Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Pascal76    01/08/2016    0 recensioni
"A volte i nostri mostri possono salvarci da una morte dolorosa. Tu ne sei la prova".
"Quando l'ho scoperto non sapevo che il mio mondo si sarebbe rovesciato; tutto ha un prezzo e niente deve essere dato per scontato, sapevo. Ma un conto è sapere una brutta realtà, un conto è viverla. E Lui mi sta aiutando a sopravvivere".
A volte il nostro istinto ci aiuta a vivere, altre volte ci distrugge.
Ma io non ho avuto questa fortuna.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                                                                                   EQUILIBRIUM

 

Mi svegliai con la fronte madida di sudore.

Un incubo. Solo un altro brutto incubo.

Feci alcuni respiri profondi e scossi la testa cercando di scacciare tutti i pensieri che mi affollavano la mente. Avevo bisogno di riposare, di non pensare assolutamente a nulla.

MI alzai dal letto e, facendo attenzione a non far troppo rumore, scesi le scale in punta di piedi e andai in cucina. La finestra era spalancata e le candide tende bianche volavano trascinate da un vento gelido e pungente che mi fece rabbrividire. MI strinsi nel pigiama e chiusi la finestra.

In casa regnava il silenzio più assoluto, interrotto a volte dal debole russare di mio fratello , sdraiato sul divano con gli occhiali storti ed un libro semiaperto sul petto che, a movimenti regolari, si alzava e si abbassava. Sembrava un bambino.

Gli accarezzai cautamente i capelli e lo osservai sorridendo. MI è sempre piaciuto( a volte la consideravo addirittura una paranoia) osservare le persone nella fase della loro crescita, della loro evoluzione, sia caratteriale che fisica. Dà un senso di presenza, di partecipazione mentre qualcuno affronta un nuovo sentiero della sua vita, seppur ignaro di dove quel sentiero lo porterà. Ma non è questo che conta. Conta ciò che affronti, come lo affronti e in fondo in fondo perché lo affronti. Per cosa combatti.

È da una settimana e mezzo che mio fratello studia per un esame che, se superato, lo porterà a Chicago. Mamma si è dimostrata molto combattuta riguardo a questo: da un lato non vuole che suo figlio se ne vada, dall'altro desidera che lui realizzi i suoi sogni.

Nonostante mio fratello cerchi sempre di rassicurarla dicendole che avranno sempre modo di sentirsi, lei ogni volta scoppia in pianti isterici e continua a ripetere che lo perderà e “non vedrò il suo bel faccino per troppo tempo”.

Anche a me mancherà Ethan, ma per ragioni diverse.

Sistemo il libro sul tavolino da caffè e gli stendo una coperta calda sul petto. Gli occhiali non oso sfiorarli, altrimenti rischio di farlo svegliare e, detta sinceramente, non sono nelle condizioni di sorbirmi un discorso noiosissimo sull'importanza del rispetto.

Vado in cucina e mi siedo sul bancone guardando fuori dalla finestra chiusa. Fuori tutti dormono sogni tranquilli e le strade sono deserte. Mentre una parte del mondo riposa, l'altra lavora, così in un ciclo continuo ed interminabile che, se stravolto, può significare la fine di tutto. Perché alla fine è così che funziona la vita. Non può esistere la luce senza la sua controparte, il buio. Non può esistere il bianco se non c'è il nero. Non può esserci calma se non c'è caos. Non può esserci il giorno se non c'è la notte.

È un equilibrio di contrari.

Sospirai e chiusi gli occhi, sperando che il gesto mi potesse infondere un po' di calma.

Quando riaprii gli occhi ero china sul tavolo, la testa appoggiata sulle braccia e la schiena malamente incurvata. Dormire ho dormito, ma male. Il che non fa differenza rispetto agli altri giorni.

Mi stiracchiai e qualcuno alle mie spalle borbottò.. « Vedo che qualcuno si è addormentato nel bel mezzo dello spuntino di mezzanotte! »

« Ah ah ah, simpatico come sempre » risposi. Mio fratello ridacchiò, ma non disse nulla. Si sedette accanto a me e aspettò che mamma ci riempisse il piatto con i suoi favolosi pancake imbevuti di sciroppo d'acero, tipici dei sabati mattina. Durante la settimana si limitava semplicemente a riempirci una tazza di latte e lasciarci la libertà di completare il pasto con qualcos'altro. Il sabato invece era una deliziosa eccezione.

« Voi due non la smetterete mai di litigare vero? » intervenne mio padre entrando in cucina.

« Sono adolescenti e amano il confronto » ribatté mamma canticchiando.

