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Autore: Vavi_14    26/07/2016    3 recensioni
«Quando è successo?»
Il più piccolo del gruppo si avvicina alla finestra con passo incerto, scrutando le gocce di pioggia che picchiano ritmicamente sul vetro. La mano destra che tormenta in modo nervoso i capelli dietro la nuca e la mascella contratta rivelano uno stato d’animo inquieto e scostante.
Yoongi alza gli occhi dal suo portatile, getta uno sguardo verso Jungkook, per poi incrociare le iridi con quelle di Namjoon, seduto su una poltrona dall’altra parte del soggiorno. Hoseok si avvicina lentamente a Jungkook, cerca un contatto visivo ma lui pare evitarlo, scuote la testa e fa un breve cenno della mano per indicargli di aspettare. Jimin ha smesso di tormentare Taehyung e ora entrambi sono in piedi, in attesa del verdetto che il loro compagno annuncerà una volta terminata la chiamata. Anche Jin, stupito dall’improvviso silenzio che è calato in casa, spegne i fornelli per andare a controllare cosa sta succedendo. [...]
[Jungkook centric]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA. Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei fare una piccola premessa. In genere tratto l’angst e le storie drammatiche senza problemi, poiché sono tematiche che mi piace indagare. Farlo con persone “reali” non è stato facile, perché auguro ad ognuno di loro ogni bene possibile (insomma, qui siamo tutti fan, no?). Però questa è una fan fiction, gli eventi narrati sono frutto della mia immaginazione e nient’altro. L’unica differenza è che ho voluto ambientarla nel “loro mondo”, quindi il tutto è divenuto un pochino più realistico. Che non me ne vogliano i Bangtan. Detto questo, vi auguro una buona lettura e vi ringrazio per aver dato una possibilità a questa fan fiction. È il mio secondo tentativo sul fandom: siate clementi e se vi va lasciatemi un commentino anche piccolo. Mi farebbe davvero tanto piacere.

(fighting!)Vavi

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«Quando è successo?»

Il più piccolo del gruppo si avvicina alla finestra con passo incerto, scrutando le gocce di pioggia che picchiano ritmicamente sul vetro. La mano destra che tormenta in modo nervoso i capelli dietro la nuca e la mascella contratta rivelano uno stato d’animo inquieto e scostante.

Yoongi alza gli occhi dal suo portatile, getta uno sguardo verso Jungkook, per poi incrociare le iridi con quelle di Namjoon, seduto su una poltrona dall’altra parte del soggiorno. Hoseok si avvicina lentamente a Jungkook, cerca un contatto visivo ma lui pare evitarlo, scuote la testa e fa un breve cenno della mano per indicargli di aspettare. Jimin ha smesso di tormentare Taehyung e ora entrambi sono in piedi, in attesa del verdetto che il loro compagno annuncerà una volta terminata la chiamata. Anche Jin, stupito dall’improvviso silenzio che è calato in casa, spegne i fornelli per andare a controllare cosa sta succedendo.

Quando Jungkook si volta finalmente verso gli altri, i suoi movimenti sono incerti, quasi scattosi. Hoseok gli stringe una spalla, confortandolo, e spera che quel gesto lo spinga a dar voce a tutte le emozioni che nel giro di pochi secondi gli hanno attraversato le iridi scure come un treno in corsa.
«Mio nonno ha avuto un infarto. È ricoverato all’Ospedale Centrale di Seoul». Trapela quasi apatia da quelle poche parole, maschera di una sofferenza che è giunta inaspettata e troppo velocemente per essere compresa e assimilata in così poco tempo.
Jin si avvicina d’istinto, gli altri lo seguono quasi in automatico. «Jungkookie» sussurra, e nel frattempo la stretta di Hoseok comincia a far male, tanto è serrata.
Il respiro di Jungkook non è più stabile come prima; sembra che l’ossigeno presente nell’aria sia stato completamente assorbito, avvolgendo la stanza in una bolla di totale apnea.
Tutti loro, nessuno escluso, sanno quanto quel nonno affettuoso e cagionevole di salute abbia significato per Jungkook. Prima del fratello e dei genitori, fu il padre di sua madre ad indirizzarlo verso una scuola che gli avrebbe permesso di inseguire i suoi sogni; quando ancora ballare sembrava solo un altro insignificante passatempo per evitare lo studio e cantare il suo degno alleato, fu il nonno a credere nelle sue capacità più di chiunque altro. Sorrideva sempre, diceva Jungkook, e raccontava storie avventurose sulla sua adolescenza: che poi fossero vere o meno, Jungkook non se l’era mai chiesto. A lui bastava rimanere ore intere ad ascoltarlo per trovare quella forza che gli mancava, la stessa che lo avrebbe guidato verso la giusta direzione da prendere.

