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Autore: DarkYuna    01/08/2016    4 recensioni
"... Se fossi stata mia ti avrei regalato un giro in gondola a Venezia, una romantica passeggiata sul lungosenna, una visita alla casa di Romeo e Giulietta a Verona, affitterei una cabina privata sul London Eye. La colazione a Parigi, il pranzo in Italia, la cena in Portogallo. Ti avrei regalato l’Europa intera, me stesso, il mio cuore, il giorno, la notte, il sole, la luna e le stelle.".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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*Colazione di Mezzanotte*








 
Ci sono innamoramenti mentali che
trapassano tutte le barriere terrene e
resistono al tempo e alle logiche di tutto il resto.
Perché il sesso possiamo scegliere di farlo con chiunque.
Avere un posto in prima fila nella sfera
del pensiero, scambiarsi l’anima è
invece un evento interiore rarissimo e prezioso.
Questi incontri hanno ogni volta il
dono dell’inizio, a ripetizione.
Sono sicuri, leggeri e si rendono indimenticabili.
Con loro puoi restituire a ogni attimo
il legittimo senso d’eternità.
Con loro tu puoi essere la prima e
l’ultima pagina della storia del mondo.
(Massimo Bisotti)
 
 
 
 
 




L'amour est un compromis
 
 
 
Le parole di colore azzurro erano scritte in corsivo elegante sul piccolo bigliettino rettangolare stropicciato, con cui giocherellavo distratta, tra le dita affusolate e pallide.
La frase doveva suonare romantica o qualcosa di simile, d’altro canto il cioccolatino in cui era avvolto non era davvero niente male, con un cuore alla nocciola, che sfogava la fissazione arcana di masticare tutto il tempo, come un cammello furioso. Non avevo niente contro l’amore o il romanticismo o annessi e connessi, come si poteva provare alcuna forma d’odio verso un sentimento che non avevo mai avuto la fortuna di provare davvero? Era ridicolo, no? Fondamentalmente non lo comprendevo e se non ne ero stata infettata, non sarebbe potuto essere altrimenti.
Come facevano due persone ad essere sicure di amarsi? Come evitare la fregatura? La presa in giro? Un cuore spezzato? Il dolore?
 
 
Alzai lo sguardo sul panorama suggestivo, il sole si spegneva sulla Senna, esplodendo in ultimi fulgori carminio, eliotropo e rosa pallido, su una volta dipinta ad olio, che si rifletteva nelle cristalline e quiete acque del fiume, in un confine che non esisteva, dove terra e cielo divenivano un tutt’uno.
Il sole moriva, per permettere alla sua amata luna di sorgere.
Ecco sì, magari un amore di una tale portata, avrebbe potuto confutare ogni dubbio, solo una passione così radicata ti portava a fare delle scelte che danneggiavano se stessi, pur di proteggere l’altro. 
 
 
I monumenti di Parigi si illuminarono come tante piccole stelle che puntellavano il paesaggio e il profilo della città si rifletté sulla Senna creando l'atmosfera ideale per un tête-à-tête romantico e stuzzicante. Un battello passò di lì proprio in quel momento.
La capitale della Francia era imbattibile se si trattava di San Valentino. Tra le attrazioni romantiche, il grande muro dei “Ti amo”, situato nel bel mezzo di Montmartre. Le mur des je t'aime, su cui vi era scritto “ti amo” in tutte le lingue del mondo. Una vera chicca per le coppie approdate a festeggiare la famosissima ricorrenza nel weekend.
 
 
Fortuna per me, che non stavo trascorrendo una breve vacanza in coppia, o meglio, in dolce compagnia maschile, poiché in coppia lo ero, ma mia sorella Vanessa non era considerabile tra le migliori compagnie e tantomeno dolce.
 
 
Anche se non avevo un fidanzato o niente che potesse assomigliarli, ciò non significava che non avrei potuto festeggiare a modo mio, magari dimostrando amore per me stessa e coccolandomi un po’ con la mia personale lista delle “10 Tappe di un Single”. Inventata di sana pianta poche ore fa.
 
 
La prima tappa era abbandonata sulla panchina accanto a me, in un meraviglioso e profumatissimo mazzo di dodici rose rosse, dai petali di velluto e cosparse di brillantini, che nessuno mi aveva regalato mai. Non necessariamente dovevo attendere che un uomo me li donasse, facevo benissimo anche per conto mio.
 
 
La seconda tappa era ingollarsi di musica sdolcinata fino ad averne la nausea, persa nel mio mondo fantastico a contemplare quanto fosse magica la città dell’amore per eccellenza. L’avevo odiata a dodici anni, a causa dell’insegnante di francese delle scuole medie, ora mi rendevo conto di aver detestato più la persona che la città.
 
