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Autore: Tefnuth    02/08/2016    1 recensioni
Tricha non si è mai sentita veramente integrata nella città in cui è nata, e nemmeno in quella in cui è andata e vivere per studiare all'università. Si annoiava, per questo ha deciso di lasciare l'America per la Romania, dove il nonno, un brillante scienziato dell'Alaska, è a capo di un centro in cui si studiano persone molto speciali che sembrano discendere da antiche creature mitologiche. Era stato lui a chiamarla e lei aveva subito preso l'occasione, anche se all'inizio era scettica. Tuttavia il suo mondo di carta si brucia, quando conosce la verità dietro alla visite mediche cui lei non poteva mai assistere, cosi decide di far scappare le persone con cui ha stretto amicizia e di andare con loro. Ma nemmeno la lettera che lei lascia al nonno basterà a placare la pazzia latente in lui, e così la vita di Tricha subirà una brusca svolta che lei non aveva previsto.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva deciso di andarsene dalla città in cui era nata perché da troppo tempo vedeva solo un velo grigio davanti a sé; non c’era più nulla che l’attirasse o le piacesse (e, in effetti, non c’era mai stato), e più cresceva e maggiore era il senso di oppressione che provava. Si annoiava, in quel piccolo paesino dove sembrava che tutto si fosse fermato in una cupola di vetro, e lei non voleva subire lo stesso destino; perciò aveva approfittato della fine del liceo per lasciare la sua casa e prendere un appartamento in affitto da condividere con altre studentesse universitarie come lei.

La facoltà di biologia era il posto ideale dove trascorrere il tempo, tra lezioni e studio, eppure c’era sempre qualcosa che le mancava; per questo la telefonata che ricevette da un vecchio conoscente del passato, proprio dopo la fine della triennale di biologia, fu una tentazione cui Tricha non riuscì a dire di no.

Era un giovedì mattina di Febbraio, il cielo era ancora oscurato dalla notte (in fondo, erano solo le sei) e la luce della lampada sul comodino tagliò il buio della stanza. Per Tricha ormai era un’abitudine alzarsi così presto la mattina, anche se non aveva lezioni da seguire come quel giorno, perché ormai era una routine cui il suo corpo continuava ad ubbidire. Dopo aver fatto le faccende di casa che le spettavano, e se stessa, Tricha era uscita dal proprio appartamento per immergersi tra la folla che già occupava le strade: era giorno di mercato e le piccole stradine si erano ristrette ancora di più, a causa dei banchetti. Ciò che le piaceva di più di quegli stand non era l’offerta di abiti, bensì i prezzi molto abbordabili di frutta e verdura; meno piacevoli erano gli sguardi delle persone (e soprattutto dei ragazzi) che la circondavano; sapeva di essere una di quelle ragazze che verrebbero definite “belle”, almeno così le avevano detto, ma dietro al fisico sportivo si nascondeva una giovane donna cui non piaceva ricevere molte attenzioni, se non per qualche commento sul particolare taglio di capelli: corvini, lunghi fino alle spalle e rasati sul lato sinistro (quello preponderante, dal momento che era mancina) e decorati con sottili mèches verdi sul lato destro. Al suo ritorno a casa, dopo aver fatto rifornimento di cibo per riempire il frigo, la coinquilina le aveva fatto notare che, come al solito, aveva dimenticato il cellulare sul tavolino in camera sua

“Dovresti stare più attenta – l’aveva redarguita la ragazza con i capelli rossi. – Comunque l’ho sentito suonare un paio di volte, ti conviene controllare e rispondere” le consigliò poi.

Così aveva fatto Tricha, limitandosi solo a controllare il numero che l’aveva chiamata; erano passati anni dall’ultima volta che aveva visto quell’insieme di numeri, eppure l’aveva riconosciuto subito. Ciò nonostante, forse per capriccio, aveva deciso di attendere che fosse quella persona a richiamarla; ciò avvenne circa un’ora più tardi, e la casa risuonò della musica a tutto volume del suo cellulare.