L’espressione di Taehyung è distrutta quasi quanto la sua. «Saranno sei ore di pullman da qui.Vai!»
Ha parlato senza pensare, come sempre, dimenticandosi di consultarsi con Namjoon e ignorando come se niente fosse la lunga scaletta di impegni previsti per i giorni a seguire, incisi a caratteri grassetti sulle loro schedules.
Gli occhi di Jungkook tradiscono un barlume di speranza che Namjoon non si fa sfuggire.
«Io.. » ci prova, sa che non è giusto e non vuole approfittarsene, ma il leader è più veloce.
«Sono d’accordo» conferma con un cenno del capo, guardando poi gli altri membri e ricevendo anche da loro un cenno in risposta.
«E gli impegni di questa settimana? Domani abbiamo quell’intervista con-».
«Non preoccuparti, non è un problema».
«Ma il manager, lui-».
«Ci penseremo noi ad avvertirlo» interviene Jin, accennando un debole sorriso.
Jimin gli afferra un braccio, nell’esatto momento in cui Hoseok lascia la presa. «Prepara i bagagli».
Jungkook lo guarda, poi guarda gli altri e sente gli occhi pizzicare, ma sa che non è il momento di piangere. Suo nonno gli ha insegnato anche ad essere forte nelle situazioni difficili.
«Grazie» riesce a dire, fuggendo in camera sua a testa a bassa per recuperare ciò di cui avrà bisogno durante il viaggio.


 
*



Apre l’armadio e prende qualche vestito a caso, poi lo infila nello zaino. Probabilmente non potrà star via per più di tre giorni, quindi recupera solo l’essenziale, cercando di fare in fretta. Non sa ancora come farà a trovare un pullman che lo porterà a Seoul nel giro di qualche ora, ma ha la testa troppo dolorante per pensare. Ancora non si rende conto di ciò che è appena successo, per questo quasi sobbalza quando Taehyung bussa alla porta appena accostata ed entra in stanza.
«Ti serve aiuto?» domanda cauto, scrutando il disordine sul letto di Jungkook. Non che non ci sia abituato, camera sua è un’oasi di oggetti non ben identificati sparsi sul pavimento.
Il più piccolo scuote la testa e prova a sorridere, ma i muscoli del suo volto sono troppo contratti, così finisce per rinunciare. «No, ho finito. Grazie».
«E quello?» Taehyung indica un cavo nero abbandonato ai piedi della scrivania. Il caricabatterie del cellulare.
Jungkook si ferma sul posto, lancia un’occhiata al più grande, poi recupera la presa da terra.
«Devi farci sapere» aggiunge l’altro, sventolando un dito per aria. Questa volta Jungkook sorride. «Certo».

