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Autore: milla4    08/08/2016    2 recensioni
"Famiglia" è una parola che intende qualcosa di dinamico, qualcosa che nel tempo cambia e si rinnova; i componenti cambiano, alcuni vengono altri se ne vanno. Tutto scorre, ma non tutto viene eliminato con il tempo: bugie, errori, parole di fiele, anche questo è il bagaglio di una famiglia.
La Grande Famiglia di Downton non è un'eccezione.
[personaggio centrale: Marigold]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edith Crawley, Mary Crawley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo vide inciampare e cadere per terra sulle ginocchia;  era stato tutto molto veloce… stava rincorrendo Milo,  il piccolo e irrequieto cane maltese di famiglia per poi cadere.
 Subito si precipitò verso di lui, come solo una madre potrebbe fare: si era sempre detta che non sarebbe stata come quelle madri asfissianti, che oramai erano quasi gli anni cinquanta, i tempi delle istitutrici e dei corpetti erano finiti.
Come la guerra che, sì, aveva cambiato tutto.
 
Marigold si protese verso il suo bambino, Michael, quasi inconsciamente, guidata da un qualcosa che Edith avrebbe sicuramente chiamato istinto materno e forse, per questa volta, le avrebbe dato ragione.
-Tutto bene, piccolo?- era il suo soprannome “piccolo”.
 -Mamma, mi fa male il ginocchio.- piagnucolò il bambino; Marigold si affrettò a guardare la ferita che subito si rivelò poco sanguinante.
-Non è nulla, Michael: vai in casa dalla Signora Wright e dille di medicarti-.
 
No, non ce l’avrebbe mai fatta ad essere una mamma moderna;  in fondo era figlia degli anni venti ed anche se erano nel 1947, lei sentiva di provenire da un altro pianeta. Sospirò.
 Altro pianeta, altro mondo… quant’era diversa la sua casa di Londra rispetto allo splendido castello in cui era cresciuta, con Edith e Bertie.

Edith… non riusciva ancora a chiamarla “mamma” anche se erano passati ben dieci anni dal giorno in cui le aveva rivelato chi in realtà lei fosse,  di chi era figlia.
Non sapeva neanche lei il perché, forse per le bugie raccontatele in quindici anni o per gli infidi pettegolezzi che giravano tra l’alta società, o forse perché aveva rotto un incantesimo che non voleva fosse rotto.
 
-Marigold! Marigold!-  la Signora Pansey, la governante, la richiamò dai suoi eterni pensieri: la sua voce era strana, quasi gracchiante.
-Cosa succede?- che il suo Micheal si fosse fatto male seriamente?
-Vostra  zia… venite al telefono, presto-
Mary.
 
Corse più veloce che la gonna che portava le permettesse; arrivata alla cornetta si fermò. Voleva davvero sapere?
No. Questa volta no.
 Avrebbe voluto essere all’oscuro di qualcosa, per la prima volta in vita sua voleva essere solo Marigold Drewe, vedova di Alfred Marlin,  psicologo.
 
Punto.
 
Abbassò la cornetta in tutta fretta e si sedette tremante sulla sedia accanto al mobile che su cui era poggiato il telefono. E pianse.
 
 
 
22 Ottobre 1938 - Brancaster Castle
 
-Shhh! Fai silenzio, se Hanna ci scopre sono guai!- George era impaurito , nei suoi occhi c’era il terrore di chi ha visto la morte più e più volte,  che in questo caso aveva il volto della cameriera personale di sua madre.
 
Erano scappati, quella sera si erano dati appuntamento alle dieci di sera accanto al grande pioppo che si trovava alla destra del castello.
Il parco era immenso, o meglio non vi era un vero e proprio parco, solo una vastità di verde e bianco, in inverno.
 
Era tutto programmato da mesi ormai, la grande fiera del paese era un’istituzione per loro, da quando Marigold, trasferitasi al castello, vi era stata portata una domenica di Luglio da Bertie, il marchese di Hexham.
Era stato così strano e spettacolare allo stesso tempo, luci e colori si fondevano insieme; i clown, i dolci e, soprattutto, la ruota panoramica, erano fuori da qualsiasi immaginazione che la bambina avesse mai pensato.
L’anno dopo, quando Lady  Mary venne a trovare sua sorella, portò con sé George.
Marigold era riuscita a convincere la sua tutrice a far portare loro bambini nel suo grande mondo magico. E da lì tutto ebbe inizio.
 
