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Autore: lolasmiley    04/08/2016    1 recensioni
Aria, una bambina di sette anni, confessa il suo più grande desiderio alla carta scrivendolo sulla letterina destinata a Babbo Natale perché, infondo, lui esaudisce sempre i desideri dei bambini.
Ashton per qualche settimana all'anno si cala nei buffi panni di uno degli elfi di Babbo Natale, è un ragazzo solitario, che cerca di soffocare e dimenticare un passato triste e complicato regalando un sorriso a chi non ce l'ha.
E' proprio lui a trovarsi tra le mani la lettera di Aria che lo commuove con le sue parole sincere e profonde. Ashton si sente responsabile, perché alla fine è a lui che la piccola ha chiesto aiuto, ma sa di non poter fare nulla. Si sente colpevole, perché non è riuscito a cambiare il “mondo dei grandi” e a renderlo un po’ meno brutto.
Sa che non è giusto quello che sta succedendo ad Aria e, che se non troverà il modo per realizzare il suo desiderio, la mattina del venticinque dicembre lei smetterà di credere nella magia, nel Natale, e si ritroverà faccia a faccia con la realtà cupa, triste e amara degli adulti.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(14)

Through the dark

30 dicembre 2015

 

 

 

If you wanna cry or fall apart

I’ll be there to hold you

But don’t burn out

Even of you scream and shout

It will come back to you

And I’ll be here for you

 

 

 

L’aria fredda bruciava nei polmoni di Chris, ma lei non poteva smettere di respirare così affannosamente mentre si infilava i guanti di lana. Era emozionata e allo stesso tempo terrorizzata dalla pista di pattinaggio sul ghiaccio che si stendeva davanti a lei e su cui non aveva mai messo piede. Strinse le dita guantate al parapetto che circondava la pista, pensando che quello sarebbe stato il suo migliore amico per le ore successive, mentre osservava le persone sfrecciare sullo specchio bianco. Una ragazza si sollevò dalla superficie di ghiaccio, eseguendo una piroetta, e Chris sobbalzò.

«Tutto bene?» 

La rossa si voltò verso Ashton che, dopo aver finito di allacciare i propri pattini, l’aveva raggiunta e le sorrideva, divertito dalla sua espressione preoccupata. Chris scosse la testa.

«Cadrò ancora prima di entrare»

«Oh, andiamo Chris, è impossibile» lui le cinse le spalle con un braccio per rassicurarla.

«Impossibile? Devo riuscire ad arrivare, in qualche modo, fin là» Chris indicò l’entrata della pista «e saranno almeno quattro metri. Devo camminare per quattro metri con questi cosi ai piedi...Tanto vale che mi butti per terra e ci arrivi strisciando» 

Ashton rise di gusto e finì per strappare un sorriso anche a Chris, che si rilassò per un secondo, poi le porse la mano.

«So che non ti va a genio, ma se pattiniamo a braccetto di certo finiremo a terra dopo neanche mezzo passo»

Chris fece un respiro profondo e prese la sua mano, lasciandosi guidare verso l’entrata.

«Solleva il piede tutto insieme, non come quando cammini, e vedrai che dopo questi quattro metri sarai tutta intera» la rassicurò lui «poi non garantisco»

«Ash!» la ragazza lo colpì sulle spalle con l’altro braccio, appena prima che lui appoggiasse il primo pattino sul ghiaccio e lasciasse andare la sua mano. Lo guardò avanzare un paio di... passi sulla superficie scivolosa e si sistemò la sciarpa, che alla fine era riuscita a trovare in camera di Aria.

«Dammi la mano» 

Chris si lasciò sfuggire un gemito di disperazione e fece come Ashton le aveva chiesto, lasciandosi scivolare lentamente sul ghiaccio. Si irrigidì di colpo alla sensazione di aver perso ogni stabilità, e restò perfettamente immobile mentre Ashton la trascinava piano verso di sé. 

Le era capitato diverse volte di scivolare, nella sua vita, spesso a causa del suo essere un po’ impacciata, ma il tutto si concludeva con un piccolo spavento e una slittata in avanti di mezzo metro. Pattinare era una cosa completamente diversa: non solo il ghiaccio era terribilmente scivoloso, ma Chris doveva anche starci sopra appoggiando tutto il proprio peso su una sottile lama di metallo.

