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Autore: Puragu Chan    12/08/2016    1 recensioni
Questa piccola storiella è nata per un contest di scrittura su un GDR. Ho pensato di condividerla con voi ouo
Ho messo rating giallo, ma forse è verde.
"Una nota, poi un'altra.
Delle grosse dita guantate scivolavano lungo una tastiera color avorio, schiacciando con delicatezza quei tasti tanto limpidi, tanto chiari. Una delicatezza che stonava con quella figura grande, massiccia, seduta a quel pianoforte color latte.
La grossa schiena coperta dal frac rosso, lucido, che quell'uomo indossava tutte le sere ai grandi spettacoli circensi, stonava con quel pianoforte.
Le braccia , le gambe, le teste, i corpi mozzati al suolo, lacerati nella carne e nello spirito, stonavano con quel tendone."
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una nota, poi un'altra.
Delle grosse dita guantate scivolavano lungo una tastiera color avorio, schiacciando con delicatezza quei tasti tanto limpidi, tanto chiari. Una delicatezza che stonava con quella figura grande, massiccia, seduta a quel pianoforte color latte.
La grossa schiena coperta dal frac rosso, lucido, che quell'uomo indossava tutte le sere ai grandi spettacoli circensi, stonava con quel pianoforte.
Le braccia , le gambe, le teste, i corpi mozzati al suolo, lacerati nella carne e nello spirito, stonavano con quel tendone.
Il pianista si voltò lentamente, guadandosi attorno, sfoggiando il migliore dei suoi sorrisi incorniciato dai grandi baffi color miele arricciati sulle punte. Gli occhi gli brillavano di gioia: quello era il migliore degli spettacoli che avesse mai visto, preparato, mostrato.
Le dita cominciarono a muoversi più velocemente, in modo più grottesco, più feroce, senza però perdere quella melodia, quella sinfonia che entrava nella testa e non usciva mai più, che faceva urlare, che faceva impazzire.
William gridava da dietro le sbarre della sua gabbia. Urlava a scuarciagola lo stesso nome, in continuazione, in continuazione, come un disco rotto, essendo perfettamente conscio che quella testa incorniciata da tante treccine bionde non si sarebbe alzata, che i grandi occhi color ametista non lo avrebbero guardato, che quella voce dolce, scherzosa, non sarebbe uscita dalle labbra sottili, color ciliegia.
Mai più.
Le mani tremanti del bambino erano arpionate al ferro freddo e arrugginito della sua cella che lo separava da Cassandra, che gli aveva impedito di salvarla o, almeno, di aiutarla. Attorcigliata alle dita ricoperte di tagli, una catenina d'oro pendeva nel vuoto, tintinnando di tanto in tanto contro le sbarre. Un'altra stonatura, quel tinntinnio, che alle orecchie del piccolo sembrava sovrastare le note del piano e rimbombare con ferocia contro le morbide pareti di stoffa del tendone.
Cos'era successo? Quand'era successo? Perché era successo?
Queste domande martellavano la testa di William assieme al nome di Cassandra, ripetuto all'infinito, urlato fino a perdere la voce, aggiungendo altre lacrime a quelle che gli stavano già rigando le guance, che rotolavano calde e veloci sulla pelle liscia color cera, cariche di rabbia, di dolore, di orrore.
Quando l'uomo non sentì più nessun grido, colpì la tastiera con un pugno e si voltò verso la gabbia, furioso.

- Continua! Perché hai smesso?! - abbaiò, sferrando un secondo pugno sulla tastiera.

Si alzò di scatto, rovesciando il piccolo sgabello bianco, raggiunse la cella del bambino e, oltrepassando le sbarre con una di quella mani giganti agghindate con anelli d'oro, d'argento e pietre preziose, gli afferrò la camicia lacera e lo sollevò da terra.

- Perché hai smesso?! - urlò ancora.