-Forza, sei lenta come una lumaca- George le tese una mano per trascinarla con sé in quella corsa sfrenata verso la macchina che li avrebbe portati al paese.
 
Erano poco più che adolescenti, ma sapevano che dovevano cogliere tutte le opportunità della vita perché la guerra stava distruggendo tutto ciò che era stato faticosamente riscostruitolo dopo l’avvento di sua sorella maggiore, la Grande guerra.
George era stato risparmiato per via di una gamba lievemente zoppicante dovuta ad una caduta da cavallo quando aveva dieci anni e Marigold non smise un solo giorno di ringraziare quello splendido animale.
 
Saliti in macchina non parlarono, l’agitazione era troppo alta: stavano infrangendo mote regole, lei era un’orfana e lui il nipote nobile della sua tutrice, c’era tutto per uno bello scandalo.
 
La macchina li fece scendere proprio sotto Ruth, la ruota panoramica, come l’avevano soprannominata da bambini; presero i biglietti e salirono. Di nuovo, ma con occhi diversi.
 
-Hai freddo?-  Marigold sussultò:  George l’aveva sorpresa dopo minuti di silenzio imbarazzante.
-Uh? No, no… grazie-
-Di cosa?-
-N-non lo so, per la domanda credo-
 
Mani sudate, occhi che non si incontravano; era tutto diverso dall’ultima volta di due anni prima, tutto era diverso.
In quel tempo interminabile di separazione si erano scritti lettere su lettere e qualcosa in loro era cambiato, sbocciato.
Geroge le scriveva del divorzio di sua madre con il suo patrigno, il buon vecchio Henry, che non riusciva a reggere una moglie come sua madre e, Marigold lo rincuorava come poteva, sentendo il dolore del suo amico arrivare a toccarle il cuore come un filo diretto.
 
Ed ora eccoli lì, stretti l’una all’altro, aspettando un qualcosa di cui non conoscevano neanche la forma ma che sapevano sarebbe accaduto.
Il ragazzo fece la prima mossa toccando con la propria mano quella della ragazza accanto a lui che, se all’inizio si mostrò imbarazzata, presto ricambiò quella carezza che li stava proiettando in un altro mondo.
Erano lì, solo loro, senza tutori, madri apprensive, cameriere personali, solo loro.
 
E la differenza di estrazione sociale.
 
Non potevano negarlo, lui avrebbe ereditato un titolo importante con i doveri che ne derivavano  e lei non sapeva nemmeno che volto avessero i suoi genitori.
Lo zio Tom era stata un’eccezione, come h Henry. Due eccezioni non fanno una regola, tanto più nel loro mondo.
Ma erano giovani e forse innamorati e tanto bastava, loro.
Un bacio, un semplice bacio e poi tutto dovette finire; Hanna era riuscita a scovarli e li riportò in casa.
Poi tutto fu rivelato.

 
 
 
 
 
 
Marigold smise di piangere, doveva essere forte, voleva essere forte; dopotutto era figlia di suo padre, Michael Gregson da cui aveva ripreso delle orecchie non proprio piccole, capelli castani ma, soprattutto, una caparbietà senza pari.
Lui aveva voluto sua madre, Edith, come Marigold aveva voluto suo marito, Alfred: entrambi ottennero ciò che avevano voluto.
Ripensò alla foto che Edith le consegnò poco dopo averle confessato di essere sua figlia, quella fatidica notte in cui la sua vita fu fermata per ricominciare per altra via; era nascosta in fondo al comodino, non la osservava spesso, ogni volta scopriva troppe cose in comune, e la faceva stare male.
 
