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Autore: LaFatinaScalza    26/07/2016    0 recensioni
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Patrick è una storia d’amore al condizionale passato, di quelle che restano senza un perché come un guanto abbandonato su una panchina, e ha il profumo di cose calde e pregiate rimaste chiuse nei cassetti troppo a lungo, non è altro che un filo tirato nel tessuto intricato della sua vita e non riesce, guardandolo andare via, a non provare una malinconia e una mancanza che si spande fra loro come una nebbia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stark



Mission alle sette di mattina è un’esplosione di colori e rumori che per qualche motivo gli mettono tristezza.
Il sole arriva obliquo e già incandescente mentre si fa strada fra i venditori di tapas troppo speziate e le decine di donne in divisa inamidata alla fermata dell’autobus numero 14 che le porterà a Soma ed Haight-Asbury e fino al Golden Gate, dove staranno tutto il giorno in ginocchio a pulire la moquette di qualche pezzo grosso in giacca e cravatta e torneranno stropicciate e con le schiene curve e tutte, tutte, avranno il volto di sua madre.
Mission è i murales che vibrano di colore ed i tossici con i loro carrelli della spesa vuoti pieni di cianfrusaglie che gli sorridono i loro sorrisi senza denti e hanno tatuate tutti le stesse otto lettere sulle nocche delle mani quando le tendono verso di lui per raccogliere le monete che gli lascia cadere dopo essersi frugato le tasche.
Mission è il cadavere gonfio e informe e blu che le acque della baia hanno spinto fino a riva ed i due gabbiani che becchettano i suoi abiti fradici, è il pane messicano dalla crosta alta e dorata spalmato di marmellata al limone, nel sacchetto di carta marrone, che sbocconcella mentre le sue sneakers stinte non fanno rumore per le strade sporche di piscio dei turisti.
Mission è la diversita inscritta nelle pelli ambrate degli uomini e nelle chiome scure e lucide delle donne, nei panni stesi alla finestra, nei ragazzini con le bandane che si ammazzano senza pietà per uno sguardo torvo o a volte meno.
Mission è la saracinesca marrone e perennemente incastrata di un negozio in cui non si parla l’inglese e dove la radio passa sempre Manamana di Sesame Street per qualche strano scherzo del destino, quattro pareti, tre grossi specchi sbeccati, due lavandini, quattro o cinque poltrone di pelle consumata ed un registratore di cassa che si inceppa di continuo ed una piccola bandiera americana in un angolo a prendere polvere.
“¿Richie, que pasa?”
“Buongiorno, Cristo.”
Come ogni mattina, solo che il suo passo è più frettoloso quando si rende conto dell’orario
Mission è il Messico che invade l’America e la colora e la appesta di drogati e puttane e bambini capricciosi e spezie e miseria e musica e disoccupazione, ma è casa sua e gli permette di essere un immigrato qualsiasi, di vivere dignitosamente e miserabilmente nella media. Sente che chiedere qualsiasi altra cosa lo farebbe sembrare un ingrato, e comunque non è che ci sia qualcosa di cui ha davvero bisogno.
 
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Quando apre gli occhi, la penombra della stanza lo disorienta.
C’è una sottile fetta di cielo, grigia e striata di nerastro, ritagliata fra i tetti dei palazzi che si vedono dalla finestra, e potrebbe essere l’alba, o un tardo pomeriggio piovoso. Si sente letargico mentre cerca di liberarsi dalle coperte aggrovigliate ai suoi piedi, si stropiccia gli occhi e cerca di individuare cos’è quel panico che gli occlude la gola. Ha le mani che tremano.
C’è ancora del tempo, ma lo sente mancare nelle ossa come una droga di cui non è ancora riuscito a liberarsi.
 
