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Autore: Scarcy90    26/07/2016    3 recensioni
La giovane infermiera Lisa Light vive la sua solita vita nel reparto di Neurochirurgia in un ospedale universitario. Ad accompagnarla, nel viaggio di tutta una vita, il suo esuberante collega e migliore amico, Chris.
Julian Blackwood, uno sceneggiatore spiantato e colmo di pensieri, circondato da strani amici. Insieme ai quali ha fondato una casa di produzione cinematografica indipendente, la Maudits.
Un incidente motociclistico e un particolare progetto, costringeranno la zelante infermiera a confrontarsi con un mondo quasi completamente opposto al suo, in cui regnano solo le idee e l'immaginazione di chi crea qualcosa praticamente dal nulla. I due protagonisti saranno posti davanti a loro stessi. Dovranno fare scelte importanti per poter comprendere e accettare appieno le loro anime così diverse ma al contempo simili.
Dal Capitolo 5
-Lo fai sempre?- chiese lui con occhi strani.
-Cosa? Vestire i pazienti che ne hanno bisogno?-
-No, accarezzare le gambe dei pazienti in modo così provocante.-
Le guance di Lisa presero fuoco mentre si rendeva conto che non aveva tenuto l’elastico dei pantaloni largo ma aveva permesso che il dorso di una delle due mani restasse in contatto con la pelle di Julian
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1
 
Notte buia e tranquilla.
 Notte impregnata di ricordi e rimpianti. Notte cattiva ma allo stesso tempo magnanima, colma di quell’armonia che solo il buio e il silenzio potevano elargire.
 Silenzio che donava pace. Silenzio che permeava le superfici vive di quella strada periferica, quasi di campagna, al di fuori della caotica città, troppo sporca e densa di rumore per essere degna di rispetto.
 Silenzio infranto.
 Il rombo di una moto in lontananza che procedeva tortuosamente lungo la strada. Divorava l’asfalto, liberando il suo possente ruggito. Gli pneumatici, ormai lisci per quanto consunti, non sempre aderivano completamente al catrame solido di quel serpente nero.
 Il pilota aveva notato quella instabilità ma non ci badò. Non ci voleva fare caso perché davvero non gli importava nulla di come la sua KTM aderisse all’asfalto.
 Quando il cuore sanguina, il cervello perde autorità, si scollega per cedere il suo posto al dolore più nero. Il dolore che ti logora dentro e ostacola qualsiasi ragionamento sensato.
 Sul casco del pilota si riflettevano a gran velocità le luci dei rari lampioni che quella strada di periferia vantava.
 Le luci scorrevano e ad ogni bagliore un ricordo, delle parole, tornavano nella mente dell’uomo.
 
 La nostra storia è stata importante.
 
 80.
 
 Non sono più certa di voler andare avanti.
 
 90.
 
 Anzi, sono sicura di non voler continuare.
 
 100. Scalo di marcia, la più alta.
 
 Sarai sempre un grande amico per me, non potrebbe essere altrimenti.
 
 110.
 
 Ma non posso continuare a mentire.
 
 120.
 
 Lo faccio perché ti voglio bene.
 
 130. Limite massimo, superato.
 
 Sono ancora innamorata di lui, e ho bisogno di stare con lui.
 
 L’acceleratore gracchiava, sotto la pressione di una velocità per cui non era stato collaudato. Le gomme cominciavano a diffondere nell’aria un deciso e chiaro odore di petrolio bruciato. Bruciava contro l’asfalto, bruciava come il cuore spezzato dell’uomo.
 
Ti ho tradito con lui, e non posso continuare a farlo. Io lo amo, non posso fare nulla contro ciò che provo, anche se vorrei.
 
 Lo pneumatico anteriore cominciò a cedere a causa della forte pressione. Stava per spaccarsi ma il pilota non sembrò farci caso. La sofferenza era troppa, nulla lo avrebbe distratto da quell’amarezza che pulsava dentro di lui con un’insistenza inimmaginabile.
 Impossibile combatterlo, il dolore.
 Improbabile seppellirlo.
 Mai sarebbe stato dimenticato.
 
 E’ finita.
 