«Non lasciarmi, non lasciarmi, non lasciarmi, oh dio NON lasciarmi» farfugliò, quasi senza muovere le labbra per paura di perdere l’equilibrio «Ashton io te lo giuro, se non ti fermi adesso la prima volta che cadrò mi aggrapperò a te e ti trascinerò con il culo a terra»

«Grande minaccia» rise lui, continuando a pattinare e trascinarla.

«Non mi sento di pianificare vendette che prevedano che io esca viva da qui»

Finalmente, Ashton si fermò e Chris sospirò di sollievo, ma la sensazione di sicurezza l’abbandonò non appena si rese conto di essere al centro della pista.

«Cosa cazzo hai fatto!» urlò la ragazza. Cercò di spingersi in avanti agitando disperatamente le braccia, in preda al panico, poi perse l’equilibrio e andò a sbattere contro Ashton, a cui si aggrappò con tutte le forze. Sentiva il calore dell’adrenalina scorrerle nelle vene e scosse la testa ripetendosi che aveva solo mosso un piccolo passo.

«Allora, prima di tutto: rilassati, non ti succederà nulla. Poi, se senti di cadere non sbilanciarti in avanti: meglio una botta sul culo che sul naso» le spiegò.

«Non ti succederà nulla, Chris, sarà divertente. Certo, fantastico» borbottò lei, lasciando andare Ashton. Cercò di stabilizzarsi il più possibile e di abituarsi alla sensazione del giaccio sotto i suoi piedi. Provò a guardare come si muovevano gli altri, sfrecciando tutti nello stesso verso ai lati della pista. Sembrava divertente ma guardarli le fece girare la testa e perdere un po’ l’equilibrio, così prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, ripetendosi ce la posso fare.

«Okay, spiegami come faccio a muovermi senza ammazzarmi»

Ashton le sorrise e le porse di nuovo la mano, pronto a cimentarsi in una lezione di pattinaggio. Due ore, sei cadute e tante risate dopo, scivolavano fianco a fianco tranquillamente, qualche volta addirittura si rincorrevano per gioco. Chris sbandava ancora in curva di tanto in tanto, ma riusciva sempre a riprendere l’equilibrio all’ultimo momento e a tornare dal biondo che si era fermato per aspettarla.

Si stava facendo tardi e il volume della musica trasmessa dagli altoparlanti agli angoli della pista si abbassò per permettere a una voce gracchiante di comunicare che la pista stava per chiudere. Chris mugugnò in dissenso e incrociò le braccia al petto, delusa, mentre rallentava.

«Vuoi ammettere che ti stai divertendo?» Ashton notò l’espressione contrariata della ragazza, così la raggiunse e la trascinò di nuovo fino in mezzo alla pista. Quando si fermò lei scrollò le spalle e iniziò a girargli intorno, inclinando la testa da una parte e poi dall’altra come a valutare la situazione.

«D’accordo, avevi ragione... è divertente e potrei anche confessare di volerci tornare» non riuscì quasi a finire la frase che perse l’equilibrio, scivolando all’indietro, ma Ashton l’afferrò prima che potesse cadere.

«Ritiro tutto» ridacchiò Chris, infilando le mani nelle tasche del giaccone del ragazzo. 

«Ormai puoi iscriverti alle prossime Olimpiadi Invernali nel pattinaggio di figura» Ashton le sorrise e si avvicinò al suo viso per baciarla, ma lei lo spinse via leggermente, ridendo.

«Ah-ha, certo. Solo se portiamo Lo Schiaccianoci come pezzo da ballare» sussurrò Chris. Cercò la mano di Ashton, mentre con l’altra si appoggiava alla sua spalla e lui le cingeva la vita. 

