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Autore: Relie Diadamat    28/07/2016    7 recensioni
Un altro finale, un'altra verità taciuta, un'altra parte della storia.
*
[Dal testo]
Ted ebbe come l’impressione che quegli occhi scuri non aspettassero altro che un suo cedimento, un gesto o un minimo movimento delle sue sopracciglia folte che potesse tradirlo. Ma non successe nulla di tutto questo.
«Papà».
«Hai deciso per un bis?»
Penny scosse lievemente il capo, facendo muovere appena i boccoli castani che le incorniciavano il volto. «Oh, no, per carità. Volevo solo dirti che… ti voglio bene. Sono passati sei anni da quando la mamma ci ha lasciati e quindi mi sembra giusto che tu lo sappia: io e Luke siamo dalla tua parte. Siamo una famiglia e, qualsiasi scelta prenderai, noi staremo al tuo fianco. Sempre».

*
*
[Ted/Barney]
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Barney Stinson, Luke Mosby, Penny Mosby, Ted Mosby
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nda: Buon salve!
Che dire? Sono molto emozionata - quanto imbarazzata - perché questa è la mia prima fanfiction in assoluto sulla bellissima sit-com "How I Met Your Mother", ed ho seriamente paura di aver scritto delle oscenità.
Non so se il fandom sia ancora attivo, ma nel caso qualcuno passasse di qua... sappiate che io faccio parte della "fetta" di pubblico che ha amato il finale della serie. Ammetto di non averlo visto per intero (so cosa succede a grandi linee), e forse per questo motivo troverete delle incongruenze.
Le parti trascritte interamente in corsivo rappresentano i "flashback modificati", li riconoscerete sicuramente.
Insomma, questo è un finale in cui l'amore per Robin non c'entra un tubo. L'ho scritto anche un po' per divertirmi e un po' grazie ad un video che ho trovato in rete (che vi linkerò).
Scusate il papiro, ma certe precisazioni mi sembrano doverose. 
Spero di non aver scritto qualcosa di orrendo. A voi la parola.
Buona, spero, lettura!
 
It was not me,
It was the Universe.


 
Video da cui prende ispirazione la shot -> click

«E così ragazzi, ecco come ho conosciuto vostra madre».
Ted riservò ai suoi figli un sorriso sincero e a tratti malinconico, sentendo ancora sulla pelle il profumo di tutti quei momenti assaporati insieme ai suoi amici, alle donne sbagliate e… infine con  Tracy.
Ted era fiero della sua storia, contento del racconto che aveva narrato fin nei minimi dettagli alle due persone più importanti della sua vita. Non credeva ci sarebbe mai riuscito, ma come per magia… tutta la pesantezza di quegli anni sembrava essersi affievolita.
«Tutto qui?»
A rompere quell’incantesimo fu Penny, la sua primogenita; lo guardava come se da un momento all’altro potesse apparire un uomo con una telecamera, urlando a pieni polmoni: «Scherzetto!»
«Tutto qui?» le fece quindi eco Ted, alquanto confuso dalla reazione della figlia.
«Ci hai tenuti seduti su questo divano, raccontandoci una lunghissima storia, per poi fare solo un breve accenno alla mamma? No, non ce la conti giusta T. Bello».
Ted corrugò la fronte nel suo modo buffo, quello che utilizzava inconsciamente tutte le volte che veniva colto con le mani nel sacco. «Cosa stai dicendo? Non è assolutamente vero. Io vi ho raccontato una storia brevissima arrivando subito al dunque e voi-»
«Mi spiace, papà.» Anche suo figlio scosse il capo, sistemandosi meglio sul divano. (Da quante ore era seduto lì?). «La penso come Penny».
Ted spostò lo sguardo dalla faccia vittoriosa e indagatrice della primogenita a quella del figlio. Era assurdo.

Come potevano mai vederci un secondo fine?

