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Autore: Tormenta    26/07/2016    10 recensioni
[Established!Drarry | 6.9k parole]
«Abbiamo portato il dolce!»
Non appena quelle parole, gioiose e squillanti, riverberarono tra le pareti dell’appartamento, Draco Malfoy, rintanato in cucina in compagnia d’un bicchiere di vino, s’irrigidì.
D’improvviso, era ufficiale: più Weasley di quanti non avrebbe mai voluto stavano brutalmente facendo irruzione nei suoi spazi, attraversando l’ingresso e affollando il corridoio.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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Note: Questo racconto nasce come missing moment della long Blurred (e come tale è da collocarsi tra il capitolo 29 e l’epilogo), tuttavia, se sarete disposti ad accettare la premessa, risulterà una one shot del tutto indipendente.
 
Premessa (attenzione! Contiene spoiler per Blurred): In occasione del ritorno ad Hogwarts per un ultimo anno di lezioni, fra salti e giravolte, tra Harry Potter e Draco Malfoy si è istaurato un improbabile rapporto. Tale relazione, dopo la definitiva partenza dalla scuola, è cresciuta in stabilità e serietà; tanto che Harry ha iniziato a desiderare d’introdurre ufficialmente il proprio compagno agli Weasley («Essere colti con le mani nel sacco da Ron non conta, Draco»). Ma convincere Malfoy a collaborare non è semplice e, mentre il tempo passa, Potter, impegnato anche a traslocare in una casa nuova, può solo sperare di riuscire prima o poi a farlo cedere.

 
 
Cena in famiglia

 
 
 
        «Abbiamo portato il dolce!»

        Non appena quelle parole, gioiose e squillanti, riverberarono tra le pareti dell’appartamento, Draco Malfoy, rintanato in cucina in compagnia d’un bicchiere di vino, s’irrigidì.
        D’improvviso, era ufficiale: più Weasley di quanti non avrebbe mai voluto stavano brutalmente facendo irruzione nei suoi spazi, attraversando l’ingresso e affollando il corridoio. Le loro ciarle, inframmezzate dalla voce di Harry, che li spronava a farsi avanti e a lasciare i cappotti sull’appendiabiti, risuonarono facendosi a mano a mano più vivaci.
        Nella cacofonia, d’un tratto s’alzò un «Lui dov’è?» ben poco discreto, che le orecchie di Draco associarono alla boccaccia di Ronald. Non esitò a sentirsi chiamato in causa e, serrando la mascella, sbuffò, perché Chi me l’ha fatto fare?
 
 

        Harry – ecco chi.
        «Saranno solo in quattro» aveva detto, speranzoso ed enfatico.
        «È davvero necessario?»
        «Certo che è necessario. Festeggiamo la fine del trasloco!»
        Stava insistendo più del solito e pareva tutto meno che incline ad arrendersi, sebbene Draco continuasse ad opporsi.
        «Senti― se vuoi invitarli, sei liberissimo di farlo. Ma io non ci sarò».
        «Non puoi non esserci».
        «Fidati: posso».
        Al che, Harry s’era lasciato sfuggire un soffio seccato, e «Draco» aveva mormorato a metà tra il rimprovero e la preghiera, «sanno di te da mesi, ormai, e non vi siete incontrati nemmeno una volta. Questa è l’occasione perfetta».
        «C’è una ragione se ancora non ci siamo incontrati. Ed è che non voglio vederli – così come loro non vogliono vedere me».
        «Sì che vogliono vederti! E lo sai. Mi chiedono sempre perché non ci sei; te l’ho raccontato». Mordendosi un labbro, s’era imbronciato. «Onestamente― se Ron non avesse scoperto di noi in quel modo, credo che ormai avrebbero iniziato a pensare che esisti solo nella mia testa. A questa cena devi venire – per favore».
        Roteando gli occhi, Malfoy aveva mugugnato e sospirato, ancora profondamente scettico. In lui, però, era iniziato a germogliare un vago senso del dovere, che subito gli aveva ammorbidito i tratti del viso, suggerendo: “Per Harry. Potresti farlo una volta per tutte”. D’altronde, sapeva di non poter evitare quell’incontro all’infinito, e quella era l’occasione perfetta: non sarebbe nemmeno dovuto entrare nella baracca che gli Weasley si ostinavano a definire casa.
        In qualche modo, Potter aveva intuito d’essere sulla strada giusta, e aveva riattaccato, persuasivo: «Resteranno al massimo per un paio d’ore. Andrà bene, ne sono sicuro». Sfoggiando quei suoi stupidi occhioni verdi, era avanzato d’un mezzo passo, assestando in un bisbiglio il colpo finale: «È importante per me».
 
 

        E tutti i baci che c’erano stati dopo la sua inevitabile capitolazione, si disse Draco scolando il vino rimasto nel calice, per quanto abbondanti in numero e dolci nel ricordo, non si sarebbero mai potuti rivelare un pegno sufficiente per il sacrificio che era sul punto di compiere.
        Sospirò e «Prima comincia, prima finisce» sussurrò tra sé e sé, raccogliendo il coraggio necessario ad uscire allo scoperto.
 
 

