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Autore: Do_Not_Touch_My_Patria    07/08/2016    2 recensioni
"Che Grantaire fosse un pessimista era sempre stato un dato di fatto che Enjolras non si era mai premurato di approfondire. Non aveva mai pensato che ce ne fosse bisogno e dopotutto lui il pessimismo sistematico non l’aveva mai potuto sopportare."
Enjolras è sempre stato un leader forte e incorruttibile, deciso e votato anima e corpo alla Causa.
Eppure anche per l'amante di marmo della Patria è difficile continuare a marciare a testa alta senza mostrare dolore per le ferite arrecate dal mondo.
L'autunno ha avvolto Parigi di uno smorto grigiume, lo stesso che sta impregnando il cuore di Enjolras di dubbi e insicurezze. Ogni scelta sembra adesso sibilare il fallimento, ogni passo è incerto in questa nebbia che si è fatta densa al punto da non vedere più.
Il 13 Novembre colpisce Parigi a tradimento, e la voragine si apre più profonda che mai sotto i piedi di Enjolras adesso che le parole e la speranza, da sempre erette a suo vessillo, lo hanno tradito.
E ora che la luce sembra essersi spenta per sempre, solo uno sguardo abituato alle tenebre può indicargli la via.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Les Amis de l'ABC
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dall'Altra Parte della Tela















“Un giorno il mondo si renderà conto di aver perso i colori. Si renderà conto che ha raschiato talmente a fondo la tela da averla bucata e scoprire che dall’altra parte non c’è nulla sarà un’abitudine più insopportabile del grigio.”
Che Grantaire fosse un pessimista era sempre stato un dato di fatto che Enjolras non si era mai premurato di approfondire. Non aveva mai pensato che ce ne fosse bisogno e dopotutto lui il pessimismo sistematico non l’aveva mai potuto sopportare.
Era per quel motivo, principalmente, che a quella sortita si era limitato a roteare gli occhi e ad esibire una leggera smorfia all’indirizzo di Combeferre. L’amico aveva ricambiato quello sguardo con un sorriso lieve, l’espressione di chi sa qualcosa che non è ancora tempo di confessare. Enjolras conosceva quel sorriso, era lo stesso sorriso che otteneva da ragazzino quando si metteva in testa qualcosa che si sarebbe conclusa con un saccente e contemporaneamente affettuoso “te l’avevo detto” di Ferre. Aveva imparato a non prendersela, a lasciarlo fare, a lasciare che la fiducia che nutriva per lui gli suggerisse di infiammarsi un po’ meno ed imparare ad attendere.
Quel sorriso, in quel momento, gli aveva detto di non prendersela con Grantaire, che un giorno sarebbe riuscito ad interpretare quelle fastidiose sortite e qualcos’altro che non aveva capito, o forse aveva cercato di non capire.
Courfeyrac aveva scosso la testa rassegnato, Jehan invece aveva distolto lo sguardo.
Si era accorto a casa che qualcosa non andava.
Aveva aperto la porta e ad accoglierlo aveva trovato il frigo vuoto e gli appunti dell’ultimo esame aperti sul tavolo, sormontati da una pila di libri infarciti di nozioni che non sarebbe mai riuscito a ricordare.
Aveva buttato distrattamente le chiavi sul ripiano della cucina e, senza nemmeno accendere la luce, si era avvicinato al tavolo, scrutando in silenzio la piccola torre di carta stampata.
Nell’oscurità rischiarata di tanto in tanto dai lampioni giù in strada sembrava più traballante che mai e improvvisamente Enjolras aveva sentito il silenzio.
Per la prima volta aveva percepito in maniera chiara e disillusa quanto la sua casa fosse vuota, quanto i suoi passi fossero incerti e le sue parole misere.
Il vento in strada alzava le foglie secche in pigri mulinelli e le luci della Tour Montparnasse lampeggiavano colorando le nuvole basse e compatte di bagliori azzurrognoli.
Le prime gocce di pioggia avevano iniziato a colpire i vetri delle finestre con un suono delicato, che era andato a mutarsi in violente sferzate con l’alzarsi del vento: l’autunno aveva ormai preso il suo posto sul trono delle stagioni.
Enjolras aveva rinunciato al ripasso serale e si era rintanato fra le coperte, in un letto troppo grande e troppo vuoto per una persona sola. Non aveva mai sofferto la solitudine, fin da bambino aveva imparato a bastarsi da sé, eppure quella sera aveva la logorante sensazione che qualcosa non andasse.
