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Autore: DredaSM    12/08/2016    2 recensioni
Avevo nove anni e la mente piena di colori e belle canzoni. Non avevo bisogno di altro se non di loro. Il mio mondo erano i miei genitori e la comunità. Mia madre e mio padre erano molto conosciuti e rispettati, contribuivano a mantenere la stabilità e la felicità nella comunità. Essere loro figlia era meraviglioso. Tutti erano amichevoli e capivano quanto impegno e bontà essi riversassero in ciò che facevano.
Non chiedevo niente di più della vita che già conducevo. Ero felice.
Non volevo altro fino a che, un giorno, il mare parlò e dettò la sua volontà.
Haku si svegliò, scese dalla poltrona per lui troppo piccola e si diresse alla finestra. Posò le zampe anteriori sulla mensola e fissò il mare in movimento. Le onde che suonavano qualcosa che solamente lui pareva comprendere. E lui ascoltava, comprendeva il messaggio. Non era un comportamento insolito il suo, ciò che d’insolito vi era in quella scena fu il suo debole e sottile ringhio.
Quando Haku ringhia vuol dire che sta per succedere qualcosa di brutto. Molto brutto.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 2

Piansi per ore. Nel resto della casa il quotidiano si era reimpossessato di tutti e ognuno della famiglia aveva ripreso a fare ciò che fa ogni giorno. La mamma era uscita per occuparsi della comunità, mio padre e Liam erano assieme per l’addestramento di mio fratello. L’unica nota che sentivo diversa era la presenza di Seth fuori dalla porta della mia stanza. Faceva fatica a stare in un posto così piccolo ma aveva trovato il modo.

Haku ci avrebbe messo molti e molti anni per diventare grande quanto lui.

Uscita, Seth non si scomodò. Aprì uno dei suoi tanti e grandi occhi tondi e lo puntò verso di me. Non aveva alcuna intenzione di spostarsi. Richiusi la porta e mi diressi alla finestra. Lì trovai Gil a sbarrarmi la strada. Era seduta sul prato di fronte alla finestra e mi fissava intensamente con lo sguardo infuocato, determinata a non farmi andare via. Mio padre e mio fratello non avevano mai messo così tanta distanza tra loro e loro. Dovevano stare male. La lontananza dalla propria metà fa male, molto male.

Gil era particolarmente nervosa mentre Seth, essendo adulto, riusciva a rimanere apparentemente tranquillo. Haku, dal canto suo, si era accucciato ai piedi del letto dandomi le spalle. Non dormiva, me ne sarei accorta. Non seppi mai cosa passò per la sua testa in quelle ore che passammo rinchiusi in casa.

Ricordo che mi misi a letto, faccia in su a guardare le travi del soffitto.  Era la prima volta in cui dovetti passare così tanto tempo da sola, senza poter fare nulla. Pensai a come avevo passato il pomeriggio del giorno precedente. Ricordai le corse nella foresta ai margini della comunità assieme agli altri giovani. Le gare a chi trovava lo scoiattolo dalla coda argentata. Solamente Ilyn era riuscita a trovarlo, due anni addietro. Tutti avrebbero potuto dubitare del suo racconto ma era Ilyn, la figlia di Davida, l’insegnante della nostra comunità, e sapevamo di poterle credere.

Se Davida era stata scelta per essere colei che avrebbe istruito la futura generazione del nostro popolo, sua figlia era sicuramente degna di fiducia. Lo stesso motivo per il quale la popolazione era fiduciosa di me e di mio fratello. Io avrei preso le redini della comunità e Liam avrebbe badato alla sua sicurezza finché non mi sarei sposata con qualcuno al di sopra di mio fratello. Per questo l’addestramento di Liam doveva essere perfetto, per potermi garantire un marito ancora più perfetto.

Un sistema che ha sempre funzionato. E’ sempre stato così e sempre lo sarà. Ma cosa sarebbe successo ora? Cernus non ha mai detto nulla in proposito di quella vecchia leggenda, o almeno così aveva detto Liam. Agrona non aveva mai parlato. Perché ora? Perché io?

Passavano le ore e Gil era sempre più insofferente. Iniziava a lamentarsi, chissà che diceva. Solo mio fratello avrebbe potuto saperlo. Liam non sopportava la voce di Gil quando era irritata, diceva che l’alzava di parecchi toni e alla fine gli fischiavano le orecchie per ore. Una volta papà mi disse che la voce di Seth aveva lo stesso suono del tamburo pesante usato per le cerimonie. Il tamburo pesante dava un solo tipo di suono, molto basso e profondo, prolungato e caldo. Spesso mi domandavo che suono avesse la voce di Haku. Ero io a non sentirla forse? Magari parlava troppo basso? Aveva una vocetta lieve, lieve, come un battito di farfalla? Forse comunicava dicendo solamente qualche parola ogni tanto?