        Intanto, una stanza e un corridoio più in là, dopo che Ron era stato costretto ad incassare una gomitata da parte di Hermione per la sua uscita poco cortese, il padrone di casa si preparava a far strada agli ospiti.
        Stava per indicare loro la via per la sala da pranzo, quando: «Un piccolo regalo per te. In onore del cambio di residenza» scandì briosa Molly, porgendo a Potter una bella trapunta patchwork vibrante di colori sui toni del rosso e dell’arancio.
        Harry, accettando ciò che gli veniva offerto e saggiandone la morbidezza con le dita, si sciolse in un gran sorriso. «Grazie mille. Non dovevate».
        «Grazie a te per l’invito» s’inserì Arthur, replicando al posto della moglie. «È bello vedere che ti sei sistemato».
        «Anche noi abbiamo qualcosa per te» fece Hermione – e avendo lei tra le mani la terrina in cui era contenuto il precedentemente pubblicizzato dolce, accennò col capo in direzione di Ron.
        Quello mostrò fieramente il piccolo vaso che aveva stretto al petto: era lucido e tinto d’un tenue ceruleo, e dentro vi erano sistemati, a raggiera, graziosi fiori bianchi disposti a grappolo su steli verde brillante. «È solo un pensierino» commentò, inarcando le labbra all’insù.
        «Ho incantato i fiori perché non appassiscano» aggiunse la ragazza, con aria orgogliosa.
        «Grazie» ripeté Potter; poi tentennò per un attimo, come ponderando il da farsi. «Venite» disse, conducendoli in salotto; lì, posò la trapunta sul divano e indicò a Ron un tavolino su cui poter lasciare il vaso.
        «Oh, Harry! Mi piace come hai arredato» asserì Molly, osservando rapita i mobili in legno scuro e l’ampio camino in mattoni. «Sapevo che l’avresti trasformata in una bella casa» confessò con una nota di dolce commozione nella voce, gli occhi puntati sulle nostalgiche fotografie magiche che troneggiavano su una mensola. «Voi dovreste prendere esempio. Quando inizierete a cercare un posto tutto vostro?» domandò senza preavviso in direzione del figlio e di Hermione, ottenendo di far arrossire prepotentemente il primo e sorridere timidamente la seconda.
        «Mamma!» trillò Ron, investito dal forte desiderio d’essere inghiottito dal pavimento, «Non cominciare». E risero tutti, meno lui.
        Su quelle note contente, Harry sentì la porta della cucina aprirsi: la sua mente volò senza esitazioni a Draco. Pensare che era , che finalmente si sarebbe unito a loro, gli trasmise una lieve tensione e gli instillò il bisogno di prendere un bel respiro; dopo una lunga, sfiancante attesa, il momento era giunto: due importanti componenti della sua vita stavano per collidere.
        «Andiamo di là?» propose, interrompendo l’accurato esame a cui Arthur stava sottoponendo una vecchia radio babbana messa a nuovo uso come soprammobile. «La cena è quasi pronta e― c’è Draco».
        Il signor e la signora Weasley si scambiarono una rapida occhiata indecifrabile, poi annuirono. «Certo» sussurrò Molly, sorridendo con una naturalezza appena incrinata.
        E mentre Ron deglutiva ed inspirava profondamente, iniziarono a muoversi.
 
 

        Uno dopo l’altro, Potter in testa, varcarono la soglia della sala da pranzo, in cui troneggiava la tavola già apparecchiata. A mano a mano che si riversavano nella stanza, ognuno di loro fissò lo sguardo verso l’uscio che, aprendosi sulla parete alla loro sinistra, portava alla cucina.
        Lì, proprio sullo stipite, in tutta la sua fredda eleganza, era piantato Draco Malfoy. Teneva la mascella contratta e i muscoli tesi e, se non fosse stato per l’ombra d’ansia che gli velava impercettibilmente gli occhi chiari e l’accennato tremore delle mani strette a pugno, sarebbe parso più impassibile di una statua di marmo.
        Di primo acchito, nessuno parlò: il silenzio si fece presto innaturale e fastidioso.
        Per non lasciare Draco da solo contro lo schieramento che lui e gli ospiti avevano involontariamente formato, Harry avanzò e l’affiancò, abbozzando un paio di gesti di introduzione che non riuscì ad accompagnare con le parole. Sentendosi come il mediatore d’una lotta tra draghi, fece saettare lo sguardo da un viso all’altro, senza freno, respirando aria densa ed attendendo un qualche tipo di responso.
        Il muto turbamento proseguì finché Arthur non prese in mano le redini della situazione, proferendo: «Buonasera».
        Quel saluto quasi causò un sussulto nel giovane Malfoy, che però cercò di non darlo a vedere. Inarcò piuttosto un sopracciglio, elargendo un minuscolo cenno, e: «Salve» sibilò, imperscrutabile.
        «Finalmente ci incontriamo» intervenne poi Molly, imbevuta di falsa tranquillità.
        Seguì un secondo momento di pesante vuoto, durante il quale gli Weasley mantennero costantemente gli sguardi incollati sul ragazzo accanto a Potter. Di colpo, per loro, l’idea di una relazione con Draco Malfoy non era più tanto astratta: era diventata fisica e alta e bionda e ingessata in una costosa camicia scura, e li scrutava con tagliente fierezza.
        Mentre, assorti, cercavano aggettivi adeguati per descrivere la bizzarra emozione di stupore che li aveva travolti, Draco chiese spudoratamente aiuto a Harry – gli lanciò occhiate finché non ne incrociò una sua, e a quel punto lo implorò mutamente di far qualcosa, qualsiasi cosa, per alleggerire l’atmosfera.
        Così, Potter si sforzò d’aprir bocca, e si ritrovò a bofonchiare, improvvisando: «Sono contento che siamo tutti qui».