Quando tornano in soggiorno Namjoon annuncia che il Manager avrebbe mandato un suo collaboratore entro un’ora, il quale avrebbe accompagnato Jungkook sino all’ospedale di Seoul, ma che poi per il ritorno non poteva garantire nulla. In ogni caso si sarebbe occupato personalmente di spedirgli i biglietti del pullman già pagati.
«Ti avrebbe accompagnato lui stesso, ma non si fida a lasciarci soli» confessa il leader, alzando le spalle.
Il più piccolo annuisce e poco dopo si siede assieme agli altri sui cuscini del divano, ascoltando qualche commento dei compagni sulla comparsa a sorpresa che avrebbero dovuto fare due giorni dopo in un programma televisivo. Le parole, però, sembrano scivolargli addosso, e riesce solo ad osservarli da lontano, come se quel corpo in cui vive fosse divenuto improvvisamente non suo. Il citofono lo risveglia dallo stato di trance e lo fa scattare in piedi, pronto a partire.
Abbraccia nervosamente tutti, non si lamenta di qualche pacca sulla schiena troppo forte e lascia l’appartamento ripensando alle ultime parole che gli ha rivolto Taehyung: «Mi raccomando, appena si sveglia salutamelo!»

 
*



Appena arrivati, Jungkook insiste a voler proseguire da solo, ma il collaboratore del Manager è categorico: sarà scortato da due guardie del corpo almeno fino all’entrata dell’ospedale. Inforca gli occhiali da sole anche se fuori diluvia e tira su il cappuccio della felpa perché non ha voglia di aprire l’ombrello. Quando arriva nella sala d’aspetto è zuppo dalla testa ai piedi e china più volte il capo per chiedere scusa alla guardia che gli aveva intimato ripetutamente di non bagnarsi e prendere freddo. La sua  salute, in questo momento, è l’ultima cosa che gli interessa.
Quando finalmente raggiunge il reparto, vede sua madre in fondo al corridoio aprire le braccia e correre verso di lui, seguita dal padre e dal fratello maggiore. Si sente stritolare e ricambia l’abbraccio con foga; dall’ultima volta che li ha visti non è passato poi molto rispetto al solito, forse due mesi, eppure la gioia di poterli sentire di nuovo vicini è sempre inestimabile. Jungkook dice spesso che i ragazzi del gruppo sono la sua famiglia, ma ognuno di loro, in cuor suo, sa che certi affetti non si possono rimpiazzare in alcun modo.

«Il nonno dov’è?» chiede subito, guardando alle spalle di suo padre come se potesse vederlo zoppicare per il corridoio da un momento all’altro.
La madre tira fuori un fazzoletto della borsa e si soffia il naso. «In sala rianimazione».
«Posso vederlo?»
«No tesoro» risponde la donna mestamente. «Ancora non abbiamo saputo molto, sono ore che è lì dentro».
Il padre spiega brevemente a Jungkook l’accaduto, dice che i paramedici sono stati molto efficienti nel soccorrerlo e l’operazione è durata parecchie ore; ora non resta loro che aspettare e vedere come il nonno reagirà all’intervento.
«Ci hanno detto che è stabile, ma sarà in pericolo fin quando non si sveglierà» gli sussurra il fratello, cingendogli una spalla.
Jungkook non replica, sente che le corde vocali non lavorano come dovrebbero.
«Tu come stai? I ragazzi?» chiede la madre cercando di cambiare discorso, lasciandogli una carezza sul capo.
«Bene. Stanno tutti bene». Evita la prima domanda perché obiettivamente non sa rispondere. Ringrazia con un cenno suo padre che gli passa una bottiglietta d’acqua e beve fino a sentire il liquido rinfrescargli la gola arida.

Verso sera i medici accordano loro il permesso di vedere il nonno entrando uno per volta con  gli opportuni indumenti sterili. Jungkook è l’ultimo: non sa bene come comportarsi, il chirurgo gli ha detto che se vuole può parlargli, ma la sua presenza gli sarà molto più d’aiuto nel momento in cui questi si sveglierà. E Jungkook continua a domandarselo dal momento in cui ha messo piede in ospedale, se davvero gli sarà concesso tornare a scrutare gli occhi piccoli e vispi del nonno. Non è cinico, ma cerca sempre di essere realista, nonostante spesso fatichi a camuffare quei sentimenti che si manifestano in lui con così tanta irruenza.
«Tu sei una persona sensibile, Jungkook. È una qualità che devi imparare ad accettare, in modo che anche gli altri imparino ad amarla».
Ma nonostante le incitazioni del nonno, Jungkook aveva sempre cercato di limitare quel lato di se stesso, credendo che porre un freno alle proprie emozioni fosse un buon modo per superare le difficoltà uscendone indenni. La vita, ovviamente, gli aveva sbattuto in faccia esattamente il contrario, e così, pian piano, aveva iniziato ad aprirsi con qualcuno, confessando talvolta le sue paure a Taehyung o chiedendo consiglio a Jin.