 

 

Ashton si mordicchiò le labbra lanciando un’altra occhiata, la decima negli ultimi quattro minuti, al polso sinistro, teso sul poggiolo della poltrona, su cui l’orologio si ostinava ad andare avanti troppo lentamente. Sospirò leggermente, per non farsi notare. Stava temporeggiando e lo sapeva bene, continuava a ripetersi che al prossimo scoccare del nuovo minuto avrebbe iniziato a parlare. Ripensando a questo suo compromesso notò che la lancetta dei secondi aveva appena intrapreso un altro giro, ma la ignorò facendo finta di nulla. E poi, forse lei si era addormentata. Era scivolata nel silenzio già da qualche minuto e di certo lui non voleva svegliarla.

«Chris?» Ashton la chiamò con il sussurro più leggero che potesse sfiorare le sue labbra nella speranza che lei, anche se fosse stata sveglia, non lo avrebbe sentito.

«Mh?»

Il biondo si sentì sprofondare nella poltrona. Era sveglia. Era ora di piantarla di rimandare. Prese un respiro profondo e si inumidì le labbra nella convinzione istintiva che parlare sarebbe stato più semplice.

 «Credo che... che sia giusto che io ti racconti un paio di cose. Tu sei stata onesta con me e...» Ashton si passò una mano tra i capelli e scompigliò i ricci con un sospiro. Non era affatto semplice

A quelle parole Chris, che era sdraiata con la testa poggiata sulle sue ginocchia, si tirò su a sedere e lo osservò, preoccupata. Lo studiò per qualche secondo, in attesa che lui si spiegasse. Era palesemente teso, e quando Chris notò la mano sinistra aggrappata alla poltrona vi ci posò sopra la propria.

«Un paio di cose? Riguardano per caso dei muri da abbattere?» cercò di sdrammatizzare lei. 

«Già...»

Chris sospirò, delusa di non essere riuscita a farlo sentire più a suo agio, e si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«Senti, Ashton, lo so che avevo detto di voler sapere più cose su di te, ma se non te la senti... Non voglio obbligarti»

Lui abbozzò un sorriso e scosse la testa.

«No, lo so. È una mia scelta. Spero che questo non cambi nulla»

«E cosa potrebbe cambiare?»

«Il modo in cui mi guardi»

Chris scosse la testa, confusa e stupita dalla serietà nella voce di Ashton. Come avrebbe potuto cambiare qualcosa tra loro? L’angolo più creativo del suo cervello macinò in fretta una serie di ipotesi orribili: era un assassino? Un criminale? Era sposato? Scacciò quelle idee con un gesto infastidito del capo e si concentrò sulla realtà, convincendosi che non sarebbe stato nulla di tanto preoccupante.

«Non cambierà. Te lo prometto» 

«Una volta una persona mi ha detto di non fare promesse che non si possono mantenere» la rimbeccò lui.

«Ma io so di poterlo fare» Chris sorrise, scompigliandogli i capelli «puoi fidarti di me»

«Lo so. Be’, negli ultimi giorni ho riprovato un paio di volte da che parte iniziare a raccontare questa storia, e mi sembrava di aver trovato un discorso adatto. Filava bene, aveva senso. Ma me lo sono dimenticato» Ashton ridacchiò nervosamente, poi rubò dalle dita di Chris, ancora appoggiate sulla sua mano, l’anello di legno scuro e prese a giocarci.

«Mia madre ci ha abbandonati quando io ero piccolo, non andavo nemmeno a scuola. Infatti non ho dei veri ricordi di lei, più che altro si tratta di storie che mia sorella mi ha raccontato, negli anni successivi, prima che...» lasciò la frase in sospeso, riflettendo su come continuare. Scosse la testa: così non andava affatto bene.

«No, okay, ricominciamo da capo»

Chris gli sorrise, incoraggiante.

«Mia madre se n’è andata quando io avrò avuto su per giù quattro anni. Una mattina sparì, senza una parola, un biglietto, nulla. Non ho mai saputo cos’è successo davvero, mia sorella non ha mai voluto dirmelo e non so a chi dare la colpa per farmi meno male» le frasi gli scivolavano via in fretta ma tra una e l’altra faceva una piccola pausa «quando mia madre se n’è andata ovviamente le cose sono cambiate drasticamente, non ho dei ricordi chiari perché ero troppo piccolo, ma da quando avevo undici anni non ho fatto altro che ripensare a tutto quello che era successo in modo da ricostruire la verità»

Chris aggrottò le sopracciglia di riflesso, un po’ confusa, ma non lo interruppe. Cos’era successo quando lui aveva undici anni? Le stava dando elementi sconnessi tra loro che non l’aiutavano troppo a capire, ma decise di aspettare la fine della sua storia sperando che a quadro completo tutto risultasse più comprensibile.