Will era terrorizzato, perfettamente lucido che ogni traccia di umanità era sparita dal senno del signor Phips ormai da tempo, permettendo ad un essere feroce, iracondo, assetato di paura e grida, di controllarlo, di dominarlo.
Con un gesto brusco, l'uomo gettò a terra il bambino e si allontanò dalla gabbia, ridendo.

- Lo so, lo so come fare! So come farti urlare ancora, ancora e ancora! -

Il piccolo si alzò cautamente, singhiozzando, sporgendosi per quel che poteva dalle sbarre, stringendole di nuovo fra le mani, asciugandosi gli occhi annebbiati dalle lacrime con le maniche della camicia, e osservò il signor Phips. Quel corpo minuto si pietrificò in un istante, le orbite si spalancarono, qualsiasi suono gli si bloccò nella gola: tenendo strette in quel pugno gigante le treccine bionde, l'uomo aveva sollevato la testa mozzata di Cassandra, mentre un sorriso di pura follia si allargava sul volto di quel folle.

- Guarda qua, guarda qua~ -

La mano cominciò a muoversi lentamente, facendo dondolare la testa della bambina come un pendolo vicino, troppo, troppo vicino, ad uno spigolo del pianoforte bianco.
Will sporse la mano da cui pendeva la catenina verso l'uomo.

- Non farlo... - sussurrò con voce roca.

Più che la pericolosa vicinanza della testa allo spigolo del pianoforte, era quello che passava nella mente di quell'uomo a terrorizzarlo.

- Non farlo...! - sentiva la gola bruciargli mentre lo implorava di fermarsi.

Un pensiero sussurrato con voce suadente da una bestia priva di ragione, in cerca del proprio puro piacere.

- Non farlo! - lo pregò ancora, più forte.

Una bestia che, sapeva, non si sarebbe mai fermata.

- NON FARLO! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola, ma Phips scaraventò con forza disumana la testa contro lo spigolo, sporcando di rosso quel pianoforte bianco, piantandola lì.

L'uomo scoppiò in una risata folle, danzando sulla punta dei piedi attorno a quel pianoforte, ridendo come una iena.
Il piccolo non si mosse, gli occhi piantati su Cassandra, su quello che era Cassandra, su quello che non sarebbe più stato Cassandra, se non un semplice insieme di ossa rotte, sangue secco e viscere spappolate.
Tutto attorno a lui era diventato nero, tutto era stato coperto da un silenzio assoluto, rotto soltanto dal rumore secco del cranio che si schiantava contro lo spigolo del pianoforte.
Non si accorse delle nuove urla di rabbia dell'uomo, che si era aspettato altre grida di dolore e altri inutili pianti; non si accorse delle mani che lo sollevavano di nuovo e lo scuotevano con forza; non si accorse dei piccoli rivoli di sangue che colavano dai tagli sulle dita e scendevano lentamente sulla catenina, gocciolando a terra.
Accadde tutto in un battito di ciglia: Will si ritrovò seduto a terra, a fianco della gabbia distrutta e del corpo decapitato del signor Phips. Seduta sul piccolo sgabello bianco, davanti a lui, una sconosiuta teneva appoggiata sul palmo della mano la testa dell'uomo e la guardava con disinteresse. Era una donna sulla trentina, dall'aspetto freddo; indossava un lungo abito rosso che arrivava fino a terra e le copriva i piedi; i lunghi capelli scarlatti le coprivano come un mantello la schiena scoperta; le labbra rosse, carnose, erano appena schiuse e odoravano di peperoncino; incorniciati da lunghe ciglia nere, gli occhi color cristallo si spostarono, riflettendosi negli occhi del bambino.

- Ma guarda: abbiamo lo stesso identico colore degli occhi! - la voce cristallina di lei esplose in una piccola risata.

William sussultò.

- Ca...ssan..dra..? -

Lei non rispose, gli porse solamente una mano, sorridendo.

- Vuoi scoprire chi sono? -

Lui annuì.
La donna gli prese con dolcezza la mano e lo aiutò ad alzarsi, poi, tenendosi stretti l'uno all'altra, uscirono dal circo.
 

  
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