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Autore: Leonhard    23/07/2016    7 recensioni
"Wilde, hai una zampa rotta". "Dimmi qualcosa che non so, Savage". La volpe era in ginocchio nella polvere, con le zampe rivolte verso il cielo; impressa negli occhi ancora la sagoma di Alopex e l'espressione sul muso di Judy. Terrore. "Per esempio da che parte stai: quanto ti paga Bellwether per ammazzarci tutti?".
il tanto atteso (spero) seguito di THE WILDE CASE
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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1. La sera prima

L’appartamento di Nick era un campo di battaglia, come sempre. Aveva ridacchiato genuinamente divertito quando la coniglietta ottusa gli aveva fatto notare che sembrava la scena di un furto finito in tragedia, ma da quello che sapeva lui non era un reato vivere in quello che lui chiamava ‘disordine ordinato’.

“Disordine ordinato” ripeté Judy, ironicamente colpita.

“È un ossimoro, Carotina” fu la sua sagace risposta. “E adesso chiedimi cos’è un ossimoro”.

“Lo so cos’è!” sbottò lei, imbronciata. “Non hai mai pensato, che ne so…di mettere in ordine?”. Nick la guardò come se gli avesse detto la più orribile delle cattiverie.

“Non potrei mai fare una cosa del genere al mio appartamento!” esclamò lui. “Piuttosto…com’è che sai del mio appartamento?”. La coniglietta si paralizzò sul posto combattendo per non lasciar cadere il frullato di sedano. “E un’altra cosa…che c’entra Bellwether con te?”.

“Ehm…Nick…” mormorò lei, a disagio. “Forse è meglio che ti racconti come sono andate le cose in tua assenza.

Fu un racconto molto confuso, intervallato da qualche silenzio e da un paio di balbettii, ma la fine era stata più o meno quella che lui avrebbe definito normale.

“Quindi fammi capire” borbottò lui passandosi una zampa sul muso, dimentico del suo sacchetto di more selvatiche. “Io ti avevo detto di starne fuori perché me ne stavo occupando io”.

“Nick…” mormorò lei, ma la volpe continuò. “Per tutta risposta, tu entri nel mio appartamento senza un mandato…”.

“Senti…”.

“Vai a chiedere a mr.Big, che sai che mi sopporta a stento…”.

“Lo so, ma…”.

“E tanto per non farci mancare nulla paghi la cauzione di Bellwether”. Si volse verso di lei con occhi torvi. “Sinceramente non so se essere lusingato per la tua ansia oppure arrabbiato per tutto il casino che hai combinato”.

“Senti, ero preoccupata va bene?” esplose lei. “Non avevo tue notizie, non sapevo dov’eri e cosa stavi facendo, con chi eri…”.

“Non è la prima volta che lavoriamo separati” fece presente lui.

“Si, ma non così!” esclamò lei.

“Esatto” esclamò lui. “Ma sei diventata matta a far uscire quella pecora di galera? Non hai mai pensato al fatto che potesse essere tutta una sua trovata? Sai di cos’è capace quella la!”. Si avviò per la strada, scuotendo la testa. “Adesso mi spiego questa trovata della squadra suicida…”.

Judy gli trotterellò dietro, senza trovare il coraggio di dire una parola. Colse per un istante l’espressione sul muso: era corrucciata, pensierosa. La coniglietta gli si affiancò e lo afferrò per un braccio.

“Dai Nick…” mormorò. “Posso dire a mia difesa che se tu ti fossi spiegato non sarebbe successo nulla”.

“Aspetta un secondo” replicò lui. “Per caso…no, dico per caso…stai dicendo che la colpa è mia?”.

“Beh, sei tu che hai fatto l’agente segreto” osservò lei, con un sorrisetto.

“L’infiltrato” puntualizzò lui. “Ed in qualità di infiltrato, avrei dovuto lavorare in incognito: a sentire te, avrei dovuto anche chiamare mia madre e dirle che stavo usando il golfino!”.

“Quello l’ho fatto io” replicò Judy. Nick le indirizzò un’occhiata penetrante.

“No, non è vero” constatò dopo qualche secondo.

“Non è vero” assentì lei, con un sorrisetto colpevole.

Arrivarono davanti all’appartamento di Judy e si salutarono. Nick era ancora curvo sulla stampella e la fasciatura attorno al suo busto era evidente sotto la camicia, ma era sempre il solito Nick.

Il SUO Nick

Di nuovo quel pensiero. Era strano, ma in qualche modo giusto. Judy deglutì, seguendolo con lo sguardo. Si soffermò sulla sua coda: ondeggiava pacata, seguendo l’andatura scoordinata delle zampe. La guardò finché non svoltò l’angolo, sparendo dalla sua vista.

Sospirò ed entrò in camera, gettandosi d’istinto sul letto: non si era resa conto di quanto fosse stanca e come avrebbe potuto? Troppe emozioni in un giorno solo per una coniglietta emotiva come lei. Proprio Bogo, che li aveva definiti i due migliori agenti dell’intera città. Addirittura!