«...e ho capito che per tutti quegli anni l’ombra spaventosa che arrivava la sera in camera mia e di mia sorella ondeggiando era Steve...» Ashton si interruppe e si lasciò scappare una piccola smorfia «mio padre,» si corresse a malincuore, come a non voler accettare quel legame di sangue «che tornava a casa ubriaco. Non ricordo che l’avesse mai fatto prima che mia madre ci abbandonasse, ma non posso escludere che in realtà lei se ne sia andata per i suoi problemi con l’alcol. È questo a cui mi riferivo quando dicevo che non so a chi dare la colpa: mia madre potrebbe averci lasciati perché non ci voleva bene, o a causa di Steve. Non lo so e non so quale sia l’opzione più orribile»

Ashton sollevò gli occhi dall’anello, incrociando lo sguardo con quello di Chris. E lo vide. Vide il dispiacere e fu tentato di fermarsi, di non continuare a raccontare. Stava succedendo. Restò in silenzio per un attimo e pensò che, se l’avesse chiusa qui, sarebbe anche potuto bastare. Che bisogno c’era di continuare? Lei non sapeva quando la storia sarebbe finita, quindi perché non limitarsi all’inizio?

Guardò di nuovo Chris, che aspettava, silenziosa, e scosse impercettibilmente la testa: non voleva mentirle. Si schiarì la voce e andò avanti.

«Lui inizialmente ‘annegava i dispiaceri nell’alcol’ quando tornava da lavoro, così di giorno Mavis, mia sorella, mi faceva da mamma, e di notte io mi nascondevo in camera e lei...» una smorfia gli increspò il viso e la sua voce salì di tono «ci hanno fatto un sacco di film, no? Lui inizia a bere e diventa violento. Si sfogava su Mavis, metà delle volte le urlava che non se ne sarebbe dovuta andare, convinto di star parlando con mia madre, l’altra metà si rendeva conto di parlare con sua figlia e la insultava. La incolpava di tutto, la picchiava, la sgridava per cose che ho fatto io ma di cui lei si dichiarava responsabile»

Era strano ripensare a quei momenti. Non aveva fatto altro che riviverli, da quando aveva lasciato quella casa fino a qualche anno prima, analizzando ogni dettaglio, immaginando come avrebbe potuto agire diversamente per cambiare le cose, chiedendosi il perché. Quegli istanti orribili impressi a fuoco nella sua memoria lo avevano perseguitato ogni volta che chiudeva gli occhi, e bruciavano, rendendogli quasi impossibile dormire. Aveva rischiato di impazzire e poi era finalmente riuscito a lasciarsi tutto alle spalle. Ma in quel momento, dopo tutto il tempo passato a cercare di scordarsi cos’era successo quando ancora viveva in quella piccola casa di campagna, i ricordi lo investirono. 

Chiuse gli occhi: gli sembrava di essere ancora lì, nascosto nell’angolo del letto a castello, che divideva con Mavis -lui aveva quello in alto, che lo faceva sentire più al sicuro-, rannicchiato contro il muro nel buio spettrale di quelle stanze. Stanze vuote, fredde. Per questo si precipitava fuori appena possibile, a giocare in cortile, esplorando nuove zone fino a sconfinare nel terreno dei vicini. Abitavano in Iowa, nella contea di Taylor, a sud-ovest, quindi prima di incontrare un’altra casa poteva fare parecchia strada.

Aprì gli occhi e guardò Chris, desiderando di potersi fermare. Non ci riuscì. 

«Ci eravamo quasi rassegnati a quella routine, in cui di giorno cercavamo di dimenticarci che cosa ci aspettava la sera, Mavis si occupava di me, mi raccontava di com’era nostra madre...» 

