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Autore: visbs88    08/08/2016    0 recensioni
Gli ultimi giorni di un viaggio al confine tra mostri ed esseri umani.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Easley, Priscilla, Raki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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3. Monsters

 

Easley ricordava i loro primi viaggi insieme – al di sotto del cielo plumbeo del Nord, pallido e grigio anche in estate inoltrata. Nel pieno delle proprie forze – nel pieno di una vittoria quasi perfetta –, nelle terre in cui aveva vagato per un'eterna esistenza, un mantello sulle spalle e neve tra i capelli, aveva camminato al fianco di un ragazzino debole, ignaro e pieno di sogni, e aveva cominciato a costruire il suo intero fato nella propria mente; Priscilla li aveva scortati silenziosa, una fanciulla dalla pelle candida come ghiaccio a cui i viandanti sorridevano con galante cortesia. L'ultima volta, invece, avvenne quando il tredicenne di allora era ormai più alto e muscoloso di lui, e teneva per mano una bambina in nero a cui gli umani, per qualche strana ragione, non volevano più avvicinarsi; fu sotto lo sguardo di un cielo azzurro appena velato, nel sole di quella che sembrava tarda primavera, il silenzio rotto solo dallo scricchiolio dei loro passi sulla strada costellata di sassi, e dal piacevole tintinnare dell'armatura che Raki aveva deciso di indossare. C'era pace, su quei campi verde chiaro punteggiati di fiori e rocce, nel vento tiepido del Sud, nel volo pigro degli uccelli.

E un bivio improvviso, come in ogni storia di scelte e di eroi, quando Easley si fermò, gli occhi fissi sull'orizzonte.

– Da che parte? – chiese Raki, in un tono calmo e leggero, al suo fianco.

Una domanda come tante altre. Per una delle ultime risposte.

Easley incrociò il suo sguardo sincero e tranquillo. Mantenne la propria espressione più pratica e più eloquente, e parlò con voce ferma.

– Lungo questa via, a pochi giorni di cammino di distanza, dovrebbe esserci un piccolo paese – iniziò, indicando la strada che serpeggiava alla loro sinistra perdendosi nella foschia di un paesaggio troppo vasto perfino per i suoi occhi – Suggerisco che lo raggiungiate, prima di stabilire dove desideriate dirigervi in seguito. Io andrò a destra.

Come si era aspettato, bastarono pochi attimi prima che sorpresa e sgomento riempissero quegli occhi castani così brillanti; insieme a una traccia di dolore, forse.

– C-cosa...? Easley...

Non poté trattenere un lieve sorriso: il cuore umano era così prevedibile. E così caldo.

– Non comportarti come se non ne avessimo già parlato.

Un rimprovero moderato, ironico, quasi morbido. Ma Raki si voltò per fronteggiarlo un poco più bruscamente del previsto – una tristezza così acuta e improvvisa su quel volto, in quelle iridi sempre pronte a prendere fuoco, che per un momento fece quasi male.

– Lo so, ma... – si interruppe, la voce un po' incrinata, e distolse lo sguardo dal suo solo per fissare con aria persa quelle placche di metallo scintillanti sulle proprie braccia, sulle proprie spalle; una consapevolezza ferita, agitata, tradita si dipinse sui suoi lineamenti, mentre i loro occhi si incrociavano di nuovo – Quest'armatura...

Il sorriso di Easley divenne più lieve, ma questo fu solo per rendere la propria espressione più seria, e più gentile.

– Già – annuì, calmo – Consideralo il mio ultimo dono. Dovrebbe servirti bene, durante il tuo viaggio.

Quando finì di parlare, un poco di controllo riuscì a tornare su quell'animo fragile e fiero: Raki serrò le labbra e raddrizzò la propria schiena, in una posa più matura, per quanto tesa. Il turbamento non era scomparso, ma perlomeno ora sembrava pronto ad ascoltare – ad accettare un ordine, se gli fosse stato impartito.

E dunque Easley parlò con cautela, e fermezza.

– Ricorda le mie parole. Fidati di me. Il destino non può essere piegato; solo costruito, ed è ciò che tu hai fatto. Non dimenticare. Mai.