- Loro imparano a parlare quando noi ci troviamo ancora nel grembo materno. Spesso accade che le nostre prime parole siano quelle che più abbiamo sentito dire da loro durante la nostra crescita. E’ sempre stato così. – Mi piaceva come raccontava le cose l’insegnante Davida. Tutto sembrava una favola, una storia di fantasia. Forse era questo che mi rendeva difficile tramutare i suoi racconti in realtà. Mi spingeva a dubitarne, a non prendere tutto per forza sul serio. Forse era una mia impressione, d’altronde ero l’unica a pensarla così. Tranne Liam.

Liam non ha mai creduto in nessun Dio, in nessun fato. Ha sempre e solo creduto nella gente, nei suoi bisogni e nella necessità di essere difesa, guidata e, a volte, comandata. A papà questo piaceva e si erano accordati di tacere sulla questione “divinità”, per quieto vivere reciproco.

Ero io quella che doveva occuparsi dell’insegnamento, prosperità e della morale delle persone. Più guardavo mia madre fare questo lavoro ogni giorno e più ne avevo paura. Avrei preferito uccidere, essere al posto di Liam, piuttosto che succedere a mia madre.

Mi alzai, arrivai alla finestra e, in pochi secondi, scavalcai la finestra, saltai oltre il corpo mezzo addormentato di Gil, e corsi a perdifiato verso il bosco.

Alle mie orecchie arrivarono i lamenti e i latrati di Gil, i suoi richiami, seguita da suoni di zampate poderose e pesanti che erano sicuramente di Seth. Non mi fermai.

Continuai a correre in una sola direzione, ignorando chiunque  vidi lungo il passo. I piedi nudi affondavano nel terreno morbido e mi dava più slancio. Ero veloce, piccola ma veloce. Seth mi stava raggiungendo, seguito da Gil.

Arrivata al tratto del bosco più fitto mi diressi nella zona colma di cespugli e dall’erba talmente alta da non vedere più nulla. Conoscevo quel posto  e forse anche Seth ma le sue piccole corna si sarebbero impigliate nei rametti e nelle fronde dei bassi alberi ed arbusti.

Sentivo i denti battere dal freddo. Correvo così veloce, a bocca aperta per cercare respiro, che iniziavo a gelare e a tremare. Nonostante fosse la stagione estiva il bosco era circondato da un clima ben più freddo, sempre. Ma la paura si era oramai espansa nel mio corpo così da renderlo più ghiacciato, gelido, più del normale in quella terra.

Non vedevo altro che erba, arbusti di alberi dal tronco fino e basso, liane e felci. Una vegetazione viva, dominante, senza passi o terreno calpestato. Sentivo meno presente il suono delle zampe di Seth dietro di me. Lo stavo seminando.

D’un tratto alla mia destra riuscii a vedere nettamente il muso di Gil farsi strada tra l’erba alta e mi scappò un gridolino inaspettato. Sobbalzai e quasi persi l’equilibrio. Dovevo continuare a correre e correre più forte. Ero quasi arrivata.

Pochi secondi e la via fu libera dalla vegetazione. Davanti a me vi era solamente una rupe che dava su di un precipizio pieno di vecchi tronchi marci di alberi malati, morti. Li andava a morire la vita.

Gil rallentò, tentando di afferrarmi per il vestito, convinta che mi stessi per fermare anche io.

Non lo feci.

Corsi più veloce e poi saltai.

 ______     ______     ______     ______    

- Ricordati: testa alta e schiena dritta. Non sorridere per forza ma solo se davvero te la senti. La gente lo sa quando menti, anche se è per il loro bene. –

- E non va bene? – Chiesi, con la voce flebile. Avevo cinque anni. Le mani occupate da una quantità esigua di libri rispetto a quelli che sosteneva mia madre.

- No, non a noi. Essere trasparenti, se stessi, è la miglior cosa che tu possa fare, Asura. – Detto ciò mia madre bussò con le nocche sulla porta della famiglia di Perka.