Lorelay. Lorelay Brennan. 

Occhi verdi e riccioli biondi, un velo di fard per cercare di coprire le lentiggini che le davano un’aria da bambina e rossetto rosso per farla sentire una donna la notte in cui, a diciotto anni, scappò di casa. 

Scappò da una relazione con Ethan, il figlio del pastore del paese, perché sarebbe potuta finire in qualcosa di troppo serio, scappò da quella casa che le sembrava tanto opprimente, lasciando una madre troppo severa e un padre solitario, scappò da Steve, sei anni dopo, e da una vita di campagna che le era sembrata splendida e spensierata ma di colpo le andava troppo stretta, e continuò sempre a scappare da ogni cosa, perfino da se stessa.

Il ritratto che Mavis aveva dipinto per Ashton, però, era più gentile e generoso: Lorelay era una donna dolce e premurosa, che preparava delle ottime crepes -frittate, in realtà- e lasagne al sugo -surgelate-, curava le rose davanti alla veranda -appassirono in fretta e furono soccorse da Mav- e raccontava delle fantastiche storie della buonanotte. Quest’ultima cosa era vera. I ricordi vaghi e sbiaditi che Ashton aveva di lei presero la forma e i colori delle storie che la sorella gli raccontava, regalandogli l’immagine di una splendida donna.

 «...e mi accompagnava a scuola. Mav non ci andava più: aveva sedici anni e per legge poteva restare a casa, così aveva abbandonato il liceo. Poi un giorno le cose cambiarono. Steve fu licenziato, credo, perché cominciò ad essere sempre a casa, dalla mattina alla sera, il che significava un inferno a tempo pieno, soprattutto per Mavis, e morire di fame: quei pochi soldi che aveva, li spendeva per comprare da bere» Ashton si passò una mano sul viso, coprendosi le labbra e il naso per non respirare la puzza dell’alito di scotch che gli ritornò in mente «Mav iniziò a lavorare ad una tavola calda mentre io ero a scuola, ed era un bene perché così non avrebbe dovuto affrontarlo da sola a casa, ma poi iniziarono a darle il turno serale. Ciò implicava lasciarmi a casa da solo con...quel mostro, e Mavis non lo accettò. Lasciò il lavoro»

Chris era furiosa, indignata, sconvolta. Si sentiva morire, e sapeva di provare solo una piccola parte del dolore che aveva soffocato l’infanzia di Ashton e di sua sorella. 

«Ricordo che una mattina presto, prima dell’alba, ci eravamo alzati ed eravamo andati in cortile per ideare un piano per scappare. Io ero un bambino pieno di idee, ma buona parte delle opzioni che proponevo erano piuttosto irrealizzabili: passavo dalle macchine del tempo alle mongolfiere» gli sfuggì una debole risata nostalgica: le mattine erano state i momenti più felici della sua infanzia «a me non venne in mente, mentre a Mavis di certo, di andare alla polizia: ci provò, ma scoprì che in centrale lavorava un amico di Steve. Che venne a farci visita... e peggiorò solo le cose. Steve si infuriò, quella sera, e da lì in avanti diede il peggio di sé. All’inizio pensavo che si limitasse a picchiare Mav, ma una notte mi svegliai sentendo delle urla e uscii dalla mia camera di nascosto. Spiai dalla fessura della porta e vidi che...» la voce di Ashton si affievolì, poi lui si schiarì la gola. Quasi non si accorse delle mani di Chris che erano corse ad intrecciarsi con le sue, pronte a dargli qualcosa a cui aggrapparsi.

«Lei si accorse che li avevo visti, lui no. Il giorno dopo rovesciai un bicchiere di latte e mi beccai diversi colpi. Mentre mi medicava, Mavis giurò che mi avrebbe tirato fuori di lì. E lo fece. Spedì una lettera...» Ashton chiuse gli occhi per un momento «due giorni dopo si suicidò»

Era una mattina di settembre e le primi luci dell’alba erano entrate prepotenti dalla finestra della camera dei due fratelli, svegliando Ashton. Lui aveva sbadigliato e si era lamentato ad alta voce, ancora insonnolito, con Mavis, perché non aveva chiuso le imposte la sera prima. Si era rigirato per un po’ nelle lenzuola spiegazzate e poi si era accorto che lei non gli aveva risposto. 