 
La terza tappa l’avrei raggiunta a cena, concedendomi le più ghiottose prelibatezze francesi e dimenticando, per una sera, la ferrea dieta.
 
 
Sulla panchina fredda mi stiracchiai e sbadigliai rumorosamente, frizionando le tempie, per soffocare il mal di testa post stanchezza da viaggio. Le otto ore di treno erano difficile da smaltire.
Strinsi il cappotto, mi alzai pigra e mi addossai alla ringhiera, respirando a pieni polmoni l’atmosfera febbricitante di un paese straniero.
Ventiquattro “San Valentino” vissuti senza il rammarico di comprare un regalo all’ultimo momento, emozionarsi in attesa della cena, arrossire per il complimento al vestito scelto per la serata, un bacio frettoloso su labbra truccate e… amarsi, amarsi a più non posso, amarsi fino all’ultimo respiro, amarsi e non poterne fare a meno.
 
 
Mia madre diceva che l’amore arrivava per chi era pronto.
Parlava facile lei che, dopo il divorzio con mio padre, aveva cambiato sei uomini in due anni, mentre la mia vita sentimentale era pari ad una particella di sodio nell’acqua Lete. Il primo e l’ultimo esponente del genere maschile che aveva mostrato interesse per me era stato Matteo, il vicino di banco in terza elementare, da allora gli uomini preferivano guardare, ma non toccare.
In un qualche modo misterioso li tenevo a distanza ed incutevo timore. Vanessa insisteva che era il mio aspetto freddo e distaccato che scoraggiava i probabili pretendenti, di cui non conoscevo l’esistenza. Sempre se esistevano.
Se solo mi fossi sciolta un po’ di più, magari, avrei accorciato le probabilità di trasformarmi in breve da una giovane ragazza alla ricerca dell’amore a gattofila zitella in via del declino corporeo.
 
 
Una tenue brezza invernale si innalzò dalle acque specchianti e trasportò un profumo di fiori selvatici che crescevano nella roccia sotto i miei piedi. Chiusi gli occhi e per un momento il mondo frenetico, con i suoni, i rumori e le voci, smise temporaneamente di esistere.
 
 
<< Affascinante, non è vero? >>, sussurrò in inglese, una sensuale voce maschile di velluto, profonda, dalle note dolci, che avviluppava il cuore e quasi musicale.
 
 
Voltai la testa alla mia sinistra, stupita che uno sconosciuto stesse rivolgendo la parola proprio a me. Non vi era nessuno nei dintorni, solo la coppietta che si scambiavano tenere effusioni a quattro panchine di distanza e le persone sul ponte, troppo distanti per costituire una forma di abbaglio sul destinatario della domanda.
 
 
La visione d’insieme dell’uomo convinse a dargli una nuova, accorta ed attratta occhiata femminile. “Affascinante” era l’aggettivo equanime, oltre che per descrivere la bellezza evidente di Parigi di sera, anche per descrivere lui che, di affascinante aveva molte cose degne di nota.
Lì per lì non notai la familiarità nelle fattezze dolci e virili del viso, mi soffermai più che altro sulla bocca dischiusa dalla forma peccaminosa, gli donava un’aria seducente. Avrebbe potuto chiedermi di buttarmi dal Senna e l’avrei fatto seduta stante, specialmente se usava la voce come mezzo di persuasione.
 
 
Il profilo non era perfetto, però gli si avvicinava di molto, la ricrescita lieve di barba gli donava un’aria seducente e deleteria. I capelli di un biondo rossiccio erano acconciati in un taglio moderno, pochi tocchi di gel cercavano di dare ordine nella forma disordinata dei boccoli appena accennati. Veniva voglia di accarezzarglieli, per constatare se fossero morbidi come apparivano.
A bilanciare, anzi, esaltare al limite, aveva un senso per la moda davvero esauriente, o almeno, combaciava con i miei gusti, non molto ricercati a dire il vero, l’importante era abbondare con il nero. Lo spolverino corvino, completava un abbigliamento seducente e prettamente sensuale, composto da un maglione di lana sottile che andava a sottolineare un fisico snello ed asciutto, i bluejeans rimarcavano cosce slanciate e scattanti, scarpe raffinate scure e pulite, e il tutto di un nero pulito, a tratti terso.
Ai miei occhi una creatura misteriosa, con uno spiccato savoir-faire che mi allettava innegabilmente. Non dimostrava più di trent’anni anni o giù di lì. Non sembrava il tipico cittadino francese.  
 
 
Una volta tanto, l’anno trascorso all’estero dopo il penoso divorzio dei miei, era servito a qualcosa, oltre a prendere le distanze da una decisione che mi aveva spezzata a metà; adesso tornava utile: potevo sfoggiare un discreto inglese.
Due stranieri, in terra straniera.
 