 Un rumore sordo, acuto. Qualcosa si era spezzato. Qualcosa nell’anima dell’uomo e qualcosa al di fuori del suo corpo.
 La gomma aveva ceduto.
 La moto cominciò a sbandare e lui non riusciva a controllarla, o forse non lo desiderava affatto. Era appagante e liberatorio pensare che tutto avrebbe trovato un epilogo dignitoso proprio lì, su quella strada, sulla sua moto, nell’unico modo in cui lui avrebbe ritenuto giusto che finisse.
 Poi, una reazione automatica.
 La voglia di non morire per una stupida puttana! Riaffiorò in lui l’istinto di sopravvivenza che non avrebbe permesso a quella donna di vincere.
 No, lei non avrebbe vinto. Sarebbe stato troppo facile così.
 La mano si mosse da sola e strinse con forza il freno. La stessa forza con lui l’uomo di rese conto di non desiderare che la sua vita si perdesse in quelle circostanze, senza un motivo davvero valido. Il filo della sua vita era importante e nessuna Parca di merda lo avrebbe reciso per colpa di una donna altrettanto di merda!
 Frenò.
 Troppo tardi, solo per un secondo, ma troppo tardi.
 La moto inchiodò.
 Lui venne speronato e catapultato diversi, tanti, metri in avanti, nel bel mezzo della umile boscaglia.
 La visiera del casco si frantumò in decine di pezzi, alcuni si conficcarono nella fronte del pilota. Avvertiva un dolore lancinante alla gamba sinistra, la testa stava per scoppiare.
 La fine era giunta.
 Lo comprese dal buio che lo stava avvolgendo e dagli occhi che si chiusero senza che lui impartisse l’ordine.
 Ci aveva provato a combatterla ma aveva miseramente fallito, di nuovo.
 