Quella nuova luce, così bella e profonda. Quella determinazione pura e brillante, seria e commossa.

Un ragazzo eccezionale.

– Un giorno... – iniziò, con un leggero tremito nelle membra – Ti rivedrò?

Forse Easley non poté nascondere il lampo di tristezza che attraversò il suo viso; allargò il proprio sorriso per impedire che esso svanisse, un'ombra stretta attorno al cuore.

– Costruirlo – ripeté, sperando che l'enigma nascondesse il peso nel suo animo – Non piegarlo. Ma abbi sempre coraggio.

Una nuova ondata di sentimenti si dipinse su quel volto pallido, e non allenato abbastanza a mentire.

Ed Easley provò per la prima volta stupore, quando lacrime d'argento riempirono quegli occhi ancora fissi nei suoi, e scivolarono in fretta lungo quelle guance lisce e innocenti; mai, tuttavia, quanto quando Raki lasciò la presa sulla mano di Priscilla per avvicinarsi a lui di slancio, e per avvolgerlo in quell'abbraccio che si impresse sul suo cuore come un marchio di fuoco.

Fu stretto, e caldo. Easley rimase immobile, sgranando appena gli occhi, lasciando che le lacrime di Raki bagnassero la sua spalla e poi corressero lungo il suo braccio, più brucianti del tocco del sangue, a cui la sua pelle era abituata fin troppo; ascoltò i singhiozzi di un petto più ampio del suo senza muovere un muscolo; non reagì alle mani aggrappate alla stoffa dei suoi abiti come a un'ancora di salvezza, o di dannazione.

Quale splendida immagine di illusione.

Si costrinse ad accennare un nuovo sorriso, benché Raki non potesse vederlo.

– Ricordi quale creatura stai abbracciando, vero?

Ma quella volta, la ragione non avrebbe prevalso.

Raki scosse la testa e lo strinse più forte, piangendo sul suo collo.

E fu allora che quello spettro di anima nel petto di Easley tremò davvero. Era giusto chiamarlo anima? O era un inganno a se stesso? Quale importanza aveva, quando il morso di una sofferenza inquieta e quasi dimenticata si stringeva sulle sue viscere?

Fissò il blu del cielo, tentando di svuotare la propria mente.

Era un mostro. Nulla – né la morte di Priscilla, né il crollo dell'Organizzazione, né lo svanire delle guerriere – avrebbe potuto cambiare quel fatto così semplice, e così insovvertibile.

Aveva giocato troppo a lungo, si disse.

Gli dispiaceva.

Fu perfino più difficile accettarlo quando Raki si sollevò, quando fu possibile vedere il suo viso rovinato da lacrime e pianto – troppo vicino, e troppo umano.

– Grazie – mormorò il ragazzo, la voce rotta – Grazie.

Easley lasciò che un velo di tristezza attraversasse i propri occhi.

– Dovresti attendere la fine, per ringraziarmi o meno.

Ma Raki scosse la testa di nuovo. Si allontanò un poco da lui, lasciò la presa sulle sue spalle, si asciugò le guance con una mano; lo fissò di nuovo, con un coraggio così intenso, così colmo di speranza e forza, che mai sarebbe stato possibile scambiarlo per disperazione.

– Sono felice di aver viaggiato con te. Non ti dimenticherò mai. Io... combatterò. Come so che tu farai.

La dolcezza e l'amarezza. L'ingenuità e il fato. Un'umanità troppo profonda.

Ed Easley tornò ad ammorbidirsi – curvò le labbra di qualche invisibile millimetro.

Combattere. Un suono dal sapore più familiare, più sicuro.

– Sei saggio, per la tua età – osservò, riprendendo in fretta il controllo della propria ironia, del proprio sguardo affilato, di un animo forgiato dai secoli – Bene così, dunque.

Raki rimase a fissarlo, mentre troppe parole non dette sembravano vibrare nell'aria; ma Easley abbassò lo sguardo, scoprendo che il viso in ombra di Priscilla era rivolto verso di loro, in alto. In ascolto.

– Prenditi cura di lei.

Era strano, come nulla di quella frase avesse avuto il tono del sarcasmo. Ma, in fondo, il mondo non era tutto ciò che Raki avrebbe salvato.