 
Incrociai le braccia sulla ringhiera fredda, era più stimolante osservarlo che scrutare la pateticità della mia vita sentimentale, concretamente mancante.
<< Stucchevole, oserei dire. >>, corressi pignola, ben felice di non essermi arrugginita con la lingua.
 
 
A Parigi, di questo periodo, ogni angolo gridava a gran voce: “sono la città dell’amore”. E per quelle come me, che faticavano a lasciarsi andare ed innamorarsi, era una situazione bizzarra, un pesce fuori dall’acqua, totalmente fuori posto.
Di carattere razionale, zero istinto e passioni, molto matematica, non avevo mai creduto alla magia, almeno fino a quel momento.
 
 
L’estraneo sbuffò una nuvola visibile di fiato, drizzò fluido le iridi fino a me e mi travolse con il deleterio incantesimo che governava gli occhi di cielo. Le luci di Parigi si riverberarono in essi, mostrando l’intensità di uno sguardo tossico, lancinante, misterioso e più pericoloso di quanto potessi ponderare.
Avrebbe dovuto possedere un porto d’armi per portare in giro degli occhi simili, perché non ero provvista di un giubbotto antiproiettili, che mi tutelavano da sguardi rischiosi: da incantatore.  
<< Mollata a San Valentino? >>, suppose ironico, non ne era sicuro, ma come spiegare l’acidità nella mia frase? Si accorse del mazzo di rose sulla panchina e parve sul punto di volersi rimangiare la frase.
Davo questa impressione?
 
 
Scrollai le spalle e, per una volta, mi sforzai a non essere fredda come il Polo Nord e a chiudermi in me stessa. Magari era la volta buona e ancora non me ne rendevo conto.  
<< Sono solo razionale. >>, spiegai semplicemente. Gli avrei volentieri evitato la visione personale di come reputavo alcolista Cupido che scagliava frecce ad occhi chiusi.
 
 
Volse il busto verso di me, puntellò il braccio sulla ringhiera e strinse le mani tra di loro… mani grandi, affusolate e virili.
<< Ha un suono disilluso. >>, notò dispiaciuto e mi si strinse il cuore, poiché mi accorgevo quanto, una persona che non mi conosceva, avesse colto più degli amici o della famiglia.
 
 
<< Razionale. >>, gli ricordai petulante e dovetti distogliere lo sguardo dal suo, abile seduttore che sorrideva malizioso, nemmeno stesse cercando di conquistarmi a gesti. Reputavo pericoloso chiunque di cui non potessi dedurre le azioni e le condotte.
 
 
Si passò l’indice sulle labbra, poi se le inumidì ed indicò il mazzo di fiori.
<< Il tuo ragazzo non fa un buon lavoro: le premesse c’erano, ma si è perso sul finale. Ti porta a Parigi, ti fa un bel regalo, ma ti lascia sola in una città sconosciuta. >>, assodò, tuttavia suonò più come un tentativo sottinteso per capire se fossi in compagnia o meno. Speravo che, per una volta che decidevo di accettare di conversare con qualcuno, quel qualcuno non fosse uno psicopatico, pazzo, omicida, in stile Jack lo Squartatore. Fortunatamente non eravamo a Londra, altrimenti mi sarei già preoccupata. << Io non avrei agito così. >>.
 
 
Trattenni a stenti il bisogno di ridere, un po’ per la manovra consumata di rimorchiare, forse impeccabile e geniale, magari sperimentata più volte e andata a segno, ma goffo per il personale punto di vista. C’era da dire che smontavo a prescindere ogni abbordaggio da parte del genere maschile. Volevo essere magnanima, il tipo si stava impegnando.
<< E sentiamo, tu cosa avresti proposto, invece? >>, domandai, maledicendo il tono spigliato e da oca giuliva.
 
 
<< Se tu fossi stata mia? >>. Sottolineò la parola mia, con un tono più profondo, serio, oscuro e gli occhi si accesero di un fuoco che avrebbe potuto ardermi viva all’istante. Suonò maledettamente invitante quella prospettiva irrealizzabile. Per un secondo fantasticai su un futuro del genere e la risposta che ricevetti fu un tuffo dolorosissimo al cuore, smisuratamente allegro per una fantasia così realistica ed allettante. Ne aveva bisogno come l’aria, aveva bisogno che divenissero concretezza, aveva bisogno di un nuovo tipo di battito, mai saggiato.
 
 
<< Sì. >>, mormorai e la voce perse di qualche tono. Mi presi un secondo o forse due, nel ripetere l’identica frase. << Se io fossi tua. Stupiscimi! >>. Dubitavo la spuntasse, fino ad oggi nessuno era riuscito in una simile impresa.
 
