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Autore: Daleko    03/08/2016    0 recensioni
L'angoscia gli strinse lo stomaco con forza ed emise un verso debole, un verso che si confuse facilmente con il lamentarsi del gelido vento.
«Nathan! Nathan, qui!» un urlo assottigliato giunse confusamente al ragazzo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Thunderstorm


Le nubi in cielo non attardavano a stringersi l'una contro l'altra. Il vento, freddo e implacabile, ruggiva per le strade vuote portando con sé foglie morte e debolezze del mondo umano, cappelli liberi di volare e disegni fuggiti dalle finestre aperte. Qualche tuono solitario dava mostra di sé, annunciando il temporale con prepotenza e godendo, finalmente, di una prima timida e lieve pioggia.
Le gocce sferzavano la città quasi in orizzontale tra i fischi e le urla della bufera; colpivano l'asfalto, le auto parcheggiate, le finestre chiuse e un volto solitario, un ragazzo senza ombrello e dalla giacca pesante, di quelle imbottite che danno un vago senso di protezione. Venticinque, forse ventisei anni e gli occhi grandi e neri, spaventati, danzanti sotto il grigiore del cielo coperto. Un accenno di barba spuntava dalle guance infreddolite, le mani erano strette sui bottoni della giacca come nel timore di perderla; cercava qualcosa o qualcuno e quando schiuse le labbra violacee il fragore di un tuono troppo vicino, simile a un ramo spezzato davanti a sé, coprì la sua voce. Il mondo venne illuminato da un lampo subitaneo: la bocca si aprì di nuovo, il tono era disperato.
«Max! Maaax!» urlò in giro. Il capo si voltò, il busto lo seguì, gli occhi si socchiusero per resistere alla violenza della tempesta. Non c'era nessun altro nei dintorni, nessuno che lui riuscisse a vedere: tutti erano al sicuro nelle proprie case, chiusi nei bar, chiusi nelle camere da letto. Tutti al sicuro, tutti tranne lui; le palpebre battevano disperate nel tentativo di non lacrimare nella pioggia. «Max!» tentò ancora; la voce era roca e non riusciva a espandersi nell'acqua: il ragazzo aveva ormai l'impressione che venisse giù da tutte le direzioni. L'angoscia gli strinse lo stomaco con forza ed emise un verso debole, un verso che si confuse facilmente con il lamentarsi del gelido vento.
«Nathan! Nathan, qui!» un urlo assottigliato giunse confusamente al ragazzo. Gli occhi neri scattarono alla ricerca del mandante, le mani annasparono nell'acqua. «Max!» ripeté ancora in un urlo smorzato. Una figura si avvicinò con rapidità; una mano era tenuta al di sopra degli occhi chiari. Un uomo più grande di qualche anno e, nonostante tutto, con la pioggia pendente dalle lunghe ciglia, arrivò a qualche passo dal ragazzo disperato. Si ritrovò con le braccia strette fra le mani dell'altro.
«Ti ho cercato a lungo» fu il messaggio urlato da Nathan nella tempesta. Erano a pochi centimetri l'uno dall'altro, si guardavano in volto ed entrambi grondavano pioggia e preoccupazioni.
«Lo so!» rispose Max. Gli occhi azzurri si confondevano nel baluginare dei lampi, fissi nella profondità delle buie iridi dell'altro. Le mani del ragazzo stringevano forti gli avambracci protetti da una lunga giacca, lasciata aperta su di un maglione scuro. Restarono a fissarsi per un po' nonostante le intemperie che gracchiavano, baluginavano, crollavano loro addosso. Nathan ingoiò il groppo alla gola nel tentativo di muovere le labbra. «Andiamo. Ti prego» lo invitò con un debole sorriso. La pioggia gli scivolò sulla lingua, si mischiò alla saliva assente e gli scosse le membra arrivando fino agli occhi, sgorgando nuovamente per precipitare al suolo. Max non notò l'arrossarsi di quegli occhi fissi nei suoi e scosse il capo, curvando le sopracciglia in un'espressione combattuta. «Non posso, Nat. Non posso!» rispose alzando la mano sinistra. Quella del ragazzo scivolò verso il basso, improvvisamente senza forze, e quella di Max arrivò al suo viso. La barba ancora corta fu accarezzata dalle dita ruvide dell'uomo, e il palmo di quella mano tanto ricercata si fermò al movimento dell'altro. Il capo ruotò lievemente, gli occhi chiusi e le labbra incastonate tra il pollice e la fede dell'anulare. Un fremito scosse le membra giovanili e gli occhi si strinsero in un muto pianto disperato; la mano scese a ricercare il corpo davanti a sé, avvicinandolo al proprio petto. Max strinse convulsamente Nathan, riscaldandolo mentre la tempesta imperversava su di loro. La mano colpevole del pianto salì fino al capo prigioniero nell'incavo fra capo e collo, carezzando i capelli colmi d'acqua. Entrambi tremavano dal freddo ma non riuscirono a smettere quella posizione per un altro minuto; quando finalmente i loro corpi si separarono, Nathan ricercò le mani dell'altro per stringerle saldamente nelle proprie. I suoi occhi non avevano smesso l'ultimo tentativo da giovane innamorato.
«Non andartene. Ti scongiuro, non andare via» terminò angosciato il suo ultimo appello. Toccò a Max liberarsi del groppo alla gola. «Mi dispiace» concluse nuovamente con gli occhi bassi, la vergogna dipinta in volto. Nathan gli si gettò addosso, cercando di stringerlo a sé; Max lo spinse via e il ragazzo, afferrandogli la testa con violenza, premette infine le gelide labbra su quelle bagnate dell'altro. Un bacio scivoloso, freddo, scandito dai terribili ululati del vento e dai fulmini che terrorizzavano i loro cuori scalpitanti. L'uomo si liberò dalla presa e osservò il suo amante come stupito, addolorato, ferito. Lo stesso sguardo che trovava nelle profondità degli occhi dell'altro, sofferenza mista non a stupore ma a una consapevolezza ancora, per gli ultimi momenti, rifiutata con forza.
Non si sarebbero visti mai più.

