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Autore: calmena    07/08/2016    0 recensioni
Harry trova un giovanotto aggrappato al suo davanzale.
In alternativa, la storia di Eggsy che viene salvato dal tizio a cui appartiene la casa in cui si voleva intrufolare.
{ pre-slash!Harry/Eggsy | One shot | 4363 parole | What if? | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gary - Eggsy - Unwin, Harry Hart, Merlin
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): ultimamente sono fin troppo in fissa con la Hartwin. Ad ogni modo, se preferite leggere questa storia in lingua originale, potete trovare il link a questo indirizzo. In ogni caso, buona lettura!










breaking and entering
di calmena




Una delle caratteristiche meno degne di nota e meno glamour della vita di una spia era la tendenza ad avere un sonno veramente, veramente leggero. Era uno degli inconvenienti del mestiere, purtroppo. Dopo che ci si risvegliava circondati dai nemici, il corpo smetteva di rilassarsi completamente, perfino durante il torpore.

 O forse in realtà era solamente lui in quella situazione, non aveva mai chiesto agli altri agenti della Kingsman quali fossero le loro abitudini notturne, dopotutto. (Né aveva intenzione di farlo, fosse chiaro).

 Di quando in quando era sfiancante destarsi per colpa di un’auto con un malfunzionamento (troppo somigliante al rumore di uno sparo perché il suo cervello mezzo addormentato non decidesse di pompargli l’adrenalina in tutto l’organismo), lo scricchiolio del legno da qualche parte della casa (qualcuno si era infiltrato?), persino i semplici versi degli animali all’esterno (si trattavano di nemici che comunicavano in codice).

 Eppure, per quanto innocenti fossero generalmente le cause per cui Harry si riscuoteva, trascorreva sempre i primi secondi in un silenzio teso, pronto a tirare fuori la pistola da sotto il cuscino, se necessario. Finora non aveva mai avuto motivo di farlo (a casa sua). Di solito finiva per sentirsi uno stupido per la reazione avuta e si faceva un tè prima di tornare a dormire.

 Il che rese il tutto molto più sorprendente quando, per una volta, la sua ipervigilanza non lo aveva strappato dal sonno senza una ragione precisa. Dalla finestra proveniva un suono e, mentre poteva benissimo essere provocato da un animale, Harry era quasi del tutto certo che non fosse quella l’origine.

 Estraendo la pistola, si avvicinò con cautela alla finestra, pronto a mettersi al riparo nel caso venisse gettato qualcosa nella sua direzione. Il grattare, tuttavia, divenne più rumoroso e un po’ più frenetico.

 Il che spiegò perché ci fosse un giovanotto aggrappato per miracolo al davanzale della sua finestra.

 «Merda» imprecò Harry senza pensarci, mettendo via la rivoltella in uno dei cassetti di un comodino vicino, e aprì frettolosamente la finestra per afferrare per le ascelle il ragazzo.

 In quattro e quattr’otto lo trascinò all’interno della stanza e il giovanotto rovinò sgraziatamente a terra, andandosi ad appoggiare contro il muro e abbassando le palpebre.

 «Grazie» ansimò con il fiatone, mentre il battito del cuore di Harry si sedava, lo sbigottimento momentaneo alla scena di una persona abbarbicata al suo davanzale. Se solo adesso avesse l’opportunità di togliere la pistola dalla vista del suo ospite inaspettato… Era alquanto allarmante il fatto che fosse seduto esattamente tra Harry e l’arma, un’eventualità che lui non aveva vagliato quando aveva scelto il luogo dove occultarla.

 Il giovanotto recuperò finalmente il respiro e aprì gli occhi, curiosando in giro e, mentre Harry era interessato a una delucidazione che giustificasse la presenza del suo visitatore notturno, doveva nascondere la rivoltella il più velocemente possibile.

 Come si scoprì, gli bastò bloccare il braccio a mezz’aria perché lo sguardo del giovanotto si concentrasse su di lui e si accorgesse della pistola. La reazione che seguì convinse Harry che non si trattava di un membro di una qualche organizzazione nemica venuto a perlustrare casa sua.

 Il giovanotto aveva un’espressione di puro shock in viso, prima di assumere un’aria rasserenante che Harry trovò particolarmente comica, alzando le mani in un ovvio tentativo di placarlo (come se Harry non fosse perfettamente calmo, non che il suo ospite ne fosse al corrente).

