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Autore: Vavi_14    12/08/2016    4 recensioni
Un piccolo sguardo attraverso le righe, per dire ciò che non è stato detto.
Un sentimento che attende solo di poter sbocciare.
Un'Uchiha e un Uzumaki, ancora una volta.
Dal testo (cap.4):
«Ho perso» replicò l'altro, come se quella fosse stata l'unica cosa importante dell'incontro. «Con una ragazza» aggiunse poi, scrutandola con la coda dell'occhio e preparandosi mentalmente alla reazione della compagna.
Lei si incupì, aggrottando entrambe le sopracciglia. «Allora è questo il problema» sbottò, alzandosi in piedi. Non credeva che Boruto potesse farne davvero una questione di genere.
Lui scoppiò a ridere, trovando quel comportamento fin troppo prevedibile.
«Dai, stavo scherzando, Katana no Hime. Ma insomma, cerca anche un po' di metterti nei miei panni, no?» e sfoggiò quella solita espressione da cucciolo che Sarada non sapeva mai se ignorare o assecondare.

[Legata ad "An Explosive Combination"] [BoruSara]
[Dedicata a CalcedonioBlu ]
****
NB. Questa storia si sviluppa indipendentemente dal Gaiden, perciò i due protagonisti potrebbero risultare leggermente diversi dagli originali.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Sarada Uchiha
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Following a dream'
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La lotta del perdono







Sarada tese le orecchie, ascoltando distrattamente il rumore dei ciottoli che ticchettavano sotto i suoi sandali. Udì un altro suono poco davanti a lei, più silenzioso e delicato, ma ugualmente svelto e deciso. Osservò la mantella nera di suo padre ondeggiare seguendo il vento fresco della sera e un brivido le percorse la schiena facendola sussultare. Quando Sasuke, quella sera stessa, a poche ore dalla partenza per la missione, le aveva proposto di combattere, lei gli aveva riservato uno sguardo incredulo, pensando che la stanchezza degli ultimi mesi lo avesse sfinito anche psicologicamente. Eppure, trovandosi ad incrociare le iridi scure con il barlume sinistro del Rinnegan e quello destro dello Sharingan, Sarada seppe che suo padre faceva sul serio. Si era alzata dal divano senza dire una parola, congedandosi in camera sua per andare a recuperare le armi, dopodiché aveva varcato la soglia di casa seguendo le orme di Sasuke, in balia dello sguardo preoccupato di sua madre.

«Papà, potresti spiegarmi cosa sta succedendo?» Sarada si fermò in mezzo alla strada, inchiodando i piedi a terra.

Sasuke proseguì di qualche metro, per poi voltarsi impercettibilmente a guardarla. Sembrò esitare, prima di rispondere. «Non posso neanche voler duellare con mia figlia, adesso?»

La ragazza deglutì rumorosamente, irrigidendo i muscoli. Che diavolo era preso a suo padre, negli ultimi dieci minuti? Non seppe in che modo replicare, perciò decise di raggiungerlo poco più avanti, iniziando a camminare sulla sua stessa linea d’aria.
Evitò di guardarlo, ma non si fece ingannare da quella scusa che sarebbe sembrata ridicola anche agli occhi di Boruto. Non lo aveva mai biasimato per il tempo che dedicava al suo compagno, anche se, nel profondo del suo cuore, aveva accettato la sofferenza che quell’improvvisa lontananza da suo padre le provocava. 
Allenarsi da sola non sarebbe mai stata la stessa cosa.

«Qui va bene».

Si arrestò di nuovo, bloccata dalle parole del padre e gettò un’occhiata ai dintorni, riconoscendo il campo d’allenamento dove si erano scontrati Boruto e il Settimo. Sarada sospirò, indecisa se commentare o meno la scelta di Sasuke, ma poi decise di lasciar perdere, anche se tutta quella situazione cominciava ad avere del surreale.

«Papà, tra cinque ore devi partire. Dovresti riposare». Lo disse con fare apprensivo, aprendo i palmi delle mani. Non era sicura di voler affrontare suo padre prima di quella spedizione la cui durata era ancora ignota.

Sasuke scosse di poco la testa. «Lo sai che non dormo mai prima di una missione».

Sarada sbuffò, abbassando il capo. Boruto si lamentava spesso della testardaggine di suo padre, ma non tutti sapevano quanto Sasuke potesse essere ostinato quando si metteva in testa qualcosa.