-Signora tutto bene?-
-Certo, certo… era caduta la linea, ora richiamo- .
Non sapeva neanche lei il perché ma sentiva come il dovere di darle una spiegazione.
Riprese la cornetta in mano per un paio di secondi poi, si fece passare il numero dal centralino.
Il suo passato stava rientrando a gamba tesa nella sua nuova vita borghese; dopo questa chiamata sarebbe dovuta rientrare a Downtown Abbey per dare l’ultimo saluto  a l’unico zio che avesse mai avuto e amato e avrebbe rivisto sua madre, Edith.
 
-Micheal, piccolo, ti devo parlare.-.
 
 
 


 
 *


 
 
 
 
Era stato un viaggio lungo e triste; Tom era morto prima che giungesse a destinazione cosicché si preparò ad andare direttamente al  suo funerale.
Le dispiaceva per Sibyl, ora era orfana di entrambi i genitori; aveva sentito George poco prima di partire: grave insufficienza polmonare.
 
Michael era agitato, non conosceva Downtown, non c’era mai venuto da quando era nato, anche se ormai quella non era Downtown, la vera Downtown.
 
Anche la “casa” era stata spazzata via dalla seconda guerra:  Carson era andato in pensione e sua moglie aveva lasciato il lavoro per assisterlo; la signora Pattmore gestiva la sua locanda e veniva a portare solo i pasti; il resto del personale  oltre Thomas, Bates e Hanna era costituito da personale affiatato per le grandi occasioni.
 Era finito il tempo degli sprechi, questa volta per davvero.
 
Li accolse Cora, nel suo volto tutto il dolore per la perdita di un figlio, subito dopo incontrarono gli altri membri della famiglia, giunti lì per l’occasione: Sibyl con suo marito;  George;  Mary e tutti coloro che lo avevano amato.
Talbot era in disparte, non era stato un divorzio felice, specie per Mary che aveva visto nell’allontanamento del marito una sconfitta personale difficile da mandare giù.
 
La funzione fu semplice, senza fronzoli, come Tom Branson; Marigold e suo figlio avrebbero soggiornato nella grande casa vuota: era stata una richiesta di Edith, glielo doveva.
 
 
La trovò seduta su una panchina sotto un larice, nel parco; Edith aveva in braccio  il figlio più piccolo avuto da Bertie, addormentato sulla sua spalla.
Era una marchesa, ma amava i suoi figli e voleva stare con loro.
-Ciao- Edith alzò gli occhi che si illuminarono seppur velati di tristezza -Ciao-.
Marigold indicò il bambino, Edith sorrise.
 -È stanco, la giornata è stata lunga per lui-.
 Marigold era interdetta, ma decise di sedersi accanto alla madre. Doveva proave a ricucire quel rapporto prima che fosse toppo tardi.
 
Erano sedute vicino eppure né l’una né l’altra parlava, aspettando che l’altra cominciasse un argomento qualsiasi; fu Edith  a toglierle dall’imbarazzo.
 
-Allora, ho sentito che il piccolo Michael ha cominciato ad andare a scuola…- nel pronunciare quel nome la sua voce ebbe un’inflessione: era stato il suo primo grande amore e la fine così repentina, senza la possibilità di dirsi addio, lo aveva cristallizzato nel suo cuore per sempre, anche se ora era mamma di quattro figli, anche se amava Bertie come mai avrebbe creduto.
-Si… è una scuola privata vicino al mio ufficio; io lo accompagno la mattina e la tata lo va a prendere il pomeriggio.
 
-Oh bene…  l’inizio non sarà semplice, farà tante storie per rimanere in casa, ma tu non demordere. Avrei voluto mandare sia Thomas che Margareth in una scuola normale, senza avere un’istitutrice, ma Lady  Pelham  era fortemente contraria.
Ora che lei purtroppo non c’è più, potrò iscrivere almeno Peter tra qualche anno.-
 
Non era una conversazione quella, solo poche semplici frasi intervallate da lunghi silenzi carichi di aspettative; durante quei momenti Marigold si sentiva in agitazione perché le balenavano nella testa solo domande inerenti a suo padre ed aveva paura a farle per sentirsi dire un no.
 