« Non stiamo litigando. Stiamo pacificamente discutendo la causa del razionamento di cibo del frigorifero, cosa che obbliga la mamma almeno due volte al giorno ad andare a fare la spesa. » replicò mio fratello, intrecciandosi le dita come un professore che spiega un teorema che solo lui può capire.

« E stai dando la colpa a me. » dissi strizzando gli occhi. Lo guardai male e lui rispose con un'occhiata imperturbabile.

« Sto facendo delle ipotesi, sciocchina » rispose con un sorriso beffardo.

« Ma continui ad incolpare me! » dissi con più rabbia del voluto. Papà alzò la testa allarmato e ci guardò.

« Ohi, non ti scaldare sorellina. Arrabbiarsi non fa bene all'umore » fece ancora Ethan provocatorio. Una rabbia illegittima cominciò a ribollirmi nelle vene. Strinsi le mani e pugno e digrignai i denti, come se mi stessi preparando ad uno scontro corpo a corpo con lui.

« Jenny, tesoro, non arrabbiarti » disse mia padre poggiandomi un mano sulla spalla.

« Non. Sono. Arrabbiata » dissi tra i denti e schiusi i pugni.

All'improvviso un guasto elettrico spense il televisore della cucina, acceso su un canale di cartoni animati per altro, e tutti gli apparecchi elettronici, compreso il frullatore a batterie. Mio padre si alzò in piedi dalla sua sedia sbuffando e borbottò qualcosa di simile ad un “Ancora una volta e li denuncio quei teppisti” mentre usciva dalla cucina e andava in cantina.

« Ed è la quarta volta in meno di una settimana... » disse mia madre sconcertata.

« Può darsi che abbiano sbagliato ad impostare qualcosa. » ipotizzai.

Mio fratello grugnì e richiamò la mia attenzione. Mi voltai.

Mi stava scrutando, gli occhi ridotti a due fessure e lo sguardo di chi sembra ti stia leggendo nella mente, scoprendo tutti i tuoi peggiori segreti e le tue intenzioni più malevoli.

« Che c'è? » gli chiesi, facendo spallucce. Tutta la rabbia mi era passata improvvisamente, dissolta come vapore nell'aria, lasciando spazio ad una sorta di insana energia che mi rendeva più frizzante, attiva e desiderosa di emozioni, di brivido.

Improvvisamente avevo voglia di correre.

 

 

« Ascolta, quelle interviste sono un casino micidiale » disse Amy sistemandosi i capelli di fronte allo specchio del bagno, un piccolo, sporco ed insignificante quadrato riflettente che per molte aveva rappresentato la salvezza e “la fine di ogni sofferenza”.

« E allora perché mi hai fatta venire qua? » sbottai, anche se una parte di non era così arrabbiata.

« Perché dobbiamo sistemarle. » disse passandosi un velo di mascara.

« E come? »

« Carlos sta arrivando. Meno di cinque minuti e arriva, ha detto » e chiuse il tubetto di mascara. Si guardò attorno cercando un pezzo di carta con cui eliminare il trucco sbavato ma non lo trovò. Mi offrii per andare in bidelleria a cercare un rotolo di carta di igienica e finalmente uscii dal bagno.

Non ce l'avrei fatta un secondo di più a guardarla ritoccarsi la faccia per rendersi più carina. Non lo sopportavo. Detestavo il fatto che la sua relazione con Chris l'avesse indotta a perdere la fiducia in sé stessa che prima la caratterizzava. Era ridicolo come una ragazza forte e fiera di sé come lei, avesse deciso di chinare il capo di fronte a quell'arrogante del suo ragazzo. Non era così che doveva funzionare, ma lei non aveva voluto sentire ragioni. “Chris mi trova carina con questo mascara”. “Chris dice che l'ombretto gli piace”.

E a me piacerebbe vedere una mia scarpa sulla faccia di Chris avrei voluto dire. Ma mi ero trattenuta per evitare eventuali infantili discussioni.

Arrivai in bidelleria prima di rendermene conto. Avevo fatto quella strada così tante volte che ormai avrei potuto percorrerla ad occhi chiusi. Sapevo alla perfezione quando dovevo svoltare a destra e imboccare il corridoio per i laboratori per poi, due porte più in là, entrare nella piccola ed angusta stanza che puzzava di detersivi e alcol per la pulizia. Frugai nell'armadio posto vicino all'entrata e presi due strappi di carta. Uscii cercando di non sbattere la porta troppo violentemente o di sicuro avrebbero scoperto la mia attività clandestina mettendomi un'insufficienza irrecuperabile in pagella. E per la cronaca, di insufficienze ne ho già 4.

