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Autore: Black Swallowtail    08/08/2016    0 recensioni
[Dark Souls 3]
"Non sei meritevole nemmeno di essere un Tizzone."
In questo momento, circondata da colonne di fiamme che ardono in gigantesche spirali di ruggente cremisi, allungando le loro dita di cenere verso l'alto, queste sono le uniche parole che riesco a ricordare.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cinder

“Non sei meritevole nemmeno di essere un Tizzone.”

In questo momento, circondata da colonne di fiamme che ardono in gigantesche spirali di ruggente cremisi, allungando le loro dita di cenere verso l'alto, queste sono le uniche parole che riesco a ricordare. Rimbombano nella mia testa come se venissero ruggite direttamente dal fuoco selvaggio, danzante rabbioso nel cielo notturno; di fronte a questa marea di scintille furiose, non posso che rimanere immobile e tremante ad osservare l'intero mondo attorno a me bruciare.

E nonostante tutto stia venendo divorato senza pietà, nonostante l'acqua arrossata e bollente, fangosa, mi attiri a sé e riempia la mia bocca, mentre cado all'indietro con gli occhi sbarrati, nonostante la morte stia venendo a prendermi nella forma di una palla di fuoco arancione e rossastro, inglobando tutto quel che conoscevo per renderlo cenere, solo quell'avvertimento pronunciato con tono duro, severo, perfino tagliente, occupa la mia mente.

“Non sei meritevole nemmeno di essere un Tizzone.”

Lo sapevo. Dopotutto, era vero – non c'era modo che io potessi possedere in me una potenza tale da riuscire ad essere scelta dal potere delle fiamme. Eppure, nella mia stupidità, nella mia superbia, ho pensato di potercela fare; ho creduto di succedere dove altri erano caduti, di impedire che il mondo precipitasse di nuovo nella sua età di tenebre. Arrogantemente, mi sono caricata sulle spalle il peso schiacciante delle leggende che mi hanno inebriato, riempendomi la mente di immagini sfocate composte da legioni di non morti senza fine, pellegrini distruttori dell'Abisso, re giganti in lontani regni sperduti, magnifici santi inondati di luce e gloriosi principi di stirpi lontane.

Ho osato paragonarmi a loro, addirittura ho pensato di poterli superare e di essere degna di divenire un Tizzone, di avere la capacità di riuscire dove loro avevano fallito. Ho allungato le mani verso un territorio proibito che mi ha osservato con sdegno e respinto con disgusto, senza nemmeno farmi poggiare il piede, compiere il primo passo. Ho giocato con il fuoco, e le fiamme sono sfuggite dalle mie dita, le loro fauci hanno morso la mia mano e ora non mi rimane altro da fare, se non guardare inerme tutto quel che conoscevo morire, perire nel turbine di distruzione che io stessa ho generato.

La mia vista è offuscata e la mia bocca è piena di acqua sporca, i vestiti si stanno lentamente carbonizzando, lambiti dai primi sprazzi di fuoco che si allungano dalla casa ormai ridotta ad una palla di fuoco mastodontica, aggredendo gli alberi rinsecchiti e contorti, che tendono i rami scheletrici al cielo notturno e alle sue pallide stelle, poco più che infimi puntini luminosi che risplendono del riverbero selvaggio dell'incendio che ho creato.

No, non un semplice incendio, quello che la mia inesperienza, la mia superbia hanno partorito, è un'apocalisse di distruzione.

Com'è potuto succedere?

A fatica, mi metto in ginocchio e porto le mie mani esitanti al viso arrossato, prima di rendermi conto di essere scossa da cima a fondo da un tremolio incessante, che si fa sempre più forte ed incontrollabile nel momento stesso in cui realizzo lucidamente il peccato inenarrabile che ho commesso. Come ho potuto pensare di potercela fare? Perché l'ho fatto, perché ho osato tanto? Perché non ho ascoltato quell'ammonimento, perché non mi sono fermata nel momento in cui ho capito che sarei stata consumata dalla potenza divorante di quel che ho richiamato?

Lacrime scorrono lungo le mie guance, infiltrandosi tra le dita, gocciolando nella bassa melmaglia paludosa in cui le mie ginocchia sono immerse. Per questa mia stupidità…

“Non sei meritevole nemmeno di essere un Tizzone.”

...Li ho uccisi tutti.

Riesco a ricordare i loro volti, i loro nomi, le loro voci. Ed ora, non sono altro che cadaveri contorti, poco più che neri scheletri spolpati dal dirompente avanzare del fuoco.

Come ho potuto… come ho potuto farlo?

Mi piego su me stessa, mentre la bile erutta dalla mia bocca senza che riesca a reprimerla, e si mescola alle mie lacrime, mentre io, impotente, posso solo continuare a sussurrare, senza fermarmi, come in una folle cantilena che esce dalla mia bocca ancora amara per il rigurgito, un “Mi dispiace” dopo l'altro, mentre i loro visi si avvicendano nella mia mente, uno dopo l'altro, senza mai fermarsi, con gli occhi vitrei, spenti. Morti.