Le parole di Grantaire continuavano a rodergli la coscienza e allora seguire i consigli del sorriso di Combeferre diventava impossibile.
Era stato pessimismo o forse si trattava piuttosto di consapevolezza?
Davanti ai ragazzi sarebbe stato sempre pronto a tenere testa al cinismo del compagno, perchè non era semplicemente possibile che ogni sforzo fosse vano, perchè se Grantaire era troppo pigro per provare a cambiare le cose non significava che le cose non potessero essere cambiate, perchè era il suo compito e non avrebbe mai potuto fare diversamente.
Ma lui? Lui riusciva ancora a vedere i colori sulla tela?
Angosciato da quell’interrogativo, si era voltato su un fianco e aveva tratto un profondo respiro.
Sei ore dopo, quando la sveglia aveva suonato annunciando un grigio venerdì di Novembre, Enjolras non aveva ancora chiuso occhio.











 
Dieci giorni.
Erano passati dieci giorni da quel venerdì incominciato con le occhiaie e una domanda senza risposta.
Quella mattina, nello scrivere la data sugli appunti, non aveva immaginato che il 13 Novembre sarebbe stato un giorno di quelli che si attaccano all’anima piantandoci dentro gli artigli finchè il sangue non smette di colare.
Come ogni venerdì era andato al Musain, dove Joly e Bossuet erano rimasti a fargli compagnia per cena e dove Grantaire l’aveva raggiunto per un bicchiere che era poi diventato una bottiglia. Avevano discusso di cose da poco: la partita di quella sera allo Stade de France, la sorella di Courfeyrac che aveva perso il suo biglietto per un concerto metal di cui parlava da mesi e della cui scomparsa si sospettava fosse involontariamente colpevole il fratello, gli esami che li separavano dalla laurea e che sembravano aumentare esponenzialmente ad ogni appello.
Era tornato a casa presto, con l’intento di fare almeno una trentina di pagine prima di crollare dal sonno, ma la telefonata di Combeferre aveva mandato a monte tutti i suoi piani.
- Sei a casa. Dimmi che sei a casa. – la voce dell’amico dall’altra parte della linea gli aveva fatto rizzare i capelli sulla nuca da tanto era intrisa di un terrore inconciliabile con la sua persona.
- Sono arrivato ora, cosa succede? – aveva domandato, cercando a tentoni l’interrutore della luce dell’ingresso e sforzandosi di ignorare il principio di panico che il tono dell’amico aveva fatto sorgere nelle sue viscere.
- Accendi la televisione. – era stata la replica scarna e fredda di Combeferre.
Enjolras, come sempre, si era fidato di lui e la voce della giornalista di TF1 si era fatta strada attraverso il piccolo salotto.
Di fronte alla tv, le immagini di Boulevard Voltaire impresse nelle retine e il viso prosciugato di ogni speranza, Enjolras non aveva più risposto.
Aveva osservato lo schermo, in silenzio, e le sue lacrime avevano parlato per lui.
Dieci giorni dopo al Musain c’era ancora silenzio.
Nulla era cambiato, le battute di Bahorel erano sempre le stesse, i racconti di Feuilly e le avventure di Bossuet continuavano ad essere familiari, così come le ingenuità di Marius.
Ma Prouvaire aveva preso a sedersi in un angolo e il suo quaderno di poesie restava chiuso sulla superficie liscia del tavolo, Joly non starnutiva più elencando tutti i sintomi della sua evidente ipotermia e Courfeyrac continuava a rigirarsi fra le mani il biglietto del concerto che aveva ritrovato fra le sue dispense di Statistica.
Quello che era successo quel venerdì non aveva cambiato nulla, eppure aveva cambiato tutto.
Enjolras aveva provato a dire qualcosa, ma per la prima volta in tutta la sua vita le parole lo avevano tradito ed era toccato a Combeferre venirgli in soccorso.
Avevano deciso che nulla li avrebbe fermati, nemmeno la paura, nemmeno l’ignoranza, nemmeno quel venerdì, ma adesso Enjolras si coricava la sera e, nel buio, capiva di star difendendo un mondo che non riconosceva più.
E le parole non bastavano più, non bastava la fede, la ferma convinzione che la sua voce, assieme a quella del popolo, avrebbe fatto la differenza.
Come aveva pronosticato Grantaire, aveva raschiato la tela così a fondo da bucarla, e dall’altro lato aveva trovato il peggiore dei vuoti.