Aspettai che la serratura facesse quel suo fastidioso e sonoro rumore simile ad una forchetta che stride su un piatto di porcellana, ma non successe nulla. Trassi un respiro di sollievo e mi incamminai frettolosamente verso il bagno, facendo attenzione a non beccare i professori al bar che sorseggiavano tranquillamente il loro caffè del mattino, accompagnati da una deliziosa brioche riempita di Nutella o crema pasticcera. Il solo pensiero mi fece venir fame.

Attesi che il bar si svuotasse e che l'unico bidello di guardia, l'anziano Whitemore, si distraesse e andasse a pulire la sempre più lucida teca dei trofei della scuola ed entrai in bagno. Amy trasalì dallo spavento, rovesciando per terra un po' di smalto nero che subito si affrettò a pulire. Niente doveva dare le prove che gli studenti andassero in bagno per farsi i cavoli propri e non per i loro bisogni fisiologici. Nulla.

« Gesù! » esclamò.

« No, solo solo io. » risposi lanciandole il rotolo di carta. Lei lo prese al volo e cominciò a trafficare con l'acqua e lo struccante.

« Dici che Whitemore andrà mai in pensione? » chiesi, guardando il soffitto macchiato di giallo.

« Se quell'uomo se ne va, crolla la scuola. »

« No ma davvero intendo. Insomma, un uomo vecchio come lui dovrebbe badare ai suoi nipoti, non ad una mandria di adolescenti sballati. »

« Genevieve, tesoro. Fai troppe domande. Lo sai che lo stress ti accorcia la vita? »

« Non è stress. È curiosità. »

« Allora non ti dispiacerà sapere che un gran pezzo di figo arrivato due giorni fa, oggi viene in redazione da noi. »

« Perché? » chiesi, turbata. Il fatto che qualcuno volesse unirsi a noi per il giornalino della scuola era una cosa assai rara e straordinaria. Anzi, solo il fatto che sapessero dell'esistenza era raro.

« Non lo so. L'ho sentito stamattina mentre passavo in segreteria. »

« Deve superare il test se vuole entrare nel gruppo. » mi affrettai a ribattere.

« Non è nemmeno detto che voglia collaborare. Magari è semplicemente stato costretto a collaborare. Sai, quegli interventi di pronto soccorso per un gruppo sull'orlo del fallimento, magari. »

« Hai sentito anche come si chiama? » chiesi, sempre più turbata.

« Finn qualcosa. Anche solo il nome è figo, quindi immaginatelo dal vivo. »

Amy finì di truccarsi e ritoccarsi proprio quando suonò la campanella. Ci guardammo negli occhi terrorizzate, improvvisamente consapevoli che avevamo commesso un grosso errore. Alla terza ora la campanella suona con dieci minuti di anticipo. E non alle 11 in punto come pensavamo. Siamo fritte entrambe. Ora l'unica opzione che ci resta è compiere la nostra parata della vergogna e farci umiliare davanti a tutti mentre il prof ci rimprovera e ci mette 2 , oltre ad una nota sul registro.

Che idiota!

Quando il bagno comincia a riempirsi di ragazze, usciamo e ci mescoliamo agli altri studenti del corridoio. Sfortuna vuole che quel corridoio sia gremito di ragazzi dell'ultimo anno che, in preda all'ansia dell'interrogazione o della verifica, ripassano come matti argomenti che forse non hanno studiato nelle giornate precedenti e che camminano incuranti di chi abbiano di fronte. La prossima volta non seguirò Amy nei suoi folli appuntamenti in bagno.

Mentre cerco di orientarmi e di non perdere Amy nella calca di gente, sento qualcosa fischiare vicino al mio orecchio. Mi abbassai d'istinto, coprendomi la testa. Ma la vera botta arrivò solo qualche istante dopo, quando qualcosa di grande ed incredibilmente veloce mi colpì all'occhio. Barcollai all'indietro cercando un appiglio ma le mie mani si chiusero intorno al vuoto e caddi di schiena sul pavimento.

« Jenny! » esclamò Amy chinandosi su di me. Alcuni ragazzi ci guardarono di sbieco, ma non si fermarono.

Una fitta lancinante di dolore mi investì l'occhio destro e subito me lo coprii con una mano. Faceva veramente male. Tentai di riaprirlo, ma mi era impossibile e mi provocava ancora più dolore del normale.

Una mano si poggiò sulla mia spalla. Con l'occhio sano vidi che si trattava di un ragazzo biondo e alto con indosso la felpa azzurra della scuola. Mi scrutò da capo a piedi.

« Che hai da guardare? » dissi con rabbia. Lui sorrise facendomi incavolare ancora di più.