E l'ultimo, è proprio lui, ed il suo sguardo fermo è pieno di disappunto e rimprovero. Colmo di una delusione che sembra volermi trapassare da parte a parte, senza alcuna pietà. La sua bocca si apre, ma non riesco a sentire quello che dice, perché il boato della casa che crolla su se stessa, distrutta dall'interno, è troppo forte. L'esplosione si alza talmente in alto da rischiarare di colpo il cielo e gettare una intensa luce per tutta la palude, emettendo un ruggito talmente potente da far tremare gli alberi tutt'attorno, smuovere l'acqua e spingermi all'indietro con l'onda d'urto finale degli ultimi rimasugli dell'edificio che crolla fin dalle fondamenta polverizzate.

L'urlo che fuoriesce dalla mia bocca è rabbioso e disperato, colmo di tutto il mio dolore, il senso di colpa e la rabbia che provo per me stessa, per questo gigantesco peccato che ho commesso, che è ricaduto sugli altri, una punizione che mi ha portato via tutto quanto, ogni cosa.

Aveva ragione. Certo che aveva ragione. Non posso credere di aver pensato, anche per un istante, di poter essere adatta ad essere un Tizzone. Una Fiamma Spenta come me, nulla più che carne e cenere senza brace, che si è lasciata inebriare da leggende e imprese che mai avrebbe potuto compiere.

Ed ora…

L'incendio inizia la sua avanzata, strisciando verso di me, afferrando ogni cosa e riducendola in carbone e cenere, progredendo ingloba qualunque cosa. È come se stessi guardando nella bocca dell'inferno stesso, un inferno venuto per me, per punire colei che ha tentato di compiere qualcosa che non era alla sua altezza, di equipararsi a dei, eroi e miti. Solo la mia disperata voglia di vivere, solo il mio egoistico attaccamento alla vita, mi spinge ad alzarmi in piedi sulle gambe che minacciano di cedere, di non reggere il mio stesso, minuto corpo, e a correre follemente lontano. Ad ogni passo, la sensazione di calore aumenta, non importa quanta forza tenti di imprimere nei miei piedi; il mio respiro si fa sempre più affannoso e gli schizzi d'acqua sporca che si alzano attorno evaporano non appena si trovano a mezz'aria. Ogni passo è sempre più faticoso ed il terreno molle sembra voler risucchiare le mie gambe ogni volta che mi ci poggio sopra per un nuovo scatto, affondando fino ai polpacci con un sinistro rumore di fanghiglia.

“Non sei meritevole di essere un Tizzone.”

Lo so, dannazione, lo so! Ma ti prego, nonostante tutto, nonostante questo… voglio vivere. Voglio continuare vivere.

Se ora non sono degna di essere un Tizzone, farò di tutto per diventarlo. Farò di tutto per rimediare a questo mio errore. Quindi, ti prego, abbi pietà di me, non guardarmi con quegli occhi così severi e pieni di rancore, così ricolmi di delusione! Credevo di stare agendo per il bene, di stare facendo quel che fosse giusto. Ti supplico, ti supplico, cerca di capirmi; se la mia intera vita bastasse per riportarvi indietro, mi fermerei e lascerei che il fuoco mi prenda. Ma l'unica cosa che posso fare ora… è sopravvivere.

I polmoni iniziano a bruciare e l'aria che prendo a grandi boccate è satura di un fumo appestante che mi mozza il respiro. Ogni nuovo passo sembra un'impresa titanica ed il mio corpo minaccia di crollare da un momento all'altro. La forza scivola via dal mio corpo, una goccia per volta, finché alla fine il mio piede non vuole più uscire dal fango e le ginocchia mi cedono, lasciandomi crollare distesa con il viso contro il terreno acquitrinoso della palude. I suoi fluidi tossici mi aggrediscono e quel poco di contorno che il mondo ancora conservava svanisce in un soffio, sfumando infine in una miriade di colori indefiniti, chiazze indistinte che tremolano beffarde.

Le mie mani annaspano inutilmente, trovando solo altra acqua avvelenata e nessun appiglio. Il fango mi ricopre con la sua lordura. Esausta, rassegnata, il volto sporco ma ancora bagnato di lacrime, non mi resta che rimanere lì, rannicchiata, a singhiozzare vuotamente senza pronunciare una parola, soffocata del tutto da quello che ho creato.

Tutto è andato in pezzi in un secondo. Mi è bastato così poco per ridurre ogni cosa in polvere che nessuno ricorderà. Nessuno si ricorderà di noi. Forse è meglio così – perché qualcuno dovrebbe ricordare il nome di una persona che ha commesso un errore così grande, un peccato madornale ed imperdonabile come questo?

Se venissi dimenticata per sempre, sparirebbe anche questa colpa e allora mi sentirei in pace con me stessa.

Ma sono consapevole che si trattano solo di vuote parole e fumosi ragionamenti che la mia mente febbrilmente produce nel tentativo di allontanare quel coro di voci distorte ed irriconoscibili che urla furioso il mio crimine.

“Colpa tua, solo colpa tua!” ruggiscono questi visi bianchi, senza lineamenti se non uno squarcio annerito dal fuoco come bocca e due orbite rinsecchite dove prime c'erano occhi.

E ancora una volta, quell'ammonimento.

“Non sei meritevole di essere un Tizzone.”

Le fiamme mi avvolgono, stringendomi nella loro presa. Tutt'attorno, il mondo è cremisi ed arancione, il cielo stesso sembra sciogliersi in una pioggia di scintille e polvere nerastra.

Il mio corpo si piega e irrigidisce, scosso dal fuoco che lo stringe nel suo sudario infernale.