«Hai tre giorni per svegliarti, nonno. Lo sai quant’è categorico il Manager».

Nel momento in cui lo dice, immagina suo nonno rimproverarlo per quell’ingenua arroganza che talvolta manifestava quand’era piccolo e che tutt’oggi torna a fare capolino al momento giusto.
Non trattiene una lacrima che gli bagna la guancia e si estingue subito tra le pieghe della mascherina verde. Vorrebbe lasciarsi andare, ma sente che non è ancora il momento: lì fuori c’è sua madre che lo guarda e sa di dover essere forte anche per lei. Si volta e la scorge appoggiata al vetro, le fa un cenno con la mano, poi saluta il nonno con un bacio sulla fronte e raggiunge il resto della famiglia.


 
*



Casa Jeon è esattamente come la ricordava. Tornare a dormire nella sua vecchia camera gli procura un’ondata di malinconia rivestita di bei ricordi.
Si china a contemplare la pila di videogiochi riposti ordinatamente – da sua madre, immagina - sotto il televisore: quei mondi fantastici rappresentavano per lui una valvola di sfogo, un luogo in cui nascondersi quando ancora spiegarsi non era facile. Aveva solo bisogno di tempo, Jungkook, perché mai, neanche per un secondo, aveva pensato di rinunciare a quella vita che inizialmente sembrava tanto irraggiungibile.
Accende la consolle e pensa quasi di farsi una partita, quando il cellulare squilla. È già passato più di un giorno dalla sua partenza, ma i ragazzi sanno che a Jungkook servono i suoi spazi: ha ricevuto solo un messaggio da Namjoon, al quale ha risposto quasi nell’immediato, con poche parole.
«Pronto».
«Jungkookie!». La voce di Jimin suona forte e chiara dall’altra parte del telefono.
«Ciao Hyung».
«Che fai?»
Jungkook ringrazia mentalmente Jimin per non aver chiesto informazioni sul suo stato di salute.
«Stavo curiosando in camera. Sembra esattamente come l’avevo lasciata».
«E com’è?» Stare di nuovo lì, intende.
«È strano» confessa Jungkook. «Ma bello».
«Ci sono novità!?» Questa non è la voce di Jimin, Jungkook ne è sicuro.
«Tae, avevi promesso che mi avresti lasciato parlare, non rompere!»
«Voglio solo sapere del nonno, poi te lo lascio».
«Gliel’avrei chiesto io, se avessi almeno la pazienza di aspettare!»
«La tiri troppo per le lunghe».
A quel punto Jungkook pensa di interrompere lo scambio di battute tra i due amici con una scusa qualsiasi e chiudere la chiamata, ma sente un rumore strano seguito da un lamento e immagina che Jimin abbia spintonato Taehyung riprendendo possesso del telefono.
«Scusa, Jungkook».
Vorrebbe attaccare, ma un po’ gli viene da ridere.  «Gli altri come stanno?»
«Bene, ma non sarà lo stesso senza di te, domani».
È sincero Jimin, però si rende conto di non aver detto la cosa giusta. «In ogni caso, non è così importante quell'intervista. Facci sapere se hai notizie, mi raccomando».
«Contaci». Jungkook saluta e chiude la chiamata. Scocca un’ultima occhiata alla consolle, poi una all’orologio e propende per il letto: l’indomani lo avrebbe aspettato un’altra lunghissima giornata in ospedale.