 
*********
 
 
 -Chris, bisogna risolvere questa situazione.-
 -A cosa ti riferisci?-
 La ragazza sbuffò sonoramente in direzione dell’amico.
 -Non ho intenzione di passare ancora un altro turno a riempire armadietti e carrelli delle terapie con fisiologia, elettroliti e glucosate. Le infermiere degli altri turni potrebbero degnarsi ogni tanto di farlo loro.-
 Reparto di neurochirurgia dell’ospedale universitario. Due infermieri erano intenti a prendere da grandi scatoloni bottiglie in vetro e plastica con strane etichette sopra. I liquidi per le flebo.
 -Lisa, eddai. Non ci costa nulla farlo-, rispose il ragazzo con un sorriso.
 I due erano coetanei e amici da una vita.
 Stesso liceo, stesso corso di laurea in infermieristica, stesso ospedale in cui lavorare, stesso reparto fin da subito, stesso turno.
 Stesso animo nobile, dedito al loro compito.
 -Non dico che mi costa ma che spetterebbe anche a loro ogni tanto. Ne approfittano perché siamo i più giovani del reparto.-
 Chris sorrise divertito.
 -Se fossi stata un’acida infermiera cinquantenne non mi tratterebbero così.-
 -No, certo. Ti stenderebbero il tappeto rosso e si esibirebbero in sontuosi inchini al tuo passaggio.-
 La ragazza lo fulminò con lo sguardo.
 -Spiritoso.-
 -Ami il mio senso dello umor-, ammiccò lui con i suoi delicati occhi azzurri.
 -Ringrazia che siamo in un ospedale, tra poco potrebbe rivelarsi davvero utile per te.-
 Chris alzò gli occhi al cielo sempre più divertito.
 -Lisa, scopa di più. Non ti farebbe male.-
 -I cazzi tuoi mai, eh?-
 -Non è colpa mia se ti conosco come le mie tasche. Si vede che il dottorino non adempie come si deve al suo compito. Quando fai sesso regolarmente sei docile come un cucciolo di Labrador. Adesso somigli più a una mantide religiosa.-
 -Christopher Wells!-
 -Okay, okay. Rischio la morte, ricevuto.-
 Lisa si voltò, ricominciando a rimpinzare l’armadietto con le bottigliette. Stranamente le sembrava di appoggiarle con più forza e rabbia rispetto a poco prima.
 Forse perché Chris l’aveva punta sul vivo. Aveva individuato il tasto più dolente che potesse trovare. Era vero. Il suo fidanzato da quasi un anno, Theo Dawson, specializzando in neurochirurgia, ormai non la toccava più da un mese. Solo piccoli baci strappati in momenti di pausa durante i loro turni in comune in reparto. Nient’altro. Nulla che riuscisse a soddisfarla veramente.
La tesi per la specialistica mi tiene troppo impegnato, ti prego di perdonarmi se non sarò troppo presente.
 Una motivazione comoda, inattaccabile. Sarebbe stato crudele e insensibile da parte di Lisa obiettare. Perché lei lo aveva sempre detto che la carriera di Theo era importante, che non sarebbe stata la causa della sua distrazione.
 Però…
Va bene non essere molto presente, ma non fare sesso per un mese, sapendo di avere un fidanzato affascinante, dolce e romantico avrebbe reso acida chiunque. Soprattutto una come Lisa, che senza una dose giornaliera di contatto fisico cominciava ad uscire fuori di testa. Si sentiva come se fosse sottoposta ad una sindrome premestruale perenne.
 Il corpo di Theo le mancava, la sua dolcezza nel fare l’amore era insostituibile.
 Sapeva che era evidente e che il suo miglior amico Chris non ci avrebbe impiegato molto a fare due più due. Sentirselo sbattere in faccia così però, faceva sembrare tutta la situazione più deprimente di quanto non fosse.
 L’unica soluzione era sperare in quel ancora lontano venerdì sera. Mancavano solo tre interminabili giorni e poi finalmente Theo sarebbe stato costretto a festeggiare il loro primo anniversario. Non si sarebbe potuto tirare indietro, Lisa aveva un piano ben strutturato. Cena in un ristorantino intimo che conosceva bene, una passeggiata lungo il fiume e poi dritti nel suo appartamento dove gli avrebbe presentato il nuovo completino intimo acquistato il giorno prima in uno dei negozi di lingerie più costosi della città.
 Non sarebbe scappato.
 Non avrebbe potuto.
 Era il loro primo anniversario, accidenti!
 -Lis, smettila di pensare a come violentare Theo. Non sta bene.-
 -Christopher! Dacci un taglio.-
Il ragazzo prese gli scatoloni rivolgendole un sorriso sornione.
 -Vado a buttarli io.-
 Lisa vide il suo amico allontanarsi per portare gli scatoloni nel magazzino del reparto.