-… tuo padre… mi ha corteggiata molto, sin dalla prima volta che ci siamo incontrati; oserei dire quando ancora sapeva di me solo il nome scritto in un articolo di giornale.-
 
Edith guardò sua figlia stupirsi di fronte a quelle parole; in tutti quegli anni non avevano mai parlato di ciò che era successo al padre della ragazza e, dopo la morte di Alfred, sembrava un argomento troppo dooroso da affrontare. Ma Edith sapeva che le bugie, le menzogne feriscono più della verità più ostica, più delle parole di veleno sputate in faccia.
La morte di Tom, poi, del caro Tom le a aveva fatto capire  che anche se si sentiva ancora giovane, i suoi capelli cominciavano a tingersi di grigio,  piccole rughe solitarie stavano comparendo ai lati della sua bocca e che quindi non poteva aspettare altri vent’anni per lasciare uscire “Michael” da sé, non poteva lasciare sua figlia senza un padre, un’altra volta.
 
-Era strano per me pensare che qualcuno mi volesse… me, Edith Crowley,  secondogenita del conte di  Grantham, ragazza non di eccezionale bellezza o intelligenza, in pratica lo scarto della famiglia.
Ma invece lui volle me, con i mie difetti, con la mia famiglia ingombrante… con tua zia Mary.- Sorrise.
- Aveva deciso di prendersi il pacchetto completo, per me.
Tu… tu sei una grande parte di lui, non solo per la vostra somiglianza, ma perché tu sai cosa vuoi e cosa non vuoi e in questo non hai preso da me e ringrazio Dio di questo.-
 
Marigold assorbiva quelle parole come un nettare divino, pendeva dalle labbra della donna che l’aveva cresciuta e che non riusciva a chiamare madre, che le stava aprendo il cuore a nuove informazioni, nuovi sentimenti.
-Ti ricordi quando mi hai detto che io ero tua figlia?-
Rise nervosamente –E come potrei dimenticarlo?-
-Quella sera, George mi avrebbe chiesto di fidanzarci. E ti ho odiato come non mai per avermi privato di quella gioia, per aver reso improvvisamente un rapporto così puro in qualcosa di ignobile, malato, perverso e forse un po’ di quella rabbia l’ho con me ancora addosso.-
Altra verità taciuta, altro dolore inutile.
 
-È per questo che ti sei allontanata? Per George?- Edith  guardò sua figlia con occhi nuovi: credeva che ce l’avesse con lei per verle mentito, non aveva pensato minimamente a quello che le stava succedendo.
L’aveva considerata una bega da ragazzini, mentre per lei era stata importante.
-Credo… credo di sì, o almeno questa è una delle motivazioni principali. Diciamo che l’età non ha aiutato e poi il college, Alfred, il matrimonio… e scappare mi era sembrata la soluzione più giusta.-
Silenzio.
 
-Lo ami ancora?-
 -Chi?-
-George…-
- Amore non credo, ma qualcosa di lui mi è rimasto, ormai però ho chiuso con tutto,  mi sono abituata al fatto che sia sbagliato-
Edith sorrise – Cara, imparerai troppo presto che in questa vita di amore ce n’è veramente poco…  io ringrazio ogni giorno per il mio Bertie, ma certo la mia vita sentimentale non è stata delle più brillanti-
 
Marigold sapeva di cosa stesse parlando: lasciata sull’altare, incinta di un uomo che era emigrato per lei e che era scomparso nel nulla poco dopo... Edith non poteva essere considerata una donna fortunata e, forse, un po’ di quella sfortuna l’aveva eredita anche lei.
Smisero di parlare per osservare Michael e Thomas correre per la colina; dovevano essere zio e nipote ma la differenza di età di soli due anni annullava quel vincolo di parentela rendendoli solo due bambini che giocavano a rincorrersi; l’altra sorella, Margareth era in un collegio per signorine dell’alta società.
Sembrava tutto così normale eppure da quel giorno in poi un altro membro della famiglia si sarebbe aggiunto alla tomba familiare. Il più giusto e onesto.
 