 
*



Un ombrello, il solito paio di occhiali, una sciarpa e un cappotto pesante convincono la guardia del corpo a lasciarlo andare da solo assieme ai suoi. La mattina stessa lo aveva chiamato il Manager, tranquillizzandolo sulla data del ritorno: per ora avrebbe potuto rimanere con suo nonno il tempo che serviva, ci avrebbe pensato lui ad avvertirlo se fosse stato necessario. Jungkook aveva ringraziato, ma conosceva quasi a memoria gli impegni incisi a fuoco sulla sua schedule e di certo non si sarebbe potuto permettere una vacanza tanto lunga. Cerca di non pensarci mentre raggiunge la madre fuori dalla sala rianimazione, pronto ad affiancarla in quella tacita sofferenza che ha colpito la famiglia Jeon. Suo fratello maggiore, invece, è a casa assieme al padre: entrambi li avrebbero raggiunti nel pomeriggio, non appena fosse stato possibile entrare in sala.

Mentre sono seduti davanti al vetro ora oscurato, Jungkook inizia a farsi prendere da quell’ansia che per una giornata intera si era illuso di aver scacciato. Al momento il suo unico interesse è il nonno, ma non riesce ad allontanare i sensi di colpa per quei doveri che la sua splendida professione comporta. Aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto qualunque tipo di sacrificio e rinuncia pur di arrivare alla vetta assieme ai suoi amici; poi la strada si era rivelata più impervia del previsto, ma lui non aveva mollato e neanche loro. Ricorda bene i video girati dopo appena due ore di sonno, le esibizioni portate a termine anche con la febbre o con i muscoli a pezzi, le lacrime di stanchezza e disperazione quando qualcosa proprio non riusciva neanche dopo interminabili tentativi. L’aveva promesso ai suoi amici, ai suoi genitori e anche a suo nonno che mai sarebbe venuto meno a ciò che lo aspettava: era per quello, allora, che si sentiva così male?
«Tesoro, sei tanto pallido. Vuoi qualcosa da bere?»
Jungkook guarda sua madre e si massaggia le tempie. «Sì, vado a prendere una bibita alle macchinette. Per te?»
La donna gli sorride. «Solo acqua, grazie».

Le quattro arrivano in fretta, Jungkook ha tanto da raccontare e sua madre ha voglia di ascoltare. È  difficile all’inizio, perché tutti e due hanno altri pensieri per la testa, ma basta un semplice pretesto ed ecco che il discorso nasce spontaneo, si amplia e si vivacizza in alcuni punti, è più lento in altri, eppure non si ferma. La mamma annuisce, sorride, è contenta per suo figlio e vorrebbe dirgli che è fiera di lui, di ciò che sta facendo e di come lo sta facendo, ma il medico li vince sul tempo facendo la sua comparsa con una cartellina in mano. I due si alzano di scatto, Jungkook fa uno squillo a suo fratello e stavolta è pronto ad entrare per primo, se non fosse per qualcosa di inaspettato che lo costringe a ritardare l’incontro con il nonno. Non si accorge della madre che ha parlato con il dottore ed è scoppiata a piangere, perché nel frattempo l’infermiere ha fatto il suo nome e lui si è girato, notando una scia di sei persone seguire il professionista. I suoi piedi hanno cominciato a muoversi in automatico, gli occhi spalancati non credono a ciò che vedono e di nuovo sente quel fastidioso bruciore al condotto lacrimale. Prima che possa avere il tempo di dire qualcosa, Taehyung gli corre incontro e gli butta le braccia al collo, lo stesso fa Jimin mezzo secondo dopo e Hoseok si fionda con loro per ampliare l’abbraccio. Namjoon, Yoongi e Jin lo lasciano respirare, gli stringono le spalle e gli scompigliano affettuosamente i capelli.
«Hai visto? Siamo venuti a salutarlo di persona!» esclama Taehyung, beccandosi un’occhiataccia da Yoongi e un cordiale invito ad abbassare la voce da parte di Jin.
«Voi siete pazzi» biascica Jungkook, e stavolta non ha paura di farlo tra le lacrime, perché sono lacrime di gioia e forse anche di sfogo.
«Non lo soffocate» interviene Yoongi, cercando di allontanare i tre del gruppo che hanno letteralmente inglobato Jungkook.
«Non so cosa dire» continua il più piccolo, asciugandosi velocemente gli occhi. «Cosa avete detto al Manager? E gli impegni che avevamo per oggi?»
«Tutto in regola, tranquillo».
Per poco a Jungkook non viene un infarto: è proprio la voce del Manager ad averlo rassicurato. Piccolo di statura e mingherlino, non lo aveva neanche notato. Piega il busto mille volte, congiunge le mani e lo ringrazia, mentre qualche lacrima scappa ancora al suo controllo.
«Junkookie, tua madre ti sta chiamando» interviene Jimin, mentre appiccica un fazzoletto sulla guancia di Hoseok e lo invita a recuperare un certo contegno.
La donna avanza a passo veloce verso di loro, ha ancora gli occhi lucidi, li saluta velocemente, fa loro qualche carezza,  poi prende il figlio per le spalle e alza il volto per guardarlo negli occhi.
«Tesoro, il nonno si è svegliato. Ha chiesto di te».
Jungkook apre la bocca, vuole rispondere ma il tentativo fallisce: sono le sue pupille dilatate e l’ampio sorriso che mostra apertamente i denti a parlare per lui. Gli amici gli danno qualche spinta per incoraggiarlo, gli fanno segno di sbrigarsi, di raggiungere subito suo nonno e dimostrano nei gesti e nel tono di voce il medesimo stupore del loro maknae.