Si sistemò le protezioni alle ginocchia, roteò dolcemente polsi e caviglie e impugnò con gesto deciso la katana che teneva riposta in un fodero nero. Sasuke la imitò, cercando la sua Kusanagi.

«Come vuoi» accordò Sarada, concentrandosi. «Io sono pronta».

Sguainarono le armi nello stesso momento, facendole cozzare violentemente l’una contro l’altra. Il colpo di Sasuke respinse con forza quello di sua figlia, che fu costretta a indietreggiare, perdendo il vantaggio della prima mossa. Come era solito fare, Sasuke non le lasciò respiro, colpendola dall’alto con un fendente di precisione. Sarada, evidentemente in difficoltà, decise di schivare il colpo capovolgendosi all’indietro. Quando vide suo padre comparirle dietro le spalle si abbassò, passandogli velocemente sotto le gambe e non appena Sasuke si girò per colpirla, lei seppe rispondere con una mossa potente che li fece bloccare entrambi in posizione d’attacco, con le lame intrecciate in una morsa senza uscita. Si guardarono per un attimo che parve un’infinità, dopodiché Sarada diede uno strattone alla sua arma e riuscì a districarsi da quell’incrocio di metalli.

Si massaggiò il braccio, già indolenzito; suo padre non si stava di certo risparmiando. Chiuse gli occhi, riempiendosi i polmoni di aria pura: per quanto volesse capire il motivo reale di quello scontro, riusciva a percepire ogni suo tendine fremere al pensiero di potersi battere in uno un duello equo contro suo padre. Finalmente, dopo così tanto tempo, poteva mostrargli di cos’era capace. Abbandonò per un attimo la ragione, gettando la katana a terra e correndo verso Sasuke completamente disarmata.

Il padre indietreggiò, sgranando gli occhi, eppure la strana luce nelle iridi di sua figlia lo convinse a non fermare il combattimento. L’attaccò con la katana, cercando di colpirle gli arti inferiori, senza però sferrare colpi pericolosi. La ragazza riuscì a schivarne uno dopo l’altro, piegandosi avanti e indietro col busto, dandosi la spinta con i piedi e balzando a zig zag come in una danza frenetica. Sasuke aumentò la velocità dei colpi, estasiato dalla maestria con la quale sua figlia aveva imparato ad evitarli. Forse anche a causa di una sua momentanea distrazione, Sarada riuscì a sferrare un calcio ebro di chakra all’arma del padre, che schizzò in aria con uno stridio spaventoso, ricadendo velocemente a terra nel cuore della foresta.

Sasuke alzò il volto per guardarla roteare, dopodiché rivolse le attenzioni a sua figlia, già in piedi dinanzi a lui con le gambe piegate e pronta a per la prossima mossa.

«Non mi lascerai il tempo di andarla a riprendere, vero?»

Sarada accolse la provocazione con un ghigno e si fiondò nuovamente verso Sasuke. Entrambi attaccarono l’avversario in un corpo a corpo serrato, ove ogni pugno trovava un palmo a bloccarlo ed ogni calcio si scontrava in colpi decisi con l’avambraccio dell’altro. Sarada aveva imparato a volteggiare su se stessa, sfruttando il movimento del corpo per confondere il padre e la percezione dei colpi; tuttavia, lo Sharingan esperto di Sasuke riusciva a vedere attraverso ogni trucco, sfidando anche gli attacchi più veloci. La ragazza sentì la forza dei propri pugni diminuire, così finì per abbassare la guardia, mossa che permise a Sasuke di sferrare un colpo decisivo; Sarada ebbe appena il tempo di adocchiare un chakra viola che prendeva forma attorno al braccio di Sasuke, per poi sentire il destro di Susanoo scagliarsi contro di lei a potenza massima. La cosa più intelligente che avrebbe potuto fare, in quel momento, sarebbe stato balzare in alto e schivare il colpo. Invece, con estrema sorpresa di Sasuke, antepose davanti a sé entrambe le braccia, richiamando tutto il chakra di cui era capace e accogliendo quel colpo micidiale in tutta la sua forza. Sasuke non riuscì a fermarsi in tempo, ma il suo stupore crebbe in modo esponenziale quando sentì la mano di Susanoo scricchiolare in modo raccapricciante dopo essersi scontrata con la difesa di sua figlia.