Una volta che il ragazzo ebbe annuito, serio, Easley si allontanò di un passo, muovendosi verso la propria strada, sulla destra. Ma decise di voltarsi un'ultima volta, con il proprio sorriso più moderato e più vero – quello che voleva che quel giovane portasse con sé nel proprio cuore d'oro. Guardò i suoi occhi commossi, il suo volto rigido d'emozione, l'armatura scintillante.

Un fugace lampo di orgoglio, per il guerriero di cui più si fidava in quel mondo sull'orlo del baratro.

– Buon viaggio, Raki.

E con quelle ultime parole se ne andò, lasciandosi alle spalle per sempre l'inganno che gli aveva portato ciò che più di vicino alla gioia un mostro potesse provare.

Appena in tempo.

 

 

Le aveva già affrontate tre volte.

Quando cominciarono a correre, distanti, ma non abbastanza, lui si fermò, nel cuore della foresta buia in cui si era inoltrato – sentimenti altrettanto oscuri che si annodavano nelle sue viscere, mentre i suoi occhi si trasformavano in ghiaccio.

Anche l'Organizzazione si era impegnata a costruire il destino, pareva; possibilità che lui aveva sottovalutato troppo a lungo, poiché piani più grandi avevano occupato la sua mente mentre quei bastardi continuavano a strisciare sottoterra, aspettando solo il momento migliore per emergere dal fango e afferrare le sue caviglie con mani di scheletri.

Costruire, non piegare”, aveva detto. Lo credeva. Ma ciò non significava che lui non potesse scalciare e rompere quei teschi ghignanti che cercavano di morderlo. Se non fosse stato per loro, l'addio che gravava sul suo petto, l'odore di lacrime e quello della fine non avrebbero avuto motivo di esistere, ancora. Il tempo gocciolava, la fame lo corrodeva, ma l'onore e l'orgoglio bruciavano: forse il tempo per costruire non era terminato. Forse, battaglia dopo battaglia, fuga dopo fuga, ferita dopo ferita, sarebbe stato possibile formulare un piano, e schiacciare quei cani rabbiosi che osavano braccarlo, le pulci sul mantello di un Re.

Fino ad allora, tuttavia, i giorni sarebbero stati correre e combattere, benché, a parte se stesso, non ci fosse più nulla da proteggere.

 

Infine, arrivarono, trascinando i loro piedi sul suolo muschioso e irto di rami del sottobosco; scricchiolando, annusando, ansimando attraverso i loro denti fetidi, graffiando la corteccia degli alberi mentre vi si aggrappavano con i loro artigli. Scivolavano, ombre ruvide nel buio verdastro, coi loro suoni rivoltanti, con la loro angosciante e ingannevole lentezza – la preda raggiunta, un bersaglio quasi troppo facile.

Strisciarono fino a circondarlo, serrando il perimetro della larga radura in cui lui aveva scelto di attenderle, una dopo l'altra, passo dopo passo, mentre una nuvola oscurava il sole già incapace di farsi strada fino a terra. Forse si sentivano astute, ma Easley non vi trovò motivo di turbarsi: se avesse voluto scappare, avrebbe tentato con risultati migliori, non credevano? No: sapeva che lo avrebbero raggiunto. Sapeva che lo avevano trovato. Sapeva che nulla ormai le avrebbe fermate, eccetto lui stesso.

Rabbia. Disgusto. Disprezzo.

Vedeva i loro occhi orrendamente cuciti, udiva i loro respiri incerti e affamati.

Facciamola finita, puttane”.

Sollevò un braccio di lato, di scatto; e, come le bestie assetate di sangue che erano, le divoratrici balzarono fuori dai loro rifugi d'ombra e d'orrore, figure grigie che nulla più avevano di donna, e tutto dei mostri osceni che gli umani erano soliti fabbricare nei propri incubi, le zanne gialle e marce in mostra in un ghigno vuoto e insaziabile; ma Easley era pronto a dimostrare il valore di una creatura sorta davvero dal più nero degli Abissi.