 «Ehi, non spararmi, d’accordo? Me la filo via tra un attimo».

 «Non ci contare» rispose Harry prima che il giovanotto potesse procedere con la constatazione. Considerato il fatto che erano le quattro del mattino, si stava comportando in una maniera che osava definire piuttosto garbata. L’ospite inatteso, tuttavia, impallidì, come se Harry lo avesse minacciato, e lo scrutò con una lampante apprensione quando Harry proseguì: «Preferirei che restassi e mi spiegassi scrupolosamente perché eri aggrappato al mio davanzale».

 Naturalmente, Harry aveva ormai capito qual era stato il suo obiettivo, cosa della quale, era indubbio, era conscio anche il giovanotto, in quanto il volto precedentemente sbiancato di quest’ultimo avvampò e acquistò una sfumatura rossa assai scura che Harry analizzò e identificò come un segno d’imbarazzo. Con la faccia rivolta al pavimento, l’ospite fece una risatina tremula.

 «È stata solo una scommessa, nessun rancore, okay? Era per vedere se ero in grado di arrampicarmi alla parete di una casa». Il giovanotto tentò coraggiosamente di salvare la situazione, scuotendo le spalle con modestia. «Non pensavo che sarei quasi caduto». Se Harry non avesse notato il modo con cui sfarfallava di continuo gli occhi verso la pistola mentre parlava, ci avrebbe addirittura creduto, per quanto stupido fosse il motivo. Lui stesso, dopotutto, aveva compiuto parecchie stupidaggini in gioventù.

 Ora come ora, ciononostante, era alquanto persuaso che la presenza del suo ospite a sorpresa aveva meno a che fare con l’istinto travolgente di dimostrare ad altri la sua capacità di scalare edifici e più a che fare con il periodo di assenza di Harry nelle ultime tre settimane e la sua casa in apparenza vuota. (Non che fosse mai veramente vuota, Harry era discretamente convinto che Merlino la sorvegliasse, ma non ne aveva ancora le prove. La questione si era trasformata in una sorta di competizione).

 «Ma certo» replicò Harry, il tono di voce talmente blando che, ne era sicuro, era inequivocabile cosa implicava anche per il suo giovane ospite – proprio com’era giusto che fosse. «È un passatempo sensato».

 «Allora… posso andarmene?»

 «Certo che no». Harry scosse la testa, irrazionalmente divertito dalle circostanze adesso che era sveglio ed era indiscutibile che il giovanotto di fronte a sé non era stato mandato da qualcuno che lo voleva morto. «Preparerò il tè e tu mi racconterai perché hai ritenuto che fosse una buona idea introdurti in casa mia. O nelle case altrui in generale».




Harry non aveva previsto che il suo visitatore inaspettato diventasse uno regolare.

 Gary – o Eggsy, come aveva chiesto di essere chiamato e, mentre Harry aveva già sentito prima d’ora il nome, aveva stabilito il nesso solo dopo che il giovanotto se n’era già andato via, maledendosi per essersene reso conto troppo tardi – non ripeté l’errore che lo aveva condotto a rimanere appeso per le dita al davanzale di Harry. Tuttavia era curiosamente contrario all’uso della porta, nonostante Harry avesse cercato di convincerlo a utilizzarla, poiché era la scelta più assennata.

 «Non ti darò l’opportunità di ignorarmi» aveva scherzato Eggsy, ma con uno sguardo molto più serio di quanto facesse intendere il tono di voce, e Harry decise di concederglielo, e che andassero al diavolo i brontolii di Merlino riguardo le falle nella sicurezza.

 «In ogni caso, riesce a entrare solo se gli apro la finestra» aveva detto un giorno Harry, e Merlino lo aveva fissato con un’espressione tradita per aver ammesso di violare il protocollo di precauzione.

 «Non lo conosci nemmeno».

 «Non mi deruberà».

 «Mi preoccupa di più l’eventualità che lui ti uccida».

 Harry non era stato in grado di trattenere una risatina, bizzarramente sicuro delle parole che erano seguite.

 «Non lo farà».