«Bene, questo vuol dire che hai torto marcio anche tu», concluse semplicemente, con la stessa risolutezza di un bambino che vuole scaricare la colpa al suo compagno.
Le labbra di Penny si allargarono in uno strano sorriso, lo stesso che si dipingeva sul volto di Tracy tutte le volte che tentava di far luce su un mistero. Anche se in quel momento lo turbava, una piccola parte del suo cuore era rasserenata dall’aver colto quella semplice somiglianza.
Dopo sei anni, Ted aveva imparato a convivere con il fantasma di sua moglie riconoscendolo come un riflesso negli occhi di Luke, una carezza delicata sull’Ukulele che solo Penny sapeva suonare come la madre, e in molti altri piccoli attimi quotidiani.
Ted sembrava quasi pronto ad andare avanti.
Quasi.
«Sono sicura che qualcosa non ce l’hai detta, papà», lo incalzò la figlia assottigliando lo sguardo. «Forse la tua storia non è così impeccabile come vuoi farci credere, forse hai omesso un piccolo passaggio».
«Volete che ve la racconti per una seconda volta?», propose allora con finta innocenza Ted, certo della reazione che Luke ebbe poco dopo: il ragazzo scattò in piedi borbottando qualcosa, incamminandosi verso la sua stanza.
Penny, invece, continuò a scrutare  il padre.
Ted ebbe come l’impressione che quegli occhi scuri non aspettassero altro che un suo cedimento, un gesto o un minimo movimento delle sue sopracciglia folte che potesse tradirlo. Ma non successe nulla di tutto questo.
«Papà».
«Hai deciso per un bis?»
Penny scosse lievemente il capo, facendo muovere appena i boccoli castani che le incorniciavano il volto. «Oh, no, per carità. Volevo solo dirti che… ti voglio bene. Sono passati sei anni da quando la mamma ci ha lasciati e quindi mi sembra giusto che tu lo sappia: io e Luke siamo dalla tua parte. Siamo una famiglia e, qualsiasi scelta prenderai, noi staremo al tuo fianco. Sempre».
Era ormai sera tarda.
Se si fosse girato verso la finestra a cui dava le spalle, probabilmente avrebbe visto il cielo colorato di un blu inteso e punteggiato da qualche stella, ma Ted scelse di guardare ciò che aveva dinanzi a sé.
La luce calda del soggiorno illuminava il viso di Penny di un giallo confortante. Giallo.
Poteva persino rivederlo tra i suoi capelli mossi e nel suo sguardo intelligente.
«Sei proprio come tua madre, sai».
Penny si alzò dal divano, avvicinandosi al padre. Gli posò un bacio sulla guancia, per poi sorridergli con affetto. «Ho ereditato il meglio».
 
 
*
 

Erano le undici passate quando Ted si accorse che la sua tisana non aveva alcun effetto, quella sera, su di lui.
Continuava a guardare quell’orologio ticchettante in cucina. Fisso al muro, solo le lancette libere di muoversi. Per quanto tempo si era sentito così? Un orologio appeso ad un muro.
Era sempre stato l’universo a comandare, ma quella sera… Quella sera possedeva un profumo diverso da tutte le altre sere, un sapore differente sulle labbra dell’architetto newyorkese.
Penny non solo aveva fatto centro, ma aveva anche riaperto in lui una voragine; sbattendogli la verità in faccia, sua figlia lo aveva ricondotto sul filo di un rasoio, facendogli riassaporare la paura di cadere. Farsi del male.
Ted sapeva mentire per convenienza e lo aveva dimostrato anche quella sera. Non aveva mentito su Tracy, sull’amore che li aveva legati e che tutt’ora continuava a scaldargli e bruciargli il cuore.
Ted aveva mentito su altro, un pezzo fondamentale della storia…
 