        «Sarà sicuramente una serata piacevole» buttò lì pacata Molly, facendo del proprio meglio per suonare incoraggiante. E l’universo parve volerla aiutare a rilassare il clima che aleggiava nella stanza, perché, non appena terminò di parlare, l’improvviso trillo del forno le diede l’occasione d’aggiungere: «Lascia che ti dia una mano con la cena, Harry».
        «Oh, ma non ce n’è bisogno―»
        «Non dirlo neanche. Sai che mi fa piacere». E dal modo in cui sorrise, sincera e amorevole, il ragazzo capì non aver altra scelta che accettare il suo aiuto.
        «Uh― d’accordo, allora. Grazie».
        La donna avanzò, e Draco si scostò per lasciar libero il passaggio per la cucina. Era talmente rigido che quasi si mosse a scatti, e se non fosse stato per l’approssimata carezza che Harry gli diede sfiorandogli un braccio prima di guidare la signora Weasley nella stanza accanto, qualche suo nervo si sarebbe di sicuro sfilacciato.
        «Ron, per favore, porta questo di là» mormorò in quegli istanti Hermione, porgendo all’altro il dolce – e lui non poté che fare come gli era stato chiesto. Prima di tuffarsi sui passi della madre, però, non si risparmiò di lanciare un’ambigua occhiata a Malfoy.
        «Potete sedervi a tavola, intanto» risuonò la voce di Potter al di là del muro, «noi arriviamo subito!»
        Draco prese posto senza tante cerimonie ed Hermione, pur lievemente titubante, l’imitò, piazzandoglisi proprio di fronte. Arthur, invece, esibendo un’espressione quasi turbata, restò indietro, i piedi fissi a terra e gli occhi puntati sul ragazzo biondo che aveva davanti.
        Lui voleva parlargli, davvero; in particolare, desiderava che avessero una conversazione civile. Ma per quanto si stesse sforzando, non riusciva a mettere a fuoco nessun argomento da proporre – o meglio, nessuno che potesse essere considerato terreno neutrale. Di certo, non poteva chiedergli come se la passava suo padre ad Azkaban, o perché dopo mesi di strategiche assenze proprio ora aveva deciso di farsi vedere.
        Per sua fortuna, Hermione s’assunse l’incarico di spezzare il silenzio: versandosi dell’acqua nel bicchiere, azzardò un informale «Come stai?»
        «Bene» mentì Malfoy, e il tono che usò la disse lunga su quanto fosse nervoso e a disagio, e su quanto non gli andassero a genio le chiacchiere banali. «E da quello che vedo, state bene anche voi» proseguì, pungente.
        «― tutto okay». Scostandosi una ciocca ribelle dal viso, la ragazza si schiarì mestamente la voce, poi ricominciò: «Sai― mi hai stupita. Quando Harry ci ha detto che ci saresti stato anche tu, stasera, quasi non volevo crederci. Sono felice che tu abbia finalmente deciso d’incontrarci».
        Il fatto che Granger stesse facendo la carina trasmise a Draco un’indefinibile sensazione. «Già» bisbigliò distrattamente, mentre Ron rientrava nella sala e il signor Weasley finalmente si sedeva, occupando uno dei posti a capotavola – quello più distante da lui.
        «Harry ci ha parlato bene di te. Della persona che sei diventato» raccontò Arthur, almeno parzialmente sollevato dall’aver ritrovato le parole; parole che, arrangiate a quella maniera, fecero a Malfoy una spiacevole impressione.
        «Cosa vi ha detto di me?» domandò, il naso appena arricciato – e mentre lui chiedeva quello, Ron s’accomodò accanto a Hermione, sfoggiando la faccia di chi stenta a credere di trovarsi per davvero nella situazione in cui si trova.
        Prima che qualunque risposta potesse essere formulata, s’alzarono borbottii provenienti dalla cucina accompagnati dal rumore di piatti, che condannarono l’interrogativo ad essere accantonato. Nel giro di pochi secondi, infatti, Harry e Molly fecero ritorno servendo a tavola arrosto e patate al forno.
        «Ha proprio un bell’aspetto» commentò la donna, con un’aria a metà tra il fiero e il compiaciuto.
        «L’hai cucinato tu?» fece Ron in direzione dell’amico, stupito.
        «Hm― più o meno. Potrei aver usato un incantesimo o due per esser sicuro di non combinare un disastro» ammise Potter, evidentemente soddisfatto; più che per la cottura della carne, però, lo era per il fatto che aveva sentito Draco abbozzare una chiacchierata con gli altri. Non esitò a sedersi al suo fianco, anche lui a capotavola; ciò guidò Molly a prender posto accanto al marito, sull’unica sedia rimasta libera.
        E se c’era un’esperienza che Draco non si sarebbe mai aspettato di fare in vita sua, quella era senza dubbio sedere gomito a gomito con Molly Weasley dopo che lei gli aveva servito la cena sotto al naso. Eppure, eccolo lì. Contemplò la situazione sgranando gli occhi, e impiegò un attimo per riconoscere a se stesso che, a dirla tutta, avrebbe dovuto essere abituato alle folli svolte del destino sin da quando aveva deciso d’intraprendere una relazione con nientemeno che Harry Potter.
        «Direi che un brindisi è d’obbligo» affermò Hermione, il bicchiere già alzato.
        «Oh, sì» confermò la signora Weasley, gioiosa.
        Chi ancora non l’aveva fatto, s’affrettò a versarsi acqua o vino – Harry riempì anche il calice di Draco, riscuotendolo dai suoi pensieri. In risposta, ottenne un sussurrato «Grazie», al quale replicò inarcando appena gli angoli della bocca.
        «Alla fine del trasloco» proseguì Hermione quando tutti furono pronti, «e alla nuova casa di Harry!»
        Il vetro dei bicchieri tintinnò limpido, sottolineando il momento di festa; Malfoy, insicuro, partecipò all’atto passivamente, punto da un forte senso di non-appartenenza e disturbato dall’incomodo che stagnava al di sotto dell’apparente calma.
 