-Edith, Edith- una voce maschile chiamò la marchesa con agitazione, Bertie agitava il braccio in aria cercando di richiamare la loro attenzione: era l’ora della sepoltura.
Entrambe le donne si alzarono compostamente dalla panchina e, presi i propri figli si diressero verso le rispettive macchine per andare al cimitero.
 Per Marigold il viaggio fu un’agonia: se per sua madre la morte del suo amato era stata improvvisa e senza un corpo da seppellire, per lei era stato terribile dover scegliere la bara, i vestiti che avrebbe dovuto indossare il suo Alfred e, soprattutto il viaggio in auto fino al cimitero, con imbraccio un bambino troppo piccolo per ricordare bene e troppo grande per dimenticare.
 
 
Erano tutti lì, ognuno accanto a l’altro, i membri rimasti di una grande casata nobiliare: sua nonna Cora, sua zia Mary, Rose e Atticus, Daisy con suo marito, Henry Talbot ed infine George.
Solo in disparte, il suo tight era all’ultima moda come si addiceva ad uno degli scapoli più ambiti di Londra.
 
Non aveva legato molto con lo zio irlandese forse fu l’unico che non lo aveva conosciuto davvero bene… erano troppo diversi, crescendo George aveva espresso i peggiori tratti del carattere della madre; era per questo che Marigold  sapeva di non amarlo in più.
 Oltre la fatto di essere cugini, erano anche profondamente diversi, gli voleva ancora bene ma di un sentimento in cui la passione era stata spenta.
 
Tutto durò sin troppo poco;  la vedova Branson con Sibyl e Anne si diressero verso l’auto che li avrebbe condotti nuovamente alla tenuta, gli altri si comportarono i modo diverso.
Marigold si accostò a sua madre che per l’emozione si era sentita svenire e quindi accasciata su una sedia; Mary la guardò con profondo disprezzo: era lei che era stata più legata a Tom, non certo Edith;  era veramente ridicola… la povera piccola Edith la cui vita era stata ricca di ingiustizie…
 
E allora lei? Aver perso l’amore della sua vita il giorno in cui il suo unico figlio era venuto al mondo; sposarsi con un uomo, perdere il loro bambino e  vederlo allontanarsi da sé  ed infine, sapere che il destino della propria casata è in mano al suo unico discendete che sembrava aver votato la sua vita agli agi, senza decidersi a mettere la testa a posto… tutto questo non contava più di un amante perduto, di una figlia bastarda, di essere lasciata sull’altare?
No, evidentemente, per il mondo, Edith era la pecorella smarrita e lei il suo lupo personale, colui che vive solo per farle del male
-Su, mamma vieni, ti accompagno alla macchina- Marigold aveva scelto coscientemente di  non chiamarla per nome, non voleva dare a sua zia questa soddisfazione, di umiliare ancora una volta sua madre come aveva fatto in passato.
Tom Branson, il mediatore della famiglia, le aveva raccontato di come sua zia avesse usato la sua nascita illegittima per far lasciare sua madre e Bertie, solo perché gelosa della sua felicità;  egli pensava di fare una cosa giusta raccontandole di come poi Mary avesse fatto in modo che tutto tornasse alla normalità, ma Mariglod in quei gesti non vide pentimento solo senso di colpa.
 
La giovane donna accompagnò sua madre vicino alla macchina dove Bertiee l’aiutò a salire.
-Vieni con me?- le sussurrò sua madre e inizialmente pensò di rifiutare. ma perché avrebbe dovuto farlo? La tata avrebbe portato i bambini direttamente a Downtown e lei, in fondo,  non aveva programmato nulla di ché.
-Certo-


Note: 
Buonasera, mi chimao milla4 e ormai sono affezionata a Downton abbey e alla sua famiglia come fosse la mia.
Non mi sono mai cimentata in una storia su questo fandom forse per timore di rovinare un capolavoro o, forse per codardia... resta il fatto he questa ff per me è una novità e, insomma, se volete darmi un parere recensite, mi farebbe molto piacere. Ovviamente nessun personaggio o ambientazione è di mia proprietà, ma appartengono a chi ha il copyright, non ho nessuno scopo di lucro sulla storia.

Per ogni informazione sui personaggi, mi sono attenuta a quanto riportato su questo sito:  http://downtonabbey.wikia.com/wiki/Marigold
 
   
 
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