Con tutte le imprecazioni con cui Merlino lo aveva apostrofato, uno supporrebbe che Eggsy gli venisse a far visita molto più di frequente. Invece, dopo il primo memorabile incidente, era andato a trovarlo solo due volte – abbastanza spesso da fargli ipotizzare che Eggsy seguisse un’agenda di impegni, ma abbastanza raramente da essere stupito ogni volta dalla comparsa di Eggsy.

 Harry era divenuto un esperto nel nascondere la pistola prima di aprire la finestra per Eggsy, piazzandola in modo tale da averla comunque a portata di mano per difendersi da chiunque altro tentasse di intrufolarsi dalla finestra.

 Gli pareva una precauzione prudente, soprattutto considerando che Eggsy era particolarmente attaccato all’idea di farsi vedere a sera tarda, spesso intorno a mezzanotte o persino più tardi.

 Harry nutriva il forte sospetto che in quelle occasioni non avesse nessun altro posto in cui recarsi, senza però esprimere ad alta voce quella congettura. Eggsy, dal canto suo, sembrava contento di trascorrere qualche ora in compagnia di Harry, addormentandosi sovente sul divano dopo il loro (ormai abituale) tè, mentre Harry si incamminava al piano di sopra per continuare a dormire.




«Oh, Harry, aspetta un attimo».

 Harry si bloccò, voltandosi perplesso verso Merlino. Era convinto di non dover aggiungere altro al suo rapporto e, a meno che non gli avessero assegnato una missione in quell’esatto istante, neanche Merlino aveva altro da aggiungere. C’era però da sottolineare che Merlino lo aveva chiamato “Harry”, il che stava a indicare che ciò che gli voleva dire non aveva a che fare con gli interessi della Kingsman ed era, piuttosto, di natura personale.

 «L’ospite si è introdotto in casa tua» spiegò Merlino e, se Harry in quel momento fosse stato sul punto di inghiottire qualcosa, probabilmente lo avrebbe sputato. Ora come ora, però, si limitò ad alzare un sopracciglio.

 Merlino fece un sorrisetto. Presumibilmente perché era finalmente saltato fuori che le assidue visite da parte di Eggsy confermavano le sue ipotesi sul cattivo stato difensivo dell’edificio, proprio come aveva insistito. E poi perché la questione aveva finalmente avvalorato i sospetti di Harry sulla presenza di cimici in casa sua.

 Merlino, tuttavia, non esternò niente del genere, cosa per cui Harry, stanco com’era, gli era molto grato.

 «Non rischiare ancora una volta di sparargli, d’accordo? E se domani qualcuno bussa alla tua porta, sono i tecnici addetti al miglioramento delle protezioni».




Merlino, però, aveva scordato di menzionare che Eggsy sfoggiava un occhio nero che pareva ricoprirgli mezzo viso.

 «Cosa ti è successo?» scappò a Harry prima che potesse tentare di reprimere la domanda.

 Eggsy rise e Harry non rimarcò il fatto che l’altro aveva un’aria più fragile del solito.

 «È più difficile intrufolarsi a casa tua se non ci sei».

 «Sono certo che casa mia non abbia perfezionato la pratica dell’autodifesa».

 Eggsy fece una smorfia.

 «Sì, è stata colpa mia» replicò, e fu l’unica cosa che Harry scoprì sull’argomento. Quando lo voleva, Eggsy era in grado di tenere la bocca sorprendentemente chiusa.

 Harry non poté fare a meno di pensare che il ragazzo fosse stato picchiato. Provò a ignorare il malore che gli attorcigliava lo stomaco per non essere capace di fare alcunché per aiutarlo, e andò a cercare del ghiaccio.




«Non volevo costringerti a richiamare i tizi delle riparazioni» esclamò Eggsy, sorridendogli dal gradino del portico su cui era seduto.

 Harry sospirò.

 «Piove» osservò inutilmente. «È da un’ora che piove. Sei rimasto seduto qui per tutto questo tempo?»

 «Non avevo idea di quando saresti arrivato» offrì Eggsy come motivazione, e Harry non poté far altro che concordare, specialmente perché il ragazzo non era nemmeno a conoscenza di quando lui sarebbe tornato in generale. Ciò però non significava che approvava il modo con cui Eggsy lo aveva aspettato sotto la pioggia, solo perché non poteva entrare in casa. «Accomodati pure, devo darti una cosa».