 
A pugno chiuso schioccò le dita tra di loro, respirò veloce e ci pensò su. Poco.
<< Per prima cosa non saresti qui, da sola. >>, iniziò sapiente.
 
 
<< Abbastanza ovvio. >>, lo interruppi, d’un tratto non volevo che continuasse, che mi stupisse, che centrasse il punto. Fui più che certa che ne fosse capace, che stavolta avevo trovato pane per i miei denti, che mi avrebbe dato filo da torcere.
 
 
Proseguì, come se non avessi aperto bocca, come se avesse intuito la mia paura.
<< Non mi sarei limitato alle rose e a Parigi. Se fossi stata mia ti avrei regalato un giro in gondola a Venezia, una romantica passeggiata sul lungosenna, una visita alla casa di Romeo e Giulietta a Verona, affitterei una cabina privata sul London Eye. La colazione a Parigi, il pranzo in Italia, la cena in Portogallo. Ti avrei regalato l’Europa intera, me stesso, il mio cuore, il giorno, la notte, il sole, la luna e le stelle. >>, disse e riuscii a vedere ogni singola cosa descritta da lui, alla bellezza indiscussa di svegliarsi insieme, più “dove”, ero attratta dal “con chi”, fare colazione insieme, ridere, scherzare, parlarsi di tutto, assaporare la sua bocca, perdermi negli occhi, sentirlo su di me, dentro di me, avvertite l’amore radicarsi nell’anima e farmi esplodere il cuore per ogni sorriso. << Se fossi stata mia, non ci sarebbe stato momento in cui avresti avuto quell’espressione così triste, su un viso così straordinario. Farti sorridere sarebbe il regalo più bello che tu potresti farmi.>>.
 
 
Boccheggiai, incredula che al mondo esistesse davvero un uomo che diceva romanticherie simili, non sdolcinate, ma giuste, ad una ragazza incontrata una sera a Parigi e che non avrebbe rivisto, molto probabilmente, mai più.
<< Ci vorrebbero troppi soldi per una pazzia simile. >>, commentai, senza riuscire a nascondere il rossore acceso sulle guance e il sorriso emozionato. << Apprezzo molto più le parole, che il gesto in sé. >>.
 
 
Abbassò il capo, per vedermi meglio, mentre mi nascondevo ai suoi occhi affascinanti.
<< Avevo ragione io. >>.
 
 
Commisi l’imperdonabile errore di incontrare le iridi lucenti e ne restai irrimediabilmente abbacinata.
<< Su cosa? >>.
 
 
<< Sei bellissima quando sorridi, ed è un peccato che tu tenga una simile meraviglia solo per te. >>.
 
 
Faticai non poco a mantenere lo sguardo infettivo, violento, colmo di segreti, alcuni spaventosi, altri che avrei voluto scoprire, miliardi di futuri molteplici si stagliavano in essi e desiderai afferrarne almeno uno, tra le numerose possibilità. Non volevo che fosse solo un’ombra di passaggio nella sera di San Valentino, volevo qualcosa di più, una possibilità, un’occasione. Volevo l’amore.
 
 
Morsi il labbro inferiore, indecisa se carpirla o meno l’opportunità.
<< A che ora devi andare via? >>. Erano appena le otto, probabilmente Vanessa si sarebbe ben presto attaccata al cellulare, non appena, dopo la pennichella, non mi avrebbe trovata nella camera d’albergo.
 
 
Grattò la punta del naso, di nuovo il sorriso di sbieco.
<< Quando me lo dici tu. >>.
 
 
<< Beh. >>, allargai le mani con fare ovvio, <<… siamo a Parigi, no? Regalami una passeggiata sul lungosenna. >>.
 
 
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A Saint-Germain-des-Prés, quartiere parigino situato nel sesto arrondissement, tra il Boulevard Saint-Germain e la Senna, si trovava uno dei café che aveva fatto la storia di Parigi. Al 6 Place Saint-Germain des Prés, il caffè letterario Les deux Magots, era decisamente un must della rive gauche.
O almeno era ciò che, il mio accompagnatore, aveva raccontato. Molto esperto della Francia, di luoghi caratteristici da visitare, ristoranti, posti da non perdere assolutamente, però non era francese, altrimenti non si spiegava l’utilizzo dell’inglese o, più che altro, del tipico accento britannico. Era un vulcano, conosceva molte cose, un concentrato di forze ed energie, era un piacere ascoltarlo, specialmente per me che non amavo ascoltare neppure il cinguettio degli uccellini al mattino.
 