 Non poteva che dargli ragione. La sua acidità aveva raggiunto livelli inimmaginabili. Se avesse fatto l’amore con Theo almeno ogni tanto, le battute di Chris le avrebbero provocato solo un piacevole divertimento, una risata, e non la voglia di massacrare il mondo a furia di sprangate sui denti.
 Quando Chris riemerse dal magazzino in cui accantonavano i vuoti in attesa che li venissero a ritirare, i due si diressero in infermeria, il luogo che era degli infermieri e in cui solo, e soltanto, gli infermieri potevano riposare o parlare con i parenti dei pazienti.
 Ovviamente medici e specializzandi non seguivano le regole e molto spesso sostavano anche loro da quelle parti.
 -Layla-, cominciò Lisa sedendosi. I suoi occhi incontrarono quelli di Layla, una dolce infermiera sulla trentina, di colore e con splendidi, dolci, occhi neri. –Ti volevo chiedere… Ma ti deciderai mai ad andare in maternità? Stai per esplodere!-
 -Grazie, tesoro. Anche tu sei bellissima.-
 -Sai cosa vuole dire-, intervenne Chris cominciando a massaggiare con simpatia le spalle di Layla che subito sembrò rilassarti. –Questo lavoro non è adatto a una donna gravida a cui manca meno di un mese al termine.-
Layla si lasciò coccolare per qualche secondo prima di rispondere.
 -Ve lo volevo dire oggi. La caposala mi sta praticamente cacciando, questo è il mio ultimo turno. Da domani sono ufficialmente in maternità.-
 Lisa e Chris sorrisero, contenti che la loro collega, e amica, trovasse finalmente un po’ di quel meritato riposo che per loro era solo un miraggio lontano.
 Dopo la felicità, il sentimento che li avvolse fu un altro.
 Terribile e inesorabile.
 -Sai chi ti sostituirà?-
 Trovare dei colleghi di turno normali tra gli infermieri non era semplice, e Lisa fino a quel momento era stata fortunata. Prima o poi, però, il “demone” di tutti gli infermieri doveva arrivare, non si poteva scappare. La sostituzione di Layla le metteva addosso un brutto presentimento.
 -Ancora non lo so-, rispose la donna con sguardo interrogativo. –Non vi preoccupate. Siete due ragazzi d’oro, vi troverete bene con chiunque mi sostituirà.-
 Chris la fissò scettico.
 -Non credi neanche tu in quello che dici.-
Layla scoppiò a ridere.
 -L’ospedale è una giungla, lo sapete bene. Potrebbe capitarvi l’infermiere più rompicoglioni dell’intero universo.-
 Ecco appunto.
 -Tuttavia, sono fiduciosa. Chi mi sostituirà potrebbe anche essere una persona squisita. Cercate di essere…-
 Lo squillo del telefono interruppe la frase di Layla.
 Gli sguardi dei tre infermieri s’incrociarono. Durante il turno di notte il telefono non squillava mai, salvo che per emergenze.
 -Reparto di Neurochirurgia-, rispose Chris con prontezza.
 Ascoltò l’interlocutore dall’altra parte, rispondendo con cenni e monosillabi.
 Le colleghe sapevano bene ciò che stava accadendo.
 -Bene, siamo pronti. Avvertiremo subito il medico di guardia.-
 Riappese il telefono.
 -Il pronto soccorso ci manda un’emergenza dalla sala operatoria del DEA?- chiese Lisa con l’espressione di chi ne aveva prese tante di telefonate come quella.
 Chris annuì.
 -Un ragazzo di ventisette anni. Incidenti motociclistico, unico coinvolte. E’ stato operato da Gallagher per un ematoma subdurale di moderata entità. E’ stabile ma deve essere tenuto sotto osservazione.-
 -Gallagher? E da quando il prof abbandona il letto in piena notte per un intervento che qualunque neurochirurgo poteva eseguire?- la voce di Lisa era sorpresa.
 -Questo non lo so. Mi hanno solo detto che ha chiesto che non fosse mandato in traumatologia ma qui perché voleva controllare personalmente il suo periodo post-operatorio.-
 La due donne si guardarono spalancando gli occhi. Sapevano che il professorone non apprezzava il reparto di Traumatologia a causa di una disputa con uno dei professori che operava lì, ma addirittura non mandarci un paziente che poteva tranquillamente essere seguito in quel reparto sembrava assurdo.
 -C’è qualcosa sotto-, sentenziò Layla.
 -Qualunque cosa sia dovrà aspettare-, disse Chris. –Il paziente è arrivato.-
 Si precipitarono alla porta d’ingresso del reparto. Aiutarono i portantini a bloccare la grande porta di pesante metallo ed indicarono loro una stanza vuota dove sistemare il paziente.
 Entrarono in camera.