Victoria lo guardò bene negli occhi, riservandogli tutta la tenerezza che solo lei sapeva trasmettere con un semplice sguardo silenzioso. “C’è un motivo se tra noi non ha funzionato, se tutte le tue relazioni continuano a morire senza dare i propri frutti.”
Ted l’ascoltava, pendendo dalle sue labbra sottili.
“Ognuno di noi ha un’anima gemella, Ted, ma raramente riusciamo a riconoscerla. Spesso ci vuole tempo, servono degli sbagli e bisogna commettere molti errori prima di capirlo. Poi un giorno apriamo gli occhi e quella persona è lì, davanti a noi, e non riusciamo più ad immaginare la nostra vita senza di lei.” La donna sorrise con dolce rammarico, la consapevolezza della fine. “Il tuo motivo è Barney”.
“Cosa?! No!” Ted rise, incredulo alle sue orecchie. Se Victoria voleva negargli l’ultima chance, poteva benissimo essere sincera con lui. Lo avrebbe accettato… dopo qualche settimana.
“Come ho detto, spesso ci vuole tempo.” Un piccolo sorriso tirato e poi Victoria salì sul bus.
 



 
“Robin non dovrebbe stare con Barney. Lei dovrebbe stare con me”.
Lily, le braccia incrociate al petto tentando di farsi calore da sola, lo guardò senza battere un ciglio. “Dov’è la pupù, Ted?”
“Sono contento che Barney sia felice, ma… non riesco a dimenticarmi di Robin”.
“Dov’è la pupù, Ted?”, ripeté.
“Continuo a credere che ci sia ancora un futuro per noi, che forse un giorno ritornerà da me.”
“Dov’è la pupù, Ted?”
Il ragazzo sospirò, roteando gli occhi al cielo. “E va bene! Credo di essermi innamorato di Barney.” Concluse la frase abbassando la voce, nascondendo la testa tra le spalle.
 



 
Ted uscì dal MacLaren’s con uno strano peso sullo stomaco. Un opprimente vuoto che doleva più del cemento armato. Il ragazzo si chiese come fosse possibile sentirsi così appesantito dal niente.
Aveva passato la serata in solitudine al bar, immaginando di essere seduto al solito tavolino con Barney. Non con Lily, non con Marshall e nemmeno Robin: Barney.
Ma lui non era mai stato lì a scherzare col suo amico, Barney aveva un matrimonio a cui pensare. Sarebbe stato tanto egoistico il desiderio viscerale di mandare indietro le lancette dell’orologio e impedire a Robin di salire su quel tetto?
Al diavolo il destino Ted Mosby!, si disse. Ne era stato succube per troppo tempo.
Non sapeva cosa gli stesse succedendo, sapeva solo che l’unica cosa che sentiva di poter fare era… correre. Avvertire l’aria maleodorante di New York posarsi sulla fronte, sentire il sudore imperlargli il viso.
Arrivare dinanzi a quella porta e bussare con mano tremante. Riconoscere i suoi capelli biondi, il suo volto chiaro e la solita cravatta intonata alle scarpe.
“Ciao”, disse riprendendo fiato. Il petto si sollevava e si abbassava velocemente, come una fisarmonica che si gonfia e  si piega. “Io non dovrei sicuramente essere qui, ma da Lily e Marshall. Loro m’impedirebbero di fare cose stupide – o beh… almeno ci proverebbero – ed io non sarei corso fin qui, non sarei sudato e non… ti direi che credo di essermi innamorato di te col fiato corto, perché è la cosa più stupida di questo mondo. Ma sono qui e… tra quarantacinque giorni esatti non potrò più dirtelo perché sarei più stronzo di quanto non lo sia adesso. Ma sono qui e…
Se non fosse tutto sbagliato come sembra? Se invece questa fosse la strada giusta, se ogni sbaglio commesso ci avesse portato qui, a questo momento. Se un giorno noi ci rincontrassimo e crescessimo insieme dei bambini… se tutto questo non fosse già scritto da qualche parte o disegnato fin dall’inizio!
Io credo che imparerei ad amarti, fin quando me lo renderai possibile.”
Uno scherzo esilarante, quasi da “give me five!”. Fu questo ciò che pensò Barney inizialmente e non fu difficile da capire, persino Nick avrebbe colto nel segno.
“Questa è stata bella. Questa è stata…” Barney tratteneva una risata fino alle lacrime, pronto ad alzare una mano verso Ted, ma poi s’irrigidì di colpo. “Ted… tu non stai-“
Gli occhi.
Gli occhi di Barney erano diventati frammenti di vetro, pungenti e pericolosi.
Ted, però, decise di rischiare tutto. Un angolo della bocca s’incurvò verso l’alto, in un mezzo sorriso sognante. Il castano delle sue iridi divenne liquido, la voce tremante. “Tutto questo…”, alzò le spalle come un uomo senza difese, disarmato e pronto ad offrire se stesso. “… questo potrebbe essere lege – wait it fo-“
“Un errore, Ted. Un grosso errore”.
La voce di Barney sovrastò le sue parole, lo punse dritto al petto, lasciandolo boccheggiante dinanzi ad una porta chiusa in faccia. Con lentezza, esattamente come il mondo che crollava sulle sue spalle.
 




