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Autore: _mengoni    08/08/2016    0 recensioni
[Death]
Sono passati tanti anni dalla morte di Chuck Schuldiner e la figlia Madison, ormai adulta, decide di scrivergli una lettera. Ma, dato che all'epoca era solo una bambina, del padre non ricorda la fama e il successo, bensì la parte di vita privata che solo la famiglia poteva conoscere.
Genere: Drammatico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro papà,
 
Oggi è il 13 dicembre.
Già, è una data da ricordare.
Quanti anni sono passati? Quindici.
Come se non lo sapessi. Come se potessi far finta di niente. Come se riuscissi a dimenticare il giorno in cui ho perso la persona più importante del mondo.
 
Quel 13 dicembre del 2001 per me è cambiato tutto, nemmeno io sono più la stessa.
Nonostante tutti quanti abbiano tentato di fare qualcosa, nessuno è mai riuscito a farmi continuare a vivere. Sono rimasta ferma al giorno della tua morte.
Perché infondo una parte di me è morta insieme a te.
 
Mi piacerebbe avere un po’ più di ricordi, ma la mamma dice che devo farmi bastare quelli che ho.
Hanno un grande valore per me, infatti li custodisco nella mia mente come cose preziose.
Ho nostalgia di tutti quei momenti, non so cosa darei per poterli rivivere ancora.
 
Te la ricordi quella volta che hai suonato Voice Of The Soul solo per me? Io si.
Mi dicevi sempre che quella canzone l’avevi scritta mentre pensavi a me. E ora, ogni volta che la ascolto, sono io che penso a te.
Quelle note sono capaci di suscitarmi emozioni indescrivibili.
 
Adoravo rimanere a casa da sola con te, in quelle sere in cui mamma andava a lavorare.
Ci mettevamo sul divano, a parlare e ridere mentre guardavamo la tv. Poi, quando finivano i programmi, io mi sdraiavo fra le tue braccia ad ascoltare le storie che mi raccontavi. E mi addormentavo cullata dalle tue carezze e dai tuoi baci.
A volte prima di dormire penso ancora alla tua voce che mi sussurrava “Buonanotte, piccola mia”. Mi basterebbe guardarti negli occhi per fare sonni tranquilli.
 
Mi divertivo un sacco ai tuoi concerti. Tutta quella gente, le luci sul palco, la musica della tua band. Era bellissimo sentirti cantare e vederti con la chitarra in mano, mentre ti avvicinavi al bordo del palco ed incrociavi i nostri sguardi, sorridendo quasi commosso. Era bellissimo quando dicevi che una canzone era dedicata a me e tutto il pubblico applaudiva, urlando il mio nome.
Vorrei tanto che lo facessi ancora una volta, come spesso accade nei miei sogni.
 
E poi c’erano le gite che facevamo tutti insieme. In pochi anni ci hai portato ovunque.
Al mare, dove mi hai insegnato a nuotare. In montagna, dove mi prendevi in braccio quando mi stancavo di camminare. In campagna, dove di giorno abbiamo fatto un pic-nic e di sera abbiamo guardato le stelle stesi su un grande prato. Quella volta mi hai anche regalato una stella, io l’ho scelta e tu l’hai chiamata come me.
Ora quella stella sei tu. La guardo spesso, è la più luminosa di tutto il cielo.
 
L’ultima volta che ho sorriso davvero è stata a natale.
Ricordo che alla vigilia avevamo addobbato un grandissimo albero e poi erano venuti tutti i nostri parenti per un’abbondante cena.
Credo che da qualche parte abbiamo conservato un video di quel giorno, il nonno ti ha ripreso mentre a mezzanotte scartavi il mio regalo. Ti avevo fatto un disegno e ci avevo scritto sopra una di quelle frasi che i bambini inventano per i propri genitori.
Eri così contento di riceverlo che non la smettevi di farmi il solletico. E abbiamo riso, fino alle lacrime.
 
Ma poi, solo pochi mesi dopo, è arrivata quella maledetta telefonata. Stavamo festeggiando il tuo compleanno quando la mamma ti ha preso per mano e ti ha portato dentro casa. Mi misi ad origliare, ma non sentii quello che ti disse.
Quando siete usciti di nuovo avevate le lacrime agli occhi, stavate piangendo.
 