 -Lisa-, un medico entrò subito nella stanza. Alto, biondo, profondi occhi azzurri e occhiali con montatura nera che stavano ubbidienti sul naso, senza scivolare.
 -Theo? Che ci fai qui? Non eri di turno.- Lisa non poté fare a meno di notare il camice da sala operatoria indosso al suo fidanzato.
 -Gallagher mi ha chiamato per assisterlo.-
 Quel dinosauro di Gallagher stava davvero perdendo la brocca, non aveva mai fatto una cosa del genere. Che si trattasse di demenza senile? Probabile.
 -Appena il paziente è nel letto, dovresti rilevare la pressione arteriosa bilaterale, la saturazione, la frequenza cardiaca e la temperatura corporea. Fallo tu, per favore. Pare che Gallagher consideri questo sprovveduto alla stregua del Papa in persona. E’ stato in grado di far alzare il culo a quel tiranno in piena notte.-
 -Certo-, rispose lei mentre i suoi colleghi sistemavano il paziente nel letto che fino a poco prima era immacolato e intonso.
 Corse in infermeria a prendere tutto il necessario.
Sfingomanometro, fonendoscopio, saturimetro, termometro. C’era tutto.
 Tornata in camera vide che tutti stavano uscendo.
 -Registro io il paziente in consegna, tu pensa tranquillamente ai parametri vitali-, disse Layla. –Letto 19, pare che si chiami Julian Blackwood. Probabilmente è vivo per miracolo.-
 Lisa annuì con sguardo pronto.
 -Se ti servo sono in sala medici a compilare la cartella-, disse Theo lasciandole un piccolo bacio tra i capelli. –Appena hai i parametri raggiungimi lì, c’è da compilare una bella cartella. Avrò da scrivere per un po’.-
 Lisa osservò per un secondo il suo fidanzato allontanarsi. Ormai era abituata a quella routine. Le sue doti da infermiera erano le sole cose che ormai sembravano interessare al suo, cosiddetto, fidanzato.
 Entrò in camera e capii subito di essere rimasta sola con il paziente. Persino i portantini erano andati via e Chris, probabilmente, stava preparando la terapia di liquidi post-operatoria.
 Osservò per un attimo il nuovo paziente da lontano e non sembrava un bello spettacolo. La testa fasciata dopo l’intervento chirurgico, la gamba sinistra era completamente ingessata, e un’altra fasciatura gli avvolgeva il torace.
 Ematoma subdurale. Frattura del femore, forse anche tibia. Quattro o cinque costole incrinate. Non aveva bisogno di leggere la cartella, non ancora compilata, per intuire, con quasi assoluta certezza, la diagnosi di quel ragazzo sventurato. E ancora meno le serviva per capire che la moto su cui era alla guida non stava rispettando i limiti di velocità. Doveva aver fatto un volo di diversi metri per ridursi in quello stato, e solo correre come un forsennato poteva aver dato quel preciso risultato.
 -Spero solo che avessi un buon motivo per andare così veloce-, mormorò lei scuotendo la testa mentre si avvicinava al paziente.
 Appoggiò tutti gli strumenti sul letto pronta a rilevare, uno per uno, i parametri richiesti.
 Prese una mano dell’uomo, era gelata. Le sale operatorie possedevano il clima dell’Antartide e in più doveva aver perso molto sangue durante l’intervento in sala. Prima di continuare prese la coperta poggiata ai piedi del paziente e lo coprì come meglio poteva. Almeno gli avrebbe dato un po’ di sollievo.
 Con cura sistemò il saturimetro sull’indice della mano destra, in attesa che il piccolo strumento rilevasse frequenza e saturazione.
 Sistemò il bracciale dello sfingomanometro poco sopra l’incavo del gomito, come da manuale. Ci sistemò sotto il fonendoscopio e pochi istanti dopo rilevò una pressione arteriosa un po’ alterata, era sopra la norma. Piuttosto normale dopo un intervento al cervello di quella portata. Inoltre bisognava considerare la reazione della pressione all’anestesia non ancora smaltita.
 Fece la stessa cosa con l’altro braccio. Identico risultato.
 Il saturimetro annunciò buone notizie. I valori di frequenza e saturazione erano nella norma.
 Mancava solo la temperatura.
 Si chinò sul viso del paziente.
 Nonostante la situazione, gli ematomi e le escoriazioni che presentava, la donna non poté fare a meno di notare che quell’uomo aveva un volto decisamente affascinante. Un viso dai lineamenti decisi e squadrati. Il naso dritto e simmetrico, i capelli neri, forse un po’ mossi, che si intravedevano sotto la fasciatura e una barba, forse leggermente troppo lunga ed incolta, che lo rendeva più maturo degli anni che aveva. Le ciglia lunghe e scure come i capelli, la forma degli occhi allungata e ben delineata.