La battaglia doveva finire in fretta – poco importava se avrebbe consumato le ultime briciole della sua energia: c'erano soluzioni migliori nel futuro, e doveva solo sopravvivere abbastanza a lungo da raggiungerle. E così, in un lampo che abbagliò perfino quelle orbite così orribilmente serrate, in un'esplosione che scosse il terreno e le radici stesse degli alberi, in un momento di caos e perfetto controllo, il centauro apparve.

La più pura e profonda forza dello Yoma riempì ogni suo nervo. Un istante, e le sue braccia erano un arco; quello successivo, le cervella bianche e ottuse della bestia di fronte a lui erano sparse sull'erba verde scuro, come neve caduta da un lurido cielo.

Tentò di dirigere gli altri dardi verso alcune delle sue compagne, ma esse si erano già riprese dal loro piatto, istintivo stupore, e schivarono – così veloci, troppo veloci.

Ed il primo morso già stringeva una delle sue caviglie.

Maledizione”.

Si liberò della creatura con un calcio, ma tre di loro stavano tentando di aggrapparsi alle sue braccia, arrampicandosi come ragni osceni. L'arco mutò in lame che troncarono quei corpi in due, lasciandoli precipitare sul terreno; ed Easley non si fermò a osservare il loro disgustoso riformarsi, le gambe ricrescere dal torso putrido – non mentre alcune delle bastarde avevano saltato abbastanza in alto da raggiungere il suo ventre, e le altre graffiavano e azzannavano le sue gambe, iniziando a strappare la carne.

Con un balzo di furia, con la velocità straordinaria di quel corpo immenso ma perfetto, Easley tentò di scrollarsele di dosso, tutte loro, fino all'ultima; non c'era spazio a sufficienza per non scontrarsi contro i tronchi neri degli alberi con un fianco, con un urto così poderoso da sradicarne tre con il proprio peso e spezzarne due con il movimento brusco di un braccio e delle sua coda. La foresta era troppo fitta perché cadessero, almeno fino a quando le altre file avrebbero retto, ma la terra fu scossa come se volesse ruggire, e le pulci furono costrette a lasciare la presa – cinque nuovi dardi furono incoccati in un battito di ciglia: tre andarono a vuoto, uno trapassò uno stomaco in pieno, solo il quinto centrò una testa.

Quattro in più. Solo quattro”.

E le sue gambe già dolevano, e la fame era più lancinante che mai. Ma un'idea prese forma nella sua mente, mentre già nuove mani strisciavano sul suo corpo – e doveva solo sperare di sfruttarla al meglio.

Prima che potesse anche solo tentare, quei denti penetrarono la sua pelle cento, mille, infinite volte. Arrivavano da troppe direzioni, troppo agili, troppo mostruose – le mutilò, le fece a pezzi, si torse con tutta la propria rabbia, e loro tornavano, come se inarrestabili, le labbra livide gocciolanti di saliva dall'odore di fiele. Non un solo sentimento di paura, in quei petti privi di cuore; niente dell'esitazione, dei piani, del coraggio e del fuoco delle guerriere d'argento; non un attimo di requie, non un singolo pensiero che non fosse di bestia.

Le odiava. Le odiava con tutto il furore di un orso legato a un palo e attaccato da meticci per il divertimento di chi piazzava le scommesse, e con lo sdegno di un principe in catene morso dai ratti di una prigione umida e marcia; odiava l'impotenza, odiava l'angoscia di essere la preda quando per secoli non aveva che cacciato, odiava scalciare come un qualsiasi puledro spaventato da una serpe o domato da una briglia; odiava perfino quell'odio, quei veleni che lo corrodevano, che offuscavano la sua mente e che mescolavano le aure impure che si agitavano attorno a lui.

Pochi dei suoi colpi mancavano, ora che la battaglia infuriava davvero, ora che più e più schegge di legno riempivano l'aria; ma nessuno funzionava, se non a rallentarle. Le sue energie si affievolivano a ogni dardo sprecato, a ogni morso che tentava di strappare la sua stessa carne dalle sue ossa; ma la rabbia continuò a bruciare, di minuto in minuto, fino a quando la sorte non decise di sorridergli, fino a quando non fu abbastanza veloce da calpestare la testa lurida di una divoratrice già priva di braccia e gambe con uno dei suoi zoccoli: una scintilla di sanguinosa speranza, la decisione di valere mille volte più di loro, la nuova fortuna di sentirne tre aggrappate insieme al proprio fianco, tentando di scavare nel suo ventre per trovare le sue viscere – tutte dalle medesima parte alla giusta distanza l'una dall'altra, nell'istante in cui lui prese coscienza che la fame e la confusione erano quasi al punto da essere insopportabili, nel secondo che lo trovò pronto ad agire per un'ultima, fatale volta.