“Pronto?” esclamò Tricha appena aperto il contatto

“Ti sei fatta desiderare, eh? Brava bambina” dall’altro capo del telefono le rispose una voce graffiata e distaccata: quello del nonno materno Joseph, un brillante scienziato dell’Alaska.

“Non mi sembra che tu abbia fatto di meglio: sono dieci anni che non ti fai sentire” ribatté dura lei, non le era per niente piaciuto il modo in cui, anni prima, il nonno aveva interrotto ogni relazione con la famiglia e sentire la sua voce ora le aveva riportato alla mente il brutto ricordo di lui che sbatteva la porta davanti alla sua faccia dopo averle detto addio

“Mi dispiace tanto, cara. Credimi se ti dico che ci ho pianto molte notti. – Joseph sospirò. – Senti, ehm, vorrei parlarti di una cosa; che ne diresti se ti offrissi un caffè questo pomeriggio? Vorrei cercare di rimediare, ora che sono nei tuoi paraggi” propose il vecchio, e questa volta fu la ragazza a sospirare prima di parlare

“Se è così urgente. Conosci Boho’s? Ci possiamo vedere lì per le cinque” propose

“Lo posso trovare facilmente. Ci vediamo lì” rispose semplicemente Joseph prima di chiudere.

“Tutto a posto Tri? Hai una faccia…” domandò a Tricha la ragazza con i capelli rossi, aveva assistito in prima linea alla perdita di colore del viso della coinquilina

“Sto bene Marie, grazie. – Tricha fece un finto sorriso. – Era una persona che, pensavo, non avrei più rivisto”.

Boho’s era un piccolo bar che occupava un angolo tra il vialone che portava all’università e la strada dell’appartamento di Tricha; un posticino simpatico con gli arredamenti in viola e bianco, luci a soffitto al neon, e un bancone angolare dietro cui lavoravano due bariste more molto simpatiche e appassionate di tutto ciò che poteva essere definito “glam”. Al suo arrivo al bar Tricha vide che il nonno la stava già aspettando dentro, seduto ad un tavolo per due e con indosso il camice da lavoro bianco del lavoro; aveva i gomiti sul tavolino e il mento era appoggiato alle dita intrecciate. Mancavano ancora alcuni minuti prima delle cinque, e Tricha se li prese tutti per osservare da lontano quell’uomo che, ormai, era quasi diventato un estraneo. In realtà era cambiato meno di quanto la ragazza si fosse aspettata: i capelli, che una volta ricordavano il castano della gioventù, si erano ingrigiti eppure il volto dell’uomo riportava solo una o due rughe in più di quelle che ricordava Tricha.

 Quando l’orologio digitale che portava al polso trillò lo scoccare delle cinque, Tricha oltrepassò la porta del Boho’s e la prima cosa che fece fu quella di salutare Sara, la barista tutto pepe leggermente sovrappeso che le domandò immediatamente se volesse il solito ordine

“Bello forte, e viziami che oggi ne ho bisogno” le disse Tricha in risposta, solo allora si sedette al tavolino al posto davanti al nonno.

“Quasi non ti riconoscevo, quando sei entrata; sei cresciuta tanto” commentò Joseph, aveva già preso la sua tazza di caffè ed era in procinto di prendere la seconda

“Ho ventun anni adesso, mi sembra normale. Tu piuttosto, non sei cambiato quasi per niente” gli fece notare Tricha poco prima di accogliere dalla sua parte di tavolo un bicchiere riempito per metà con del caffè e per l’altra con panna sormontata da cricchetti di zucchero viola “Grazie mille Sara”

“Potresti portarmi un altro caffè, per favore? – Ordinò Joseph alla cameriera. - E metti tutto sul mio conto”.