Non sono mai stata meritevole di essere un Tizzone…

La mia bocca si apre per urlare di dolore, ma non esce alcun suono – un grido muto è tutto quello che le mie labbra riescono a soffiare.

—Tuttavia, non è naturale che la cenere ricerchi la brace?

 

Mi sveglio di soprassalto, ricoperta di sudore gelido e tremante per il vento freddo che soffia impetuoso attraverso le tombe silenziose di questo luogo abbandonato. La schiena mi manda continui e penetranti fitte a causa della scomodità delle ultime settimane di viaggio, in cui non mi sono concessa nemmeno un secondo di riposo, presa dalla foga di giungere il prima possibile alla meta che mi sono imposta.

Con un gemito soffocato, riesco ad alzarmi dallo scomodo pagliericcio che ho approntato sul terreno duro ed inospitale. Digrigno i denti mentre mi stiracchio, alzando gli occhi al sole mattutino che si alza pigramente con il suo colore lattiginoso; i suoi pallidi raggi scivolano dolcemente attraverso le grandi torri diroccate del mastodontico castello di Lothric, di cui riesco ad intravedere appena le guglie ed i tetti pericolanti, che spuntano appena dai colli brulli all'orizzonte. Finalmente, dopo tutto questo tempo, sono arrivata.

La mia mano destra affonda nella tasca, stringendo tra le dita tremanti, istintivamente, il piccolo tomo bruciacchiato, le cui pagine annerite sono ora illeggibili, la carta divorata dal fuoco e l'inchiostro stinto dall'acqua. Nonostante ciò, questo libercolo è divenuto una sorta di reliquia, l'ultimo legame con il mio passato, con la vecchia palude, ed il monito costante che riporta ogni volta alla mente la mia follia, quel terribile, divorante peccato che mi ha condannato, punendo la mia superbia con un fuoco talmente potente da bruciare ogni cosa. Stringere la sua copertina scricchiolante e sfogliare le sue pagine così fragili e malridotte da sgretolarsi al tocco, serve a ricordami la mia pazzia e a non farmi perdere la mia determinazione. A farmi rialzare ogni volta, nonostante tutto, nonostante le difficoltà ed i fallimenti.

Tiro fuori il libro dalla tasca, toccandone il dorso con i polpastrelli, e chiudendo gli occhi posso sentire il vago calore della magia racchiusa in esso pulsare nelle mie vene; a bassa voce, recito ancora una volta le parole del mio Maestro, l'insegnamento della Piromanzia che viene impartito a tutti i giovani che iniziano l'addestramento – una semplice frase, che ricorda quanto il fuoco sia mutevole e quanto facilmente possa sfuggire dal nostro controllo e rivoltarsi contro di noi.

Dopo che le mie labbra lasciano andare l'ultima parola, e dopo che la quieta brezza l'ha trasportata via, verso le cime di Lothric, verso le foreste pallide e smorte delle colline più lontane, rimango per qualche istante ancora ad osservare il grande arco di pietra al di sotto dello sperone roccioso sul quale mi sono accampata. La brace del Falò continua ancora ad ardere, nonostante sia passata un'intera nottata, e le sue fiamme non sembrano essere minimamente turbate dal vento; continuano a muoversi ed agitarsi, seguendo un percorso a spirale che si avvolge attorno alla spada di ossidiana al centro, facendone rilucere le venature rossastre di un bagliore sinistro.

Un Falò, uno dei tanti che connettono queste distanti terre, e che vengono accesi dai viaggiatori che stancamente vi si riposano; il simbolo della Prima Fiamma, del calore e della luce inestinguibile che separano le ere. Eppure, di questi giorni, le scintille sembrano essere più spente, pallide, come affaticate. Non è un caso che il cielo sia più scuro, e che la notte sembri più pesante. Qualcosa si è mosso, per questo mondo, proprio come nelle antiche leggende.

Le voci che ho sentito da altri guerrieri che si sono avventurati fino a qui sono confuse. Si parla dell'indebolimento del fuoco e del tempo che sembra essersi distorto, come bloccato. Qualcun altro mi ha riferito di Spiriti che attraversano il sottile velo tra i mondi, arrivando malevoli nel nostro, per cercare coloro che portano la Brace nella propria anima.

Tuttavia, se c'è una cosa su cui tutti concordano, è la fuga dei Signori dai loro troni.

Ho sempre pensato si trattasse di miti privi di significato, non diversi da quelli che descrivono i magnifici palazzi di Anor Londo o gli epici eroi e le loro gesta, cantate in tante canzoni diverse dai bardi e dai viaggiatori, come le ballate “Artorias e l'Abisso” o “Il Prode Ammazzadraghi”. Evidentemente, o le storie sui Lord dei Tizzoni sono vere, oppure il mondo è talmente impazzito da aver incarnato degli esseri così potenti da meritarsi questo appellativo. Comunque stiano le cose, è chiaro che questi esseri dalla potenza sconfinata hanno abbandonato il loro luogo di appartenenza, hanno rifiutato il compito di ravvivare la Prima Fiamma.

Ed ora, i tizzoni vanno lentamente spegnendosi, lasciandoci ogni giorno un po' più nella penombra.