In facoltà il solito brusio mattutino era diventato a lui estraneo, reso appiccicoso da una diffidenza sbagliata e distorta da incontrarsi sulle labbra di un ventenne. A lezione vi erano più spazi fra le sedie, posti occupati da fantasmi, divari aperti da occhi che non cercavano più risposte perchè forse avevano smesso di porsi domande.
Al supermercato il cassiere tirava un sospiro di sollievo quando erano i ricci biondi di Enjolras a varcare la porta scorrevole, sulla metro stracolma la ragazza con l’hijab trovava sempre posto per le borse accanto a sé.
A casa la pila di appunti sembrava sempre più alta, il letto sempre più vuoto, il vento sempre più freddo e Enjolras, seduto sul divano e circondato dal buio di una luce che non osava più accendere, si chiedeva che senso avesse avuto lottare fino ad allora.
Nel cassetto del comodino l’agenda rossa che aveva inaugurato a dodici anni con la promessa di cambiare il mondo aspettava il suo tocco, ma il ragazzo non trovava il coraggio di aprirla e svelarle di avere fallito, di aver tradito quel giuramento, di aver deluso il bambino che era stato.
Erano stati dieci anni di sforzi, di fatiche, di delusioni che lo avevano incoraggiato a parlare più forte, a riorganizzarsi, a camminare a testa alta e braccia aperte, e adesso vedeva nel chiarore dei fulmini fuori dalla finestra che l’odio e la paura lo avrebbero sempre preceduto, che ad ogni passo avanti, ad ogni vetta conquistata, lo stesso popolo che cercava di salvare, con la sua ignoranza, la sua arrendevolezza e il suo disinteresse lo avrebbe ricacciato indietro, come un’onda nera e densa che impregna i polmoni e recide le corde vocali.
La gente non vuole ciò che è giusto, la gente preferisce accontentarsi di ciò che è facile.
E non era nemmeno più sconsolata rassegnazione a inchiodargli le pupille nel vuoto, a fargli selezionare dalla rubrica il numero di Combeferre per riattaccare prima che fosse terminato il secondo squillo, no. Era paura. Un terrore cieco e onnipresente che lo coglieva nei momenti più disparati risucchiando il suo respiro e colpendolo alla bocca dello stomaco.
Aveva ragione Grantaire: dall’altra parte della tela non c’era nulla.
Allora rimanere in casa, dove tutto quel buio, quel silenzio e quella consapevolezza lo avrebbero stritolato diventava insopportabile e nonostante la pioggia il richiamo dell’esterno era l’unica voce a cui valesse la pena dar retta.
Le gocce sulla tela rossa dell’ombrello si schiantavano senza pietà e il loro grido dissonante sembrava non volerlo lasciare in pace, lo seguiva, gli indicava la via attraverso la notte fino a condurlo davanti al Musain, il luogo che più di tutti aveva preso a temere da quel venerdì grumoso e impossibile da diluire.
- Combeferre è appena andato via. – la voce di Grantaire lo fece sobbalzare.
Preso com’era dai suoi pensieri non lo aveva nemmeno notato, in piedi di fronte ai grandi cancelli dei Jardins du Luxembourg da cui aveva appena tagliato inzaccherandosi le scarpe di fango.
- Non ti aspettavamo, Courf ha riportato Jehan a casa, Joly e Bossuet stasera non sono venuti e Bahorel è passato oggi pomeriggio. Di Marius non si sa nulla da un paio di giorni. – continuò il ragazzo con un’occhiata che Enjolras, concentrato sulle gocce intrappolate fra le stecche del suo ombrello, non colse.
- Non sono venuto per Combeferre. – rispose dopo qualche istante di silenzio.
- Ah. – fu la scarna risposta di Grantaire, ormai fradicio sotto al cappuccio del giaccone verdastro.
- In realtà non sono venuto nemmeno per il Musain. – aggiunse, messo a disagio dal silenzio. Ancora una volta l’artista riuscì a prenderlo in contropiede.
- Lo so. –
- Come, prego? – si ritrovò a domandare, vagamente piccato dal fare saccente del compagno.
Grantaire esibì un ghigno velato dalla luce sbieca del lampione a pochi passi da loro.
- Lo sapevo che non saresti venuto al Musain. – ripeté con indulgenza.
- Guardati! Altro che Apollo, oggi sembri davvero un pulcino spaurito!- e a quel punto si concesse una risata che risuonò quasi vera e che infastidì Enjolras più di ogni altra cosa.
Poi però le spalle del cinico si rilassarono e si curvarono appena in avanti in quella che era la posizione da dedicarsi ai momenti di serietà.