 

        Mentre a turno si servivano l’arrosto, vennero intavolate ciance relative al trasloco, alla disposizione dei mobili ancora da ritoccare e agli ultimi oggetti da trasferire da Grimmauld Place. Draco, pur tenendo le orecchie ben aperte e la testa alta, non intervenne neanche una volta.
 
 

        «Allora» soffiò Molly proprio quando il silenzio minacciava di imporsi nuovamente, «Harry ci ha detto che la vostra relazione va avanti dall’ultimo anno a Hogwarts».
        Malfoy raggelò e, mordendosi la lingua, si disse sarcasticamente che era ovvio che quell’argomento sarebbe emerso. «È così» confermò, con atteggiamento trattenuto.
        Subito, Potter gli lanciò un’occhiata tutta sopracciglia nel tentativo di spronarlo a sciogliersi – avrebbe voluto che cercasse di parlare di più, che facesse la sua parte. Peccato che Draco non fosse per nulla incline a discutere allegramente del loro rapporto: non si sentiva affatto in dovere di condividere col prossimo, men che meno con gli Weasley, le loro faccende, e cercò di farglielo intuire con uno sguardo ancor più intenso di quello che Harry aveva dedicato a lui.
        Di fronte a quella muta intesa e alla fredda accoglienza che aveva trovato il suo intervento, Molly non seppe bene che fare e, con una lieve alzata di spalle, cercò supporto nel marito, nel figlio e in Hermione.
        «Ogni tanto andate nella Londra babbana. Dico bene?» chiese retorico Arthur – e tanto bastò a stravolgere la faccia di Ron, perché , ogni tanto Draco e Harry andavano nella Londra babbana. Lo sapeva bene, lui; anzi, benissimo, visto che era proprio lì che, mesi prima, incrociandoli per caso, aveva brutalmente scoperto l’identità del compagno del suo migliore amico. Il solo ricordo dell’impatto ancora lo destabilizzava: per tranquillizzarsi, piantò gli occhi nel piatto e s’avventò senza ritegno sulle patate al forno.
        Intanto, Potter replicò: «Sì, a volte facciamo un giro per le strade».
        «Che te ne pare?» domandò ancora il signor Weasley, rivolgendosi a Malfoy; attendendo una risposta, infilzò la carne che aveva nel piatto con la forchetta.
        Il ragazzo esitò, scosso dalla terribile, terribile sensazione d’esser stato incastrato sotto un’enorme lente d’ingrandimento. Sensazione a cui, però, non volle dar troppo peso. «È caotica» cominciò a dire «e piena di cose assurde che non capisco. Ma―» affievolì la voce, ingoiando un amaro magone d’orgoglio «non è male. Addirittura― interessante, per certi aspetti. Molto più di quanto non mi avessero insegnato a credere». Mi piace che nessuno lì mi riconosca, avrebbe voluto aggiungere, ma non trovò il coraggio per farlo.
        Arthur, piacevolmente impressionato, quasi sorrise. «Ci sono molte cose che possiamo imparare dai babbani. Sono così… estrosi! Non hanno veramente nulla da invidiarci».
        Draco inarcò un sopracciglio, e scelse di non ribattere.
        «C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?»
        Malfoy si assicurò di restare sulla difensiva, rispondendo: «In modo positivo, le macchine del caffè. E in modo negativo, la metropolitana. Perché fa schifo». Ignorando l’astio con cui aveva precisato quell’ultima cosa, la sua sarebbe potuta passare per una battuta.
        Per l’appunto, Potter, che era ben più abituato all’umorismo di Draco degli altri, ridacchiò tra sé e sé e scosse appena il capo, lanciandogli un’occhiata divertita. La faccia che mise su, inoltre, rese palese che dietro al disprezzo che Malfoy provava per le ferrovie sotterranee di Londra c’era tutt’una storia di cui loro soli erano a conoscenza.
        «Posso capire l’opinione riguardo alle macchine del caffè; ma la metropolitana― a cosa è dovuto tanto odio?» indagò curiosa Hermione.
        «Oh, è una bella storia» cominciò Harry, ma―
        «No» l’interruppe Draco, perentorio. «Magari un’altra volta». Decisamente, non era per nulla dell’umore adatto per rievocare la dose d’imbarazzo legata all’episodio. Addentò una patata e, tenendo lo sguardo basso, decise d’aspettare che la conversazione abbandonasse quello scoglio.
        «D’accordo, d’accordo. Un’altra volta» concordò Potter, «in fondo è una storia che merita il più ampio pubblico possibile, e stasera non ci siamo tutti». Il suo tono era chiaramente scherzoso, ma ciò non persuase Malfoy a risparmiagli un’occhiata raggelante. «Hm―» riattaccò Harry, cambiando saggiamente argomento «a proposito. Mi dispiace non aver potuto invitare anche gli altri. Oltre al fatto che la casa è ancora un po’ da sistemare― uh―» beh, non aveva voluto esagerare per non rendere le cose troppo difficili per Draco. Ma all’ultimo non si sentì d’esplicitarlo.
        «Non preoccuparti» lo rassicurò Molly, comprensiva «ci saranno sicuramente altre occasioni».
        «Sì. Rimedieremo».
        Da lì, discussero brevemente di Ginny, e del fatto che pur essendo stata invitata, quella sera non s’era potuta unire a loro per via degli impegni con la squadra di Quidditch professionale di cui ormai faceva parte.
        Malfoy, cauto, non commentò. Restò relegato nel proprio angolo, a scrutare di sottecchi gli Weasley; e sebbene i loro sguardi gli parvero essenzialmente innocui – quelli di Granger, in particolare, si rivelarono colmi di nulla più d’un’onesta curiosità –, comunque scorse sempre nel fondo delle loro iridi una scintilla di sospetto. Se lo stesse solo immaginando o meno, non avrebbe saputo dirlo.
 
 

        «C’è una cosa che Harry non ci mai detto di te» fece Arthur d’un tratto, come a voler ritrascinare Draco nella conversazione.
        Prima di ribattere, il ragazzo scambiò d’istinto una veloce occhiata con Potter. «Cosa?»
        «Non ci ha detto… cosa fai. Come lavoro». Ponderò un attimo, «Cioè, lavori?»
        «Sì e no. Io―» scrollò lievemente le spalle «sto iniziando ad occuparmi degli affari di famiglia».
        In uno schiocco di dita, quattro paia di occhi più o meno insinuanti scattarono su di lui, neanche avesse lodato il Signore Oscuro in persona. Non impiegò molto a capire – affari di famiglia. Chissà cos’era passato loro per la mente; l’immaginò e, amareggiato, strinse convulsamente la presa sulle posate e si morse una guancia.
        «E― pensavo di interessarmi all’avvocatura» aggiunse tra i denti, come a voler mettere una toppa sull’evidentissimo strappo che aveva lacerato l’atmosfera.
        Decisamente, concluse, lo stavano mettendo sotto esame. Era sopravvissuto ad ispezioni ben più minuziose e ben più terrificanti di quella, in passato, e gli capitava piuttosto spesso di dover gestire infinite serate in compagnia di persone poco piacevoli, ma mai, mai aveva provato una tale afflizione, perché mai la consapevolezza d’essere malvoluto e screditato gli aveva stretto il petto a tal punto. Non si trattava esattamente di disagio, né di vergogna; era più un qualcosa a metà tra la delusione, la rabbia e l’indignazione. E si rese conto di non saper come gestirla.
        Harry colse al volo il suo star male, e non esitò a correre in suo soccorso. «Sì, uhm, non c’è nulla di certo. Non ha ancora scelto. Per questo non ve ne avevo mai parlato» borbottò approssimativo nel tentativo d’attirar l’attenzione su di sé. «Quello del diritto, però, è un ambito interessante. E, uh, vivo, in questo momento. Hermione―» sibilò, rivolgendosi all’amica come pregandola d’intervenire.
        Lei accolse la richiesta, raddrizzando per bene la schiena. «Sì, infatti. Al Ministero le cose sono parecchio in fermento» asserì; dopodiché tirò in ballo un paio di cause che le stavano particolarmente a cuore e gli altri, come resisi conto d’aver tenuto un comportamento errato, per quanto istintivo, le diedero corda.
        A seguito di qualche frase, e del dirottamento della conversazione verso temi piuttosto sentiti (leggi, rinnovamento, Auror) il clima si fece appena più rilassato. Ma comunque Malfoy, ancora una volta, s’ammutolì; Potter cercò di coinvolgerlo, ma inutilmente: la consapevolezza d’essere una serpe sola in mezzo ad un branco di leoni, infatti, lo aveva irrimediabilmente colpito più forte che mai, e si era perso nei propri pensieri nel tentativo d’evadere dall’oppressione.
 