«Gli hai regalato una chiave».

 «Sì».

 «Di casa tua».

 «Esattamente».

 «…Se fa entrare un assassino, mi farò una grossa risata».




«Che fai per lavoro?»

 Harry sussultò per la maniera con cui Eggsy gli urlava contro dall’altra parte della casa per farsi sentire da lui, che era in cucina e preparava il tè.

 «La scorsa settimana sei stato a malapena in casa».

 In realtà non era rincasato affatto, non che Eggsy avesse il bisogno di (o dovesse) saperlo. Tuttavia, aveva fatto una legittima osservazione, rifletté Harry mentre mescolava lo zucchero nel tè di Eggsy e il latte nella sua tazzina.

 «Sono un sarto» rispose con un tono che osò mentalmente definire logico, mettendo piede nel salotto. «Per soddisfare i clienti ci è richiesto di frequente di viaggiare».

 Eggsy, seduto su un punto del pavimento di fronte al divano e apparentemente comodo dove si trovava, rise, allungando distrattamente il braccio in direzione della sua tazzina.

 «Sì, e io sono la regina. E tu hai una pistola perché non c’è niente di strano se un sarto ne ha una in casa sua, giusto?»

 In una maniera piuttosto imbarazzante, Harry necessitò di un momento per riprendersi prima di ribattere all’interrogativo e, in quella breve spanna di tempo, Eggsy non aveva smesso di parlare tra un sorso attento e l’altro del tè ancora troppo caldo.

 «Anche il cane imbalsamato nel bagno non è niente di speciale, vero? Cazzo se è nella norma».

 «Per quanto siano affascinanti le tue speculazioni» lo interruppe Harry, prima che Eggsy continuasse a sproloquiare e lui fosse obbligato a usare un dardo amnesico, «sono solo un sarto».

 Eggsy sbuffò nel tè, scettico.




Era raro che un agente trascorresse lassi duraturi di riposo. Che Harry ne avesse memoria, in trent’anni di servizio, il periodo che aveva passato più a lungo a casa sua senza ferite era stato di tre settimane, e a quei tempi alla Kingsman si guardavano tutti alle spalle, insospettiti dalla calma anomala.

 Adesso era a casa da ormai una settimana e stava per impazzire. Non solo perché non era abituato agli attimi di pausa, sebbene anche questa fosse una ragione di grande importanza per il suo stato mentale, ma soprattutto perché negli ultimi otto giorni Eggsy non era andato a fargli visita. Per quanto ne sapeva Harry, sin dal loro primo incontro, non era mai successo.

 Specialmente da quando gli aveva dato una copia della chiave di casa sua – Merlino lo aveva informato che Eggsy si faceva vedere circa una volta alla settimana, se non più di frequente, addirittura quando Harry non c’era nemmeno, e si limitava a farsi un tè e a dormire sul divano. (Avrebbe dovuto esserne stranito, ma, a sapere che Eggsy si sentiva abbastanza al sicuro a casa sua da abbassare la guardia, l’unica cosa che Harry provava era un senso di soddisfazione).

 E adesso, stando a Merlino, non era comparso da più di dieci giorni. La cosa era… angosciante.

 Proprio allora, Harry udì all’ingresso il suono della serratura che si apriva. Stese per abitudine la mano in direzione della pistola, nonostante si fosse alzato in piedi per salutare Eggsy con lo stesso fluido gesto.

 «Harry! Sei qui!»

 Sembrava che Eggsy avesse sperato di non beccarlo a casa e, quando Harry lo vide, poté indovinare il perché.

 «Sei stato di nuovo aggredito da casa mia che si difendeva?» chiese pigramente, reprimendo senza scrupoli l’ira accumulatasi nel suo corpo e rivolta a chiunque avesse ridotto Eggsy in tale stato. Nel migliore dei casi infuriarsi sarebbe stato inutile, nel peggiore avrebbe spaventato il ragazzo.

 Senza curarsi del livido sullo zigomo, Eggsy fece una smorfia, e Harry non riuscì a capire se fosse motivata da una qualche contusione o dalla svogliatezza di rispondere alla domanda.

 «Sono stato picchiato» fu infine la sua spiegazione, che in fin dei conti non spiegò nulla. Harry decise per ora di non focalizzarsi su quella questione, in quanto avrebbe indagato più tardi, e andò invece a cercare del ghiaccio da mettere sul volto di Eggsy e su altre ecchimosi nascoste.