Lasciando che un sospiro mi sfugga dalle labbra, raccolgo tutti i miei pochi oggetti, riponendoli nelle bisacce, e controllo che sia tutto pronto in caso di bisogno. La vecchia ascia scheggiata tintinna quando le do un colpetto, ad assicurarmi che sia ancora al suo posto, insieme alle fiaschette colme fino all'orlo del liquido dorato che chiamano Estus. Non so bene secondo quale principio sia in grado di risanare le ferite, ma basta berne qualche sorso per rimarginare istantaneamente anche le peggiori lacerazioni. È una pozione abbastanza rara, ed una prerogativa quasi esclusiva dei non-morti, quindi mi considero fortunata ad averne trovata qualcuna.

Scendo cautamente fino al pericolante arco di pietra, ricoperto di muschio e crepe, che sembra minacciare di cadere da un momento all'altro. I gradoni consunti di pietra appena al di sotto, scendono fino a toccare un laghetto di acqua stagnante, che a malapena riesce a bagnarmi il tallone. La forma circolare di questo luogo, l'architettura che ne circonda il lato ovest, tutto sembra suggerire che un tempo si trattasse di una sorta di arena, seppure il suo scopo mi sfugge. Per quale motivo, qualcuno avrebbe costruito un luogo simile qui?

La risposta a questa domanda mi diviene chiara nel momento in cui il mio sguardo, scivolando lentamente per l'ampiezza delle rovine, non si posa su un'imponente statua, rappresentante un guerriero inginocchiato e trafitto da una lunga spada d'ossidiana. L'espressione incolore sul viso del cavaliere diviene sempre più definita mentre mi avvicino, finché, vinta ogni esitazione, non arrivo talmente vicino da poter sfiorare i suoi lineamenti di pietra, gelidi ed asettici, che squadrano vuoti la piattaforma non bagnata dall'acqua sul quale è stato collocato.

Sfioro ogni particolare della sua armatura, così massiccia e dettagliata, scolpita nel minimo dettaglio, da sembrare vera, perfetta in ogni particolare. L'imponente alabarda che stringe nella mano con una presa quasi disperata, come un ultimo tentativo di combattere nonostante l'atroce sconfitta, sembra intimorirmi. Per qualche ragione, quella davanti a me non sembra una scultura.

Sembra un vero guerriero imprigionato nella pietra.

Vincendo il senso di sottile timore che lentamente sta crescendo in me, allungo la mano a stringere l'elsa della spada conficcata nel petto della statua. Ad una prima occhiata non avevo notato di cosa si trattasse, ma ora che la stringo tra le mani e che posso osservarla più da vicino, non c'è alcun dubbio: si tratta della stessa lama conficcata nel centro del Falò accanto al quale ho passato la notte. Nonostante sia spenta, senza i riverberi delle fiamme, la sua insolita forma a spirale ed il materiale con il quale è stata forgiata sono inconfondibili.

Le mie mani stanno tremando, per una ragione che non riesco a comprendere. È come se la mia stessa anima fosse scossa fin dall'interno, terrorizzata da qualcosa. Per quanto mi guardi intorno, tuttavia, non vedo alcun nemico o pericolo; e d'altra parte, non ho mai provato una sensazione tanto schiacciante. Il mio petto è oppresso da un peso invisibile e le mie mani sudate stringono convulsamente l'elsa della spada a spirale.

È come se mi stessi muovendo in un sogno, dove tutto è ovattato ed opaco. È come se fosse l'istinto a muovere le mie braccia, che lentamente, ma senza alcuna fatica, fanno scivolare via l'intera arma dal petto trafitto del guerriero ferito.

Nell'esatto istante in cui l'arma fuoriesce dalla corazza trapassata, mi aspetto che succeda qualcosa. Mi aspetto che il terreno tremi o che la mia anima bruci, divorandomi insieme al mio corpo.

Invece, tutto resta tranquillo, immobile. Perfettamente congelato in questo momento.

Come se ogni cosa si fosse bloccata nel momento in cui ho estratto la lama.

E poi, in un solo istante, tutto sembra infrangersi.

Di fronte alla mia figura immobile, con un rumore di qualcosa di antico che si muove dopo un tempo immemore, l'enorme statua inizia ad alzarsi faticosamente, strappando l'alabarda conficcata nel terreno con un secco movimento del braccio. La sua espressione vuota, senza cambiare, rimanendo pur sempre immobile nella pietra, si fissa su di me. Sulla spada che tengo in mano.

Tra le tante leggende che circondano la Fiamma, si parla di un guardiano immortale che sia posto a sua difesa. Un essere scolpito perché possa essere eterno guardiano, e che si alzi nel momento in cui l'oscurità incomba, e nuovi guerrieri giungano per reclamare il titolo di Campioni della Cenere. Il suo compito è quello di difendere l'entrata al Santuario e di mettere alla prova coloro che vogliono fregiarsi del titolo di Tizzone.

Il mio intero corpo trema, senza alcun controllo. Il mio respiro brucia, come inalare fiamme che ardono nei polmoni.

Il suo unico scopo è quello di giudicare. Scolpito nella pietra, non conosce altro destino, se non quello di attendere e combattere, ancora ed ancora, prima di cadere di nuovo in un profondo sonno, finché la Fiamma nell'animo di un nuovo Campione non lo chiami ancora.

La mia bocca si apre, sussurrando silenziosamente un nome.

Per questo, le storie lo hanno chiamato—

“Gundyr il Giudice.”