 

        Fu solo quando tutti avevano ormai finito di cenare, ed alcuni si stavano attardando nel bere qualche altro sorso di vino, che Ron, per la prima volta nell’arco dell’intera serata, si rivolse direttamente a Draco.
        «Tu― ti trasferirai qui?» chiese, accorgendosi d’essere entrato molto nel personale solo quand’era già troppo tardi. Si morse la lingua, ma non si rimangiò la domanda – d’altronde, si disse cercando di restare saldo, aveva il diritto d’essere un pochino invadente, se la persona dall’altro lato affermava d’avere una relazione col suo migliore amico. E a proposito di migliori amici: Harry non lo rimproverò in alcun modo; cosa che lo convinse ancor di più della legittimità del proprio interrogativo.
        Colto alla sprovvista, Malfoy s’accigliò. «Hm, no. Non― non ancora».
        Ron lo vide scoccare un’occhiata fulminea a Potter, e― possibile che quello che gli aveva appena colorato tenuamente il viso fosse imbarazzo?
        «Non c’è fretta» aggiunse Harry con un vago sorriso, più palese nell’espressione delle proprie emozioni.
        «Suppongo di no» mormorò il giovane Weasley con tono perplesso, non sapendo quale sensazione la scena avrebbe dovuto comunicargli.
        «Credo che― andrò a prendere il dolce» asserì Potter, alzandosi in piedi e tentando di nascondere l’ondata d’entusiasmo che l’aveva travolto al parlare di convivenza.
        Molly trovò quella reazione molto dolce e, mentre il ragazzo filava in cucina, s’aprì in un sorriso materno. Si voltò poi verso Draco, ansiosa di vedere in lui la stessa soffocata trepidazione che aveva illuminato i tratti di Harry; invece, per sua grande sorpresa, dovette affrontare una faccia oscurata dallo spettro d’una qualche lontana preoccupazione.
        Spettro che, per altro, s’incupì ancor di più, assumendo le fattezze tipiche d’un lampo di terrore, nell’istante in cui Arthur fece, in cerca d’una semplice – e, dal suo punto di vista, innocua – conferma: «Quindi, al momento, ufficialmente vivi ancora con tua madre?»
        La risposta fu a malapena udibile – un «Sì» bisbigliato a sguardo basso, sulle note del quale una pesante cappa nera scese definitivamente su Malfoy.
 
 

        Sua madre – già. Colei che ancora tentava di tenere insieme una famiglia dall’onore sanguinante, e che piangeva lacrime mute per via delle condizioni in cui il marito versava in carcere.
        Lui non le aveva ancora detto nulla della relazione che stava portando avanti col Salvatore del Mondo Magico. Come avrebbe potuto, quando lei desiderava tutt’un altro tipo di futuro per suo figlio? Quando, quindi, confessare non avrebbe fatto altro che darle un’ennesima ragione per restare in pensiero?
        Eppure tacere faceva male – un po’ perché Narcissa non si meritava il suo silenzio bugiardo, e un po’ perché non lo meritava neanche Harry. Verità e libertà dall’obbligo di nascondersi; ecco cosa meritavano― ed ecco cosa lui non era in grado di dar loro.
        Aveva paura, una paura folle, perché non voleva perderli ma sapeva di non trattarli nel modo giusto. Viveva nell’ombra della menzogna, e la cosa più orribile era che se non si fermava a riflettere stava addirittura bene; uno star bene ovviamente non guadagnato. Bastava che ragionasse un attimo, infatti, perché il senso di colpa e lo spavento l’assalissero; e allora tremava, perché gli pareva d’aver fatto, di star facendo ancora, tutte le scelte peggiori, di mero comodo. Gli pareva, insomma, di non riuscire a cambiare, d’esser sempre il solito, debole, patetico Draco.
        E difatti― gli Weasley gli avevano chiesto se si sarebbe trasferito, e da buon codardo aveva prontamente negato battendo in ritirata. Non aveva nemmeno considerato seriamente l’opzione, nell’irrazionale tentativo di mantenere le cose come stavano – perché così era più semplice. Avrebbe potuto rimandar ancora il momento di sincerità con sua madre; avrebbe potuto continuare ad evitare che la gente sapesse. D’istinto cercava d’evitare d’esser giudicato.
        Già le persone lo facevano abbastanza― giudicarlo, s’intende. Persino loro, lì, seduti a quel tavolo, non avevano fatto altro per tutta la sera, tenendogli gli occhi incollati addosso e sottoponendolo a simpatici test. E chissà, magari adesso – adesso che era emerso piuttosto chiaramente che non avrebbe concesso a Harry la convivenza e il rapporto che meritava – ecco, magari lo stavano giudicando ancora. Si preparavano ad accusarlo mentalmente d’egoismo, e a borbottare che C’era d’aspettarselo. È un Malfoy, perché è così che funziona coi Malfoy – sono cattivi e pericolosi e si nascondono e fanno sempre la cosa sbagliata. Un classico.
 
 

        Hermione credette d’intendere l’entità del turbamento che incombeva sul ragazzo e, saggiamente, scelse di non scavare più a fondo – peccato che fu l’unica.
        Ron tacque, certo, ma solo perché profondamente confuso; per Arthur si sarebbe potuta dire più o meno la stessa cosa; mentre Molly― beh, riflettendo, lei intuì la natura dei problemi in questione, e non poté evitare d’intristirsi, di preoccuparsi e di sussurrare: «Narcissa― cosa pensa lei di Harry?» Per quanto onestamente curiosa, si pose con tutto il tatto di cui era capace, cosciente di star trattando un argomento spinoso e di aver volontariamente premuto su un palese tasto dolente.
        Ma ciò non bastò. Draco, infatti, facendo scattare immediatamente gli occhi verso la donna, s’irrigidì visibilmente ed indossò una delle proprie maschere più glaciali, infervorato. Non replicò subito, prendendosi piuttosto qualche secondo; in quel lasso di tempo, tutta l’inespressa agitazione e l’insicurezza, tutto il fastidio e tutte le piccole dosi di rabbia iniettatigli in circolo dalla sensazione d’esser di fronte ad una giuria – tutto quanto gli si accumulò in petto, come una bomba pronta ad esplodere. E l’eco della domanda della signora Weasley, che suonò nelle sue orecchie accusatoria (perché Narcissa ancora non sapeva; e Quando glielo dirai, Draco? Cosa aspetti?), accese la miccia.
        «Intendi―» sbottò, con la più gelida delle fiamme a bruciargli nelle pupille «cosa pensa la mia madre Purosangue del fatto che ho una relazione con un Sangue Sporco? O del fatto che ho una relazione con un Sangue Sporco maschio
        Tutti sbarrarono le palpebre, spiazzati dal forte disgusto di cui erano impregnate le parole di Malfoy.
        A lui sarebbe importato ben poco delle facce esterrefatte che lo circondavano, se solo una di quelle non fosse appartenuta a Potter, riemerso proprio in quell’attimo dalla cucina. I suoi occhi verdi gli pizzicarono addosso, pieni di titubanza e di mute richieste di spiegazioni e, gli parve, anche di disappunto; sostenerne il peso, per quanto brevemente, si rivelò una tortura: ben presto rinunciò, puntando lo sguardo a terra con fare esasperato.
        Un battito di ciglia più tardi, era già saltato in piedi per fiondarsi nel corridoio.
 