Sarada gemette, ancorando i piedi a terra e cercando di reprimere con tutta sé stessa la pressione soffocante del Susanoo. Quando ebbe riacquistato equilibrio si voltò verso suo padre, trionfante, ma non trovò l’espressione che si sarebbe aspettata.

«Mi dispiace». Sasuke sussurrò piano, lasciando che il chakra di Susanoo si dissolvesse lentamente.
La ragazza lasciò andare le braccia lungo il corpo, ancora scossa da quel duro colpo subito. «T-ti dispiace per cosa?» domandò con voce tremante, pentendosi un attimo dopo.
Sasuke fece un passo verso di lei. «Per non essere riuscito a starti vicino mentre diventavi la kunoichi che sei adesso, Sarada».
Riuscì a percepire il disagio che gli procurava esternare quelle parole, ma seppe che era sincero e che per la prima volta, forse, la stava rendendo partecipe dei suoi sentimenti.
«Io… non fa niente». Balbettò, ancora sconvolta. Mentì, come aveva sempre fatto, perché sembrare una ragazzina capricciosa e viziata non le era mai piaciuto.
«Ti ho lasciata sola quando avevi bisogno di me».
Sarada cominciò a sentire i dolori dei muscoli propagarsi ad ogni parte del corpo. «Papà» replicò, con voce rotta. Non voleva crollare proprio in quel momento; si prese un attimo per respirare e continuò. «Tu avevi Boruto, non puoi fartene una colpa. E poi, io sono stata con la mamma, ho imparato più cose di quanto tu creda».
Sasuke fece un lieve cenno con il capo. «Lo vedo» concesse con un mezzo sorriso sghembo, ma subito dopo tornò serio. Colse negli occhi di sua figlia il desiderio di continuare lo scontro e, per quanto sentisse che c’era ancora qualcosa che doveva dirle, decise di rimandare ed accontentarla. Si fiondò con uno scatto improvviso in direzione della foresta, lasciando interdetta Sarada, che probabilmente si aspettava un attacco diretto, e recuperò la sua arma sfiorando appena il terreno, ma non appena si rialzò trovò la figlia a bloccargli la strada; la katana di Sarada brillava di riflessi bluastri, fulminei, che stridevano come mille uccelli furiosi attorno alla lama di metallo.

Sasuke si prese un secondo per ammirare il connubio inaspettato tra l’alterazione delle proprietà del fulmine e l’arma di sua figlia, dopodiché rafforzo la presa sull’impugnatura della Kusanagi e la rivestì anch’egli di chakra del fulmine, che la circondò come una seconda pelle.

Sarada si lasciò scappare un sospiro di disappunto alla vista di tutta quella perfezione. Mentre il suo chakra fulmineo pareva danzare attorno alla katana in modo scomposto, quello di Sasuke la rivestiva interamente seguendo le linee rette della lama. Caos e ordine l’uno dinanzi all’altro.

«Ci ho lavorato poco» si giustificò, non immaginando l’orgoglio di suo padre alla sola vista di quell’apprezzabile traguardo che aveva raggiunto da sola.

A quelle parole, l’espressione di Sasuke sembrò incupirsi nuovamente. «Se solo avessi avuto il tempo di insegnartelo».

La ragazza non volle ascoltare oltre, si scagliò contro di lui  facendo incontrare i loro chakra e provocando uno scoppio assordante che generò centinaia di scosse elettriche attorno a loro. Balzarono velocemente all’indietro, ponendo fine a quell’esplosione improvvisa che aveva danneggiato la maggior parte degli alberi nei dintorni. Sarada adocchiò nervosamente la sua lama, scheggiata in punta.

«Accidenti» borbottò, sospirando rumorosamente. Un attimo dopo si concesse un breve sorriso poiché, conoscendo la potenza del Chidori di suo padre, si sarebbe aspettata come minimo di vedere la sua lama ridotta a un cumulo di cenere, invece il rivestimento che le aveva creato, per quanto impreciso, era riuscito a proteggerla dal fare una brutta fine.