- Hai paura, Apollo? – chiese.
Enjolras tacque.
La voce di Grantaire era diversa, avvolta da un sentimento caldo che non riusciva ad attribuirgli e che gli fece rafforzare la presa attorno al manico dell’ombrello.
Non lo stava prendendo in giro, non lo stava sfidando. A quella dolcezza non sapeva come reagire.
Aprì la bocca, ma non trovò nulla da dire, perciò la richiuse in un sospiro lungo e tremolante, per poi muovere un passo verso destra e accogliere il ragazzo nel cono d’ombra dell’ombrello.
- Non è il terrorismo a spaventarmi. – trovò infine il coraggio di confessare.
- Non ho paura del nemico finchè non sono io. – aggiunse, forse credendo di essere più chiaro con quella sortita.
Grantaire soffiò piano come se fra indice e medio avesse avuto una sigaretta e finse di osservare con interesse la condensa del suo fiato caldo trafitta dalla pioggia.
- E credi di esserlo diventato? – domandò semplicemente, senza accusa o aspettative.
Enjolras inclinò appena l’ombrello per poter sbirciare i riflessi della città sulle nuvole basse, mentre un autobus notturno si faceva strada silenziosamente sull’asfalto di fronte a loro.
- Non lo so. –
Grantaire si voltò completamente verso di lui, il cappuccio gocciolante a gettare altra ombra sui suoi occhi spalancati di stupore. La voce della resa non era mai stata talmente violenta da udire come quella notte.
Il colosso di lucido marmo, immacolato e maestoso, si era sgretolato sotto ai suoi occhi, sabbia fine fra le sue mani era andato ad impastarsi con la pioggia e aveva perso i suoi contorni.
L’asta del vessillo si era spezzata e le schegge erano state raccolte dal vento e mischiate alla polvere della battaglia.
- Che senso ha avuto? Per cosa sto lottando? Ho creduto nel popolo, ho riposto nella gente tutte le mie speranze. Che senso ha avuto? –
Il timbro solitamente pieno e caldo dello studente sembrava ora il rantolo di un animale ferito, spezzato dai singhiozzi di un’anima che ancora temeva a mostrarsi vulnerabile.
- Sei uscito in strada? Hai visto cosa sono diventate le persone? Diffidenti, venderebbero il loro fratello per assicurarsi un respiro di sollievo! E’ questo il popolo che sto difendendo? E’ questo il mondo per cui sto lottando? Se quando la fratellanza, il coraggio e la compassione sarebbero l’unica risposta si innalzano muri di odio, di violenza, di ignoranza, come posso pensare di farcela? Che valore hanno le mie parole in questa bufera? Parole, solo parole! E’ questo quello che ho da offrire? Solo questo? – sarebbe andato avanti, avrebbe gridato ancora, perchè la rabbia premeva sul diaframma e si dimenava per uscire allo scoperto, ma Grantaire anticipò le sue mosse.
- Solo, tu dici? Come se le tue parole fossero mute? Come se la tua voce non servisse a nulla? E come vorresti fare? Imbracciare le armi e sconfiggere il nemico? Buona fortuna, ad eliminare il genere umano! – sbottò, il cinismo a riaffiorare come l’acqua nelle pozzanghere.
- Ho smesso di vedere i colori. – la confessione cadde nel buio e nessuno dei due osò chinarsi a raccoglierla.
Grantaire sapeva a cosa si riferiva, e fu come una scarica elettrica, una doccia gelata, perchè per la prima volta al mondo Enjolras gli stava dando ragione. E quello non lo poteva permettere.
- Stai mollando. E’ questo che stai facendo. – si ritrovò a constatare, il freddo a rodergli il cuore.
- Sono un idealista. Ho sempre creduto che con impegno e volontà ogni cosa si potesse sistemare. Ora è evidente che il mio modo di fare non è quello giusto. –
L’artista si morse il labbro inferiore e strinse i pugni.
- Il tuo modo di fare è quello giusto. Se perdi fiducia negli altri finirai per perderla anche in te stesso e diventerai un cinico ubriacone come me, e questo non posso permetterlo. – le sue parole filtrarono fra i denti come sangue denso attraverso una vecchia ferita riaperta.
Gli era costato dirlo? Gli era costato mostrargli la realtà delle cose, fargli toccare con mano la disillusione di cui era fatto, il dolore da cui cercava disperatamente di preservarlo? Non più di quanto costò al biondo replicare.
- Come fai? – fu la sua semplice domanda.