 

        Il rumore di passi frettolosi risuonò tra le pareti, seguito dal tonfo d’una porta sbattuta.
 

 
* * *
 
 

        Dopo essersi scusato in un soffio, Harry aveva abbandonato il dolce sul tavolo e, senza remore, aveva rincorso Draco fuori dalla sala da pranzo.
        Procedendo spedito, intuì che l’altro doveva essersi rintanato in camera da letto – non appena la raggiunse, tentennò per via dell’istinto di tuffarsi brutalmente nella stanza: le mosse brusche non gli parvero le migliori, perciò, alla fine, decise di bussare.
        L’unico responso che ottenne fu un qualcosa a metà tra un mugugno e un sospiro.
        «Draco. Sto― sto entrando» avvisò, dopodiché, lentamente, si fece avanti.
        Trovò Malfoy voltato di spalle, intento a passarsi una mano tra i capelli e a camminare nervosamente attorno al letto. Fissandolo, richiuse l’uscio.
        «Cos’è successo?»
        Nessuna risposta, se non uno sbuffo.
        Quando, un paio di secondi dopo, Draco si girò, notò che aveva gli occhi lucidi, e che una rara afflizione li caricava e li inscuriva. Ciò lo spinse ad aggrottare la fronte, e a suggerire, fermo: «Parlami».
        «Cosa vuoi che ti dica?» Schioccò la lingua, irritato, tenendo il capo basso. «Sapevo fin dall’inizio che sarebbe andata così. Per questo non volevo vederli».
        Confuso, Harry serrò la mascella. «Uhm. Sei… esploso all’improvviso. Cosa ti è preso? Cos’hanno detto di sbagliato?»
        «Me lo stai chiedendo davvero? Cos’hanno detto? Sai cos’hanno detto. E cos’hanno fatto. So che te ne sei accorto – è stato come un maledetto interrogatorio. E non cercare di negarlo» aggiunse, vedendo che Potter aveva dischiuso le labbra con l’aria di chi vuole ribattere.
        «Non voglio negarlo. Ma, ecco― credo che tu abbia frainteso. Le cose che ti hanno chiesto― sono sicuro che l’hanno fatto in buona fede. Per, uh, conoscerti. Loro mi vogliono bene e―»
        «Volerti bene significa non fidarsi? Perché palesemente non si fidano – di sicuro non di me e nemmeno del tuo giudizio» l’interruppe tagliente Draco, la voce ridotta ad un filo. «Se ne stanno lì a fissarmi e a giudicarmi; a chiedermi cosa penso dei babbani e a tirare in ballo mia madre―» Il volto di Narcissa, in un flash, gli venne in mente, e tanto bastò a farlo balbettare per un istante. Dovette inspirare profondamente, prima di poter riprendere a dire: «Non aspettavano altro che un mio passo falso. Così l’ho fatto. Gli ho dato quello che volevano – perché è questo che volevano, no? Questo è quello che immaginano quando pensano a me, a un Malfoy; una potenziale minaccia, un stronzo viziato che non ne combina una giusta. Questo è quello che sono».
        Non specificò ai loro occhi – cosa che chissà come fece al contempo indurire ed ammorbidire l’espressione di Harry.
        «E hanno anche il coraggio di continuare a credere che io sia quello coi pregiudizi» terminò Draco, con tono rotto e malinconico, passandosi stancamente le mani sul viso.
        Potter immaginava che per lui non doveva esser stato semplice sedere a tavola con gli Weasley, e non stentava a credere che le parole di questi ultimi, per quanto prive d’un’intenzionale cattiveria, avessero graffiato come tante piccole schegge. Perciò, non rimproverò Malfoy per il suo sfogo – uno sfogo che, era pronto a scommettere, non era affatto dovuto alla sola cena andata un po’ storta. C’erano altri affari che lo impensierivano; la generale pesantezza della discriminazione, probabilmente, e se era stata nominata Narcissa, allora – lo capì – di sicuro ad amareggiarlo aveva contribuito anche la difficile condizione della sua famiglia, e l’ambivalente rapporto che lui aveva con essa.
        In pochi lunghi passi, l’avvicinò; e poiché Draco ancora marciava meccanicamente, finì col prenderlo alle spalle. «Ehi» bisbigliò, gentile, sfiorandogli un fianco.
        Il contatto fece arrestare Malfoy di colpo. «Hm» mugolò, e già da quel verso apparve chiaro che la sua gran collera era perlopiù sfumata, lasciando il posto ad un magone d’angoscia e di rimorso; cioè, al prodotto di un’analisi un po’ più attenta del comportamento tenuto.
        Si rigirò tra le braccia di Harry, che gli avevano circondato la vita; non lo respinse, ma evitò accuratamente d’incrociare il suo sguardo.
        Per diversi momenti, restarono così – vicini, e in silenzio.
        Poi «Non volevo che andasse in questo modo» ammise Potter, mesto. «Non volevo che ti facessero star male. Io― mi aspettavo che non sarebbe stato tutto perfetto, ma― insomma, ce l’avevamo quasi fatta, a far filare le cose più o meno lisce».
        Draco affondò i denti in una guancia, colpevole, dopodiché prese un bel respiro e, accantonando l’orgoglio, biascicò con una spiazzante sincerità: «Mi dispiace».
        A ripensarci a posteriori, non era complicato mettere a fuoco che la sua reazione era stata esagerata. Ma le sue scuse non si riferivano solo al picco d’ira; il suo era un Mi dispiace se non riesco ad essere migliore. Se la lingua gli si era inceppata alla sola idea d’arrivare in fondo alla frase, era perché non voleva discutere dell’argomento; temeva che anche solo parlare delle proprie incertezze potesse esser sufficiente a far scappare Harry. Forse era una paura infantile, ma in ogni caso non era disposto a rischiare.
        «Dispiace anche a me» soffiò Potter.
        Al che, Malfoy socchiuse le palpebre e, agitato, gli si sciolse contro, chinando il capo per nascondere la faccia su una sua spalla. Dolcemente sollevato, Harry non esitò a stringerlo a sé con appena più forza.
 