Ignorò le altre sei, troppo disperse attorno a lui, per quanto ferocemente lo azzannassero; e con tutto il potere dell'Abisso, con la propria forza più brutale, con lo sforzo più immenso che potesse chiedere ai propri muscoli e ai propri nervi straordinari, con la velocità del più impercettibile battito di ciglia, Easley saltò di lato, scagliando il proprio intero corpo e il proprio peso contro gli alberi più larghi e robusti, costringendoli a crollare sui loro compagni – dolore lancinante sulla sua carne ferita, e il suono di tre mosche schiacciate contro tronchi neri antichi quanto il mondo.

Le lunghe gambe del centauro si piegarono nell'urto, le ginocchia raggiunsero il suolo senza che lui potesse fare nulla per evitarlo: il Re del Nord si accasciò, sconfitto dalla propria stessa potenza, ma un braccio ancora sollevato per proteggersi da coloro che avrebbero potuto attaccarlo dalla radura invasa da rami e foglie e polvere.

Ma le vide fermarsi, come raggelate, per istanti in cui perfino il cadere dei detriti dal cielo parve rallentare, come la prima neve d'inverno.

Sangue grondava dalle loro bocche di belve. I loro corpi nudi e grigi ricadevano flosci sulle loro ossa d'acciaio.

E poi andarono via.

Sei lampi, sei diverse strade in una foresta ancora scossa dal capitolare di un gigante.

Easley si alzò d'istinto su gambe deboli che a malapena riuscirono a reggerlo; barcollò fino al centro della radura, guardandosi attorno, sentendole sparire con una velocità troppo ampia per i suoi sensi stremati; si arrese prima ancora di tentare.

Non c'era modo di poterle seguire e distruggere per sempre. Non ancora. Non quella volta.

E così, come nel più squallido dei sogni, come nella più triste delle feste, come nei più vividi e spietati banchetti di morte, dopo il caos del sangue e delle mute grida, dopo il rombare di ogni ferita e di ogni pugno, e dopo lo scuotersi della natura e delle creature al di sopra di essa, non rimasero né vittoria né sconfitta.

Solo il bianco, nudo, emaciato corpo di un giovane dai capelli di neve, disteso su un fianco nella polvere di una pace presagio di sola guerra.

 

Non si prese il disturbo di misurare il tempo.

Non contò i propri lenti, silenziosi respiri; non ascoltò i battiti sordi del proprio cuore. Lasciò che una brezza inquieta lo accarezzasse con mani fredde, e che le schegge sotto di lui lo pungessero: poco aveva importanza.

Infine si sarebbe alzato, certo. Non era quello il luogo in cui sarebbe morto, né il momento – non dopo aver lottato così poco; ma quel riposo era inevitabile e necessario, per quanto lui lo detestasse, per quanto l'orgoglio gli impedisse di dormire. Le forze ritornavano a poco a poco, da recessi di energia che nemmeno era mai stato conscio di possedere, ma non era così sciocco da volerle sprecare troppo in fretta. Avrebbe atteso, gli occhi chiusi per non vedere le ombre né calare né svanire, senza pensare, ricordare o sperare; solo atteso, fino a quando alzarsi e rimettersi in viaggio non fosse stato semplice come impugnare una spada.

O tali erano state le sue intenzioni, prima che il fato decidesse di porgergli con garbo un quanto mai gradito aiuto.

Il trotto di tre cavalli. Odore di carne e tintinnio di staffe. Voci.

– Che diamine è successo, qui?

– Non avevo idea che il sentiero si interrompesse, oggigiorno...

– Nemmeno io.

– Ora dovremo aggirare questo disastro. Non possiamo certo tornare indietro!