 
Ci accomodammo in terrazza, approfittando della splendida vista della chiesa di Saint-Germain des Prés (l'edificio religioso più antico di Parigi) e del Boulervard pieno di antiquari, godendo dell’atmosfera tipicamente parigina.
Il clima era intimo, accogliente e confidenziale. Dal nostro tavolino si poteva avere una splendida visuale; le candele sul davanzale della finestra, davano quel tocco di languore in più, che avrebbe fatto comodo ad una coppietta innamorata.   
 
 
<< Dopo questo weekend di non San Valentino, poco romantico, cosa farai? >>. Stava seduto davanti a me, in una posa rilassata sulla sedia, confidenziale, a suo agio, molto amichevole ed aperta. Chiacchieravamo come amici di vecchia data, quando non conoscevo nemmeno il suo nome.
 
 
Giocherellai con il tovagliolo bianco in stoffa.
<< Beh, dopo il festival di domani, tornerò in Italia. In qualche modo devo riprendere le file di una vita, che cade un tantino a pezzi. Ho dei progetti, spero di realizzarli, prima o poi. >>. Puntellai il gomito ed affondai il mento nel palmo della mano. Più che progetti, erano speranze vane, volevo prendere una certa distanza da mia madre e la cattiva influenza che esercitava. Un appartamento in periferia, non in centro a causa dei costi elevati di Milano, un lavoro tranquillo e, il tutto, sarebbe stato perfetto se, avessi potuto includere anche lui.
Terminato il fine settimana, le nostre strade si sarebbero divise per sempre. Non l’avrei rivisto più e il pensiero mi turbava, non poco.
 
 
Parve essere preso contro piede da qualcosa che avevo detto.
<< Sei venuta per il festival? Quello che ospita gli attori? >>, lo disse come se mi stesse accusando di essere una bambina infantile che si sorbiva otto ore di treno, solo per vedere live, star di fama mondiale. Il tono non mi piacque per nulla. Che male c’era? Se non ci si godeva la vita, cos’altro restava da fare? Credevo che gli fosse chiaro che non ero venuta a Parigi per una fuga d’amore romantica.
 
 
<< In realtà ho accompagnato mia sorella. Ha sedici anni e mia madre non l’avrebbe lasciata venire da sola. >>, poi cercai di buttarla sul ridere e cancellare la strana ruga di sospetto tra le sopracciglia chiare ed inarcate. << Non so nemmeno chi sono questi attori che è venuta a vedere. Entrerò con lei, solo per non perdermela di vista, altrimenti me ne sarei rimasta volentieri in albergo. >>.
 
 
Tornò sorridente, le spalle smisero di essere contratte e alla fine si tolse lo spolverino, rivelando un fisico più sodo e sportivo di quanto mi era apparso.
<< In che hotel alloggi? >>.
 
 
<< Hotel du Quai-Voltaire. Si affaccia proprio sulla Senna, per questo sono scesa a passeggiare lì vicino. Tu che progetti hai invece? Qual buon vento ti porta a Parigi? >>. Presi la lista del menù, più per sfogliare le succulenti immagini dei dolci, che per verificare i prezzi… prezzi esorbitanti, che per essere pagati bisognava aprire un mutuo trentennale. << Oddio, ma qui è carissimo! >>.
 
 
<< Lavoro. Viaggio molto per lavoro. >>. Allungò una mano, tolse via il menù dalla mia vista, lo richiuse e lo spinse al limite del tavolino, lontano dalle mie preoccupazioni. Era il tipo d’uomo in grado di sottrarmi via i problemi, pur di vedermi serena. << Non pensare a niente, okay? Siamo a Parigi, ti ho regalato una romantica passeggiata e ti regalerò anche un romantico caffè. >>.
 
 
<< Facciamo alla romana, però. >>. Mi sarei sentita troppo a disagio ad approfittare così di una persona appena conosciuta. Era una cosa che faceva mia madre, non io: sceglieva di proposito uomini ricchi, che potevano mantenerla.
 
 
Aggrottò la fronte.
<< E cioè? >>.
 
 
<< Facciamo a metà. >>.
 
 
Scosse la testa contrariato e, involontariamente, si sporse in avanti, vicino dallo sconfinare di netto i miei spazi.
<< Non sarebbe un non San Valentino non romantico, se permettessi ad una donna di pagare. >>, sussurrò con la voce bassa, volutamente seducente. Alla luce del caffè parigino, potei constatare quanto bello fosse, non era solo una bellezza prettamente fisica, era dotato di un fascino che gli filtrava dall’anima e quegli occhi deleteri ne facevano da tramite. Il tempo smise di scorrere, mentre annegavo volontariamente, in quell’oceano arcano che mi cullava fino alla deriva delle emozioni.
 