 
* * *
 
 

        «Ronald Weasley» tuonò la voce di Molly «tu non toccherai quel pudding almeno finché Harry non tornerà».
        Il ragazzo si fece piccolo sulla sedia, trafitto non solo da un’occhiata truce della madre, ma anche da una altrettanto pungente di Hermione. «Scherzavo quando ho detto che potevamo mangiarlo» borbottò in propria difesa, cominciando seriamente ad odiare l’atmosfera tesa che si respirava nella stanza. «Non c’è bisogno di scaldarsi tanto».
 
 

        Il lamento di Ron fu la prima cosa che Potter e Malfoy, una volta sgattaiolati fuori dalla camera da letto e incamminatisi nel corridoio, tornarono a sentir pronunciare dagli altri.
        Non sapevano di preciso quanto per tempo li avevano lasciati ad aspettare; diversi minuti come minimo, considerata l’abbondante riluttanza di Draco a farsi rivedere e le innumerevoli parole che l’altro gli aveva dovuto mormorare per trascinarlo con sé (una sequela di «Ti prego» e «Manca poco» tanto tediosa quanto accorata).
        Comunque sia, s’affacciarono sulla sala da pranzo timidamente, rigidi e taciturni: subito gli ospiti, visibilmente inquieti, fecero scattare gli occhi verso di loro.
        «Harry―» sussurrò Molly, mortificata.
        «Uhm» mugugnò lui, passandosi distrattamente una mano sulla nuca; intanto, un passo più indietro, Malfoy strinse i pugni, costretto ad affrontare l’ennesima ondata di disagio.
        Trascorsero alcuni secondi di stallo, poi, esalando un lungo e serio sospiro, Arthur scostò la sedia e s’alzò in piedi. Per un attimo, mantenne lo sguardo sul tavolo; dopodiché lo sollevò e lo piantò senza timore in quello sfuggente del ragazzo biondo.
        «Ti chiediamo scusa per prima. Non era nostra intenzione offenderti» asserì a nome di tutta la famiglia, onestamente pentito, col tono di chi ha pianificato di fare ammenda.
        Potter gioì e, compiaciuto da quell’atteggiamento positivo, girò appena il capo per osservare Draco e la sua reazione; scorse sul suo viso l’impronta dell’agitazione, la quale tuttavia venne presto celata da una stoica compostezza.
        Malfoy non mosse un muscolo per diversi istanti, impegnato a tentare d’imbottigliare un ego recalcitrante.
        «Non avrei dovuto dire quelle cose» ammise infine, grave. Dopodiché, si schiarì la voce e, lanciando un’occhiata rapida alla signora Weasley, si sforzò di proseguire: «E mi spiace di essermi alzato da tavola in quel modo. È stato scortese».
        In un breve silenzio, decantarono le parole.
        Dopo aver ponderato, un poco rassicurata ma ancora abbattuta, Molly imitò il marito e s’alzò, scandendo: «Non volevamo darti l’impressione sbagliata».
        «Già» confermò Arthur, muovendo un paio di passi per portarsi di fronte a Harry e Draco. «Stiamo cercando di abituarci a― questo». Gesticolò vagamente indicando i due, e nel mentre cercò supporto negli occhi dei famigliari. «È la prima volta che ti vediamo; in questi panni, s’intende, e non è facile―»
        «Smettere di stare allerta come se fossi un nemico?» completò per lui il giovane Malfoy, provocatorio, causando un palpabile aumento della tensione. Harry, allarmato, gli rivolse immediatamente uno sguardo preoccupato, ma poté presto tirare un sospiro di sollievo; «Posso― posso capire» aggiunse infatti Draco, con una sorprendente inclinazione al perdono. «Per me vale lo stesso».
        Il signor Weasley, con le labbra premute in una sottile linea, abbozzò un austero cenno d’intesa. Aprì bocca come a voler parlare, ma all’ultimo parve ripensarci e, piuttosto, tese una mano verso Malfoy in un chiaro gesto di pace.
        Per quanto titubante ed un po’ impettito, alla fine lui gliela strinse debolmente.
        Molly, Hermione e Harry si concessero un sorriso. Ron, invece, come perso in qualche profonda elucubrazione, restò impassibile a scrutare il ragazzo che pareva aver appena stipulato una tregua con suo padre.
 
 

        A quel regolamento di conti seguì un momento imbevuto della tipica finta calma di chi non sa più bene quale atteggiamento tenere e, onde evitare di dir qualcosa di sbagliato, calibra ogni singola sillaba. L’atmosfera si fece costruita, insomma; dunque, con l’obiettivo di renderla almeno tollerabile, il padrone di casa insistette perché tutti riprendessero posto a tavola, e propose di servire il dolce – «Sembra delizioso, sarebbe un peccato non mangiarlo insieme».
        Malgrado la partenza incerta, riuscirono ad imbastire qualche chiacchiera cauta ma tranquilla.
        Il pudding di Molly ricevette copiosi elogi – qualcuno detto educatamente, qualcun altro espresso in maniera più… diretta (secondo la modesta opinione di Ron, tuffarsi in un piatto sino a sporcarsi il naso era un complimento più che valido).
        Di fronte agli apprezzamenti, la signora Weasley s’aprì ovviamente in un caldo sorriso; e nonostante la già abbondante soddisfazione, non poté trattenersi dal posare lo sguardo sull’unica persona che sembrava decisa a non esternare alcuna opinione sul dessert – Malfoy.
        Lui ricambiò l’occhiata battendo per un paio di volte le ciglia senza fiatare. Poi, costatato che non solo la donna, ma tutti parevano attendere un suo verdetto, prese un bel respiro e soffiò, conciso: «È buono».
        E tanto bastò a farli contenti.
 