Grantaire gli rivolse uno sguardo inedito, intessuto di silenzi, di colpi incassati e di faticose risalite.
- Prima o poi è una conclusione a cui arriviamo tutti. Il mondo non è il girotondo di amicizia che avevamo immaginato da bambini. Il marcio, in misure differenti, risiede in ognuno di noi. Dall’altra parte della tela non c’è nulla per davvero se non, forse, quelle tre o quattro speranze a cui ci siamo aggrappati e che fatichiamo a lasciare andare. Tu chiedi come fa un cinico a sopportare tutto questo. Un faro non illumina costantemente l’orizzonte. La sua luce è intermittente, compie un tragitto circolare e si eclissa per un poco prima di tornare a sfiorare le prue delle barche, ma non per questo i naviganti dimenticano la sua guida nella notte. -
Un altro autobus fendette il buio, ma proprio come con il precedente, nessuno dei due vi prestò attenzione.
Quella notte era successo qualcosa di strano, qualcosa che forse non si sarebbe replicato mai più. Nel silenzio di una città che si era scoperta diversa da quello che credeva, la speranza era stata raccolta dall’ultimo individuo che si sarebbe potuto pensare, rimessa fra le mani di chi ne aveva sempre fatto il suo vessillo dal più dubitante dei cinici.
- Ma tu non credi in nulla... – sussurrò Enjolras, quasi quelle parole avessero potuto schermare la realtà che Grantaire gli stava porgendo.
- Io credo in te. –
Se quello che Grantaire aveva intravisto fossero state lacrime o un velo di pioggia non avrebbe potuto dirlo, ma con un po’ di luce in più avrebbe potuto notare che il compagno, al freddo accanto a lui, aveva riacquistato un po’ di colore.
- Vorrei che quello che dici potesse avere senso. – replicò, un sorriso debole ad increspargli le labbra.
L’artista lo imitò in una smorfia appena soddisfatta, poi fece spallucce.
- Puoi sempre arrenderti e non scoprire mai se ne ha o se è solo il delirio di un ubriaco. – commentò con un piccolo ghigno.
- No, tu non sei fatto per arrenderti, Enjolras. E’ per questo che la gente ti segue: quando non ci sono altre soluzioni, quando la tela si buca e dall’altra parte il mondo non riesce a trovare più nulla, è proprio in quel momento che da questa parte vale la pena ascoltare le tue parole. –
Non aggiunse altro, scivolò fuori dall’abbraccio protettivo dell’ombrello e mosse qualche passo verso l’attraversamento pedonale.
- Vai a casa, Apollo! Con questo freddo ti verrà un accidente! – e con ultimo “buonanotte” urlato dall’altro lato della strada mentre agitava una mano in segno di saluto imboccò la strada di casa e lo lasciò solo di fronte all’insegna spenta del Musain.
Enjolras guardò la sagoma scura di Grantaire svanire nel buio di Boulevard Saint-Michel e sorrise scuotendo piano la testa.
Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe fradice e fece dietrofront, sgusciando silenziosamente oltre al cancello dei Jardins du Luxembourg e incamminandosi senza fretta verso la Tour Montparnasse.
Quando raggiunse casa rimase qualche istante con le chiavi infilate nella serratura e lo sguardo fisso sulla sua mano.
Cosa lo attendeva dall’altra parte dell’uscio?
Uno scatto, due scatti, e la porta si aprì con il solito lievissimo cigolio.
Prima di addentrarsi in cucina accese la luce e improvvisamente ogni cosa assunse colore, rivelandosi nuovamente familiare.
Il frigo vuoto, gli appunti ancora impilati sul tavolo, le chiavi di casa che aveva già abbandonato sul ripiano.
Per quanto ancora Prouvaire non sarebbe riuscito a scrivere poesie, aprendo e chiudendo il suo quaderno come lui apriva e chiudeva la bocca in cerca di parole? Per quanto ancora Courfeyrac si sarebbe girato fra le mani il biglietto che aveva salvato Roxanne chiedendosi, proprio come lui, che cosa ne era stato del mondo?
Per quanto ancora avrebbe delegato a Combeferre il suo ruolo, evitando il confronto con una realtà che conosceva benissimo già a dodici anni?
Si tolse le scarpe e appese la giacca zuppa all’appendiabiti in ingresso, poi andò in camera sua e aprì il cassetto del comodino con un gesto deciso, prendendo fra le mani la vecchia agenda rossa e sfogliandone le pagine distrattamente, annusandone l’odore ad occhi chiusi e ricordando uno per uno ogni giuramento, ogni promessa, ogni disfatta e ogni volta che si era rialzato.