“Da quanto tempo sei innamorato di Robin? Otto anni? E nonostante tutto rischieresti di ammazzarti per recuperare il suo medaglione.” Janette lo fissava con gli stessi occhi di Barney. Gli occhi di una persona che non crede a ciò che sta vedendo. “Tutto questo è da pazzi, anzi è ancora più che folle! Non riesco neanche a trovare una parola per spiegare cosa sia!”
Ted serrò la mascella, tenendo il capo basso.
Tutto ciò che aveva tenuto nascosto durante i preparativi per il matrimonio, tutti gli sguardi che aveva evitato durante le chiacchierante e bicchieri di scotch… riemergevano a galla, facendo a botte contro i suoi denti per uscire fuori.
Sollevò lo sguardo su quella donna che stava iniziando a rendergli la vita un vero inferno, facendo una scelta: combattere per ciò che attanagliava il suo  stomaco in una morsa dolorosa, per un futuro che non sarebbe mai arrivato e per delle mani che non avrebbe mai stretto alla sera.
“Non lo faccio per Robin, ma per Barney.”
Janette, gli occhi spalancati, lo guardò come se l’avesse visto per la prima volta.
“Sono innamorato di lui, okay? I-Io credo di esserlo.” Sbottò. “E amore vuol dire voler vedere la persona che ami felice, fregandotene di quanto questo ti farà male. E l’unica persona che può rendere Barney felice è la donna che ama. Per questo motivo mi serve il medaglione, perché se lo recupero e lo consegno a Barney, lui conquisterà il cuore di Robin per sempre. E niente potrebbe eguagliare quel momento.”
Qualche minuto più tardi, Ted si ritrovò a nuotare nelle acque più gelide che avesse mai conosciuto, recuperando il medaglione che Janette aveva lanciato dal ponte.
 



 
 
L’orologio se ne stava sempre lì, fisso al muro. Le lancette continuavano a girare, tic tac senza fine.
Penny e Luke probabilmente già dormivano; Ted uscì in veranda, sedendosi sulla sdraio in legno che Lily aveva regalato a Tracy per il suo secondo compleanno da signora Mosby.
Era bello guardare le stelle da lì, sentire la notte cadergli sulle guance per accarezzarlo. In tutto quel silenzio, in quel momento di pace agognata, lo sguardo di Ted cadde su un canestro.
Il canestro.
Se chiudeva gli occhi, poteva ancora rivedere il biondo nel suo completo trascinare un canestro in veranda. “Un bambino ha bisogno di un  canestro”, gli aveva detto.
Non seppe cosa lo portò ad alzarsi dalla sdraio, muovere dei passi verso la cucina e prendere il telefono tra le mani; digitare quel numero che sapeva a memoria da una vita e lasciare squillare. E poi riagganciare, non appena aver udito la sua voce.
 