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Patrick ha ancora la riga da un lato e piccole zampe di gallina quando sorride, ed una camicia a quadri che sicuramente è stata stirata da uno di quei grossi ferri da stiro a caldaia delle lavanderie.
Ha anche, ma questo lo nota in un secondo momento, un chiarezza nuova nei suoi impossibili occhi azzurri ed un sorriso un po’ tirato, una postura troppo tesa ed impettita, una mano dalla pelle bianca e così soffice che gli fa ricordare di quando pensava fosse un peccato stringerla fra le sue, ruvide e screpolate.
Patrick è una storia d’amore al condizionale passato, di quelle che restano senza un perché come un guanto abbandonato su una panchina, e ha il profumo di cose calde e pregiate rimaste chiuse nei cassetti troppo a lungo, non è altro che un filo tirato nel tessuto intricato della sua vita e non riesce, guardandolo andare via, a non provare una malinconia e una mancanza che si spande fra loro come una nebbia.
Adesso ha voglia di infilargli le mani sotto la giacca, inseguire il calore del suo corpo e scoprire la familiarità della sua carne, invece lo lascia andare di nuovo con un cenno del capo e un sorriso forzato. Non riesce più a ritrovare la sacralità con cui lo guardava, e ne è spaventato. Perché se non lo trova più sacro, se non riesce a tenersi alla larga da lui-
Soldato poco coraggioso che non ha mai conosciuto il suono delle parole giuste per dirgli addio, nasconde gli occhi sotto la visiera del suo cappello e si rigira fra le dita un bicchiere di cui ormai riesce a vedere il fondo, combattendo contro la voglia di seguire la sua scia.
Esta Noche all’esterno è dipinta di giallo e di verde con della vernice che puzza ancora dopo chissà quanto tempo e che la notte non si distinguerebbe nemmeno più se non raccogliesse i bagliori fluorescenti dell’insegna al neon giallo.
C’è una strana tensione che prima non c’era, un sospetto che rende l’aria fredda anche nel ristagno bollente dell’aria del locale, dopo quello che è successo in Florida. Non può dimenticarla, la serata che ne era seguita, e come tutto gli sembrasse incolore, dalle paillettes sugli abiti delle travestite fino ai festoni messicani appesi al soffitto e che qualcuno avrebbe dovuto ricordarsi di togliere. Aveva ballato stretto a Brady mentre la musica ripeteva in modo ossessivo You shoot me down, but I won’t fall e le sue mani gli premevano sulla schiena come se potessero davvero schermarlo da qualsiasi reale minaccia, in una calma statica e scomposta. Non era riuscito ad amarlo nemmeno in quel momento.
Patrick balla con le braccia attorno al collo di Agustìn, ad occhi chiusi, la pelle del suo viso congestionata come petali sgualciti. Lui cerca di non fissarlo, risponde con una smorfia della bocca al suo sorriso divertito.
Avrebbe dovuto impararlo, che uomini come Patrick Murray (o Benjamin Kazan, oncologo, il primo nome che gli aveva messo sulle labbra per scherzare) non finiscono insieme a quelli come lui. Era una lezione che Patrick stesso gli aveva dato, quando senza dire nulla si era trasferito a Denver e lui l’aveva scoperto nello sguardo colpevole di Dom e Doris.
Evidentemente non è riuscito ad imparare bene a non volere le cose che non può avere, perché la bocca e le mani gli bruciano di un’avidità che non sa tenere a bada. Stupido, gli ha detto che non basta non avere bisogno di qualcosa per non volerlo davvero. Il suo volto è bagnato di luci blu e rosse, e quando rovescia la testa all’indietro il movimento allude ad un altro, allo spasmo del suo corpo fra le lenzuola, il battere ritmico dei suoi talloni sul culo mentre le sue unghie gli graffiavano la schiena.
Le mani di Brady suoi suoi fianchi non sono mai sembrate così indesiderate.
 
-
 
Patrick Murray ha gli occhi chiusi mentre lo bacia, le dita aperte sulle sue tempie, la bocca ancora sporca di quel rifiuto e della paura che adesso si mischia con la sua saliva e forse se la sta ingoiando insieme al magone come si è ingoiato lo sputo di tutti gli altri prima di lui senza provare ribrezzo perché sa che è uno sbaglio che pagherà a prescindere.
Lo sa dal primo momento in cui l’ha visto anche se non era ancora lui e pensa che spesso non ci si accorge di essere di fronte al primo di una serie di eventi che catalizzano una rivoluzione, e invece lui l’ha saputo da subito, gli si struscia addosso come un cane sotto la pioggia, gli preme il naso sul naso e la bocca sulla bocca e annusa il suo odore di sapone e sfiora la sua fragile bellezza come se stesse profanando un altare.
Lo bacia ed ingoia le sue bugie impastate con la sua saliva e qualcosa che gli brucia dentro come veleno perché no, no, non è tuo, non è per te gli rimbomba nelle orecchie insieme a Quinçeanera Chica e le sue dita gli avvolgono il volto come se lo stesse cullando. Sono due anni che cerca il sapore della sua bocca. Piano cerca di sottrarsi, di risalire a galla da quel bacio che ha un retrogusto quasi tossico.
“Scusa scusa scusa io-”
Torna a fondo, lo bacia ancora una volta, qualcuno fischia dietro di loro strappandoli alla loro piccola bolla di intimità che puzza di vodka e pipì. Patrick abbassa lo sguardo, arrossisce, perde dieci anni mentre le sue gote si pennellano di rosso.
“Vuoi da bere?”
“Sì.”
“Cosa ti prendo?”
“Non te ne andare via, non ancora.”
“Vado soltanto al bar.”
“No.”
Lo trattiene per un pugno di stoffa, quello della sua camicia da bravo ragazzo in tenuta informale, viola il cotone inamidato rigirandoselo fra le dita ed attirandolo a sé, cullandosi nel suo calore. Sente la sua schiena nuda sotto, odorosa e liscia come un’arancia sbucciata, la parte di sé che non può mai aver visto, pensa che l’amore in fondo in fondo sono solo due buchi che coincidono, vorrebbe riuscire a spiegargli questo concetto senza essere frainteso.
Invece lo lascia andare via, apre la mano con riluttanza ma lui non si muove.
“Ti va di uscire da qui?” gli dice, con un cenno della testa.
Lui lascia andare un respiro che stava trattenendo da due anni, e se ne accorge soltanto adesso.
 