Il giorno dopo avrebbe preso la metropolitana e si sarebbe seduto accanto alla ragazza con l’hijab, al supermercato avrebbe scambiato qualche parola con il cassiere e poi sarebbe andato al Musain, dove avrebbe trovato i suoi amici.
E avrebbe parlato.
Le parole sarebbero sgorgate dalle sue labbra come vecchie amiche e non lo avrebbero tradito, perchè lui non avrebbe tradito loro, e Prouvaire avrebbe ripreso a scrivere, Courfeyrac a ridere, e la gente avrebbe sicuramente continuato ad odiare, a temere, a non curarsi delle cose importanti, ma un po’ meno.
Un po’ meno.
Anche nella notte più buia, nonostante le intermittenze, il faro avrebbe continuato a indicare la via.
Il letto lo accolse come sempre ricordandogli il vuoto accanto a sé, ma quella sera Enjolras non aveva tempo da dedicare a simili sciocchezze.
Spense la luce e si voltò su un fianco, sistemandosi meglio il cuscino sotto alla testa, poi trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi, la voce di Grantaire a ricordargli che non era solo, che non lo era mai stato.
E sorrise, prima di addormentarsi, perchè era certo che nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di quella conversazione sotto la pioggia, perchè il giorno dopo, al Musain, ogni cosa sarebbe stata esattamente come prima, Grantaire gli avrebbe tirato qualche frecciatina, lui si sarebbe inalberato e il placido sorriso di Combeferre sarebbe giunto in suo soccorso a ricordargli che c’era di più dietro le iridi di quel ragazzo così lontano dalla causa, ma sempre pronto a offrire un bicchiere a tutti quanti. E Enjolras gli avrebbe dato ragione e forse avrebbe addirittura sorriso di rimando.
Dormì un sonno tranquillo, delicato e senza sogni; al suo risveglio l’alba impregnava Parigi di fuoco e speranze.
E, come su una tela, riversava i suoi colori più belli.

















 
Note:

Sono passati millenni dall'ultima volta che abbiamo pubblicato qualcosa con questo account e chiediamo scusa a chiunque fosse in attesa di aggiornamenti di ciò che abbiamo lasciato in sospeso. Le storie di Do_Not_Touch_My_Patria non sono affatto abbandonate, anzi, abbiamo ancora un'infinità di cose da raccontarvi!
Nel frattempo Koori non è riuscita a resistere e ha dovuto a tutti i costi buttare giù questa cosa perchè il richiamo degli Amis era troppo forte. xD
Come ben sappiamo, Enjolras è un leader deciso, forte e carismatico, la voce dell'Ideale contrapposta alla cinica disillusione di Grantaire. Ma Enjolras è anche un ragazzo di vent'anni che sente sulle sue spalle più responsabilità di quante non ne porti, un ragazzo che ha messo letteralmente tutto se stesso nella causa forgiandosi una sensibilità tutta personale e difficile da inquadrare.
Ho provato quindi a immaginare un Enjolras perso, spaesato e sconfitto dall'ennesimo schiaffo del mondo, un Enjolras che, per l'ennesima volta costretto a confrontarsi con la visione contrapposta dell'esistenza che ha Grantaire inizia a a interrogarsi, a mettersi in questione, fino a vacillare. E in questo momento di crisi interiore la realtà lo colpisce con la stessa violenza con cui colpisce gli altri Amis, portandolo ad una deriva completa e insopportabile.
Ho pensato a lungo su chi avrebbe potuto tirare fuori Enjolras da questo pantano e nonostante spontaneamente avrei risposto Combeferre, più andavo avanti scrivendo, più mi rendevo conto che Combeferre, proprio in quanto seconda coscienza di Enj, non avrebbe mai potuto rimetterlo in piedi nel modo in cui aveva bisogno.
Ed è a questo punto che è apparso Grantaire, lo stesso che ha dato il via al turbine di dubbio del leader. Solo un cinico come lui poteva trovare uno spiraglio di luce in tutto quel buio, e probabilmente solo un cinico come lui sarebbe potuto riuscire a smuovere Enjolras da questa situazione.
Solitamente non amo scrivere di attualità, ma i fatti dello scorso Novembre si sono praticamente inseriti da soli nella storia fino a diventarne il cuore.
Spero che questa one-shot un po' atipica sia stata di vostro gradimento,

Au revoir et Vive la France!

Koori & Ame
  
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