 
*
 
 



«Un doppio scotch».
Ted si appoggiò al bancone, aspettando il suo drink, ignorando la piccola ciotolina piena di salatini. Il MacLaren’s non era cambiato più di tanto, in tutti quegli anni. Solite luci, soliti tavoli…
Diede un’occhiata rapida verso il centro del locale, il ritrovo della gang. Da quanto tempo non si ritrovavano tutti al solito tavolo, ad ordinare le solite cose per parlare del più e del meno?
Da quando Robin e Barney avevano divorziato, niente era stato più lo stesso. Soprattutto dopo la morte di Tracy.
Ted ritornò con lo sguardo al suo scotch, servitogli in quell’esatto momento. Bevve un lungo sorso, per poi controllare il suo orologio da polso. C’era ancora tempo.
Bevve un secondo sorso, quando udì le note di un pianoforte. Pensò di essere diventato pazzo o più probabilmente ubriaco: quella musica la conosceva. L’aveva scritta lui, l’aveva cantata insieme a lui.
Voltò lo sguardo alle sue spalle e gli sembrò impossibile quello che stava vedendo. Era troppo ridicolo per essere vero, era una maledetta scena da sit-com.
Dita affusolate correvano delicate sui tasti di quella pianola portatile, adagiata sulla superficie liscia del tavolo. Quel tavolo.
A cantare le parole di una stupida canzone per un bar chiamato “Enigmi”, c’era Barney. Era maledettamente elegante nel suo completo, il viso più maturo e i capelli più corti.
Ted, la bocca aperta come un emerito idiota, si sporse verso il cliente più vicino.
 «Vede anche lei quello che vedo io?» chiese, quasi in un soffio. La paura d’essere talmente tanto rovinato dal sognare Barney Stinson ad occhi aperti lo allarmava, abbastanza da mozzargli il fiato.
«Io non vedo proprio niente, giovanotto».
Quando l’architetto si girò verso l’avventore, capì di essersi rivolto ad un povero cieco. Agitò le mani in segno di scuse, ma si rese presto conto che l’uomo non poteva vederlo.  «M-Mi scusi», farfugliò, premurandosi di chiedere al prossimo cliente a lui più vicino – possibilmente vedente -, ma poi si rese conto che non aveva alcun senso. Così ritornò con gli occhi su quell’uomo biondo, pazzo e senza regole, godendosi quella piccola dedica imbarazzante.
Gli sorrise sulle note dell’ultima strofa, beandosi di quel momento.
Barney lasciò riposare le sue dita sugli ultimi tasti, producendo un suono grave fin troppo prolungato. Forse era a disagio anche lui; Ted lo notò dal modo in cui si sistemava smanioso la cravatta andandogli incontro.
Ogni passo di Barney verso di lui era un misto di emozioni e ricordi che l’ormai rinomato architetto newyorkese non riusciva più a gestire.
Si fermò ad un centimetro di distanza da quello che un tempo aveva preteso come migliore amico e testimone di nozze, sorridendo con impaccio. «E questo, è ciò che definisco un ritrovo lege – wait it fo-»
Come qualche anno addietro, anche le parole di Barney morirono in una gola secca; Ted lo aveva stretto forte a sé in un abbraccio, sentendo tutti gli ostacoli che li avevano separati sparire a mano a mano che i loro profumi diventassero un odore familiare.
«Non voglio più aspettare».
La voce di Ted sembrò un balsamo per le ferite di entrambi e, in un attimo, sparirono tutte le cicatrici dovute a divorzi dolorosi, ombrelli gialli dimenticati in un armadio e corni blu francesi lasciati arrugginire in un angolo. Sparì tutto, lasciando spazio solo a loro. Ai loro corpi che s’incastravano alla perfezione in un abbraccio tanto atteso… e all’universo. Perché era stato lui a condurli fin lì.
«Ted», Barney sembrava quasi soffocare tra le braccia dell’altro.
«Uhm».
«Noi dovremmo comprare un bar».
Ted si staccò dalle braccia dell’uomo, posando le mani sulle sue spalle per guardarlo bene negli occhi. In un secondo, i lineamenti seri del suo viso lasciarono spazio solo alla felicità. «Certo che dovremmo comprare un bar!»
 




ANGOLO DELL'AUTRICE
Tengo a precisare che non so se effettivamente Janette e Ted stessero su un ponte, ma noi faremo finta di sì.
La canzone che Barney canta alla fine della shot è la seguente --> song
Io mi eclisso, ma se la shot vi fosse piaciuta... una piccola recensione mi renderebbe molto felice.
Alla prossima!
   
 
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