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Non si è mai fermato a riflettere sul motivo per cui sembra essere scritto nel suo destino che sarà miserabile per sempre.
Non era qualcosa che sembrava potesse evitare, fino a qualche ora prima. Solo il modo in cui va la sua vita, qualcosa che gli è rimasto incollato addosso dalla sua infanzia, uno sconfinato senso di colpa che associa agli occhi di sua madre ed al disprezzo di suo padre.
Ha sempre pensato di non essere felice, senza mai chiedersi se la felicità sia un concetto democratico. Ha sempre cercato di raggiungerla, sfiorandola con la punta delle dita per poi vedersela soffiare via all’ultimo istante, il palmo vuoto, i piedi piantati saldamente a terra.
Patrick gli ha detto che si merita di essere felice, con così tanta convinzione che lui non è riuscito a dubitarne nemmeno per un istante. Ed è in un diner aperto ventiquattr’ore su ventiquattro, con una grande vetrina che attraverso la quale la notte di Castro si riversa su di lui, con la testa poggiata sulla spalla di Patrick, che se ne rende conto per la prima volta. La felicità è il suo odore, la vibrazione della sua voce che percepisce standogli addosso mentre parla, il ricordo di qualche minuto prima, quando gli ha parlato di invecchiare insieme.
Non è mai riuscito ad afferrarla davvero perché gli è mancato quell’ulteriore passo, l’ultimo, quello nel vuoto.
 
-
 
Marina District sa di sale come solo le strade che si affacciano sull’oceano.
La casa è completamente bianca all’esterno, schiacciata fra un parco e il mare come la più surreale delle oasi. All’interno, è completamente spoglia, salvo per i secchi di vernice che Eddie ha scelto dopo essersi dichiarato responsabile del feng shui di tutte le stanze, ed un materasso poggiato a terra in attesa del resto del mobilio.
La casa di Marina è di certo la più lussuosa in cui abbia mai abitato. I soffitti alti, le grandi finestre, il parquet di legno grezzo, gli sembra tutto surreale e si muove con una strana grazia forzata, come se avesse paura di rompere o rovinare irrimediabilmente qualcosa da un momento all’altro. La casa gli ha insegnato ad associare alla libertà l’odore del mare.
Il sole sta tramontando sulla baia in uno spettacolo di luci colorate che si riflettono come una pioggia di cristalli sulla sua testa. Seduto sul bordo del letto, cerca di tenere le mani ferme abbastanza da rollare la canna che fumerà con gli occhi fissi su Patrick. Una radio da qualche parte passa gli Smiths.
“Mi sono addormentato, mi spiace,” gli dice Patrick, allargando le mani come per dirgli che è un disastro, sollevandosi ad abbracciarlo da dietro. Il maglione da lavoro che ha ancora indosso è di lana blu. Ha i capelli corti, glieli ha tagliati lui stesso, facendolo sedere su una sedia sbeccata nel bagno di Dom. I suoi occhi attraverso lo specchio lo avevano fissato con una serietà che l’aveva messo in imbarazzo e reso orgoglioso allo stesso tempo. Lo aveva fissato come se il suo lavoro fosse importante e valesse qualcosa, lo aveva fatto sentire amato.
Un tempo aveva pensato che amare fosse più importante che essere amato. Le sue convinzioni stanno crollando una ad una, plasmano una persona nuova fatta interamente di dolori dei quali si è liberato come una serpente della sua muta.
“Non importa, è okay,” gli dice, mentre Patrick gli massaggia i polsi. Alla sera sono sempre rigidi e doloranti. Le sue gambe gli si intrecciano al busto come i rami di un ostinato rampicante. Gli sembra che le parole che ha fra le labbra gli impediscano di respirare.
“Vuoi guardare i Goonies?” chiede Patrick, e lui riesce a sentire il sorriso premuto sulla sua schiena. Il posacenere è a terra, su un lato del letto. Solo dopo che si è inginocchiato per spegnere la canna si rende conto che non è affatto ciò che aveva in mente, avrebbe dovuto saperlo da un sacco di tempo.
“Sposami,” gli dice, serio, nudo ed in ginocchio fra le sue gambe.
“Sì,” dice Patrick, e Richie si rende conto che la sua vita dovrebbe essere questo, San Francisco fuori dalla finestra e dentro solo le mani di Patrick, che si chiudono attorno alle sue, lo spazio fra loro sempre più esiguo fino ad essere ridotto a zero.

 
A quanto pare, Looking lo calcola talmente poca gente che non esiste nemmeno una sezione apposita.
Io comunque ci ho provato, era una storia che mi sentivo da tanto e non ho saputo né voluto resistere. Per una volta una ship che ha un finale come Dio comanda, andava celebrato a dovere.
Come al solito,
LFS

 
  
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