Gli era sembrato di aver sentito, a metà tra il sogno e la realtà, la voce dolce e impastata dal sonno di Mav bisbigliare un “avresti potuto chiuderle tu, per una volta, peste”, ma non ne era certo. Così si era sporto dal proprio letto, rischiando quasi di cadere per terra, e aveva visto che quello della sorella era vuoto. Ashton aveva pensato che lei fosse andata in cortile a preparare una delle loro solite riunioni mattutine e quindi vi si era trascinato, scalzo.

Nemmeno lì trovò nessuno. Iniziò a preoccuparsi, e corse in cucina, chiamando piano sua sorella. 

Non rispose nessuno.

Restò seduto per un po’ a tavola, dopo essersi versato un bicchiere di succo, ad aspettare che lei tornasse, fiducioso, con lo sguardo fisso nel vuoto. Quando però passò l’ora in cui avrebbero dovuto, come al solito, guardare il loro cartone animato preferito alla televisione, Ashton ebbe davvero paura. 

Non si ricordava perché finì per guardare nel bagno nonostante la porta fosse chiusa e quindi la stanza avrebbe potuto essere stata occupata, magari anche da Steve. 

La trovò lì dentro, nella vasca. Era seduta con la schiena appoggiata contro il muro e le gambe distese, gli occhi annebbiati, persi a guardare un punto lontano, nello spazio e nel tempo, davanti a sé. Sembrava un fantasma, la pelle candida dello stesso colore della camicia da notte e della vasca da bagno. Un rivolo scuro di sangue secco scorreva dai polsi di Mav, incrostandosi sul cotone della veste e riversandosi nello scolo dell’acqua.

«La trovai io e restai con lei fino all’arrivo della polizia» 

Ashton si precipitò nella vasca, tanto che rischiò di scivolare su una piastrella bagnata, e scosse Mavis a lungo. Poi lasciò perdere e scivolò accanto a lei. Era rimasto lì finché un agente di polizia non lo aveva strappato dall’ultimo abbraccio con sua sorella e l’aveva portato via. I ricordi seguenti erano confusi, Ashton non sapeva nemmeno chi avesse chiamato il 911.

Chris strizzò gli occhi, umidi, poi allungò una mano verso il viso del ragazzo e gli sfiorò la guancia, accarezzandola, mentre lottava con le proprie labbra perché non si incurvassero in una smorfia di dolore.

O almeno questo è ciò che parve a lui, ma quella non era una carezza. Le dita di Chris stavano raccogliendo le lacrime che Ashton non si era neanche accorto di perdere. Lui appoggiò la mano su quella della ragazza e abbassò lo sguardo, riprendendo a raccontare.

«Poi scoprii che aveva mandato la lettera direttamente alla detective della centrale, per evitare che finisse nelle mani di quel poliziotto corrotto. In quella lettera raccontava tutta la verità. C’era un foglio anche per me, nella busta che aveva spedito. Diceva che ce l’aveva fatta, che mi aveva liberato, che adesso mi avrebbero portato via di lì e che Steve avrebbe pagato, e si scusava. Si scusava per quello che aveva fatto, ma mi spiegava che non sarebbe riuscita a convivere con quello che le era successo e mi chiedeva di perdonarla» 

Non sapeva se ci era riuscito, l’unica cosa di cui era certo era che Mavis gli mancava da morire. Ashton si sentiva terribilmente in colpa per non essere riuscito a fare niente di più per lei, per averla lasciata andar via in quel modo. Se solo avesse potuto parlare con lei, prima di quella notte, dirle quanto le voleva bene e chiederle di non abbandonarlo, prometterle che avrebbero affrontato insieme quello che sarebbe venuto.