Nei suoi occhi verdi però scorsi una scintilla di soddisfazione, come quando dopo tanta fatica riesci a guadagnarti un risultato che a primo acchito ti sembrava impossibile e che invece sei riuscito a raggiungere. Scommetto che è stato lui a lanciarmi quella cosa nell'occhio.

Mi divincolai e lui ritrasse la mano. Si guardò attorno come smarrito e si allontanò frettolosamente, forse improvvisamente consapevole che anche lui aveva da studiare per una verifica.

« Jenny! Tutto okay? » mi chiese Amy cercando di spostare la mano dal mio occhio. Grugnii e mi alzai rapidamente per evitare che troppi sguardi si concentrassero su di me. Chiunque l'avesse fatto di sicuro stava sghignazzando in questo momento, probabilmente nascosto dietro qualche amico o insieme al suo gruppo di deficienti. E sicuro come la morte che quel ragazzo biondo e dagli occhi verdi fosse uno di loro.

Mi sentii montare la rabbia e la vergogna per l'umiliazione contemporaneamente, come a braccetto l'una con l'altra. Era incredibile che loro, i ragazzi che in teoria dovrebbero essere più maturi, perdessero tempo con noi “più piccoli” con degli scherzi stupidi e poco divertenti, dove il più delle volte uno si faceva anche male. E sembravano trarne una sorta di divertimento da quell'umiliazione.

Mi auguro che veniate tutti bocciati quest'anno pensai. Rientrai in bagno, rendendomi conto che in tutta quella confusione non mi ero mossa di mezzo centimetro.

« Jenny calma. » mi disse Amy con voce pacata e compassionevole.

« Non capisco come tu faccia a sopportarli! » sbottai. « Avranno tre,anche quattro anni in più di noi e anziché pensare a come cavolo superare gli esami se la spassano rendendoci la vita impossibile! Prima Adam, poi te e adesso io. Chi altro deve finire nel mirino di questi stronzi? »

Cominciai cercando di passare un po' d'acqua fredda sull'occhio, ma le mie mani sembravano chiudersi dappertutto tranne che sulla manopola dell'acqua. All'ennesimo fallimento diedi un violento calcio al lavandino, mancandolo completamente e finendo con il piede sul muro. Mi fece ancora più male.

« Innanzitutto. » e mi aiutò a rimanere in equilibrio proprio mentre stavo per perderlo. « Siamo adolescenti no? E troviamo sempre dei modi per divertirci, anche a costo di ferire qualcuno. Devi solo abituartici. Tanto durerà poco. Ancora pochi mesi e ne andranno per sempre dai nostri piedi. »

« E questa cos'è? Un'altra delle perle di saggezza di Chris?! » sbottai doppiamente irritata. Mi dava fastidio vederla influenzata dalla personalità meschina di un ragazzo che sembrava solamente usarla. Insomma, non sopportavo niente che avesse a che fare con Chris.

« Jenny calma. Non devi arrabbiarti per ogni singola cosa che ti fanno quei bastardi. E non devi nemmeno arrabbiarti con Chris per chi sono adesso. Sono felice mi vedi? » e mi rivolse il sorriso più triste che le avessi mai visto in volto. Se all'inizio le sue parole mi avessero colpito e anche tranquillizzato, l'attimo dopo mi avevano fatto fermentare ancora di più la rabbia.

Non dissi nulla e mi limitai ad annuire.

« E ti prego, la prossima volta non dare calci ai muri quando sei arrabbiata. Ci servi tutta intera per oggi pomeriggio okay? » in effetti il piede aveva cominciato a pulsarmi nella scarpa, segno che non era messo perfettamente bene. Zoppicando, perché camminando normalmente mi faceva troppo male, raggiunsi la porta del bagno e diedi un'occhiata veloce alla situazione in corridoio. C'era molta meno gente rispetto a prima e c'era abbastanza spazio per camminare senza scontrarsi gli uni con gli altri.

Amy mi prese per il braccio. « Vuoi che ti accompagni là in infermeria? »

Feci di no con la testa e la sua espressione cambiò, rivelando una tensione che prima non avevo visto.

« Non hai studiato chimica vero? » le chiesi, capendo perfettamente le sue intenzioni. Tra noi due era così. Eravamo un libro aperto l'una per l'altra da quando eravamo praticamente nella culla. Se lei piangeva, sapevo come consolarla. Se si isolava dagli altri e andava in un angolino a giocare da sola, sapevo perfettamente perché.

E la stessa cosa valeva per lei.

« Certo che l'ho … no in realtà non l'ho studiata. Ho letto due o tre paragrafi ma non me li ricordo. » disse.