 
Il ragazzo venne a prendere le ordinazioni e lasciai che fosse lui a scegliere per me. Sulla Senna aveva più volte sottolineato cosa avesse fatto se fossi stata sua e… Dio, se lo volevo! Volevo appartenergli, essere sua, per una volta il ruolo di guerriera l’avrei volentieri barattato con il ruolo di principessa. Cosa si provava ad essere amata per ciò che si era, desiderata e protetta?
 
 
<< Vedrai, i croissant qui sono eccezionali e la cioccolata calda ancienne è tra le migliori che tu possa assaggiare. >>, disse entusiasta. << In fin dei conti ti avevo detto che ti avrei regalato la colazione a Parigi. >>.
 
 
<< Anche se è sera. >>. Maledii il bisogno di dover sempre mettere i puntini sulle “i”.
 
 
<< Vorrà dire che ti ho offerto una colazione di mezzanotte. >>, inventò di sana pianta. << Nessuno ti offrirà mai una colazione di mezzanotte. Pretendo il primato e i diritti d’autore. >>.
 
 
Sorrisi apertamente, un’ora in sua compagnia e la visione della vita non sembrava più così oscura e decadente come mi era apparsa sino ad oggi. Il record degli uomini che guardavano, ma non toccavano, pareva essersi momentaneamente rotto.
 
 
<< Non mi hai ancora detto il tuo nome. >>, mi accorsi ad un certo punto. Come si faceva a conversare allegramente con uno sconosciuto, trovarlo attraente, lasciare l’immaginazione viaggiare a briglia sciolta e non partire da una base solida per conoscerlo meglio? Sarebbe durata una sera, due chiacchiere, qualcosa offerto in un bar e poi addio per sempre: ne ero consapevole. Ma faceva male, forse era la persona giusta che tanto agognavo e, a causa delle circostanze, l’avrei dovuto lasciare andare.
 
 
<< Tom. >>, si presentò affabile, dotato di un magnetismo avvincente. << E tu, ragazza di San Valentino? >>.
 
 
<< Lilian. >>. Protesi la mano, ma lui, anziché ricambiare la stretta, la fece ruotare sulla sua e, fissandomi fino all’ultimo, ne baciò delicatamente il dorso. Se il mio cuore avesse potuto fare rumore, sarebbe di certo esploso in un grido di pura gioia.  
 
 
<< Immagino che sia la versione italiana di Lily? >>.
 
 
Mi colse impreparata, non avevo mai valutato il mio nome sotto l’aspetto straniero.
<< Presumo di sì. >>.
 
 
Le ordinazioni arrivarono più in fretta di quanto aspettassi, ma non interruppero la conversazione, Tom seguitò a parlare, incurante di chi ci circondasse, dove fossimo e perché.
<< Hai proprio l’aspetto di un giglio… un giglio nero, sommerso nella neve. Un giglio letale che non va colto, ma che chiede in silenzio di essere portato via dalla neve, per ammirare paesaggi meni ostili. >>, lo disse con una brama oscura, era attratto, almeno quanto io ero attratta da lui. Non gli avrei permesso di andare oltre i complimenti però, non ero il tipo di ragazza da una notte di sesso, per sfogare i bassi istinti. Ne passava di acqua sotto i ponti, prima di giungere a quel punto.
Lilian. Lily. Giglio.
Nessuno si era mai riferito a me in quei termini.
 
 
Morsi l’angolo del labbro inferiore. Per trovare un uomo che mi comprendeva e piaceva, ero dovuta venire a Parigi, ed incontrare addirittura uno straniero.
<< È così che mi vedi? >>.
 
 
Prese calmo il cucchiaino, mescolando la panna soffice alla cioccolata calda e molto densa. I gesti erano sensuali, calmi e mi incantai a scrutare le mani. Se avessi avuto più coraggio, le avrei sfiorate, per saggiarne la morbidezza e la temperatura.
<< È l’impressione che mi hai dato… ma credo che ci sia molto di più della prima impressione. >>, riprese affidabile, non sorrideva, faceva sul serio. Forse troppo. << Dimmi cosa c’è oltre la maschera che ostenti, sono curioso. >>. Diede un morso al croissant, attento a ciò che gli avrei detto. Masticò veloce ed ingoiò il boccone.
 
 
Grattai impacciata la nuca. Solitamente non era difficile parlare di me stessa, lo facevo di rado certo, ma quando la domanda era diretta, le parole non venivano mai.
<< Chi te lo dice che io non sia esattamente come mi hai descritta, senza oltre dietro la maschera? >>.
 
 
<< Nessuno è freddo di natura, lo si è per scelta, spesso a causa della gente che si incrocia sul cammino della vita. >>. Stava parlando di me o di lui stesso? << Hai sorriso spesso stasera, ma ti sei nascosta nel farlo, come se temessi di mostrarti debole o come se avessi paura che potessi colpirti, una volta abbassate le difese. >>.
 