Conoscevo da sempre Perka, così come conoscevo tutti gli altri ragazzi della comunità. Perka era più grande però, aveva l’età di mio fratello. Liam era difficile da comandare, da tenere a bada, ma a quanto pare Perka lo era molto di più. Non tornava a casa già da due settimane ed era arrivato il momento per mia madre di parlare con la sua. Yres era rimasta da sola a crescere Perka e Kuba. Kuba aveva la mia età ma era molto più introverso di me. Stranamente mia madre era convinta potesse diventare un futuro difensore della comunità. Forse persino mio sposo. Io non capivo perché visto che era restio a fare qualsiasi cosa e preferiva rimanere ad osservare piuttosto che agire. Se proprio doveva coprire qualche ruolo quello doveva essere il mio. Ne aveva la stoffa molto più di me.

-Cate! Mi fa bene vederti-, mormorò la signora Yres aiutando mia madre con i libri prima di mettersi a piangere. Sembrava avesse aspettato giorni e giorni prima di potersi liberare di quelle lacrime. Piangeva per la scomparsa di Perka o per ciò che esso aveva comportato?

Le madri andarono in cucina mentre io poggiai i tre libri che avevo ancora in mano sul tavolino della sala grande, assieme agli altri tomi. Mi guardai attorno senza toccare nulla. Fuori era freddo ma nelle case il calore era sempre presente, rassicurante. Il calore di casa che una tenda in mezzo al bosco non può dare. Mi levai la giacca di lana e rimasi con il vestito viola. A quell’età avevo una predilezione per quel vestito. Lo amavo molto, per quanto si possa amare della stoffa. Era floreale, colorato e si, mi piacevano i colori. I capelli lunghi, costretti in una treccia troppo stretta e troppo fastidiosa.

Un orecchio era teso in attesa del richiamo di mia madre, ma questo non arrivò. Mi avvicinai al mobile vicino alla panca della casa. Lì vi erano i ricordi della famiglia di Parka e Kuba. Le divise del padre, del nonno e degli uomini e donne prima ancora. Le loro armi, i loro segni, i loro calchi e i loro gioielli.

Allungai la mano destra verso un ripiano un poco più alto di me e sfiorai il calco della mano del marito di Yres. Era caldo al tatto, come fosse stato appena toccato da qualcun altro tanto a lungo da infondervi il proprio calore.

- Si chiama Sem. Mio padre. –

La voce arrivò alle mie spalle e sobbalzai voltandomi, non aspettandomi ci fosse qualcun altro in casa.

Kuba era li, di fronte a me. Addosso aveva un gilet di pelle marrone troppo grande per essere il suo.

- Lo so. E tuo nonno Mihkel, tua nonna Quim, Keone, Lana… - potevo andare avanti ancora molto non fosse stato per le parole di Kuba.

-Keone è il nome di mio cugino. Ha un anno. Il padre di mia madre è con lui. –

Rimasi in silenzio di fronte a lui. Passai qualche secondo ad osservare i suoi capelli biondi spettinati e sporchi. Il suo odore era forte e mi dava fastidio ma non più dei fiori nuovi della nostra vicina.

- E’ vero? – mi chiese – Mio nonno è con lui e lo sarà per tutta la vita? – Nel frattempo guardava oltre la mia spalla il mobile, gli oggetti della sua famiglia.

- Non lo so. Mio fratello dice che bisognerebbe morire per esserne sicuri. – Ricordai le parole di Liam seguite dal colpo della mano di mio padre sulla sua testa. Litigarono tutta la mattina.

A Kuba parve piacere la mia risposta perché annuì mostrando un poco di colore sulla sua faccia pallida.

- Dov’è Haku? -

- Dov’è Mira? –

Dopo quel piccolo botta e risposta ci zittimmo. A quel tempo ero molto gelosa di Haku e non sopportavo che gli altri pronunciassero il suo nome, lo guardassero troppo o ne parlassero in qualsiasi modo. M’indispettii.

- Mira è di sopra nella stanza di mio fratello. Sta sempre li. – Strano, pensai. Ricordai gli insegnamenti di mia madre in merito alla propria metà e ci riflettei su. Avevo cinque anni ma adoravo parlare di loro con mia madre e Davida. In più ero in missione: volevo a tutti i costi riuscire a parlare con Haku e trovare il modo di comunicare con lui.

- Quello è il gilet di Perka? – Chiesi e lo indicai. Era decisamente troppo grande per lui.

Kuba passò la mano destra sulla pelle marrone dell’indumento e fece cenno di diniego con la testa.