È l'istinto a salvarmi; quando l'enorme alabarda si abbatte sul terreno, alzando uno scroscio d'acqua e detriti che schizzano contro di me, nel punto in cui ero un secondo prima, sono già scattata di lato, rotolando nella bassa acqua fangosa, inzuppandomi i vestiti. Mentre la mia mente ulula di fuggire, mentre sono scossa da un terrore assoluto, la mia anima arde e divora, come fiamme che stiano divampando dentro di me, nel mio petto, nel mio corpo. Non è la semplice adrenalina della battaglia.

Questo è il richiamo della cenere che cerca disperatamente la fiamma.

L'urlo della scintilla effimera che vuole divenire un tizzone.

Io… devo vivere. Nonostante tutto. Altrimenti, che senso avrebbe avuto giungere fin qui?

Voglio vivere. Voglio essere degna di divenire un Tizzone.

“Non sei meritevole di essere un Tizzone.”

—Lo so. Ma se sono giunta fin qui… ho il diritto di provare. Ho il diritto di essere giudicata. Diverrò un Tizzone ad ogni costo.

Scatto in avanti, scivolando nell'acqua gelida, guizzando al di sotto dell'ampio colpo vibrato dal Giudice, che passa proprio sopra alla mia spalla, mancandomi di un soffio. La mia ascia si abbatte contro il petto di pietra, ma l'unico effetto che sembra provocare, è di scheggiare ancora di più la lama dell'ascia contro la pietra; quando mi rendo conto che il mio attacco è stato un inutile assalto, il lento movimento di Gundyr ormai è già su di me. Il suo braccio imponente mi afferra per il fianco, e mi sbatte a terra, con una violenza inaudita.

La mia schiena si contrae, le mie ossa vibrano, e sento qualcosa rompersi, mentre il terreno fangoso e l'acqua mi riempiono la bocca, facendomi tossire sporcizia e sangue. Con la vista appannata, ho appena la forza di rotolare sul fianco, ansimando e gemendo per la ferita e per il dolore alle costole, probabilmente fracassate, ed evitare che il piede di pietra mi sfondi il petto.

Rimettersi in piedi è un'impresa titanica. Quando riesco ad issarmi di nuovo sulle gambe malferme, l'ascia è caduta lontano e mi rendo conto di non avere armi, al di fuori delle mie mani.

Quando cerco freneticamente le fiaschette di Estus, afferro solo aria. La mia cintura è stata strappata via. Ho perso tutto.

Gundyr rotea l'alabarda, pronto per abbattere un nuovo colpo, un semplice arco diretto da sinistra verso destra, che fende l'aria nello spazio di un istante, e che riesco ad evitare scattando all'indietro, minacciando di scivolare sul fango e con il respiro mozzo.

Ho una sola possibilità. Posso lanciare questa Piromanzia una sola volta, in queste condizioni, ma dovrebbe bastare. Deve bastare. Per questo, pregando sottovoce tutti coloro che ho ucciso, chiedendo loro di prestarmi anche un briciolo della loro forza, le mie mani si incendiano. È una cosa stupida, chiedere aiuto a coloro che sono morti—ma in questo momento, il loro pensiero mi dà conforto e forza.

Posso abbatterlo.

Per la prima volta in questa battaglia, mentre lo osservo che si avvicina faticosamente muovendo le sue membra di pietra consumante da milioni di giudizi, penso di poterlo annichilire. Penso di poterlo distruggere.

“Diverrò un Tizzone...” muovo le mani in un ampio arco, generando una pioggia di scintille che si condensa in una grossa sfera di fuoco gocciolante, “…Passerò questo giudizio, Gundyr!” Con un secco movimento della mano destra, scaglio il mio attacco.

Ed è con terrore assoluto che vedo l'alabarda intercettare le fiamme e dissiparle con un singolo colpo di taglio, disperdendole in una miriade di braci che muoiono a mezz'aria, sparendo senza un rumore.

Improvvisamente, è come se il mio corpo cedesse. Priva di forza, crollo sulle ginocchia sbucciate e sanguinanti, nell'acqua bassa che mi lambisce le cosce.

Non riesco a muovermi.

Quella figura imponente che incombe su di me, è pronta con il bracco già alzato ad uccidermi, con lo sguardo vitreo, vuoto. Una tra i tanti, una tra i numerosi che ci hanno provato. Come ho potuto sperare di farcela?

Sono stata una folle. Ancora una volta, mi sono lasciata trascinare dalla mia superbia.

Ora, come allora.

Forse è meglio così.

L'alabarda di Gundyr si alza, pronta per colpirmi. Pronta per giudicarmi indegna. Sarò solo un altro nome tra i tanti. Morirò come tutti gli aspiranti Campioni.

Alla fine, non ero meritevole di essere un Tizzone.

Ero solo cenere spenta e priva di fiamma.

—Eppure sono sicura… di aver sentito una sensazione di fuoco nel petto.

Sono sicura che, per un istante, il mio animo abbia bruciato.

 

Il rumore di acciaio che stride riempie le mie orecchie.

Non mi ero nemmeno resa conto di aver chiuso gli occhi, ma ora mi ritrovo a spalancarli di colpo, e la scena che si dischiude in un secondo davanti ai miei occhi mi lascia senza fiato. Il mio corpo trema ancora leggermente ed il respiro, che ho trattenuto fino ad ora, fuoriesce dai miei polmoni improvvisamente.