« Beh tesoruccio, non si può sempre avere la media più alta della classe in chimica. Bisognerà cedere lo scettro prima o poi. » le dissi scherzosamente. Lei fece un mezzo sorriso e mi diede un buffetto molto delicato sulla testa.

Uscimmo dal bagno e molto frettolosamente andammo in infermeria, praticamente la porta accanto alla bidelleria. Mi sedetti su una sedia e aspettai che arrivasse qualcuno a guardarmi l'occhio che, ironia della sorte, stava cominciando anche a guarirmi. Andava sempre così. Mi ferivo con qualcosa, mi faceva un male cane e poi, quando dovevo far vedere la lesione al medico, tutto il dolore era sparito improvvisamente. E giustamente, quando mi veniva chiesto dove mi facesse più male, dovevo mentire e inventarmi dolori inesistenti.

« Mi spieghi che cosa ti è arrivato in testa? » mi chiese Amy sedendosi sulla sedia in pelle di fronte a me.

« Non lo so, ma stai certa che se becco lo stronzo gli restituisco il colpo con il doppio della forza. »

Amy rise. « Attenta che poi finisci per farti scomunicare dal nostro gruppo pacifista.»

« A proposito. Carlos dov'è andato a finire? »

Scosse la testa agitando i lunghi e lisci capelli biondi. « Non ne ho idea. Anzi, a dirla tutta me n'ero dimenticata. »

« Beh ottimo allora!» risposi sarcasticamente.

« Però penso che avesse la verifica di fisica oggi, quindi probabile che ci abbia tirato bidone. »

Sospirai.« Fisica. La materia che utilizza lunghe e complicate frasi per spiegare perché una palla rotola. »

« Già »

La porta si spalancò di colpo e una donna sulla trentina comparve sulla soglia. Stava parlando con qualcuno.

« Certo, e se ti serve qualcosa puoi dircelo. » stava dicendo quando lo stesso ragazzo biondo con la felpa blu che avevo “incontrato” in corridoio la seguì entrando in infermeria.

Ci volle un po' prima che lei notasse la nostra presenza. Lui, a differenza di lei, se ne accorse immediatamente e spalancò gli occhi dalla sorpresa.

Chi non muore si rivede amico pensai.

« Black! Come ti hanno ridotta? Cosa ti ho sempre detto delle lotte tra adolescenti? » disse la donna con tono di rimprovero.

« Si fidi dottoressa … »

« Chiamami solo Anne per favore. »

« Ecco Anne. Non ho fatto a botte con nessuno. Stavo attraversando il corridoio e qualcosa simile ad una scarpa mi è volata in un occhio. » spostai lo sguardo sul ragazzo. « E credo di sapere chi è il colpevole. »

« Non centro niente. » si difese alzando le mani. I suoi occhi verdi però tradivano quello strano luccichio di una persona fiera del proprio lavoro.

Anne si sporse verso di me e mi guardò l'occhio, spostandomi la mano con molta delicatezza. « Wow. È messo piuttosto male. L'hai bagnato con dell'acqua vero tesoro? »

Annuii.

Il resto dell'ora lo passai così : Amy che dalla sua comoda sedia in pelle fissava il ragazzo dalla felpa blu, seduto non poco distante da lei in una comunissima sedia di plastica, ammirandolo come un critico d'arte ammirerebbe un capolavoro, Anne che mi medicava facendo attenzione a non farmi male ed io che, come un'ebete, me ne stavo lì impalata con una mano congelata dalla busta del ghiaccio che premevo su un occhio.

« Ecco fatto. » disse alla fine, ammirando ciò che aveva fatto – cioè quasi niente, perché alla fine il dolore, seppur lieve, era rimasto – con soddisfazione. Sorrisi e mi alzai di tutta fretta. Volevo andarmene da lì. Mi sentivo scomoda e anche a disagio, oltre che una strana ed assillante sensazione che qualcosa stesse andando terribilmente storto. Feci un cenno ad Amy che con una scrollata di capo si riprese dal suo sogno ad occhi aperti e mi seguì.

« Stai molto attenta da adesso in poi okay? E non toccarlo! » disse, prima che mi chiudessi la porta dell'infermeria alle spalle. Guardai l'orologio.

« Dici che se rientriamo in classe … »

« Ci interroga? Non credo. Ci sospende? Probabile. » risposi, con il tono di chi non ammette di essere contrariato. Mi stava montando una rabbia illegittima ed inspiegabile rivolta a nessuno in particolare. Ero solo arrabbiata. E non sapevo perché.

« Sei un po' alterata oggi Jenny. Tutto bene? » mi chiese Amy con dolcezza.