“Allora, hai detto che volevi parlarmi di qualcosa” ricordò Tricha al nonno, mentre si divertiva a mescolare la panna col caffè usando il cucchiaino col manico lungo che le aveva portato Sara

“E’ un argomento delicato, perciò ti chiedo di ascoltarmi fino alla fine; dopo potrai dirmi quello che vuoi” la pregò Joseph subito prima di bere in un sol sorso la seconda tazza di caffè che gli aveva potato Mara, l’altra barista. Tricha non disse niente, si era limitata solo ad annuire e ad accennare con la mano destra come per dire al nonno che poteva proseguire

“Ti ricordi, quando eri piccola, tutte le storie che ti raccontavo sulle creature magiche discendenti degli elfi? Allora pensavi che me le inventassi di sana pianta, prendendo spunto dai miei studi, e dicevi che facevo così perché non volevo rivelarti quello che facevo. Non erano bugie – esordì Joseph, e Tricha inarcò il sopracciglio sinistro (stava bevendo e non poteva fare altro). – Io lavoro in un posto dove studiamo veramente queste creature, e vorrei che tu venissi a lavorare con me, in Romania dov’è la nostra sede” le propose

“E secondo te io ci credo. Stiamo, anzi no, TU stai parlando di creature che esistono solo nei libri; come puoi pensare che io…” Tricha non seppe come terminare la frase, la richiesta del nonno l’aveva lasciata del tutto spaesata

“Non mi aspettavo che lo facessi – Joseph prese le mani della nipote, e la guardò in modo implorante. – Ti chiedo solo di venire con me, e di constatare tu stessa; se anche allora non mi crederai potrai ritornare a casa, io non ti fermerò” le promise il vecchio, non c’era ombra di bugia nei suoi occhi e Tricha, alla fine del suo caffè speciale, accettò.

Non sapeva perché aveva detto di sì a quella richiesta così assurda, forse era stata spinta più dalla prospettiva di un viaggio così lontano da casa che dalla voglia di vedere il lavoro del nonno; sta di fatto che, appena tornata a casa, la ragazza aveva annunciato alle coinquiline che se ne sarebbe andata e aveva fatto le valigie in tutta fretta. Non dovette fare grosse rinunce nella scelta delle cose da portare con sé, non aveva una quantità esagerata di capi d’abito come le sue coinquiline e le cose che non le piacevano più le aveva volentieri lasciate a loro. Il giorno seguente, dopo tanti abbracci e baci, Tricha lasciò per sempre il suo appartamento; fuori dal cancello Joseph la stava già aspettando su una maggiolino rossa presa a noleggio (lo diceva la targhetta che penzolava dal retrovisore). Non avrebbero preso un aereo di linea, come aveva pensato Tricha, bensì un jet privato con la scritta “K.agency” sulla fiancata il cui pilota stava attendendo che gli unici due passeggeri salissero.

“Quando vuoi” esclamò Joseph al pilota, il quale accese i motori che Tricha sentì vibrare sotto i suoi piedi

“Perché hai scelto me?” domandò la ragazza per distrarre la mente dalla sensazione che di lì a poco sarebbe venuta, a causa della partenza del mezzo

“Perché fin da quando eri piccola ti ho sempre vista come la mia possibile erede. Hai sempre avuto un modo tutto tuo di vedere le cose, non ti limiti a seguire le regole” le spiegò il nonno mentre si serviva un bicchiere di vodka (era impressionante come la sua mano fosse ferma, nonostante il movimento dell’aereo), ne aveva offerta anche a lei ma Tricha aveva rifiutato

“Non sembrano delle referenze molto solide. Come lo spiegherai al tuo capo? In fondo ho solo una laurea base in biologia, non ho altro” ribatté Tricha, era una domanda giusta eppure Joseph sogghignò

“Secondo te cosa significa la sigla sulla fiancata? Quella K sta per Kiruna, il nostro cognome, e io sono il capo. – Joseph avvicinò il suo viso a quello di Tricha, il leggero odore di vodka che fuoriusciva dalla bocca dell’uomo fece arricciare il naso alla ragazza. – E io dico che tu sarai perfetta” aggiunse in seguito, facendo l’occhiolino.