 
Attorcigliai una ciocca corvina della capigliatura a caschetto, se avesse continuato sarebbe giunto a rompere direttamente il muro delle mie difese, a passare sulle macerie e a giungere lì dove non si era mai avventurata anima viva.
Deglutii appena, le pulsazioni cardiache erano basse, intense e cadenzate. Ogni tonfo generava un calore piacevole al centro del petto, un calore che andava via via accrescendosi, fino a deflagrare in un rogo selvaggio composto da passioni vivide, mai collaudate prima e che mi rovesciarono con una potenza inaudita.
 
 
Assicurò il braccio al tavolino e adagiò una parte del viso nel palmo della mano, ricambiando il gioco degli sguardi, i suoi però, erano penetranti, magnetici ed irresistibili. Mi stava leggendo in silenzio, non vi erano bisogno di parole, mi osservava come se mi conoscesse perfettamente da tutta la vita. Era una sensazione singolare, però brillante, come la luce che vivacizzava il nero della pupilla.
 
 
<< Perché mi guardi così? >>, chiesi a mezza voce, ero in imbarazzo. Torturai il tovagliolo bianco, non riuscivo a fare altro, neppure assaggiare l’ordinazione. La cioccolata si stava freddando.  
 
 
Tom tirò la bocca da un lato, in un sorriso dolce e al contempo malizioso.
<< Perché è impossibile non guardarti. >>, confessò disarmante e con lo stesso tono disarmante, una risposta che non avrei mai creduto di poter dare voce, mi scivolò dalle labbra.
 
 
<< Potrei innamorarmi di te. >>. Fui così sincera, da fare schifo. Normalmente non andavo in giro a fare simili dichiarazioni compromettenti, probabilmente fu il contesto, l’aria di Parigi o San Valentino.
 
 
La mano sinistra abbandonata accanto al croissant, scivolò in avanti, le dita sfiorarono le mie e poi gravò sul dorso. La pelle calda, si scontrò con la mia completamente gelata per l’agitazione.
<< Lo hai detto, come se fosse una cosa sbagliata da fare. >>. Pareva amareggiato. Stava prendendo in considerazione la medesima idea?
 
 
<< Se pensi che domani sera io tornerò in Italia e tu continuerai con i tuoi viaggi lavorativi… beh, lo è. È sbagliato. È sbagliato innamorarsi di qualcuno, se non c’è un futuro insieme. >>. I miei discorsi avrebbero spaventato chiunque, spaventavano persino me. Al solo sentire le parole “innamorarsi” “futuro” ed “insieme”, avevo un’irrefrenabile attacco di orticaria acuta.
 
 
<< Non esiste un domani o ieri, esiste adesso. È solo questo che ti preoccupa, il futuro? Il fatto che dopo stasera ognuno tornerà alla propria vita? >>, parlava come se avesse già pensato al problema e avesse trovato la soluzione, prima di me.
 
 
Inarcai le sopracciglia, sconcertata dalla semplicità che distillava dalle frasi. Non era affatto semplice, era tutto sbagliato, un casino irrisolvibile.
<< Ti sembra una cosa da niente? >>. Se stava progettando una storia a distanza, poteva scordarselo. Faticavo in una storia normale, figuriamoci in una storia con problemi e distanze.
 
 
Con un cenno del mento Tom richiamò l’attenzione del cameriere, gli fece un gesto, come se volesse scrivere e il ragazzo gli prestò la penna dal taschino e un foglietto del block-notes.
Annotò velocemente qualcosa che non potei leggere, poi restituì la penna al cameriere che se ne andò. Ripiegò il foglietto, prese la mia mano e depose il quadratino di carta al suo interno e la richiuse.
<< È il mio numero di cellulare. Non darmi il tuo. Lascio a te le fila del destino. Godiamoci questa sera e poi, se domani vorrai ancora che faccia parte della tua vita, puoi chiamarmi a qualsiasi ora. Non preoccuparti sul come: c’è sempre un modo. >>. Mi stava dando potere decisionale, insicuro se lo avessi richiamato, se desiderassi davvero che facesse ancora parte delle mie giornate e se fossi sincera nell’affermare che potessi innamorarmi di lui. << Magari stasera abbiamo consumato una colazione di mezzanotte a Parigi e domani consumeremo un pranzo crepuscolare in Italia. Chi può mai saperlo cosa ci riserverà il futuro? >>.
 
 
Ridacchiai divertita dal suo modo di sognare ad occhi aperti, da come riusciva a rendere facile l’impossibile e perché era difficilissimo non sorridergli. Contagiava con il buon umore.
<< Gireremo mezza Europa, solo per conoscerci? >>, scherzai, faticando molto a mantenere il contatto visivo. Le sue iridi sfumavano dall’azzurro, al blu intenso, a bagliori cristallini. Le fiammelle delle candele rendevano complicato dire il colore esatto.
 