 

        Spazzolata anche l’ultima portata e sparecchiata la tavola con qualche sapiente colpo di bacchetta, i quattro ospiti non tardarono a dichiarare che era per loro giunta l’ora d’andare. Recuperarono giacche e cappotti e, accompagnati da Potter (e, un paio di metri più indietro, da un serioso Draco con le braccia conserte), s’avviarono verso il camino.
        «Grazie ancora per la cena» fece Arthur, cortese, rivolgendosi a Harry.
        «È stato un piacere».
        Il ragazzo dovette incassare una paterna pacca sulla spalla, e poi venne travolto da uno stretto abbraccio di Molly. «Mi dispiace davvero d’aver causato quel putiferio. Non volevo rendere le cose più difficili, io― sono felice d’averlo finalmente incontrato» bisbigliò lei al suo orecchio, discreta. «Non vorrei dover aspettare l’anno prossimo per rivedervi insieme».
        «Uh― no, certo. Gli parlerò». Tacque come se non avesse altro da dire, almeno sinché, quasi inavvertitamente, non aggiunse: «Vorrei che riprovassimo. Lui è― importante, per me».
        La signora Weasley, sciogliendo l’abbraccio, gli sorrise, mentre, poco più in là, Malfoy abbassava lo sguardo con adulato imbarazzo – poiché la voce tutt’altro che flebile di Potter era giunta anche alle sue orecchie.
        «Se vorrai― sarai il benvenuto a casa nostra, quando inviteremo Harry» dichiarò Molly proprio in direzione di Draco.
        Lui, come colto alla sprovvista, risollevò in fretta gli occhi e corrugò la fronte. Non era esattamente entusiasta all’idea di gettarsi in un decadente covo di pel di carota pronti a squadrarlo da capo a piedi, ma non ritenne opportuno precisarlo, perciò non replicò; non verbalmente, almeno: si limitò ad elargire un insicuro cenno d’assenso, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
        Alcuni saluti ed una manciata di polvere volante più tardi, i coniugi Weasley sparirono inghiottiti da una nuvola di fumo verdastro, diretti alla Tana.
        Giunse così il turno di Ron e Hermione d’avanzare in direzione del camino. Ma prima di congedarsi, i due si concessero di scambiare qualche ultima parola coi ragazzi di casa.
        «Tutto sommato, non è andata malissimo» decretò Granger, cercando di essere positiva.
        «Non è andata neanche benissimo» sottolineò Potter, scoccando un’occhiata significativa a Malfoy, impalato alla sua sinistra ad una distanza di sicurezza dagli altri, con unombra tetra spalmata su tutto il viso.
        Il disagio di Draco era molto più che evidente: aveva smesso di celarlo da un pezzo, come cercando di velocizzare gli arrivederci finali. Non che il suo sentirsi scomodo fosse dovuto alla sola presenza degli Weasley – tutt’altro –, ma non sopportava più di dover mantenere le apparenze per loro. D’altronde, aveva provato a rapportarcisi civilmente sin troppo a lungo; ora, che smammassero e lo lasciassero in pace.
        Dal lato opposto del ring, Ron covava una simile pazienza ormai esaurita. Sino a quel punto, non s’era esposto più del dovuto e, per il bene comune, era stato attento a comportarsi quantomeno decentemente nei confronti di Malfoy; e riteneva d’aver ottenuto un risultato rispettabile. Quasi troppo rispettabile, in effetti – lui stesso stentava a crederci, ma, contro ogni previsione, aveva finito con lo sviluppare qualcosa di spaventosamente simile all’empatia per quello che per anni aveva considerato un insopportabile snob.
        Non l’aveva preso improvvisamente in simpatia, sia chiaro. Solo― capiva; capiva il suo malessere e la sua indisposizione. O perlomeno, credeva di capire. Per questo, pur stupendo persino sé stesso, finì col bofonchiare: «Se può consolarti, la mia prima cena coi genitori di Hermione è andata peggio». Una parte di lui voleva rivolgersi direttamente a Draco, ma un’altra, testarda, s’oppose, forzandolo a tenere gli occhi puntati su Harry. Dal tono che usò e dall’espressione che mise su, comunque, risultò chiaro chi fosse il suo vero interlocutore. «Sul serio. Non ho fatto altro che figuracce per tutta la sera – ho rotto un piatto, mentre eravamo a tavola ho dato per sbaglio un calcio a sua madre e ho rovesciato il vino. Due volte. Non sono nemmeno stato in grado di stringere la mano di suo padre senza balbettare come uno stupido».
        «Ron!» lo rimbeccò Hermione, quasi divertita.
        «Cosa? È vero» asserì lui con una scrollata di spalle, le guance rosse. «Quindi― sì, insomma― forse abbiamo fatto tutti qualche errore, ma... dagli errori si impara. No?» concluse, quasi anti-climatico.
        Malfoy assottigliò le ciglia, esaminando quelle parole tra sé e sé; se anche le apprezzò, non lo diede a vedere. Potter, al contrario, non nascose un piccolo sorriso.
        «Immagino che tu abbia ragione» disse, pacato.
 
 

        Un altro minuto, e anche Ron e Hermione svanirono nel fumo.
        Non appena rimase solo con Harry, Draco sbuffò e si sciolse nelle spalle, come se un gran peso gli si fosse tolto di dosso. «Merlino» sibilò, scagliando uno sguardo stremato all’altro, «ti prego, non farmelo fare mai più».
        Sapeva che Potter non poteva promettergli una cosa del genere, quindi non si disperò più di tanto quando, a mo’ di risposta, lui non fece altro che tirarlo in un mezzo abbraccio consolatorio, mormorando: «So che è difficile. Ma― riproviamo. Non dico domani! Tra... un po’. Per favore».
        Malfoy poteva vantare una forte riluttanza, ma non era dell’umore per ribellarsi. Dunque, pur sospirando contrariato, non ribatté e si concesse di rilassarsi nella stretta che l’aveva avvolto.
        E il bacio che Harry gli diede dopo― con tanto di occhiali a premergli contro una guancia e di un accenno di barba a fargli il solletico― ecco, si rese conto di non aver avuto bisogno d’altro per tutta la serata.  
.




 
Angolo di Tormenta
Okay, wow, ce l’ho fatta. Ho lavorato a questa storia per tipo due mesi; vederla completa mi fa venir voglia di piangere arcobaleni. c':
Trovavo molto interessante l’idea di approfondire un primo “impatto” tra Draco e la famiglia Weasley. Ci tenevo a renderlo sì turbolento (perché non credo affatto che, almeno all’inizio, ci sarebbe accettazione completa. Da nessuna delle due parti), ma non del tutto negativo, perché non riesco e non voglio vedere una divisione tra buoni e cattivi. Cioè, non penso che gli Weasley vadano demonizzati per le loro incertezze, o che Draco vada trattato come una vittima di sorta. L’intento, insomma, era quello di far emergere che ognuno ha le proprie ragioni.
Detto ciò – mi auguro d'aver reso giustizia all'argomento, d'aver centrato le tempistiche di narrazione e le reazioni, e che possiate aver apprezzato il racconto almeno un pochino. Se vi va, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate. :) In ogni caso, grazie mille per aver letto sin qui! ♥ Un bacio,
T. ♪
   
 
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