 «Qui sei sempre il benvenuto, lo sai?» lo rassicurò allungandogli del ghiaccio avvolto in un panno, ed Eggsy esibì un sorriso dolorante. A tale veduta, qualcosa nel petto di Harry si contrasse.

 «Grazie, amico, ma non è così semplice».




Eggsy non parlava molto di suo padre. Harry non aveva ancora scoperto se fosse perché preferiva non pensare a lui o perché era abituato a non farlo. Era saltuariamente tentato di chiedergli al riguardo, prima di ricordarsi che non avrebbe dovuto sapere affatto del padre di Eggsy.

 Invece qualche volta il ragazzo gli raccontava di sua madre, più regolarmente della sorellina, ma in una determinata occasione accennò a un individuo di nome Dean, per poi zittirsi subito dopo in una maniera che lasciò un cattivo presentimento nello stomaco di Harry e lo sollecitava a uccidere chiunque avesse mai ferito Eggsy.

 «Mio padre è morto quando avevo sette anni» gli confidò Eggsy un giorno, e Harry ebbe il forte sospetto che l’altro fosse leggermente brillo, al che si rallegrò del fatto che Eggsy era passato dalla porta invece che dalla finestra. In quel momento, il ragazzo era mezzo sdraiato e mezzo seduto sul divano e fissava il soffitto, battendo lentamente le palpebre, e Harry non aveva la forza d’animo per rimproverarlo di non essersi tolto le scarpe prima di entrare nel soggiorno. «Ci ha lasciati soli».

 Harry avrebbe voluto confessargli che Lee Unwin era stato un eroe, che si era sacrificato per salvare tre persone, una delle quali era stato Harry stesso, e che Lancillotto aveva tuttora una grande stima di colui che era stato a rigor di logica il suo rivale.

 Invece non aprì bocca, ma appoggiò una mano sulla spalla di Eggsy in segno di silenzioso sostegno, e ignorò il modo con cui gli occhi di Eggsy si fecero un po’ lucidi quando il ragazzo gli chiese se ci fosse del tè.




Eggsy aveva rubato un’auto.

 Harry non sapeva perché ne fosse tanto meravigliato, dopotutto lo aveva conosciuto mentre stava cercando di introdursi in casa sua, ma eccolo lì. Un senso di delusione gli avvolse le viscere, perché si era aspettato che Eggsy fosse ormai maturato, e fu per questo che agì in quel modo, per quanto sconsiderato fosse, e andò lui stesso a prenderlo.




Era davanti alla stazione di polizia, in previsione di vedere Eggsy camminargli davanti. Nonostante le stupide azioni che Eggsy aveva compiuto, nonostante fosse stata colpa sua se si era ficcato in una situazione del genere, Harry non lo avrebbe abbandonato, non adesso che aveva bisogno di aiuto.

 Nondimeno, ciò non significava che non lo avrebbe ammonito.

 Sul viso di Eggsy quando uscì dall’edificio spiccava un’aria di confusione, probabilmente per la sorpresa di scoprire che la telefonata era riuscita a cambiare lo stato delle cose. L’espressione disorientata si accentuò quando Eggsy trovò Harry attenderlo per le scale.

 «Che ci fai qui?» gli domandò Eggsy, fermandosi sui gradoni e squadrandolo.

 «Ti ho fatto rilasciare».

 Ed Eggsy non aveva un alto livello di istruzione, prendeva decisioni avventate, ma di certo non era uno stupido, e gli occorsero solo alcuni secondi per capirlo, l’incomprensione sul volto che si trasformò in uno sguardo di comica incredulità e – infine – rabbia.

 «Mi prendi per il culo?» sbottò, l’accento un po’ più marcato ora che era infuriato, avanzando in un modo che avrebbe di norma messo in guardia Harry se non si fosse trattato di Eggsy.

 «Temo di no» rispose, con più calma che poté, ed Eggsy ansimò, scuotendo il capo.

 «Merda, è impossibile».

 Sembrava frustrato e amareggiato e triste, e a quella scena qualcosa nel petto di Harry si attorcigliò dolorosamente. Quando Eggsy se ne andò senza aggiungere un’altra parola, Harry non poté nemmeno offendersi per la mancanza di buone maniere.