« E secondo te come dovrei stare dopo che qualcuno mi ha tirato una scarpa nell'occhio e non si è nemmeno scusato?! » risposi alzando il volume della voce. Amy mi guardò con timore, come se temesse che in qualche modo potessi aggredirla.

« Okay, ma devi calmarti. »

« Non mi calmo! » urlai. Una delle lampade sul soffitto esplose, mandando una cascata di scintille che cadde proprio sopra di noi. Amy sussultò e si tastò i capelli biondi, temendo che si fossero in qualche modo bruciati o rovinati. Io invece ero calma e anzi, mi sentivo anche meglio , come se prima fossi stata spenta e improvvisamente mi avessero riaccesa e ricaricata di energia, come una batteria ricaricabile. Mi sentivo febbricitante e grintosa, desiderosa di mettermi in gioco e combattere. Nessuna traccia di debolezza risiedeva nel mio corpo.

« Cosa cazzo è successo? » mormorò Amy spaventata. Aveva il fiatone, come se avesse corso a perdifiato per un'ora e mezza e non avesse potuto fermarsi per prendere una pausa. Mi guardava, mi scrutava da capo a piedi e poi posava lo sguardo sulla lampada sopra la mia testa in un gesto ripetitivo e sconcertante.

« Non lo so. Ma è stato fenomenale » dissi febbricitante.

« Fenomenale?! » esclamò alzando la voce di un'ottava. « Genevieve Black ti conviene rimettere la testa a posto prima che finiamo nei casini. Cos'hai fatto a quella lampada?! Eh?! »

Ora però sei tu che devi calmarti pensai. Sembrava ci fossimo scambiate di ruolo : ora quella arrabbiata era lei, mentre io ero quella calma e con la situazione sotto controllo.

O almeno, pensavo di averla.

La porta dell'infermeria si aprì di colpo. Anne si sporse e ci guardò entrambe spaventata, prima di posare lo sguardo sopra le nostre teste. Dietro di lei, il ragazzo della felpa blu ci guardava imperturbabile. Mi guardava.

« Genevieve? » mi chiese Anne con il tono autoritario di chi si aspetta delle spiegazioni. Questo è il momento in cui la situazione mi sfugge di mano.

« Non ne sappiamo niente e non sono stata io! » dissi a bruciapelo.

« Un giorno mi spiegherete come mai ogni volta che capita un guaio tu sei sempre presente ma mai colpevole » ribatté Anne chiudendosi la porta alle spalle.

Strano, ma sentivo che questa volta c'entrassi qualcosa con quell'esplosione di scintille.

Io e Amy ritornammo in classe in silenzio, senza nemmeno lontanamente sfiorarci o guardarci negli occhi. La cosa mi preoccupò molto, ma le lasciai il suo spazio. Non c'era assolutamente nulla di cui rimanere scioccati, lo sapevo – quella scuola era piena di sorprese –, ma a volte capita che i più sensibili subiscano più pesantemente certi colpi. E per loro, più di altri, ci vuole più tempo per riprendersi.

Ci fermammo davanti alla porta, indecise se entrare e fare una figuraccia, o aspettare che la classe si svuotasse dopo la campanella. Entrare adesso o entrare più tardi non faceva differenza, sopratutto se come professoressa avevi la Holland. Capelli neri prossimi al grigio, espressione dura e occhi che mandavo lampi, abbastanza per spaventare anche il più difficile degli studenti. Sia io che Amy la temevamo.

« Preferisco una ramanzina in privato che una con 23 paia di occhi puntati su di noi. » sussurrò Amy. Concordai.

« Allora andiamo da qualche parte dove non possono beccarci i bidelli » proposi.

« In redazione. » un largo sorriso genuino e pieno di speranza si fece largo sul viso di Amy, ma fui costretta a scuotere la testa in un “no” che le guastò l'umore.

« Biblioteca. Non può dirci nulla nessuno. »

« Si che possono dirci qualcosa invece. »

« Del tipo? »

« Te l'ho raccontato cos'è successo a Chris l'anno scorso? » oh no, ancora lui.

« Si stavano limonando. Ovvio che Whitemore abbia fatto storie. »

« No, c'è stata anche un'altra volta. »

« Fammi indovinare : con una ragazza totalmente diversa? Tipo quella bionda russa a cui tutti guardano il culo? »

« No. Era solo e stava studiando chimica quando Il Vecchio lo ha sgamato. »

« Te l'ha detto Chris questo? Sai, per curiosità, dato che tendo a credere più alle voci di corridoio che alle sue parole. »

« No, ero lì anche io e l'ho visto. » disse fermamente Amy con i pugni serrati lungo i fianchi. I suoi occhi mandavano lampi diretti verso di me, e sapevo benissimo il motivo. Lei non insisteva mai sulla faccenda del “il mio fidanzato deve essere amico della mia migliore amica” perché sapeva che costringermi a fare qualcosa era l'equivalente di parlare con un muro, ma pretendeva almeno un minimo di rispetto nei suoi confronti.