L'ombra imponente di Gundyr sembra quasi schiacciarmi, con la sua sola presenza, e la sua sagoma nera controluce mi sovrasta con tutta la stazza e l'imponenza, con tutta la forza bruta che ha dimostrato prima, talmente dirompente da sembrarmi al di sopra di ogni capacità umana—la potenza di una leggenda, di un vero e proprio Giudice.

Eppure, nonostante questo, proprio ad un palmo da me, talmente vicina che il mantello scolorito e strappato mi solletica il viso congelato in una smorfia incredula, c'è un guerriero. Le sue mani sono strette saldamente attorno ad un lungo spadone, tenuto di traverso, in una posizione di guardia, ed il suo intero corpo in tensione si sta sforzando fino all'ultimo per continuare questo scontro di feroce volontà; quella lama bastarda, così imponente rispetto al suo utilizzatore, appare così piccola rispetto alla sproporzionata alabarda contro la quale è premuta, in un disperato tentativo di trattenere l'impatto.

Non riesco a muovermi, di fronte a questa scena surreale, che sfugge del tutto alla mia comprensione: qualcuno in grado di sopportare, alla pari, il titanico attacco del Giudice, del guerriero di pietra immortale, di colui che ha ucciso centinaia di migliaia di eroi? Il mio intero corpo è paralizzato e si rifiuta di rispondere al grido che cresce in me, all'ordine perentorio di fuggire che la mia mente sta urlando con tutta la sua forza. L'unica cosa che riesco a fare, è rimanere a fissare questo combattente arrivato dal nulla, lanciatosi in messo allo scontro solo per salvarmi.

Possibile che… anche lui sia un aspirante Tizzone? Qualcuno che abbia sentito la sua anima bruciare, che abbia udito il richiamo della Prima Fiamma?

Il mio salvatore mi getta una rapida occhiata da sopra la spalla, vedendomi immobile, con gli occhi sgranati e le labbra serrate in un'espressione a metà tra lo scioccato e di terrore, mentre le sue braccia si torcono, dando i primi segni di cedimento; certo, è normale che per quanto forte possa essere, difficilmente un umano può sopportare l'impeto di un attacco tanto potente, portato da un essere del calibro di Gundyr. Non c'è segno di paura o esitazione, nei suoi occhi, che a malapena intravedo sotto la sciarpa, scolorita e consumata, che copre la metà del suo viso, e il mezzo elmo di ferro, dalla sinistra forma appuntita, calato sulla fronte.

La sua voce, invece, è gelida, perentoria, un tono di comando che suona quasi ostile, appena incrinata dallo sforzo fisico che sta sopportando, “Togliti di lì, dannazione,” mi ordina, mentre le sue gambe, sfiancate, si piegano leggermente, facendole perdere due palmi di terreno, “O sarà stato tutto inutile!”

Quelle parole che, anche se non gridate, ho udito al di sopra del clangore assordante dell'acciaio e dello scricchiolare delle giunture millenarie del Giudice, sono abbastanza per smuovermi improvvisamente dalla mia posizione. È come se un interruttore fosse stato acceso, insieme a quella frase – che mi ha ricordato, in un secondo, perché sto facendo tutto questo. Perché sono giunta fin qui, seguendo il richiamo di una fievole, morente brace, lasciandomi alle spalle i resti della mia pazzia.

Io—devo vivere.

Rotolo all'indietro, alzando schizzi d'acqua, guadagnando una posizione di sicurezza, arrivando fino al limitare dell'arena, lontano dal punto in cui quei due si stanno dando una titanica battaglia di forza. Nell'istante in cui il guerriero mi vede allontanarmi, sembra finalmente tornare a muoversi, smuovendosi dalla posizione di stallo in cui si era ritrovato per evitare che il colpo mi investisse; in un battito di ciglia, eseguendo un movimento di una rapidità ed una agilità che hanno quasi del sovrumano, esattamente come la sua forza, scivola al di sotto dell'asta dell'alabarda di Gundyr.

La sua mano sinistra scatta alla cintola, e in un arco, un singolo, sinuoso movimento, scatta verso il viso di Gundyr, conficcando sotto al suo collo un pugnale ricurvo e contorto, come mai l'ho visto prima.

Spalanco la bocca, sto per urlare di non farlo, che è tutto inutile…

Quando, contro ogni aspettativa, Gundyr il Giudice, il leggendario guardiano del Santuario, che fino ad un attimo fa sembrava come una montagna, impossibile da scalfire, davanti ai miei occhi… crolla in ginocchio, liberando il suo duellante dalla morsa dell'alabarda.

E, in un atmosfera surreale, come se quello che mi sta accadendo di fronte agli occhi non sia altro che un'allucinazione, un'illusione, un sogno sfocato e nebuloso, il guerriero afferra quel suo spadone con entrambe le mani, e senza alcuna esitazione, come se fosse una macchina… lo conficca nello squarcio lasciato dalla spada a spirale, trapassandolo da un lato all'altro, per poi, imprimendo nelle braccia tutta la sua forza, scagliarlo all'indietro con un colpo vibrato lateralmente.

L'acqua si tinge di rosso, attorno al corpo immobile di Gundyr, crollato malamente sul terriccio fangoso, con le braccia abbandonate in modo scomposto, ma con l'alabarda ancora stretta in mano, fedele al suo compito perfino in questo istante.

“Sta… sanguinando?” sussurro, osservando il colore cremisi che si spande tutt'attorno, con la voce piena di stupore. Una statua che sanguina..? “Com'è possibile?”