– Dovrebbe esserci una radura qui attorno, ma dubito che esista ancora...

– Ma come è mai possibile che alberi come questi crollino?

– Non ne ho idea. Non ne sapevo nulla.

Il suono ritmico degli zoccoli ferrati sul terreno duro cominciò a farsi più vicino, seppur seguendo un percorso lento, strano, irregolare, su pietre, radici e rocce.

Easley non mosse un muscolo; non sorrise, né si agitò. Rimase immobile, senza coprirsi, senza nemmeno pensare ad alzarsi e ad andare loro incontro – non finché le sue prede, infine, si muovevano verso di lui con tale amabile, docile indole. Il fatto che non smettessero di parlare, di scambiarsi quei loro commenti vuoti e privi di qualsiasi scopo che non fosse produrre rumore, di lamentarsi delle loro effimere fatiche rendeva ancora più facile il compito di seguirli nei loro passi, senza che nemmeno un singolo sforzo di vera concentrazione gli fosse richiesto.

Il suo cuore era vuoto tanto quanto il suo stomaco.

Quando gli umani raggiunsero il limitare della radura, si fermarono, in un momento di stupito, profondo silenzio. Easley conosceva la ragione dello strano orientamento dei tronchi piegati e vinti, di come lo spiazzo nella foresta potesse ancora essere libero da ciò che non fossero modesti rami o piccoli, fastidiosi detriti, di ogni singolo dettaglio di ciò che era accaduto; ma non aveva certo alcune intenzione di condividere con chi il destino aveva designato come ignaro.

– Cosa diavolo...?

– Questo è... assurdo!

– Ehi! È un ragazzo, quello?

Una nuova pausa, dei sussulti, il nitrito di un cavallo.

– Una persona, senza dubbio...

– È... morto?

– Non lo so. Dobbiamo controllare. Potrebbe essere svenuto.

– Sei impazzito? Vuoi avvicinarti a qualcosa del genere?

– Cosa dovrei fare? Abbandonarlo lì?

– Non mi piace. Non mi piace per niente.

– Potrebbe essere un mostro che fa il morto.

– Potrebbe essere un umano ferito!

– In questo posto? In una foresta deserta? Senza vestiti? Non essere un idiota.

– Non perde nemmeno sangue.

– Andiamocene di qui, in fretta.

– Sono d'accordo.

– Voi fate come più vi aggrada. Ma dimenticate i briganti che si aggirano in questi luoghi. Non posso lasciarlo lì.

Un cavallo iniziò a dirigersi con cautela verso il centro della radura, mentre gli altri due si ritraevano appena, anche se con evidente esitazione.

Curiosità, presumibilmente. E la classica, tipica ingenuità umana. Appiccicosa? Dolce? Amara? No: in quel momento, solo ridicolmente patetica.

Né la generosità né la saggezza vi salveranno, oggi”.

– Ehi... mi senti? – piovve dall'alto la voce giovane e gentile, alta e sicura, nel momento in cui la presenza del cavallo divenne incombente sopra di lui.

Easley sollevò le palpebre. Guardò l'ombra dell'umano con la coda dell'occhio, senza nemmeno metterne a fuoco i lineamenti. Scomparve, o così sembrò.

Aveva abbastanza forze, per quello.

Per prima cosa, era utile assicurarsi che i due intelligenti codardi non cercassero di fuggire al galoppo. Non che lui non sarebbe stato in grado di catturarli in qualsiasi scenario, ma davvero non era in vena di cacciare o di muoversi più di quanto non fosse necessario. E così spezzò i loro colli fragili uno alla volta, con una sola mano, trascinando i corpi a terra, tra le gambe dei cavalli già in preda al terrore.

Non si curò dell'urlo di orrore che il loro cortese e altruista compagno lanciò.

Perlomeno non dovrai convivere con l'idea di averli condannati. Sbagliata, peraltro”.

Un dono estremamente magnanimo, lasciare cadere i due cadaveri al centro della radura e trapassargli il petto con un braccio. O così poteva essere piacevole pensare.

Gli animali fuggirono, scalpitando, nella foresta in cui i loro predatori li avrebbero prima o poi abbattuti, specie perché la notte era vicina a cadere. E dunque rimase solo il tonfo delle ginocchia di Easley di nuovo sul terreno, e il primo strapparsi delle vesti e delle carni.