Nathan indietreggiò. Max allungò un braccio verso di lui mentre la lunga giacca invernale, ancora aperta, sbatteva contro le gambe coperte. Il ragazzo portò lo sguardo al jeans sbiadito, perdendosi nei ricordi in cui lo stesso jeans sbiadito, una volta senza rattoppi e abbassato da lui stesso, giaceva su di un pavimento invisibile ai suoi occhi i quali in quel momento, colmi di dolore, non potevano che vagare su di una figura irraggiungibile.
Dimenticato. Questa parola continuava a pulsargli nelle tempie: sarebbe stato dimenticato, accantonato, una parentesi chiusa, la sua voce assimilata al fischio del vento. Max abbassò il braccio e fece a sua volta un passo indietro; qualcosa nel petto di Nathan scoppiò come una bollicina.
«Max! Max, non lasciarmi!» urlò ancora. La voce gli raschiava la gola e le mani, strette sui bottoni troppo grandi per le sue mani da ragazzo, gli dolevano dal freddo. L'unico amore della sua vita continuava a indietreggiare con la testa bassa, si voltava, cominciava a incamminarsi lontano da lui. Lontano per sempre.
«Max! Max, torna indietro!»
Quell'ultimo bacio. Unico, indimenticabile e terribile che sarebbe stato lavato via dall'acqua che trasformava la strada in un torrente improvvisato; si accorse di avere le caviglie bagnate. Quanto tempo erano rimasti sotto la pioggia? Non lo sapeva. Non importava.
«Io ti amo! Mi hai capito? Io ti amo! Ti amo!» urlò ormai al nulla. Si ritrovò a singhiozzare, a fissare il vuoto nella nebbia che infittiva la città e il suo cuore, la sua mente, la sua anima. Qualcosa si spezzò; Nathan, scosso dai tremiti, si accasciò vomitando.
Qualche schizzo rovinò anche la sua bella giacca imbottita.

 
   
 
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