Quando arrivarono in Romania Tricha ebbe solo il tempo di posare le valigie nell’appartamento del nonno (una casa con arredamento in legno scuro che le dava un tocco di classicità e seriosità), perché Joseph volle subito condurla al suo laboratorio a Bucarest; un modesto edificio che dall’esterno sembrava tutto fuorché un palazzo dove si conducevano studi scientifici. Tricha non scordò mai le parole che le disse il nonno mentre, sull’ingresso dell’edificio, le porgeva una mascherina per coprirsi la bocca e il naso

“Molto probabilmente ti servirà, mentre saremo dentro”.

Se dall’esterno il palazzo sembrava una normalissima costruzione, l’interno somigliava molto di più ad una scenografia da film horror: dietro l’ampia e luminosa hall, arredata con poltrone in stile contemporaneo e lampadari a candelabro che pendevano dal soffitto, i corridoi interni puzzavano di marcio e nella penombra si potevano scorgere lunghe crepe e…schizzi di sangue. Tricha non riuscì a frenare l’impulso di indossare la mascherina, sapeva di saponetta alla lavanda ma era sempre meglio del fetore del corridoio, anche se questo la fece sentire una bambina che non sopportava niente

“Non ti preoccupare, non sei l’unica a portarla qui dentro; comunque tra poco l’odore sarà più sopportabile” la rincuorò il nonno che, invece, non aveva indossato la protezione.

Dopo una lunga camminata in discesa il paesaggio cambiò, e il fetore si fece meno intenso tanto da permettere a Tricha di togliersi la mascherina: c’erano delle celle, come in una prigione, ma invece dei soliti criminali c’erano uomini e donne che strillavano parole incomprensibili all’orecchio della ragazza; la situazione la spaventò un po’, soprattutto perché ancora non capiva il motivo della loro presenza e della loro condizione, anche se vederli dietro le sbarre la rassicurava.

“Mi vuoi spiegare?” chiese Tricha al nonno, tuttavia la sua domanda non ricevette una risposta a causa di una voce dal dolce e gentil suono proveniente da una delle celle

“Buongiorno dottore, chi è la pulzella?” sembrava che a parlare fosse stato il prigioniero dietro le sbarre alla destra di Tricha

“Lei è la mia dolce e intelligente nipote, Tricha” disse il dottore, come lo aveva chiamato il carcerato, mentre con una mano avvicinava la nipote alle sbarre in modo che lei potesse vedere lui e viceversa “Cara, lui è Xander, ed è uno dei miei ospiti più graditi” aggiunse poi

“E’ un vero piacere conoscerla, madame” la salutò il misterioso interlocutore da u angolino buio, nonostante la poca visuale a Tricha sembrò che lui avesse più o meno la sua stessa età, forse un paio di anni più grande, ma a lei importava molto di più poter vederne il volto nella sua interezza

“Anche per me, ma gradirei che ti facessi vedere; o non vuoi farlo perché sei ripugnante come il tuo vicino?” chiese Tricha riferendosi ad un prigioniero accanto, che aveva i denti simili ad una tigre e il naso schiacciato (la ragazza aveva pensato che fosse il risultato di alcune operazioni); quando sentì il suo commento l’uomo-tigre emise un ringhio mostruoso che fece distogliere lo sguardo di Tricha da Xander, il quale ne approfittò per avvicinarsi alle sbarre e accarezzare la guancia di lei

“Credi che io sia così ripugnante, senza nemmeno avermi visto in faccia? Possibile che tu provi già così tanto odio?” le chiese il ragazzo mentre Tricha lo studiava con lo sguardo per definirne i lineamenti: occhi di un colore che ricordava molto l’oro con appena una leggera sfumatura blu, capelli corti castani un po’ sbarazzini, zigomi alti e marcati. Sarebbe potuto passare per un normale ragazzo tra i venti e i trent’anni, se non fosse stato per le grandi ali d’aquila marroni e bianche; erano stupende e dalla loro lunghezza (toccavano terra) Tricha capì che dovevano avere una splendida apertura alare. Anche i suoi piedi ricordavano le zampe di un rapace dal momento che attaccate alla pianta non c’erano cinque piccole dita ma ce n’erano solo tre, lunghe e dotate di artigli ricurvi e affusolati e il dito posteriore dotato anch’esso di artiglio, tuttavia Tricha non potè far a meno di fissare il suo sguardo su quelle piume.