 Si rifiutava di credere che questa sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto, perché il cuore gli si contraeva angosciosamente al solo pensiero.




«Lo avresti dovuto immaginare» commentò Merlino mentre Harry gli era accanto e lo guardava raccogliere i dati essenziali per la prossima missione di Lancillotto. In realtà la presenza di Harry non era tecnicamente necessaria, ma in quel momento non gliene importava un cazzo e, in ogni caso, Artù non sarebbe venuto a saperlo. Se poteva farne a meno, quel vecchio snob non lasciava mai l’ufficio.

 «Non avevo anticipato che Eggsy rubasse una macchina».

 «Non intendevo quello, e tu lo sai bene».




«Perché non me lo hai rivelato?»

 Harry fu costretto a ricordare a se stesso che Eggsy non era e non sarebbe mai venuto a conoscenza del mestiere di Harry, per cui non gli era permesso informarlo di come gli avesse quasi sparato quando era rincasato e aveva individuato nell’oscurità una persona seduta sul divano.

 Si rifiutò di comunicargli quello e del sollievo che provava a rincontrarlo, e si concentrò invece sull’interrogativo che gli era stato posto.

 «Presumo che tu stia parlando di tuo padre».

 «Sì, cazzo, chi altri? Eri già al corrente che si trattava di me, vero? Mi hai dato una mano perché sono un caso disperato o cosa? Sei dispiaciuto per me? È per questo che non hai chiamato la polizia quando ho cercato di intrufolarmi in casa tua la prima volta?»

 «No, Eggsy».

 Eggsy aveva l’aria di essere pronto a scagliare altre accuse furibonde, e Harry lo interruppe prima che potesse iniziare a farlo.

 «Non ho stabilito un nesso fino a quando non te ne sei andato».

 «Non prendermi per il culo».

 «Ti garantisco che non lo sto facendo».

 «Tu fai entrare in casa tua tutti gli estranei che tentano di derubarti?»




«Vorrei che Dean si allontanasse dalla mamma e da Daisy» sospirò Eggsy, e Harry sollevò lo sguardo dal tè che stava preparando. Era un’abitudine rilassante e Harry dubitava che Eggsy o lui l’avrebbero bevuto.

 Non era mai accaduto prima d’ora che Eggsy menzionasse Dean di proposito, e la parte di Harry che aveva sin da subito desiderato di poter rimediare alle ferite subite dal ragazzo si risvegliò, perché se Eggsy glielo avesse chiesto espressamente avrebbe fatto del suo meglio affinché quell’uomo non scorgesse la luce del sole.

 «Cosa posso fare?»

 Eggsy rise, ma era una risata amara, e Harry fu sopraffatto dall’impulso di fare qualsiasi cosa per assicurarsi che sul suo viso non comparisse mai più quel sorriso dolorante.

 «Non puoi farci niente, Harry».

 Oh, ma si sbagliava e, se Eggsy fosse stato edotto della natura nascosta di Harry, sarebbe stato consapevole della sfida che gli aveva appena lanciato.

 Alcune minacce ben piazzate, un’investigazione con una schiacciante quantità di indizi, una rete di trafficanti scoperta e smantellata.

 Rispetto al rilascio di Eggsy gli occorse giusto qualche scartoffia in più e, quando il ragazzo venne a fargli visita per ringraziarlo, l’occhio nero che prima spiccava nettamente sulla pelle ora stava svanendo e il labbro spaccato era sul punto di guarire. Harry scrollò le spalle.

 «Non ho fatto niente, Eggsy».

 Era una quasi verità, avrebbe attraversato mari e montagne pur di proteggerlo – sentiva infatti che Dean se la fosse cavata con poco, che la soluzione impiegata fosse solo temporanea –, ma Eggsy rise.

 «Come vuoi tu, Harry. Grazie».




«Sei conscio del fatto che è pericolosamente vicino a scoprire tutto, Galahad?»

 «Sì».

 «E che farai?»

 «…»

 «Se Artù ne fosse al corrente…»

 «Lo so. Non serve dirmelo».




«Harry, che cazzo, hai installato delle cimici in casa tua?»

 Harry batté le palpebre.

 «Scusa?»