Rispetto che io gli stavo negando, per l'appunto.

« Senti, mi dispiace... Lo sai come sono fatta » cercai di giustificarmi.

« Lo so bene. Non sei perfetta. Nessuno lo è. » il suo sguardo si intenerì.

« Non voglio che tu stia male solo perché a me non va a genio Chris...» le presi una mano e intrecciai le nostra dita. Lei sorrise e guardò le nostre mani unite sorridendo.

« Non devi … semplicemente non riesci a vederlo in maniera differente. Tutto qua, niente di cui arrabbiarsi. Non tutti sono capaci di vedere il buono nelle persone »

Mi sentii i polmoni svuotare d'aria e le gambe farsi molli, come bastoncini di gelatina.

Le sue parole mi colpirono nel profondo e fu veramente un miracolo se riuscii a riprendermi immediatamente mostrandomi indifferente a ciò che aveva detto, seppur sapessi che lei era a conoscenza di ciò aveva causato in me. Ovvio che sapeva. È la mia migliore amica.

« Amy non … » dissi, prima che il trillo della campanella mi fermasse.

Quando il corridoio cominciò a riempirsi di studenti diretti verso l'uscita della scuola, capii che era giunta l'ora del giudizio.

Sì, perché sapevo che da quel momento in poi qualcosa sarebbe cambiato.

E se andava tutto bene, venivo semplicemente sospesa.

 

 

 

 

Tornai a casa per pranzo. Non dissi nulla ai miei genitori di ciò che era successo con la Holland per evitare una doppia strigliata – una per essermi messa nei guai con la Holland, la seconda per aver fatto i cavoli miei durante le ore di lezione -, concentrandomi invece sull'occhio gonfio e livido.

« Non pensavo che in questi tre mesi la scuola si fosse trasformata in un ring » commentò mio fratello guardandomi di sottecchi. Stava studiando per l'esame, ma nulla al mondo lo avrebbe mai distratto dal suo dovere di prendermi in giro in qualsiasi situazione, bella o brutta che sia.

« Lo è sempre stato, idiota » risposi mentre mia madre mi spalmava una fredda pomata sul livido.

« Devi aver beccato quello giusto se ti ha conciato così allora »

Mi ritornò alla mente quella volta in cui mio fratello era tornato a casa coperto di sangue da capo a piedi. Erano le 3 di notte e mia madre lo stava aspettando in salotto, fingendo di sfogliare una rivista di moda. Io in teoria avrei dovuto essere addormentata, invece ero alla finestra con il binocolo agli occhi puntato sulla strada deserta aspettando anche il minimo segnale del ritorno di Ethan. Quel bastardo invece era entrato dalla porta sul retro, quella che dava sul nostro piccolo giardino, rendendo ogni mio sforzo inutile. Quando sentì mia madre esclamare, mi precipitai di sotto ruzzolando giù per le scale. Ricordavo a memoria l'immagine di mio fratello insanguinato : il viso gonfio e con delle grosse macchie violacee, la camicia rigata di rosso scuro e il polso piegato in modo innaturale. Ci mancò poco che svenissi. Lui spiegò alla mamma che una gruppo di ubriachi lo avevano derubato e picchiato, ma sapevamo entrambe che la verità era un'altra. Lo conoscevo troppo bene.

Fatto sta che mamma non contestò nulla, non sporse denuncia e non ne parlò mai con nessuno, incluso papà. Mi fece promettere che avrei fatto lo stesso, che non avrei detto nulla a nessuno e da allora quella notte fu solo un'altra regolare e normalissima nottata insonne. Non la dimenticai mai.

« Peccato che non l'ho visto in faccia » dissi vagando con la memoria al momento in cui quella cosa cosa mi centrava l'occhio.

« Allora stai più attenta la prossima volta » rispose Ethan caustico.

Lo prendo come un consiglio pensai guardandolo salire le scale con i suoi faldoni tenuti ben stretti in mano, come se temesse che potessero scappare.

 

 

 

 

« I tuoi cosa dicono? »

« Nulla. »

« Davvero hai intenzione di risolvere la questione così? Cioè, nemmeno un “mamma guarda ne ho fatta una grossa ma te lo dico più tardi”? » protestò Carlos sporgendosi dal suo laboratorio.