Prima che possa muovere un passo verso il corpo di Gundyr, l'ammonimento dell'altro aspirante Tizzone mi blocca,“Non è ancora finita. La corruzione in lui sta crescendo.”

“Che intendi con—” la mia frase viene troncata brutalmente a metà dallo scuotersi improvviso del corpo di Gundyr. Come animato da nuova vita, sembra muoversi ancora, scosso da feroci, incontrollabili convulsioni, che si fanno sempre più forti quando riesce maldestramente a mettersi in piedi, il sangue che scorre ancora dallo squarcio…

Solo che non si tratta di sangue. Qualsiasi cosa sia quella strana sostanza nera che si agita come muovendosi di vita propria, inizia ad attorcigliarsi attorno alla schiena del Giudice, a gonfiarsi a dismisura, pulsando con una intensità sempre maggiore, fino ad esplodere in una cascata di fremente, ripugnante corruzione che si plasma in una folle massa informe di divorante oscurità.

“Ognuno di noi ha dell'oscurità nel cuore...”

Le parole del maestro salgono alle mie labbra, mentre osservo Gundyr venire lentamente consumato da quella sostanza distruttiva e incontrollabile.

Ritornando in una posizione di guardia, l'aspirante Campione tende il braccio destro, con lo spadone, verso l'avversario, poggiando il sinistro sull'avambraccio, il coltello già sguainato, come a salutare il suo avversario.

Prima che possa fermalo, è già saltato contro l'essere che prima era Gundyr il Giudice, balzando al suo fianco, menandogli colpi d'acciaio uno dopo l'altro, in una danza ferale e senza controllo, saltando attorno per evitare le bocche e le mani affilate di oscurità che tentano di afferrarlo.

“...l'unica differenza sta in chi la nega, ed in chi la accetta...”

La mia fiamma, il mio animo, sembrano spegnersi di fronte all'imponenza di questo essere, di questa corruzione che getta un'ombra cupa su di noi, allungandosi verso il cielo con un continuo stridio, un lamento ed un ruggito insieme, che si mescolano al clangore della spada che colpisce, senza ferire, quel corpo gocciolante.

“...il fuoco può spegnerla e può purificarla. È questa la via del Piromante: bruciare con la Piromanzia le impurità dell'uomo, donare una scintilla a questo mondo che si sta spegnendo. Non dimenticarlo mai—Vyseris.”

Non ho dimenticato. Non ho dimenticato nulla.

È il momento di pagare una parte dei miei peccati… e poco importa se brucerò nel tentativo.

Apro il tomo, tenendolo in una mano, sfogliando le sue pagine rovinate, che si illuminano di venature rossastre, come se l'intero libro stesse bruciando dall'interno, nella sua vera fibra. Le sue lettere si iniziano a ricomporre, una dopo l'altra, vergate nelle fiamme e nella cenere, fino a formare ancora una volta quelle folli parole che ho recitato in una notte di un tempo talmente lontano da sembrare appartenere alla vita di qualcun altro.

Prendo tutto il coraggio che mi rimane… e leggo. Leggo frasi arcane e blasfeme invocazioni, formule palpitanti di un'energia antica e proibita, tanto potente da consumare l'animo di un uomo. O da incendiarlo.

Se brucerò, morirò, e questa sarà la prova definitiva della mia incapacità di poter divenire un Tizzone – il mio ultimo tentativo di mondare un animo sporco e corrotto dalla colpa, dalla tracotanza.

Se ce la farò, se le fiamme mi obbediranno, se rinascerò come una fenice, allora non ci saranno dubbi… allora vorrà dire che sono degna. Non sarò più vuota cenere che cerca la fiamma. Sarò finalmente meritevole di essere un Tizzone.

Termino la formula.

Un'esplosione bruciante divampa dalla mia intera figura, avvolgendomi in un sudario di rabbiosa piromanzia, fuoco selvaggio ed incontrollabile che brucia e consuma.

Sì.

—Sto bruciando.

Mi viene quasi da ridere.

—Sto bruciando.

Ma non provo dolore.

Un cenno della mano, ed il fuoco, ruggendo, come un demone informe e mutevole, si scaglia sul corpo corrotto e a pezzi di Gundyr. Una fiammata così accecante da minacciare di bruciarci, talmente potente da far alzare vapore e da arrossare le pietre. Con un urlo che non ha nulla di umano, né di bestiale, un ululato di dolore che va oltre l'umana concezione, l'oscurità del Giudice brucia e si contorce, mentre, pezzo per pezzo, di disfà in un turbinio di braci. Il suo corpo si scuote una, due, tre volte… ed infine, quando tutto si dissipa, nell'arco di qualche secondo, del suo corpo non è rimasto più nulla.

Solo una pulsante anima incolore, ed una spada a spirale poggiata sotto di essa.

La mia anima brucia. Ora riesco a sentirla. Riesco a sentire il fuoco che scorre in me. Guardo il mio corpo, che pulsa di brace e cenere calda, venato da un leggero rossore incandescente, come il cuore di un Falò che arde nella notte. Il libro mi scivola dalle mani, cadendo nell'acqua, ed esausta crollo a terra, svuotata, come se il mio corpo non potesse più sopportare il suo stesso peso. Mi porto la mano al petto. Il mio respiro mozzato sembra ustionarmi le interiora. Eppure… c'è in me un tepore che non ho mai provato prima. Un tepore così docile, ma allo stesso tempo vagamente minaccioso.

