riusciva a capire il motivo di quella fuga improvvisa. Agatha dentro di sé stava morendo di vergogna e aveva la faccia rossissima. Si maledii per essere stata di nuovo così sfacciata e per essere sembrata così inappropriata, o almeno lei vedeva le cose in questo modo. Le veniva spontaneo comportarsi così, ma dentro di sé se ne vergognava parecchio. Ogni volta provava a essere più discreta, ma finiva sempre per parlare con le persone più disparate, e se da una parte le piaceva, dall’altra ripensandoci le veniva voglia di scappare il più in fretta possibile. Le persone avevano una buona impressione di lei, ma come spesso accade, pensava troppo per riuscire ad interpretare le cose che le succedevano in modo davvero obiettivo.
-Eh sì, è una cara ragazza. Tu come ti chiami?- aveva detto subito dopo la signora.
-Mi chiamo Vincent
-Ma è un nome bellissimo! Allora a presto Vincent!-
-A presto!-
Nonostante si fosse trattenuto più di quanto aveva previsto, Vincent era ancora troppo in anticipo. Così decise di andare in farmacia e si comprò una pastiglia, dato la febbre lo stava mettendo KO e non aveva intenzione di mancare da scuola proprio quel giorno.
La medicina fece effetto poco dopo, continuò a sentirsi un po’ debole ma la giornata passò tranquilla. Imparò in fretta i volti e i nomi dei suoi compagni di corso ma non parlò con nessuno di essi.  Si accorse che molti di essi lo guardavano, incuriositi, ma non gli dissero una sola parola.
I vari insegnanti che incontrò gli fecero qualche domanda riguardo il trasferimento, furono molto gentili con lui, anche se ai suoi occhi avevano dei modi un po’ troppo affettati.
Trascorse la pausa pranzo sotto un albero, in giardino, e poco prima di tornare a lezione si informò riguardo ai corsi sportivi e le varie squadre della scuola.
La giornata passò molto tranquilla, quasi noiosa, e quando tornò a casa si sentì sollevato: anche il primo giorno di scuola era passato. In fondo avrebbe voluto fare amicizia con qualcuno, ma non aveva idea di come approcciarsi alle persone, e le persone non avevano idea di come approcciarsi con lui.
Per qualche motivo si era aspettato di incontrare di nuovo Agatha, eppure non la vide ne’ quel giorno, né il successivo, né quello dopo ancora.
 
-Come ti è sembrata la nuova scuola? Hai conosciuto qualcuno?- gli aveva chiesto Luke una settimana dopo, al telefono
-E’ una bella scuola e no, non ho conosciuto nessuno.
-E le persone che frequentano il tuo corso?
-Boh
-Capisco. Tutto okay?
-Sì
-E’ difficile parlarti al telefono, eh?
-Un po’.- Luke rise, e fece ridere anche Vince, perché la sua risata era contagiosa.
-Vedrai che riuscirai a fare amicizia con qualcuno. O che qualcuno riuscirà a fare amicizia con te.- Vincent sospirò. Si era immaginato che sarebbe stato difficile, ma non così tanto. La verità era che in quella prima settimana lì ad Amsterdam si era sentito solo, anche se non voleva ammetterlo. Sapeva bene che difficilmente le persone della sua scuola si sarebbero prese la briga di rivolgergli la parola, forse per la sua aria seria. La madre gli aveva sempre detto che era come un porcospino: le persone lo guardano da lontano incuriosite ma difficilmente si avvicinano, per paura di spaventarlo oppure per paura di essere punte dalle sue spine.
-Però non buttarti giù, la prima settimana sarebbe difficile per tutti!- E in fondo Luke aveva avuto ragione. Dopo la prima settimana Vincent iniziò ad abituarsi alla solitudine e a parlare di più con la madre.
-E’ un regalo di scuse, del resto i veri olandesi vanno in giro in bicicletta, non usano gli autobus.- disse la madre dopo essere tornata da lavoro in uno di quei giorni così grigi da sembrare quasi in bianco e nero.
-Scuse per che cosa?
-Per tutto.
Forse solo in quel momento Vincent si rese davvero conto di quanto la madre si era preoccupata per lui. Era stato troppo occupato ad ambientarsi per pensare a lei. Per la prima volta dopo davvero tanti anni, la abbracciò senza vergogna e le disse:
-Non importa. Non ti devi preoccupare. Grazie.
La madre, che sapeva quanto faticasse il figlio a dimostrare il suo affetto, quasi si commosse.
   
 
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