Erano così vicini, ce l’avevano quasi fatta. Mav aveva avuto un’idea perfetta: con quella lettera aveva messo la firma sul loro rilascio. Sarebbero stati liberi. Per anni Ashton si era chiesto perché lei avesse mollato a così poco dalla fine, come avesse potuto rinunciare alla speranza di una nuova vita, e aveva immaginato come sarebbero potute andare le cose se lui fosse riuscito a fermarla.

«Finii in qualche casa famiglia perché non si riusciva a trovare nessun parente a cui affidarmi, finché un giorno non si fece vivo mio nonno materno, che era rimasto vedovo. Sua moglie era morta di cancro qualche anno prima. Neanche sapevo della loro esistenza... voglio dire, non li avevo mai conosciuti. A quanto pare la perplessità era reciproca: nemmeno lui sapeva di avere un nipotino e non sapeva nemmeno che fine avesse fatto mia madre. Lei era scappata di casa a diciotto anni e non si era più fatta sentire, fino a qualche giorno prima, quando aveva mandato una lettera, da una città in Messico, a mio nonno, chiedendogli di controllare come andassero le cose da noi» 

I genitori di Lorelay, sebbene a lei sembrassero severi e poco interessanti a lei, avevano sofferto molto per la sua scomparsa e l’avevano cercata a lungo, ma non riuscirono mai a rivederla. 

Quando Jenny, la madre di Lorelay, morì, Bernie Brennan lasciò la loro vecchia casa e si trasferì a Bar Harbor, insieme a Cip e Ciop -in realtà quei due non avevano mai avuto un nome fisso, fu Ashton a ribattezzarli così-, un grosso gatto tigrato e un incrocio di Labrador che erano diventati ottimi amici. 

Una mattina di pochi anni dopo un vecchio amico di Bernie, che gentilmente gli rispediva le lettere che ancora arrivavano al suo precedente indirizzo, gli mandò una busta sudicia e piena di francobolli. Fu così che Bernie scoprì di avere ben due nipotini nelle campagne dell’Iowa e, nonostante fosse un uomo che amava la solitudine, non poté rinunciare al desiderio di conoscerli. 

Purtroppo, dopo lo scomodo viaggio fino a Blockton, si trovò di fronte a una realtà un po’ diversa da quella che aveva immaginato e scoprì tutto quello che era successo negli ultimi anni. 

«Non riuscimmo più a rintracciarla e io andai a vivere con mio nonno, nel Maine. È morto d’infarto due anni fa, e io sono partito e sono venuto qui. Mi sono sistemato con i soldi che mi aveva lasciato e ho iniziato a lavorare in quel negozio di musica...» la voce di Ashton si spense e il suo sguardo si perse nel vuoto. 

Dopo qualche minuto Chris si decise a rompere il silenzio che li aveva avvolti, sentendo il bisogno di dire qualcosa -anche senza sapere cosa, così si strofinò gli occhi umidi e si schiarì la gola.

«Ashton, io...» si mordicchiò le labbra, indecisa e un po’ arrabbiata. Era disgustata dal mondo e si sentiva quasi un po’ in colpa, perché di quel mondo ingiusto e crudele faceva parte anche lei. Si sentiva quasi in dovere di scusarsi con Ashton a nome dell’umanità intera.

«Ecco, lo vedi?»

Chris sollevò lo sguardo, confusa, puntandolo su Ashton, e aggrottò le sopracciglia.

«Che cosa?»

«Mi stai guardando come si guarda un cucciolo bastonato. Lo hanno fatto già, e non serve a nulla»

«Non posso sentirmi triste per te?»

«Solo non voglio che inizi a trattarmi in modo diverso»

«Non lo farò. Non ti tratterò in modo diverso. Ma che cosa ti aspettavi? Che restassi impassibile? Tengo troppo a te per non stare male sapendo quello che vi è successo» Chris agitò le mani in modo confuso, come a voler maneggiare le parole alla ricerca di quelle più adatte «io non riesco nemmeno a dirti come mi sento. E vorrei provare a spiegartelo, ma mi sembra di offenderti in qualche modo, perché so che sono sentimenti che tu hai provato in prima persona e non mi sento in diritto di...» si lasciò cadere le mani in grembo con un sospiro angosciato «Non meritavi nulla, nulla, di quello che ti è successo. Non è giusto. E, Ashton...perdonami»

«Per cosa?»