“Madison, il papà è malato”. Fu la mamma a dirmelo qualche giorno dopo.
All’epoca non capivo cosa fosse il cancro, ma mi ero accorta che in te c’era qualcosa che non andava.
Il tuo sorriso era più triste, la luce nei tuoi occhi brillava un po’ meno. Ma non si era ancora spenta, in realtà non si è mai spenta.
 
Tu non volevi farmi vedere che le cose erano cambiate, facevi di tutto per apparire lo stesso di sempre.
Nei giorni in cui stavi meglio giocavi con me, mi portavi alle giostre e al parco, andavamo in giro per la città e al ristorante con la mamma.
Ma c’erano giorni in cui dormivi sempre e la mamma mi diceva di non svegliarti. E c’erano notti in cui ti sentivo urlare e mi veniva da piangere.
 
In quel periodo conobbi gli ospedali, tu ci entravi e ci uscivi continuamente.
Spesso rimanevo con i nonni e loro mi dicevano che i medici ti avrebbero curato e che saresti guarito.
Ci credevo, infondo facevamo il possibile per crederci tutti quanti.
 
I problemi economici poi non ci hanno affatto aiutato. Ad un certo punto sentii la mamma che telefonava a qualcuno dicendo che avevamo bisogno di donazioni, altrimenti non ti saresti potuto operare.
 
E intanto il tempo passava tra alti e bassi.
Io mi ero abituata al fatto che con te non potessi più farmi il bagno in piscina o che non potessimo più correre in giardino con il nostro cagnolino. Ma non aveva importanza, insieme potevamo fare tante altre cose. Mi bastava poter stare con te.
È quello che vorrei ancora.
 
Mi ricordo che un giorno la mamma aveva avuto un impegno improvviso ed  io ero rimasta con te. Ti avevo fatto compagnia mentre eri a letto, era la volta in cui mi avevi chiesto di ballare e cantare per te.
Poi ti eri alzato un po’ a fatica ed avevi preso la tua chitarra dall’armadio.
“È arrivato il momento di far uscire la piccola chitarrista che c’è in te”mi avevi detto.
Mi ero seduta sulle tue ginocchia e, con la chitarra in grembo, lasciavo che le tue mani guidassero le mie su corde e tasti.
Lo so, tu ci tenevi. Volevi che diventassi come te, una grande chitarrista degna di essere tua figlia.
Ma io non l’ho fatto. Da quel giorno non ho più preso in mano una chitarra. Non ho mai imparato a suonare perché tu non hai fatto in tempo ad insegnarmelo.
 
Negli ultimi tempi facevamo sempre meno cose insieme.
Le cure ti facevano stare male e la mamma mi portava via di casa per non farmi assistere ai tuoi momenti peggiori. Quando rimanevo a casa però nella tua stanza ci venivo sempre, anche solo per guardarti dalla porta semiaperta.
Iniziavi già a mancarmi, rivolevo il mio papà pieno di energie che mi portava allo zoo e faceva le imitazioni degli animali per farmi divertire. Volevo che tornassi quello di prima.
Ora vorrei solo che tornassi.
 
L'ultimo compleanno che abbiamo trascorso insieme fu il mio. Compivo sei anni.
Quando quella mattina mi ero svegliata avevo trovato la casa piena di decorazioni e tu eri in giardino, sulla sdraia, con un pacchetto tra le mani. Nonostante la debolezza avevi appeso i festoni ed eri uscito per comprarmi un regalo.
“Buon compleanno, cucciola”. Mi sono avvicinata di corsa e ti ho abbracciato, lasciandoti un lungo bacio sulla guancia. E allora ho scartato il regalo, tu eri impaziente di vedere se mi sarebbe piaciuto. Ci avevi messo tutto te stesso a sceglierlo.
Non te l’ho mai detto, ma qualunque cosa mi avresti regalato sarebbe stata quello che volevo.
Anche durante la festa hai fatto tutto il possibile per farmi sentire speciale, mi avevi promesso che quello sarebbe stato il mio giorno migliore. E lo è stato. Ma non per la torta che avevamo mangiato tutti insieme nel giardino di casa e nemmeno per i regali. Lo è stato perché c’eri tu, che resistevi al dolore pur di prendermi sulle spalle e che mi hai cantato la canzone di tanti auguri facendo dei riff con la chitarra elettrica.
Conservo ancora la foto che la nonna ci ha scattato insieme prima che spegnessi le candeline, l’ho tolta dall’album di famiglia e l’ho tenuta per me. È la mia preferita.
Il desiderio che ho espresso allora è lo stesso che esprimo ogni volta che vedo una stella cadente e che non si è ancora avverato. Desidero stare insieme a te, per sempre.
 