« Oh beh certo, della serie “Ti introduco la più grande stronzata della mia vita poi sta a te ...” »

« Gi, davvero. Devi migliorare. Con un titolo lungo come quello nessuno leggerà mai i nostri articoli. » disse uscendo con una manciata di fotografie in mano.

« Ma nessuno legge i nostri articoli! Non sanno nemmeno che esiste il giornalino della scuola! » protestai. Lui mi guardò torvo con la testa inclinata su un lato e mi porse una foto. Non la guardai.

« Guardala Gi. » mi disse perentorio. Obbedii e rimasi pietrificata. Era una foto in alta definizione del ragazzo di stamattina, quello che con ogni probabilità mi aveva lanciato quella cosa nell'occhio, con la divisa grigia della squadra di rugby della scuola, sudata. I capelli erano arruffati e lo rendevano ancora più affascinante di come lo avevo visto stamattina, oltre al fatto che nella foto i bicipiti erano incredibilmente evidenti.

« Non sbavarmi sulla foto. Mi serve. » disse Carlos riprendendosi la fotografia e fingendo di pulirla con la manica della camicia. Gli lanciai uno sguardo truce. « Mi spieghi perché hai una foto di questo qua in HD? Non le hai mai, ma di questo qua sì. Cosa ci nascondi? »

« Si amore, sono omosessuale. E scattare foto ai ragazzi fighi è quello che faccio da quando ero nella pancia della mamma. Si sai, mi ha partorito con tanto di macchina fotografica in mano. » rispose in tono di sfida. I suoi occhi nocciola erano puntati sui miei e mi guardavano con quel suo sguardo annoiato e seccato che rivolgeva a chiunque quando una domanda era talmente stupida da non valer la pena di sprecare fiato per rispondere. Carlos era un metro e sessantacinque di sarcasmo e ironia mescolati ad un carattere dolce e comprensivo. Non si capiva ancora come facesse a mantenere quest'equilibrio senza perdere il controllo di sé; si sapeva solo che ci riusciva, e in un certo senso lo invidiavo anche per questo.

« Mi spieghi perché hai una foto così allora? » chiesi mantenendo il contatto visivo.

« Quando arriverà il nuovo ragazzo vi spiegherò tutto Gi. » rispose distogliendo lo sguardo.

« Stai mentendo. »

« Senti, non rompere le palle e aspetta che quello là arrivi. » tagliò corto raccogliendo tutte le foto sparse sul tavolo.

Borbottai un “va bene” e aspettai seduta al pc, cercando l'ispirazione per un articolo ad effetto sulla protesta degli studenti per il licenziamento del professore di arte. Avevo promesso a Carlos e ad Amy che me sarei occupata personalmente, ma non avevo mantenuto la promessa e ora stavo facendo frullare le idee in testa cercando di ottenerne qualcosa di convincente e abbastanza veritiero. Quella era la parte peggiore, quando dovevi scrivere un articolo importante sulla cronaca scolastica, ma non ti veniva in mente nulla. E la parte ancora più odiosa era quando ci si scambiava opinioni sull'importanza o no dell'articolo : finiva sempre con un “sì, è necessario quell'articolo” che mi metteva ancora più in crisi.

Non riuscivo a capire come facessero gli altri a cavarsela così bene nel giornalismo, mentre io inciampavo anche nelle cose più semplici, tipo la letteratura o la matematica.

Non che la cosa mi desse tanto fastidio, ma faceva veramente salire il nervoso vedere che alcuni riuscivano a fare alcune cose in modo così semplice da sembrare che nemmeno s'impegnassero per farlo.

Sbuffai e mi alzai dalla sedia. « Carloooos! » chiamai. Dal laboratorio sentii provenire un verso molto simile ad un sospiro rassegnato e uno sferragliare di attrezzi in metallo che ci teneva nascosti da ormai troppo tempo.

Feci per , ma lui mi batté sul tempo aprendo la porta di scatto un attimo prima che impugnassi la maniglia. Era rosso in viso e aveva la fronte imperlata di sudore.

« Cos'altro non va bene Gi? » chiese con il tono di chi sta nascondendo qualcosa di grande e cerca delle scuse per distrarre la tua attenzione.

« Il ragazzo … Finn... non … »

Mi interruppi quando sentii la voce di Amy. Stava entrando dalla porta della redazione a braccetto con un ragazzo che riconobbi immediatamente.

Era lui, la causa del mio tormento e della mia paranoia, della mia rabbia e del mio stress. Il ragazzo di stamattina stava entrando in redazione.

E con ogni probabilità era proprio quel ragazzo che avrebbe dovuto collaborare con noi.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Pascal76