Una mano guantata entra appena nel mio campo visivo ed è con una fatica tremenda che la afferro, tirandomi in piedi, e poggiandomi alla spalla che mi viene offerta.

Gli occhi gelidi che mi guardano attraverso la minuscola fessura lasciata dall'elmo sembrano esseri quasi ingentiliti, mentre mi sorregge fino al Falò spuntato dall'anima di Gundyr. Mi dà da bere un po' delle sue Estus, e mi sembra di sentire il corpo rinvigorirsi, abbastanza per riuscire a sedermi propriamente e a parlare di nuovo. Le bruciature provocate da quella folle piromanzia sono lente a guarire, data la loro natura corrotta, ma un paio di giorni dovrebbero bastarmi. Almeno credo. Il fatto che non sia divenuta polvere è già una ricompensa sufficiente, per un'azione così avventata e sconsiderata.

“Come ti senti?”

La sua voce suona molto meno roca di come avessi percepito all'inizio. Sembra anche più addolcita, rispetto a prima, quando mi ha impartito quel secco ordine che mi ha salvato la vita.

“...Bene, grazie. Se non ci fossi stato tu, sarei—”

“Non importa,” mi ferma mentre ripone lo spadone sulla schiena ed il coltello nella cintura, portandosi una fiaschetta svuotata per metà alla bocca, lasciando che il liquido dorato le coli tra le labbra, “Sei tu che hai sconfitto l'oscurità del Giudice. Siamo pari.”

“Quindi anche tu sei un Campione della Cenere, ora.”

“Lo siamo entrambe.”

Entrambe?

Ma allora—

“Mi presento,” dice, alzandosi in piedi, e compiendo lo stesso gesto che ha riservato a Gundyr il Giudice, quando lo ha attaccato furiosamente, “Sono Elsewin, una guerriera che ha perduto ogni cosa. Proprio come tutti coloro che giungono fin qui.”

Pur sentendomi in imbarazzo per non aver capito che sotto quell'armatura si celasse una donna, e per non avere un modo di salutare altrettanto solenne, limitandomi ad un semplice inchino piuttosto rigido, mi presento a mezza voce, “Sono Vyseris. E sono… una piromante che ha perduto ogni cosa. Proprio come te.”

L'espressione nei suoi occhi sembra ingentilirsi per un istante, al sentire quelle mie parole. Si tratta solo di un singolo, rapido istante, talmente improvviso, sparito in un attimo, al punto che potrei essermelo semplicemente immaginato.

“Oltre quella porta,” indica il grande portale in massiccia pietra alle nostre spalle, in fondo all'arena, con un secco cenno del capo, “C'è il Santuario. Il luogo che abbiamo cercato per tanto tempo.”

“Ed una volta arrivata lì… cos'hai intenzione di fare? Cercherai—”

“—I Lord dei Tizzoni? No. Il mio scopo è un altro… anche se mi porterà inevitabilmente sulla loro strada.”

Guardo ancora una volta le fiamme che si attorcigliano attorno alla spada a spirale, tirando le ginocchia al petto. Tutti coloro che sono giunti qui hanno delle motivazioni personali. Perfino io. Eppure, sembra quasi che qualcuno ci abbia chiamato fino a qui, per una ragione o per un'altra, radunandoci attorno a luoghi come questo.

Sparsi per tutto il mondo, o perfino in altri mondi, ci sono altri come noi, seduti attorno ad altri Falò. Tutti noi cerchiamo la Fiamma. Tutti noi abbiamo un animo che brucia, e ci avviciniamo alle fiamme come falene attirate dalla luce. È come se fosse insito nella nostra natura.

Sorrido e mi metto in piedi, alzando gli occhi dal fuoco, le tendo la mia mano.

“—è una lunga strada da fare. Che ne dici… di percorrerla insieme?”

Sembra esitare, ed il suo sguardo sembra perdersi per un secondo lontano, come se non guardasse me, ma qualcosa che solo lei può vedere, lontano nel tempo e nello spazio. Come se stesse osservando un'immagine così vivida da scuoterla.

Stringe la mia mano, mettendosi in piedi, lo spadone poggiato sulla spalla. Aggiusta la sciarpa consunta attorno al viso, “Finché non arriverà il momento in cui il nostro reciproco destino ci dividerà.” Le sue parole suonano fatali, terribilmente certe, come se fosse sicura che accadrà.

Mentre la osservo allontanarsi silenziosamente, precedendomi di qualche passo, non posso fare a meno di chiedermi perché abbia perso tutto e chi si celi sotto a quell'armatura così inquietante, così consumata.

Getto l'ultima occhiata al Falò.

Il mio pensiero, ancora una volta, va a quell'ammonimento che risuona, lontano, nella mia testa, come se giungesse da un tempo tanto distante da suonare sbiadito ed evanescente.

“Non sei meritevole nemmeno di essere un Tizzone.”

Nonostante tutto, sorrido.

Con il perenne sole dell'alba che non sembra volersi muovere, in questa terra maledetta ed immobile, che si sta spegnendo lentamente, sorrido.

E piegatami a toccare il Falò, sussurro a quelle fiamme effimere…

“—Ora sono meritevole di essere un Tizzone, maestro?”

Ma nemmeno il vento risponde alla mia domanda.

 

   
 
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