“Sono molto belle, vero Tricha?” chiese Joseph alla nipote, e lei si accorse appena di avergli risposto per monosillabi “Devo andare, ho un paio di cosucce di cui occuparmi. Se prometti di non far del male a mia nipote, Xander, posso lasciarti parlare con lei finché non ne avrò bisogno” propose al ragazzo alato che fece segno di giuramento.

“Com’è che una ragazza come te è venuta in un posto del genere?” domandò poi Xander a Tricha, non appena Joseph ebbe svoltato l’angolo del corridoio svanendo come se fosse stato inglobato nel muro

“Dove stavo prima non c’era niente che mi appagasse, e quando il nonno mi ha offerto il lavoro ho accettato. In realtà non so ancora che cosa dovrò fare, mi sembra di essere finita in un’altra dimensione” rispose la ragazza con nonchalance

“E io che pensavo che le ragazze di oggi, tutte, pensassero solo a mettersi lo smalto alle unghie. – Xander circondò una sbarra con la mano, mostrando le unghie appuntite. – Evidentemente mi sono sbagliato” ammise il ragazzo aquila

“Ci sono anche loro, ma io faccio parte di quella schiera di ragazze che pensano a tutt’altro e cui non interessa lo smalto. I tempi sono cambiati” ribatté la ragazza, si sentiva stranamente a suo agio mentre parlava con Xander; tanto che poi gli venne spontaneo chiedergli se fosse nato con le ali oppure no

“Sono arrivate con la pubertà – Xander avvicinò il viso a quello di lei, per non farsi sentire dagli altri. – Ci hanno messo tre giorni per crescere, e sono stati un vero inferno: non riuscivo a muovermi per il dolore, e quando sono uscite dalla mia schiena ho provato il dolore più grande della mia vita – il ragazzo si ritrasse. – Ma credo che a te interessi di più vederle aperte, vero?” le domandò, e lei fece un piccolo cenno di assenso con la testa.

Senza dire altro, Xander appoggiò la schiena alle barre della cella, facendo sì che le ali fuoriuscissero, e le dispiegò

“Sono bellissime” commentò Tricha, toccando nel punto dove c’erano l’osso radio e l’omero potè sentire la muscolatura che si contraeva e rilassava

“Grazie, anche se non è facile essere come me” confessò lui mentre ripiegava le ali “Non pensavo che tu potessi parlare così apertamente con me, vedendo quel che sono. Credevo che ti avrei fatto scappare per il terrore”

“Io non giudico dall’aspetto, ma dal cuore. Tu mi sembri un bravo ragazzo, anche se non capisco che ci fai qui, e comunque non credo che potrai farmi del male finché sei lì dentro” puntualizzò Tricha incrociando le braccia

“Oh bhè, allora non ti dispiacerebbe parlare un altro po’ con me? E’ molto difficile trovare qualcuno disposto a parlare, tra questi energumeni” la pregò Xander con occhi da cucciolo, sembrava proprio che avesse un bisogno disperato di qualcuno con cui parlare

“Mi piacerebbe molto, tanto qui ancora non ho niente da fare” accettò di buon grado Tricha nonostante alle sue orecchie fosse arrivato uno sbuffo dal vicino del ragazzo alato, il quale forse non gradiva la sua presenza

“Grazie” la ringraziò Xander sfoggiando un bellissimo sorriso.