Gli ultimi ricordi che ho di te sono quelli che più spesso mi fanno sorridere e piangere allo stesso tempo.
 
Poco prima che ti prendessi la polmonite avevamo passato un pomeriggio in cortile. Mi stavi insegnando ad andare in bicicletta, reggendomi il sellino mentre pedalavo e dicendomi come muovere il manubrio.
La mamma non voleva che ti sforzassi così tanto, ma quel giorno tu avevi insistito dicendo che dovevi assolutamente fare qualcosa per me e che quella era la cosa più divertente che ti era venuta in mente.
Ma proprio quando presi l’equilibrio, tu hai ceduto e sei caduto a terra. Sono caduta anche io, abbandonando la bicicletta e correndo verso di te.
“Sto bene, non preoccuparti” mi hai sussurrato con un filo di voce, prima che la mamma ti aiutasse ad alzarti e ti accompagnasse in camera.
Da quel giorno non sei più uscito di casa, non ti sei nemmeno più alzato dal letto.
 
Passai svariati pomeriggi stesa accanto a te, a farmi accarezzare i capelli e a raccontarti quello che facevo durante le mie giornate passate tra la scuola e la casa dei nonni.
 
“Il papà sta molto male, ha bisogno di te. Vuole che vada da lui”. La mamma me lo disse uscendo dalla tua stanza, con gli occhi gonfi, arrossati e la voce rotta dal pianto. Se fossi stata più grande avrei capito, ma una bambina non pensa a certe cose.
Quando mi hai vista hai sorriso, ma gli occhi ti si sono riempiti di lacrime. Mi hai fatto cenno di sedermi sul letto accanto a te.
 “Oh, piccola mia” hai mormorato dopo un sospiro. Io ti ho preso la mano.
Ora so che non trovavi il modo di dirmi che stavi morendo.
Ma non sono servite molte parole.
Con le poche forze che ti rimanevano mi hai attirata verso di te e mi hai stretta in un lunghissimo abbraccio.
“Io non me ne andrò mai per davvero, resterò sempre accanto a te e alla mamma”.
“Me lo prometti?” dissi io, appoggiata al tuo petto.
“ Te lo prometto” mi hai risposto.
Mi sollevai appena per vedere il tuo viso. Stavi piangendo, iniziai a piangere anche io.
“Ti voglio bene” mi hai detto, con la voce flebile e gli occhi ridotti a due fessure.
“ Anche io”. E ti accarezzai una guancia, mentre chiudevi gli occhi e smettevi per sempre di respirare. Giurerei di aver sentito il tuo cuore battere un’ultima volta, soltanto per me.
Mi sporsi per baciare la tua fronte sudata e poi me ne andai, voltandomi e capendo che il mio papà se n’era andato per davvero.
L’ultima cosa che ricordo di quel giorno fu l’abbraccio della mamma ed i nostri singhiozzi.
 
Era il 13 dicembre.
Anche oggi è il 13 dicembre.
Ma è una data da dimenticare.
E ripenso a te mentre guardo giù dal tetto del mio palazzo, in bilico sul cornicione.
 
Ti dico tutto questo perché mi manchi.
Mi manca il tuo sorriso, mi mancano i tuoi abbracci, i tuoi baci, le tue carezze. Mi mancano anche le tue lacrime, che ora sono diventate le mie. Mi mancano tutti i momenti, belli o brutti, che ho passato con te.
Mi manca il papà dolce che mi faceva le coccole, mi manca il papà arrabbiato che mi sgridava per insegnarmi qualcosa, mi manca il papà comprensivo che mi aiutava a risolvere i problemi, mi manca il papà simpatico che mi faceva divertire.
Mi manca tutto di te.
Mi manchi tu, papà.
 
Vorrei solo averti ancora qui con me.
Infondo l’hai promesso, no? Tu ci saresti sempre stato.
Ma forse certe promesse non si possono mantenere.
 
Verrò io da te, allora. Aspettami.
Mi butterò, sarà solo un attimo. E ci rivedremo, finalmente.
Chiedo solo che il mio corpo diventi cenere, proprio come il tuo.
 
Infondo non c’è altro modo, non posso fare altrimenti.
Perché tu vorresti che ti dimenticassi, ma io proprio non posso.
 
Ti voglio bene.  E ti ringrazio, di tutto.
 
Adesso arrivo, papà.
 

La tua piccola Mad.

 

   
 
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