«Papà» disse poi, facendo sussultare Sasuke. «Io… posso immaginare come ti senti. Insomma… forse ci sentiamo allo stesso modo, in un certo senso. Ma questo…» si bloccò per alzare lo sguardo e trovò suo padre attento ad osservarla. Era stanca di trovare frasi che andassero bene per lui e per lei, voleva semplicemente dire le cose come stavano.
«… questo duello. È quello che ho sempre voluto. Battermi con te e… farti vedere quanto valgo». Sentì una lacrima rigarle il volto, ma decise di ignorarla e continuare. «Non… non ti dirò che è stato facile, perché sarebbe una stronzata». Trattenne un singhiozzo e sentì Sasuke avanzare verso di lei.
«Ho fatto un sacco di casini e a volte mi sono sentita sola» abbassò il capo e tirò sul col naso. Si sentiva uno schifo a dover ammettere quelle cose davanti a suo padre, perché sapeva che lo avrebbe fatto stare ancora peggio, ma ormai nascondersi sarebbe stato inutile.
«A volte credevo di non farcela, volevo mollare, poi però mi sono fatta forza…  la mamma, tu, Boruto… lo so che mi volete bene e che credete in me, così ho stretto i denti e-» il resto della frase venne soffocato da un tessuto morbido contro cui il suo viso venne dolcemente premuto. Sentì le braccia di suo padre circondarle le spalle e il suo mento sfiorarle il capo.
«Mi dispiace».
Strizzò gli occhi, stringendolo a sua volta. Lasciò che altre lacrime le bagnassero le labbra rosee e annuì debolmente con il capo. Avrebbe potuto dire a suo padre di smetterla di scusarsi, ma non lo fece; dopotutto, mentre lei aveva bisogno di esternare il suo dolore, Sasuke aveva bisogno del perdono.
«Va bene» accordò allora, con voce flebile. Continuò a piangere silenziosamente, perché la felicità di averlo ritrovato dopo così tanto tempo non era neanche paragonabile alla sofferenza provata nel sentirlo lontano. Sentì la presa di suo padre rimanere salda finché non fu lei a scostarsi da lui. In quel momento percepì una fitta lancinante ad entrambi gli occhi e dovette strofinarseli con foga per riuscire a trovare un po’ di sollievo.

«Sarada, che hai?» Sasuke la guardò allarmato, cercando di capire cosa stava accadendo.

«Non lo so, io…. Ci vedo».

La ragazza sbatté piano le palpebre, cercando di mettere a fuoco la sagoma di suo padre. Aveva gli occhiali stretti nella mano destra e non poteva credere a ciò che le era appena successo.

Sasuke le si avvicinò e quando si rese conto della portata di quell’affermazione due iridi color cremisi con una goccia d’ossidiana si riflessero nelle sue.

 

**

 

«Per favore, non dirlo alla mamma. Si preoccuperebbe e basta».
Sarada camminava al fianco di suo padre, strofinandosi un fazzoletto bianco sugli occhi.
Sasuke sospirò. «Hai intenzione di nasconderglielo fino a quando tornerò? E come farai con gli occhiali?»
La ragazza guardò esausta la montatura rossa, ormai del tutto inutile, che suo padre teneva stretta fra le dita.
«Lo Sharingan non è qualcosa che puoi controllare, Sarada. Almeno non all’inizio» rincarò il padre, osservandola guardingo.
«Quando tornerai saprò usarlo meglio di te» buttò lì la figlia, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte del padre. Sbuffò permettendosi di tenere un po’ il broncio, poi si arrese. «Glielo dirò io domani, con calma. Tu non preoccuparti».

Facile a dirsi, pensò Sasuke.

«Lo so che stai pensando quanto sia sbagliato che mi sia successo proprio adesso che devi partire e blablabla» riprese Sarada, stranamente in vena di chiacchiere. Si zittì di colpo non appena si accorse di aver detto troppo, ma ad un’occhiata affettuosa da parte del padre si decise a continuare. «Quello che voglio dire e che starò bene. Sì insomma... al tuo ritorno, magari, se non sarai troppo occupato con Boruto potremmo…».

«Boruto non è più mio allievo».

Sarada frenò bruscamente per l’ennesima volta, lasciandosi sfuggire di mano il fazzoletto. «Che vuol dire che non-».
«Il suo apprendistato è finito. Ora deve scegliere da solo che strada prendere».
La ragazza lo guardò ad occhi sgranati, incapace di metabolizzare la notizia.

«Anche se immagino che dovrò abituarmi ad averlo comunque tra i piedi, dico bene?»