«Mi dispiace di averti... vomitato addosso tutti i miei problemi come se fossero la cosa peggiore che possa capitare. Mi dispiace, non sai quanto» mormorò. Perché non poteva ignorare che a tutto il dolore che stava provando al pensiero di quello che lui aveva dovuto passare, di quello che aveva visto, si aggiungevano i sensi di colpa per avergli parlato della propria famiglia, che in confronto era perfetta, come se fosse la più orribile, la più rovinata. 

«Mi dispiace» farfugliò «sono stata orribile»

Ashton scosse la testa.

«Sono stato io a voler entrare a tutti i costi nella tua vita e a chiederti di parlarmi della tua famiglia. E poi tutti hanno il diritto di essere tristi per tutto quello che li fa soffrire, anche se ci dovesse essere qualcuno che sta peggio»

Chris sollevò lo sguardo e lo incastrò con quello di Ashton. Era stupita, meravigliata, sconvolta da quello che vedeva. 

«Come fai... ad essere così?»

«Così come

«Non lo so. Sei così... allegro. Altruista. Nonostante tutto. Sei irreale»

Ashton le regalò un sorriso debole, dolce, pieno di ricordi: «sai, mio nonno era davvero una bella persona. Credo che mi abbia salvato dall’orlo della follia. Ma ho sofferto e soffro, ho passato anni ad odiare il mio passato, ma, purtroppo, questo non l’ha fatto sparire. Non si può cambiare, resta lì. Puoi rivangarlo, ignorarlo o accettarlo, lui non cambierà. Posso solo ricordare Mavis, diventare tutto meno che come Steve e cercare di impedire che altri debbano vivere ciò che ho vissuto io»

Chris sorrise, commossa, e scivolò tra le braccia del ragazzo stringendolo forte. 

«Ashton, credo di aver infranto la mia promessa di prima: adesso mi sembri una persona ancora più meravigliosa»

 

 






 

(((aggiungiamo che si era fatto anche un po’ di terapia ma dirlo avrebbe rovinato il momento)))

LA MAVIS DI LULLABY ECCOLAAA povera stella mi viene da piangere 

Mi odio perché ho voluto inserire un prologo a questa storia, che ho numerato come “0” e adesso tutti i numeri che io metto sono sbagliati rispetto a quelli che dà efp. 

Mi odio anche un po’ per aver ammazzato Mavis e l’infanzia di Ashton vabbene lo ammetto

Vabb, a voi come stanno andando le vacanze? Io mi sto flagellando mentalmente perché ho appena fatto i diciotto e sento incombere il pensiero che tra un mese e mezzo inizio l’ultimo anno di liceo e tra meno di un anno avrò la maturità e devo fare la patente e scegliere cosa fare della mia vita e dovrò ammazzarmi di studio per dieci mesi ((((((((: che gioia

Comunque ora che si amplia il quadro possiamo conoscere meglio Ashton! Mi dilungherei a parlare di lui e le sue differenze/affinità con Chris, ma ho predisposto un commento speciale alla fine della storia in cui chiarisco tutto quello che vorrei dire adesso quindiiiii sto zitta.

Scusatemi se non ho aggiornato prima, credevo di riuscirci e invece ciccia!

A presto :)

 

 

ps. ho in mente la trama di sei nuove storie (la mia testa lavora troppo) e devo ancora finire l’altra che avevo iniziato a postare su ashton e mi sparo perché non avrò mai il tempo di mettermi a scriverle DATEMI ALTRI NOVE MESI DI VACANZE VI PREGO. Odio agosto.

pps. HANNO SMESSO DI FARE LE NUOVE PUNTATE DI HOW I MET YOUR MOTHER E MI SONO CONSUMATA QUASI TUTTO IL 3G DEL TELEFONO DI QUESTO MESE PER ANDARE AVANTI SOLO PER VEDERE BARNEY E ROBIN RIMETTERSI INSIEME MA INVECE LEI È RIMASTA CON KEVIN MA MI PRENDETE PER IL CULO ALLORA

ppps. scusate non sono calma atm

  
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