Si nutrì. Mangiò fino a lasciare solo le ossa e le teste dagli occhi vuoti. Usò le mani per aprire i loro ventri e vi affondò il volto, ingoiando frammenti di organi masticando a malapena. Erano caldi, e bruciavano lungo la sua gola e nel suo stomaco, intestini, cuori, muscoli, pelle: sapori mai dimenticati, e agognati troppo a lungo. Si ricoprì di rosso vischioso, l'odore minacciò di stordirlo come il liquore annebbiava le menti degli uomini, il gusto ferreo si fece più intenso a ogni morso. Spezzò tendini e giunture, sfondò costole e bacini e nervi, non lasciò neppure un lembo di carne attaccato alla più piccola delle falangi. Si immerse nell'ebbrezza, e la fame pareva crescere anziché soddisfarsi; si ritrovò in compagnia di quelli che nemmeno potevano essere chiamati relitti, e sapeva di necessitare di più, di più, di più, benché già si sentisse più forte del se stesso che ancora non aveva affrontato le divoratrici quel giorno. Ma era così insaziabile, così bramoso di quella dolcezza tiepida vicina al più puro dei piaceri, che nel fissare una goccia di sangue un poco più scura scorrere dal palmo della sua mano sul polso e poi lungo l'avambraccio, non poté che leccarla per poterla bere; e fu in quell'attimo che un brivido corse lungo la sua schiena, così intenso da farlo tremare, i denti ancora premuti sulla propria stessa carne.

L'odore. Quell'immagine di se stesso.

Misto a un innaturale disgusto, quell'inspiegabile sollievo, più nero dell'Abisso.

Essere così grato a un destino beffardo, solo perché mai Raki l'aveva visto così, e mai sarebbe accaduto.

 

Avrebbe trovato un fiume in cui ripulirsi; avrebbe portato con sé uno dei mantelli da viaggio di quegli uomini, fino a quando non fosse riuscito a procurarsi abiti migliori; avrebbe vagato nel Sud, un principe esiliato. Avrebbe continuato ad affrontare qualsiasi arma l'Organizzazione avesse deciso di scagliargli contro, e forse avrebbe perfino pregato, perché quel ragazzo sopravvivesse e trovasse colei che stava cercando, prima di scendere nella propria ultima battaglia.

Una memoria era stata abbastanza per schiarire la sua mente, per strapparlo dall'apatia di uno scontro appena concluso e dalla folle euforia di un pasto mostruoso: era molto più di tutto ciò.

Era un guerriero, era un Re. Era piani e vivere nell'ombra. Era vendetta, forse, ed era la solitudine dei ghiacci di montagne troppo lontane perché gli uomini le conoscessero.

Se Raki avrebbe combattuto, se una singola speranza di rimettere insieme i cocci già appassiti del miraggio di una famiglia effimera esisteva, non c'era ragione perché Easley si fermasse. Quel ragazzo aveva già abbracciato fin troppo in fondo il confine tra umano e Yoma, trascinando l'Abisso con sé. Divisi da guerra e condanna, forse entrambi avrebbero dimenticato, ritornando alla sicurezza di ciò che avevano sempre conosciuto; o forse lo sguardo e il sorriso di un giovane eroe erano ciò che Easley doveva desiderare di rivedere, attraverso le spade e le divoratrici affamate della sua carne.

Forse, nella maniera di un mostro, pronto a distruggere per non essere distrutto, e a usare la crudeltà e la rabbia degli incubi, a non lasciarsi schiacciare, forse un futuro era ancora possibile.

Nella maniera di un mostro, forse non era così sciocco sperare.

 

 

 

Spazio autrice: per chi si stesse chiedendo come Easley sia sopravvissuto per un paio di anni alle divoratrici quando qui è dipinto così relativamente debole, l'unica risposta che darò è: mangiando. Chi vuole intendere intenda. :P

E con questo si conclude il nostro breve viaggio insieme. Spero una volta di più che abbiate trovato la mia fanfiction apprezzabile! Un bacione, e grazie per aver letto.

   
 
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