- E’ mio. Lo ha fatto per me l’anno scorso. Ha detto che mi sarebbe servito una volta iniziato l’addestramento con tuo padre e gli altri giovani. “Per diventare adulto”, mi ha detto. – Afferrò con le mani il gilet sistemandoselo addosso con rinnovato vigore. Negli occhi uno sguardo acceso. – Mi serve ora. –

Non capii del tutto cosa volesse dire Kabu e me ne dispiacque tempo dopo. Le nostre strade si divisero e non ci parlammo più come quella volta. L’osservavo da lontano, distrattamente, e senza rendermene conto lo guardavo crescere e cambiare. E mi resi conto che mia madre aveva ragione. Quel bambino pelle e ossa, dai capelli biondi, arruffati e sempre sporchi, sarebbe stato un ottimo successore di mio padre. Ma era ancora troppo giovane, il suo addestramento era appena iniziato e nella nostra comunità vi erano molti altri possibili candidati.

Ogni tanto ripenso alle sue parole, al suo gilet troppo grande ma che non poteva aspettare d’indossare. Era giunto il momento ed era suo dovere indossarlo prima del tempo.

Ero lì, stesa sul terriccio secco delle terre di confine. Il viso ricoperto di polvere e sabbia. Mi parve di sentire l’odore dei capelli sporchi di Kuba e dei fiori della nostra vicina. Non ero a casa però, non vi ero neppure vicina in realtà. Riaprii gli occhi con cautela e sentii una fitta alla spalla destra.

Vedevo solo Gil agitarsi sulla sponda dalla quale avevo saltato. Si lamentava ma sembrava sollevata di vedermi aprire gli occhi. Seth era fermo, immobile e sulle zampe a fissarmi. Ricambiai il suo sguardo e lo sostenni finché non si voltò e tornò indietro lasciando lì Gil.

Doveva avvertire mio padre.

Avrei voluto sentire forte la mancanza di Haku. La morsa di dolore che attanaglia lo stomaco, che fa impazzire dalla paura e che ti lascia senza fiato. Avrei voluto davvero ma non sentii niente. Dov’era Haku? Mi stava abbandonando forse? Era lui a far si che tutto ciò accadesse così da lasciarmi? E se fosse vero? Sarebbe stata una brutta cosa?

Mia madre era rimasta sola, la sua metà, Faira, se n’era andata. Non era morta ma, a detta sua, era ritornata li dove doveva stare.

Iniziavo ad odiare quel modo di fare. Tutti prendevano e se ne andavano lasciando tutto sulle spalle di chi resta. Faira, Perka, Agrona e ora forse anche Haku?

Arrabbiata, mi alzai e mi guardai attorno. Era la prima volta che saltavo il fosso della morte. Mi sporsi ed osservai i corpi, le ossa, la legna, i detriti. Mi spolverai il vestito e i pantaloni pensando al da farsi. Non avevo idea di cosa fare. Io volevo solo correre e non essere presa e riportata a casa. Non volevo vedere altre persone e non volevo stare neppure con Haku. Volevo ma non.

Oltre il mio sguardo vi era il deserto per chissà quanti kilometri.

Calpestavo quel terreno per la prima volta in vita mia. Non sapevo molto di quell’area. Sapevo solo che lì era severamente vietato andare e i bastoni insanguinati degli uomini di mio padre ne spiegavano in parte il motivo.

Non volevo saltare e tornare indietro, probabilmente neppure potevo. Il terreno era diverso, non lo conoscevo, sarei sicuramente scivolata sulla polvere e la sabbia. Non potevo farcela. Potevo però tentare di raggiungere il mare. Lì mi sarei sentita al sicuro.

______     ______     ______     ______    

Camminai per un’ora e mezza. Alla mia destra il fossato era finito e iniziava ad esserci un fiume. Non c’era nessun fiume dall’altra parte, nelle nostre terre. Non li. Della mia terra però non vedevo più nulla se non arbusti, alberi e fitti cespugli.

Mi fermai alla sponda del fiume, m’inginocchiai avvicinandomi con il viso all’acqua per annusarla. Non vedevo pesci né piante ma l’acqua odorava di buono. Avevo sete ma resistetti. Avrei preferito bere l’acqua del mare piuttosto.

Decisi di attraversare il fiume, convinta di poter tornare così nella mia terra. Ero molto dubbiosa. Il fiume ero sicura non ci fosse ma volli comunque tentare. Sentivo in lontananza Gil. Era lei, ne distinguevo i lamenti, il richiamo. Non sapevo dove fosse ma credevo fosse un motivo in più per raggiungere l’altra sponda. Volevo tornare, avevo paura.