 
Riportò la sua mano sulla mia, si avvicinò un po’ di più, inumidì il labbro inferiore e poi lo mordicchiò. Era l’incarnazione della sensualità fattasi uomo.
<< Potrebbe valerne la pena, non credi? >>.
 
 
Mi strinsi nelle spalle.
<< Spero di valerne la pena. >>.
 
 
La bocca si distese dolcemente, in uno sguardo carezzevole, che sciolse la scorza gelida attorno al mio cuore. Solo in quel preciso istante notai la canzone che veniva trasmessa dalla radio, ma che nessuno ascoltava. Non conoscevo la cantante, ma le parole erano il riassunto della serata.

 
 
I never wanna lose you
And if I had to I would choose you
So stay, please always stay
You're the one that I hold onto
'Cause my heart would stop without, you
 
 



 
<< Se devo rincorrerti per tutta Europa, solo per un’altra serata come questa, non sarà affatto una pena. >>, affermò e mi tolse il fiato. << E puoi innamorarti di me, se vuoi. Magari per poi scoprire, che anche io sto facendo lo stesso. >>.
 
 
Se non fossi così stata bloccata da regole morigerate, la paura di lasciarsi andare, cosa era giusto e cosa no, e, invece, avrei permesso all’istinto di agire per me, mi sarei già alzata dalla sedia per ubriacarmi di quella bocca da cui uscivano solo cose che adoravo.
Il momento non poteva essere più perfetto, occhi negli occhi, parole che restavano impigliate nell’anima, emozioni che avrei difficilmente dimenticato e, come ogni attimo idilliaco, qualcosa o qualcuno, giungeva sempre a rompere il frangente irripetibile. In questo caso, mia sorella Vanessa, con un SMS stipato di parolacce, frasi “carinissime” e minacce di chiamare in fretta mia madre, se non fossi tornata in albergo.
 
 
<< Problemi? >>, domandò Tom, preoccupato. La sua mano era ancora sulla mia e strinse appena, come se non volesse che la nostra serata finisse, come se volesse riavvolgere il nastro del tempo e rivivere la serata, come se non volesse lasciarmi andare via.
 
 
<< Mia sorella mi sta cercando. Devo tornare in albergo. >>. Digitai velocemente un “sto arrivando”, per sedare gli animi e a malincuore capii che il sogno era finito: dovevo svegliarmi.
 
 
<< È tardi, anche se l’albergo è vicino, ti accompagno, vuoi? >>.
 
 
Alzai gli occhi, restando incastrata nei suoi. Perché le cose belle dovevano terminare così in fretta?
<< Mi prometti una cosa? >>.
 
 
Dapprima fu guardingo, poi si tranquillizzò e sorrise.
<< Se posso. >>. Mi piacque il suo non dire di sì, senza che fosse sicuro di mantenere la richiesta.
 
 
<< Qualsiasi cosa deciderò o in qualsiasi modo andranno le cose… promettimi che non ti dimenticherai di questa sera, promettimi che non ti dimenticherai di me. >>.
 
 
Tom parve piacevolmente colpito, probabilmente non aveva mai incontrato una squilibrata come me, che faticava ad innamorarsi e che si invaghiva proprio di qualcuno di cui non sapeva nulla e che non avrebbe rivisto mai più. Per di più, con una pretesa da strapazzo come questa.
<< Perché dovrei dimenticarmi di qualcuno che mi ha fatto stare così bene, come te, stasera? >>.
 
 
<< Perché è facile dimenticarsi di una come me. >>, replicai mesta.
 
 
Prese nuovamente la mia mano, per baciarne una seconda volta il dorso, si attardò sulla pelle e prolungando il bacio. In quella che parve una dimostrazione sottintesa di un bacio che non mi avrebbe dato, poiché nessuno dei due si sarebbe sbilanciato così tanto.
<< Molte cose sono facili, ma io non amo le cose facili. Prometto che non mi dimenticherò di questa sera, di come mi sono sentito e soprattutto non mi dimenticherò di te. >>.









Note: 
Le nottate insonni mi portano finalmente anche in questa sezione, pur se con una semplice shot. 
Ho provato a cimentarmi in una incompleta, per vedere cosa ne usciva e diciamo che ne sono soddisfatta dai. Magari, appena l'ispirazione torna, scriverò una long come si deve su Tom Hiddleston. Saranno anni che ci provo, ma una volta per un motivo o per un altro, alla fine rimando sempre.


La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.

 
Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 


Un abbraccio.
DarkYuna.  
 
 
 
  
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