Ci volle qualche secondo prima che Sarada potesse rendersi conto delle allusioni che sottintendeva quella frase. Arrossì di colpo, voltando il capo dall’altra parte. Stava succedendo tutto decisamente troppo in fretta.
«È… così evidente?» sussurrò a fior di labbra, incapace di inventare altre scuse.
«Abbastanza perché uno come Naruto riesca ad accorgersene» replicò pronto Sasuke, guardando dritto davanti a sé.
Sarada si portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli, ormai cresciuti lunghi e ribelli sin quasi ai gomiti.
«Io… suppongo di sì, allora» azzardò, evitando lo sguardo del padre. «Credo di amarlo, papà».
Sentì il cuore martellarle in petto come se volesse sfondarlo da un momento all’altro «Non che io… sappia veramente cosa sia l’amore, però ecco… ».
Sasuke questa volta la guardò e anche Sarada alzò il volto per incontrare quello di suo padre.
«Lui mi rende felice. Io stessa voglio renderlo felice». Si fermò e fece istintivamente un gesto per sistemarsi la montatura, per poi tossicchiare imbarazzata subito dopo essersi ricordata che non la indossava più. Sasuke, in quell’esatto momento, allungò il braccio per porgerle gli occhiali e lei li afferrò con un sorriso malinconico.
«Boruto mi fa stare bene, papà. Mi fa sentire sicura, apprezzata... protetta. Vederlo star male mi fa soffrire, invece. Tutto questo potrebbe rientrare nel concetto di amare qualcuno?». Lo chiese sinceramente desiderosa di ricevere una risposta. Fu strano, ma si sentì improvvisamente a suo agio nel parlarne con suo padre, come se in qualche modo potesse capirla più di chiunque altro.

Sasuke si lasciò scappare un sospiro rassegnato, dopodiché alzò le spalle, scuotendo il capo. «Non sono esattamente la persona adatta per poterti rispondere, Sarada».

E lei sorrise di nuovo, perché era proprio ciò che si aspettava di sentire. Dopotutto suo padre diceva raramente le cose come stavano, bisognava essere capaci di leggere tra le righe. E quello, seppur contorto e apparentemente insicuro, era sicuramente un sì.



















Buonsalve, cari lettori.
Ok, lo ammetto: avrei dovuto avvertire ad inizio capitolo che ci sarebbe stata una dose massiccia di legame padre/figlia. Non lanciatemi i pomodori, prometto che dal prossimo ci sarà di nuovo Boruto, ma questo confronto tra i due era veramente necessario. Ho visto il combattimento come unica via possibile per Sasuke; sia lui che Sarada non avevano fatto altro che tenersi tutto dentro, senza riuscire mai a confrontarsi in una vera discussione. Sappiamo che Sasuke è di poche parole, così ho pensato che un duello potesse aiutarlo a sbloccarsi; inoltre è anche la prima volta in cui si confronta davvero con le abilità acquisite da Sarada… e qui, lo so, non mi uccidete. Ho sganciato ben due bombe: chakra del fulmine (Kishimoto ha voluto fare il figo dandolo a Boruto, io invece sono rimasta sul “classico”) e Sharingan. Era da un po’ che ci pensavo e mi dispiaceva lasciare Sarada senza la preziosa eredità del padre… così ho fatto un po’ di testa mia. Dato che lo Sharingan si risveglia a seguito di emozioni molto forti (sia positive che negative) ho scelto questo momento, ovvero il riavvicinamento a Sasuke. Considerate che si tratta di una situazione estrema, nella quale Sarada ha sfogato insieme sia dolore che gioia. Inoltre ho voluto che lo Sharingan le restituisse la vista; non so perché Kishimoto le abbia messo gli occhiali, forse per qualche difetto derivato dal non essere un Uchiha "purosangue" (XD), in ogni caso anche stavolta ho voluto fare di testa mia. Spero comunque che vi sia sembrato plausibile e che non vi abbia dato fastidio.
In ultimo, ovviamente, c’è l’ammissione.
Non so che altro dire, perché ormai a scusarmi per i ritardi sembrerei stupida. Voglio solo ringraziare che mi sta ancora seguendo, siete davvero fantastici. Colgo l’occasione per chiedere anche ai lettori silenziosi, se ne hanno voglia, di farmi sentire anche la loro voce; arrivati quasi alla fine della storia mi farebbe davvero tanto piacere (potete anche insultarmi per i ritardi eh, non mi offendo XD). In ogni caso, sappiate che vi adoro tutti.

 

Un bacio grande!

 

Vavi

  
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