 «Non sono un idiota, Harry, riconosco una cimice quando ne ho una davanti. Avevi paura che ti rubassi qualcosa?»

 Harry batté le palpebre, poi si voltò bruscamente dalla teiera per avvicinarsi a Eggsy, che era così sbigottito dall’improvviso cambio di atteggiamento che congelò sul posto.

 Prendendo in mano la cimice in questione, Harry la esaminò. Non c’erano dubbi, Eggsy aveva ragione, era definitivamente una cimice. Una delle loro, tra l’altro.

 «Dove l’hai trovata?»

 «Uhm». Eggsy esitò per un attimo, prima di scrollare le spalle, grattandosi il collo. «Una delle piante del corridoio, diciamo… è caduta? E uno dei steli si è spezzato. E sopra c’era una cimice, Harry!»

 Verso la fine parve ricordarsi di essere arrabbiato, incrociando le braccia e scoccandogli occhiatacce in una maniera assai impressionante.

 Harry cercò di trattenere le risatine che gli volevano erompere dal petto, ma cedette e scosse la testa mentre provava a spiegare la faccenda in una maniera inoffensiva e con quante meno informazioni possibili. Date l’assurdità della situazione e il modo con cui l’espressione di Eggsy assomigliava più a un broncio che a una collera vera e propria, era rischiosamente tentato a condividere la verità.

 «Temo che si tratti dello scherzo di un mio amico» ammise, e non era interamente una bugia, anche se aveva quasi la sensazione che lo fosse, dilaniato com’era dalla voglia di descrivere i chi-come-perché. «Mi spiace che tu ci sia finito di mezzo».

 Eggsy lo guardò come se fosse completamente impazzito.

 «Mi prendi per il culo? E non cambi idea su quell’affare di essere solo un sarto?»

 Quella per Harry non era nemmeno una domanda meritevole di risposta.




Merlino gli rise in faccia.

 «Non posso credere che il ragazzo abbia individuato la cimice» esclamò, scuotendo la testa. «Stai perdendo colpi, Galahad».

 «Merlino, fammi cortesemente un favore e chiudi quella bocca».




«Sai che non devi continuare a far finta di essere un sarto, vero?»

 Eggsy stava pelando le patate con una risolutezza che solo fino a un secondo fa lo aveva divertito. Adesso Harry si era irrigidito, e si girò e fissò il giovanotto che non aveva alzato gli occhi dalle verdure e proseguiva a sproloquiare.

 «Ci sono troppe pistole qui intorno perché sia quello il tuo mestiere».

 Harry abbassò le palpebre, ma certo. Eggsy si era imbattuto in una delle cimici di Merlino, era naturale che notasse le armi che aveva nascosto in giro per la casa in caso qualcuno lo sorprendesse.

 Probabilmente avrebbe dovuto essere terrificato dal fatto che si fidava di Eggsy al punto da non riflettere sulle sue potenzialità di diventare una minaccia, persino con l’esigua conoscenza che possedeva, ma Harry non riusciva a costringersi a fare tali ragionamenti, non con il modo con cui il ragazzo gli sorrideva e sembrava reciprocare la fiducia postagli.

 Il che rendeva ancora più doloroso ciò che stava per fare.

 «Allora sei una spia, tipo?»

 Eggsy rise, scuotendo la testa come per rimproverare se stesso per la ridicolezza delle sue parole e Harry sollevò il braccio, prendendo la mira con l’orologio in direzione della nuca di Eggsy.

 I suoi occhiali emisero un “bip”.

 «Galahad, Artù ti vuole al negozio tra un’ora. Riguarda la missione di Lancillotto».

 Harry distolse lo sguardo da Eggsy, che fischiettava tra sé e sé e sistemava i piatti. Non si era neanche accorto di Harry che parlava apparentemente da solo, e diede pertanto il suo okay a Merlino.

 Guardò l’ora. Poi Eggsy. Pensò ad Artù e a Merlino e alla Kingsman. E decise. Sicuramente il dardo amnesico poteva attendere. Sarebbe stato da maleducati scagliarlo prima di cena. Sarebbe stato da irresponsabili lasciare Eggsy da solo, in caso avesse una qualche reazione allergica.

 Lo avrebbe lanciato una volta tornato da qualsiasi cosa gli volesse comunicare Artù.

   
 
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