I due continuarono a parlare per circa un’ora, il loro era tutto un dialogo fatto di botta e risposta, e fu divertente per Tricha vedere Xander rimettere in riga gli altri prigionieri che protestavano per il loro chiacchiericcio; persino gli scienziati, che passavano vicino a loro di tanto in tanto, rimasero stupiti di come lei parlasse così apertamente con il ragazzo. Poi un addetto, un uomo che avrà avuto sui quarant’anni e visibilmente esausto, venne a dire a Tricha che Joseph voleva parlarle nel suo ufficio e lei, salutato Xander, si lasciò condurre fin davanti alla porta dello studio del direttore (così diceva l’etichetta); un ingresso austero che dava su una stanza arredata allo stesso modo dell’appartamento in cui viveva il suo proprietario. Joseph era lì, seduto alla scrivania in legno massiccio, che per la quantità di cassetti ricordava uno di quei marchingegni in cui ci si poteva nascondere i segreti più importanti, e da dietro gli occhiali tondi stava osservando un plico di documenti. Tricha si domandò cosa mai ci fosse scritto sopra.

La ragazza dovette tossire un paio di volte per attirare l’attenzione di Joseph, che sembrava completamente rapito da quei fogli; e quando alzò la testa il vecchio invitò la ragazza a sedersi sulla poltrona bordeaux trapuntata davanti a sé. Con riluttanza Tricha obbedì e si accomodò, anche se aveva sempre trovato scomode quel tipo di poltrone.

“Spero che tu abbia fatto una bella chiacchierata” disse Joseph alla nipote senza mai staccare del tutto gli occhi dalla sua lettura

“C…come – Tricha provò a riformulare il discorso. – Xander, l…lui è” niente da fare, per quanto si sforzasse la ragazza non riuscì a formulare un discorso serio

“Lui, come molti altri, è un discendente di quelle creature magiche che noi abbiamo sempre creduto leggenda” spiegò Joseph, avendo inteso qual era la domanda che la nipote avrebbe voluto porgli, sembrava felice di averla colta di sorpresa

“Ma com’è possibile?” chiese Tricha, che finalmente aveva ritrovato la parola

“Evidentemente tutte le storie dell’antica mitologia, quelle di ogni civiltà, si basavano su creature realmente esistite; le buone e le cattive. Ciò spiegherebbe anche l’enorme varietà di racconti, ed immagini, che ci sono pervenute” suggerì lo scienziato assumendo una posizione più comoda per la sua schiena

“Da quando ci lavori? E perché loro sono qui, e come fai a tenerli sotto controllo? Non verrai a dirmi che sono tutti criminali, Xander non lo sembra” domandò la ragazza gesticolando un poco con le mani, un espediente che usava spesso quando si sentiva nervosa (e in quel momento lo era molto)

“Dal momento in cui vi ho lasciato, per rispondere alla prima domanda, anche se ci penso da tutta una vita – Joseph si alzò e si diresse verso la piccola vetrina che conteneva diversi modelli anatomici. – Per rispondere alla seconda, posso dirti che li stiamo studiando, per capire quale miracolo della natura sia il loro genoma, e che riusciamo a tenerli qui grazie ad uno speciale bracciale che gli induce uno stato di incoscienza, nel caso in cui uscissero dalle loro gabbie” chiarì Joseph senza mai guardare la nipote negli occhi, poi non aggiunse altro, in attesa che Tricha gli desse la risposta tanto agognata che cercava. Quando la ragazza capì il motivo del silenzio del nonno, si prese alcuni istanti per fare chiarezza nella sua testa; era come essere di nuovo davanti alla vetrina del Boho’s, e ora lei osservava la schiena dello scienziato come aveva osservato il suo viso.

“Resterò!” proferì infine Tricha, e in quel momento le sue parole le crearono una strana sensazione allo stomaco

“Perfetto!” esclamò Joseph girandosi, la luce della lampada sulla scrivania gli illuminava gli occhiali enfatizzando ancora di più il suo entusiasmo.

  
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