 Chissà di che colore erano quegli occhi disegnati in modo magistrale dalla genetica umana.
 Posò una mano sulla guancia del ragazzo e con delicatezza inserì il termometro auricolare nell’orecchio. Lo strumento emise subito un bip e Lisa notò che la temperatura era leggermente alta. Anche questo era normale dopo l’intervento subito.
 Non sembrava ci fossero dati preoccupanti. Variazioni comuni dopo il trauma, dati che aveva rilevato in centinaia di altri pazienti in condizioni anche peggiori.
 La sua mano si soffermò un po’ troppo sulla guancia dell’uomo, che forse per il contatto o probabilmente per l’effetto dell’anestesia che cominciava a svanire, aprì lentamente gli occhi.
 Lisa ritrasse la mano, come scottata.
 Marroni. Un marrone intenso e caldo.
 Di quel colore erano quegli occhi così grandi e delineati. La loro forma si avvicinava in modo impressionante a quella di un bel paio di occhi mediorientali.
 -Se… Sei… Sei un angelo?-
 Un sorriso sfuggì alle labbra della ragazza.
 -Sono…-, la sua bocca doveva essere impastata. Non riusciva a scandire bene le parole. –Sono… Morto?-
 Lisa fece cenno di no con la testa.
 -Sei reale, allora?-
 -Sì.-
 Ci fu una pausa di qualche secondo.
 -Vuoi sposarmi?-
 Qui le ci volle un enorme autocontrollo per non scoppiare a ridere, non era la situazione più adatta. Le avevano insegnato la discrezione, prima di ogni cosa la discrezione con i pazienti.
 Non doveva dimenticarlo.
 Posò con delicatezza una mano sul braccio dell’uomo e avvertì chiari sotto il suo palmo i muscoli tesi e anche scolpiti di lui.
 -Julian, riposa. Sei ancora intontito, domani ti sarà tutto più chiaro.-
 Il giovane fece appena un cenno con il capo e chiuse gli occhi. Erano pesanti, non sarebbe stato comunque in grado di tenerli aperti a lungo.
Lisa si lasciò andare ad un ultimo sorriso. Guardare il volto di Julian la faceva sentire stranamente serena. Forse perché le sarebbe piaciuto provare le droghe che avevano dato a lui. Ma anche il fatto che avesse un viso così bello e un corpo che, almeno da ciò che riusciva a vedere, non aveva nulla da invidiare a nessun altro che avesse mai incontrato. Quelle labbra erano perfette e carnose…
 -Lis, non puoi violentare i pazienti sotto anestesia. Neanche se lo stupro rimane circoscritto nella tua mente perversa.-
 Lisa sobbalzò e si allontano di un paio di passi dal letto.
 -Christopher! Ma che dici!?-
 -Sei arrossita, per poco non ti prende un infarto, e hai usato il mio nome per esteso. I tuoi pensieri su quel povero ragazzo dovevano avere un bel bollino rosso stampato sopra.-
 Chris entrò con in mano una grossa sacca colma di liquido trasparente e un piccolo macchinario che sembrava pesare qualche chilo.
 -La sistemo io la pompa d’infusione con i liquidi-,annunciò cominciando a fissare il macchinario sull’asta per le flebo, agganciandolo proprio al centro con un morsetto. –Tu vai a raffreddare i tuoi bollenti spiriti da un’altra parte.-
 -Christop…-, mormorò lei con rabbia pura nella voce.
 -Sì, lo so. Lo so. Sono un uomo morto e bla bla bla. Vai adesso.-
 Lisa uscì da quella stanza senza più dire mezza parola.
 Doveva andare da Theo e chiarire questa storia del sesso, prima di mettersi a violentare mezzo reparto a causa dei suoi bisogni inappagati.
  Julian aprì gli occhi, molto lentamente.
 Un uomo era al suo fianco. Vestito di bianco e con strani ricci biondo rossicci sulla testa.
 -Dov’è l’angelo?- chiese in un sussurro appena udibile.
 -L’angelo?- chiese Chris confuso.
 Julian mosse gli occhi a destra e a sinistra ma non vide da nessuna parte la creatura bellissima di poco prima.
 -Era qui, fino a un attimo fa.-
 Chris lo guardò per un attimo e poi capì. Un sorriso divertito gli si dipinse sulle labbra.
 -Ah, l’angelo… Non ti preoccupare, lo rivedrai molto presto. E’ probabile che ti salti addosso nel sonno, e credo che ti piacerà molto.-
 -Ma cosa…?-
 -Nulla, domani ti sarà tutto più chiaro.-
 Julian non rispose.
 L’anestesia aveva di nuovo preso possesso della sua mente, relegandolo in un sonno profondo in cui riusciva a distinguere solo delle enormi ali bianche spiegarsi davanti ai suoi occhi increduli.
 