Quando entra, Jungkook procede in modo cauto, ha quasi paura di rompere quella che sembra essere un’illusione frutto di una mente troppo sconvolta. Invece suo nonno è proprio lì, intubato da far venir la nausea, ma sveglio e cosciente. Ha gli occhi socchiusi, eppure l’espressione che rivolge al giovane nipotino la dice lunga sul fatto che l’abbia riconosciuto subito.
«Hai pianto, Jungkookie?»  Parla con voce roca, mentre sfiora la guancia del ragazzo con i polpastrelli ruvidi, segnati dalla vecchiaia e dal duro lavoro.
Jungkook non ricorda quante volte, in passato, il nonno gli abbia fatto quella domanda; però ricorda il broncio che metteva su ogni volta e l’ostentata sicurezza con la quale proferiva sempre la stessa risposta: «NO!». No, no, no e ancora no, nonostante il ginocchio sbucciato, il giocattolo rotto e le guance bagnate, il verdetto era sempre lo stesso. E il nonno sorrideva, alzava le spalle e gli dava qualche buffetto sul capo, sussurrandogli parole dolci e sagge.
Ma oggi Jungkook non è più un bambino e ha imparato a convivere con il suo essere, prendendone poco a poco gli aspetti positivi.
«Sì – ammette allora, finalmente, dopo tanti anni – ho pianto ». Abbassa il capo e tiene le mani in grembo, strizza gli occhi perché ormai è abbastanza ma non ha più bisogno di nascondersi. Quando rialza lo sguardo vede il nonno sorridere e, con un dito, gli indica la parete in vetro al lato della stanza: in quel momento sei teste si chinano nello stesso momento e sei mani sventolano in aria subito dopo.
Taehyung solleva un fazzoletto con dei caratteri arrangiati e tutti storti, uniti a formare la frase: “Bentornato, nonno di Jungkookie!”.
Ci sono anche i suoi genitori e suo fratello maggiore.
Il nonno alterna una risata ad un colpo di tosse e con una pacca invita Jungkook a raggiungerli. «Mica vorrai farli entrare tutti qui dentro, spero» biascica poi, cercando di togliersi la mascherina per respirare. Il nipote gli fa segno di lasciarla al suo posto e scuote la testa. A parte Taehyung, è sicuro che i suoi amici non vogliano fare irruzione in sala; d’altronde a lui basta sapere di averli lì, dove sono sempre stati quando aveva bisogno di loro: al suo fianco.











  
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