Avrebbe fatto parte di una squadra di agenti scelti. Davanti a quella consapevolezza, i suoi pensieri si scostarono da quel bizzarro senso di appartenenza nei confronti del collega per portarla ad interrogarsi sugli altri membri della squadra.

Jack Savage, aveva detto Bogo.

Jack Savage



“Jack Savage?!” esclamò Finnick. “Ma che stai dicendo?”.

“La verità” replicò Nick, sorseggiando il suo cocktail alla fragola. “Perché, mi hai mai sentito dire altro in vita tua?”.

“No, Nick; questa è una cosa seria” disse il fennec. “Stiamo parlando del Jack Savage che conosciamo?”.

“Proprio lui” replicò la volpe, abbandonando la sua solita espressione sagace. “Proprio QUEL Jack Savage”.

“E dici che…” mormorò Finnick stringendo il bicchiere. Nick lo guardò con occhi seri.

“Se si ricorda?” concluse. Stette un momento soprappensiero, poi fece una spalluccia. “Mi stupirei del contrario: la nostra non deve essere una nota molto positiva sul suo curriculum”.

“Specie in coppia con quella Alopex” osservò lui. “La conosco solo per fama…”.

“Beato te…” replicò lui. “Sinceramente avrei preferito evitare di far squadra proprio con quei due”.

“E Hopps?”. Nick si volse a guardarlo con un ghigno.

“Ah, lei era in solluchero” replicò con un ghigno divertito. “Avresti dovuto vederla: si sarebbe messa a zampettare in giro…anzi, forse l’ha fatto…”.

“Non ha la minima idea, vero?” chiese.

“No” fu la risposta. “Lei era solo al settimo cielo per essere stata definita la migliore agente della città da capitano Non-mi-interessa: credo persino che non abbia idea di chi sia Savage”. Finnick rise per la prima volta nella serata.

“Impossibile!” esclamò.

“Non esiste questa parola quando si parla della coniglietta ottusa” sentenziò Nick, con tono solenne. “Per esempio, diresti che è impossibile che un agente di polizia faccia irruzione in un appartamento scassinando la serratura senza nemmeno un mandato”.

“Quanti film piratati ti ha beccato in casa?” chiese l’amico sorseggiando il suo bicchiere. Regnò il silenzio per qualche secondo, poi i due finirono i drink e si alzarono; Nick abbandonò una banconota da cinque sul bancone ed uscirono dal locale.

“Nicolas Wilde” borbottò Finnick. “Judy Hopps, Jack Savage e Alopex la Duecento”.

“A grandi linee” replicò lui. “Praticamente il Dream Team, no?”. Il fennec non rise e Nick lo capì: effettivamente c’era veramente poco da ridere. Molto poco. Cadde nuovamente il silenzio tra i due e ne approfittarono per raggiungere il furgoncino.

Finnick salì al posto di guida e Nick si allontanò, ascoltando il vecchio motore partire con un colpo di tosse ed uno sgraziato stridere della cinghia. Sembrò riflettere, poi si volse verso di lui.

“Wilde…” borbottò. La volpe drizzò le orecchie; ci fu sorpresa nei suoi occhi solo per qualche istante, poi fu rimpiazzata da una sconsolata consapevolezza. Entrambi sapevano, l’avevano sempre saputo. Era l’unica regola esistente ed infrangibile nel loro giro di affari.

I cognomi prendono distanza: sono sterili, compassati, impersonali; aggiungono professionalità anche dove non esiste o ne manca il bisogno. E loro lo sapevano, si erano sempre guardati bene dal chiamarsi per cognome ma li avevano imparati, ben sapendo che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbero dovuto prendere le distanze.

“Quindi ci siamo…” borbottò Nick, mettendosi la mano libera in tasca.

“Ci siamo divertiti in questi anni no?” azzardò Finnick. Lui annuì, con un sorriso tirato. Sospirò. “Mi tiro fuori, Nick” disse, come se non fosse ovvio. “È una cosa troppo grossa: per te è pane quotidiano e lo capisco, ma io? Io sono solo un trafficante di ghiaccioli e da certe cose voglio starne alla larga”. La volpe sospirò ed annuì.

“Certo” disse. “Stai fuori da questa storia”. Non c’era rabbia, risentimento, nemmeno ironia o sarcasmo nella sua voce. Nick Wilde serio era uno spettacolo raro e quella sera il cielo di Zootropolis ebbe il privilegio di assistervi.

“Non può che finire male, lo sai vero?” chiese Finnick ingranando distrattamente la marcia ed ascoltando grattare la frizione. “Quattro elementi come voi nella stessa squadra…non può finire bene”.

“Lo so” annuì Nick. “Finirà molto male”.

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Il fennec partì ed il furgoncino svoltò l’angolo, sparendo per sempre dalla vita della volpe. Lui sospirò e scosse la testa, poi si avviò verso il suo appartamento, con le orecchie basse ed un’espressione pensierosa sul muso.

Non finirà bene…
   
 
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