 
 Lisa bussò con calma ad una porta in fondo al corridoio del reparto.
 -Avanti- disse la flebile voce aldilà della barriera che li separava.
 La ragazza abbassò con calma la maniglia e fece il suo ingresso nella sala medici. Theo era seduto al grande tavolo ovale delle riunioni, teneva la testa bassa e stava scrivendo qualcosa. Erano i momenti di Theo che a Lisa erano sempre piaciuti di più. Così concentrato ed assorto, bello come un dio, intelligente come nessuno. Era affascinante. Troppo.
 Più Lisa lo osservava e meno riusciva a sopportare l’idea di non potergli strappare tutti i vestiti e prenderlo lì, su quel tavolo. Già una volta in quel posto avevano dato sfogo alla loro passione, e lei si scoprì quasi sorpresa nello sperare che accadesse ancora, lì e in quell’esatto momento.
 -Ecco i parametri che mi hai chiesto.-
 Posò un foglio sulla pila di cartelle cliniche che stava davanti al suo fidanzato e rimase in attesa che lui dicesse qualcosa.
 Continuava a scrivere senza sosta e ci mise diversi secondi prima di sollevare la penna e dedicarsi ai dati che Lisa aveva sottoposto alla sua attenzione.
 -La pressione… Non è esattamente delle migliori, anche se ha subito un intervento. Per evitare rischi somministrategli una piccola dose di antipertensivo, le gocce orali andranno bene. Tra un’ora rilevate nuovamente la pressione e venite subito ad informarmi se è ancora così elevata.-
 Detto ciò mise da parte il foglio e tornò a dedicarsi alla stesura del suo resoconto medico.
 Non aveva alzato lo sguardo neanche per un attimo da quando Lisa aveva messo piede in quella stanza.
 Se Lisa non avesse posseduto l’autocontrollo più sviluppato al mondo, avrebbe spalancato la bocca e sgranato gli occhi per quello che aveva appena sentito. Mai, da quando conosceva Theo, si era rivolto in un modo così professionale e formale nei suoi confronti. Le aveva sempre chiesto con gentilezza i favori e mai aveva usato il plurale, come se fosse stata una qualsiasi infermiera. L’aveva sempre, sempre, chiamata per nome.
 -Tutto bene, Theo?- chiese lei decisa a capire cosa stesse accadendo.
 -Certo, perché me lo chiedi?-
 I suoi occhi non si sollevarono mai da quella maledetta cartella clinica.
 -Ti ricordi la cena per il nostro anniversario, vero?- a quel punto ogni dubbio era lecito.
 -Ovvio, ricordo tutto. Tranquilla.-
 Il massimo del romanticismo, non avrebbe potuto adottare un tono più gelido di quello.
 -Torno a lavoro-, Lisa riuscì a malapena a celare la decisa nota di delusione che chiunque, solo guardandola in volto, avrebbe scorto senza alcun tipo di problema.
 -A dopo.-
 Queste furono le ultime parole di Theo prima che Lisa lasciasse la sala medici, richiudendosi la porta alle spalle.
 La tesi per la specialistica, il lavoro in ospedale, lo studio… Lisa avrebbe potuto giustificare Theo all’infinito per il suo atteggiamento, ma perché neanche un sorriso o uno sguardo? Il loro rapporto si era raffreddato nell’ultimo mese ma lei aveva sempre provato a comportarsi come al solito, visto che lui le aveva chiesto di avere pazienza. Eppure quell’atteggiamento così freddo e distaccato non lo sopportava, poiché lei conosceva perfettamente la dolcezza di cui quello specializzando dagli occhi di ghiaccio era in grado di dimostrare.
Si appoggiò con la schiena al muro.
 Era caldo, come tutto in ospedale.
 Proprio per quello aveva scelto di fare l’infermiera fin da piccola. La gente credeva che gli ospedali fossero gelidi e asettici ma lei aveva sperimentato più sfumature di sentimenti tra quelle mura che in qualunque altro posto.
 Dolore.
 Gioia.
 Gratitudine.
 Perdita.
 E ora confusione.
   
 
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