Allungai il piede destro per infilarlo nell’acqua del fiume e con calma lo infilai nell’acqua. Non sentii bagnarsi il piede e neppure avvertii il contatto con le rocce sul fondo del fiume. Sentii solamente il vuoto. Mi sbilancia in avanti e cercai immediatamente di riprendere l’equilibrio.

Un’ombra nera uscì dalla vegetazione, oltre quello che non era un fiume e vidi Seth saltare, raggiungermi e spingermi di nuovo a terra, tra la polvere, candendo poco lontano da me. Mio padre era insieme a lui, vicino a me. Non disse una parola, nella mano destra il bastone stretto a se. Tornò in piedi e mi portò con se.

Non dissi niente mentre mi teneva contro la sua spalla con il braccio libero, pronto a difendermi con Seth al suo fianco. Iniziò a camminare e passò diverso tempo prima che mi decisi a parlare. Ci provai ma all’improvviso sentii il bisogno di piangere assieme alla necessità di scusarmi. Mi aggrappai alla sua spalla e piansi. Sentii di nuovo battere i denti e il tremore del freddo.

Mio padre emanava un calore che solamente io e Liam potevamo sentire. Il calore del nostro sangue. Anche Seth e Gil lo emanavano. Haku era freddo. Freddo quanto i suoi occhi mentre quella mattina guardava il mare. Freddo quanto il mare stesso, quello profondo e oscuro.

- Non andrai via. Rimarrai qui con me. Non ti porteranno mai lontana da me, hai capito? – Disse mio padre forzandomi a guardarlo. E lo guardai, tra le lacrime. La sua voce era decisa, il suo sguardo determinato, ma il suo incarnato, solitamente scuro dal sole, era pallido. Era provato.

Erano parole che dovevamo sentirci dire entrambi in quel momento. Non riuscivo a parlare però e quindi annuii  e tornai a nascondere la faccia sulla sua spalla. Seth, al suo fianco, dovette dire qualcosa perché mio padre gli rispose a voce, irato.

- Fa silenzio! – sbraitò voltato verso di lui, obbligando entrambi a fermarsi. Si guardarono per un lungo momento e poi mio padre riprese a camminare. Seth dietro di lui.

Arrivammo in un luogo in cui la distanza tra il nostro confine e quello desertico era minore e dall’altra parte sentii mormorii, urla e qualche fischio di richiamo.

-Siamo quasi a casa. Stringiti a me-, mi disse e così feci.

Successe una cosa. Vidi qualcosa che non dovevo vedere. Qualcosa che né mio padre e neppure Seth videro.

Alle spalle di mio padre, a distanza di qualche kilometro, qualcuno alto quanto un giovane uomo era in piedi ad osservarci. I suoi occhi rossi facevano breccia attraverso l’alone ondeggiante del calore che saliva dal terreno di roccia e sabbia del deserto. Non riuscii a vedere altro di significativo.

Alzò la mano sinistra, come fosse un cenno di saluto.

Non ebbi il tempo di avvertire mio padre perché stava già saltando. Un secondo dopo non vidi più nulla ma solamente la vegetazione della foresta e gli uomini di mio padre, arrivati ad aiutarlo.

Erano tutti molto rassicurati nel vederlo tornare con me assieme a lui. Eravamo al sicuro, perciò anche loro lo erano di nuovo. Tutti erano concitati ed accerchiarono mio padre non risparmiando le parole e le domande di cui non ricordo nulla.

Io guardavo la vegetazione. Aspettavo, ma nessuno saltava e nessuno arrivava.

Dov’era Seth?

-Seth… - mormorai, avvertendo un nodo alla gola.

Mio padre stava parlando agli altri uomini e donne,  comandando loro di controllare ancora una volta tutto il fianco est del territorio.

- P-padre …- ancora non mi sentiva. La mia voce era troppo debole e non sovrastava la sua né quella degli altri. Afferrai la sua spalla con forza e lo scossi come potei. - Papà! – dissi con voce decisa, riuscendo ad a richiamare la sua attenzione su di me. –Seth! -

Lo vidi impallidire.

Mi mise giù con una certa urgenza.

Seth non arrivava e mio padre volle tornare oltre il confine.

Lo fece.

Rimase via diverse ore e quando tornò era distrutto ed insanguinato.
   
 
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