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Autore: Menade Danzante    13/08/2016    2 recensioni
[Storia scritta per il drabble event del gruppo Facebook "We are out for prompt"]
Dal testo: "Ma per John la questione era più che aperta perché Sherlock non aveva alcun diritto di fargli prendere un infarto per ogni santo caso che gli si presentasse alla porta. John non sapeva i particolari di quell'ultima follia, ma conosceva ogni singolo sparo, ogni maledetta pallottola che Sherlock aveva rischiato di prendere in pieno petto. Le aveva sentite tutte, una per una, al ritmo del suo cuore che batteva contro le costole con la frenesia di un uccello in gabbia. John aveva la netta sensazione che un'altra mossa del genere lo avrebbe fatto fuori, e non era certo di riferirsi a Sherlock, stavolta."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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[Questa storia è stata scritta per il drabble event del 12 agosto 2016 sul gruppo Facebook “We are out for prompt”]



Colpevolezza e necessità





Non aveva fatto in tempo ad entrare nell'appartamento che già si diceva che avrebbe fatto qualcosa di stupido. Anzi, avrebbe dovuto fare necessariamente qualcosa di stupido perché non riusciva proprio a pensare che quella fosse una situazione normale. Renderla il meno usuale possibile sarebbe stato il suo scopo primario. Per questo calciò con tutta la sua forza la poltrona - la sua poltrona, per altro -, come se volesse farle provare tutto il male che in quel momento gli stava attraversando il corpo. Il risultato fu piuttosto deludente: la poltrona si mosse appena, troppo pesante per essere spostata da una persona vagamente sconvolta, e il suo piede sentì sicuramente più dolore di quanto avesse sperato.
Uggiolando per non imprecare sonoramente, si lasciò cadere contro l'oggetto che aveva malmenato, la testa tra le mani e il respiro ansante.
«John, per l'amor del Cielo, smettila!» esclamò Sherlock, entrando solo in quel momento nell'appartamento. «Ti stai comportando come un bambino» completò, piuttosto asciutto, togliendosi la sciarpa con un gesto veloce e posandola sul tavolo.
Se l'invito a piantarla con quell'atteggiamento non aveva sortito alcun effetto emotivo nel dottore, il commento finale gli fece perdere tutto l'autocontrollo che era riuscito a rimettere insieme nei brevi secondi di riflessione.
«TU SEI PAZZO!» strillò isterico, alzandosi di scatto pur senza fare alcun passo. «Pazzo! Del tutto! Cosa diavolo ti è saltato in mente?»
Di fronte al silenzio dell'interlocutore, si costrinse ad aggiungere: «Sherlock, rispondimi!«
Il consulente investigativo gli piantò addosso gli occhi, guardandolo come se si trattasse di una bestia da studiare in laboratorio. «Ho risolto un caso» disse con la semplicità di un bambino. John poteva immaginare a chiare lettere il pensiero che aveva attraversato la mente brillante dell'altro uomo: la signora Hudson era stata gentilissima a passare per lasciare dei biscotti sul tavolo, perciò ne avrebbe approfittato e ne avrebbe mangiato uno. Così fece, indifferente, come se per lui il discorso fosse chiuso. Ma per John la questione era più che aperta perché Sherlock non aveva alcun diritto di fargli prendere un infarto per ogni santo caso che gli si presentasse alla porta. John non sapeva i particolari di quell'ultima follia, ma conosceva ogni singolo sparo, ogni maledetta pallottola che Sherlock aveva rischiato di prendere in pieno petto. Le aveva sentite tutte, una per una, al ritmo del suo cuore che batteva contro le costole con la frenesia di un uccello in gabbia. John aveva la netta sensazione che un'altra mossa del genere lo avrebbe fatto fuori, e non era certo di riferirsi a Sherlock, stavolta.
«Per te è una cosa da niente» disse, sperando di non aver dato un'inclinazione interrogativa all'affermazione buttata lì con sincerità. Sherlock masticò allegramente il suo biscotto, potenzialmente ignaro del fatto che John stesse parlando. Futili quisquilie, per lui, ovvio.
«Va bene. Sherlock, sentimi. Ascoltami, per favore!»
Il detective lo guardò negli occhi, interrompendosi nell'atto di mangiucchiare. «Cosa c'è ancora, John?»
Il dottore fece finta di ignorare quel tono noncurante. «Voglio vedere fin dove puoi arrivare, voglio che tu deduca cosa sto provando in questo momento»
Era la richiesta più bizzarra che John gli avesse mai fatto. Si sentì pungere gli occhi, ma si sforzò in tutti i modi di non darlo a vedere, dandosi subito dopo dell'idiota: c'era Sherlock davanti a sé, non Lestrade o la padrona di casa. Se magari lo avesse capito da solo, il detective sarebbe stato più comprensivo nei suoi riguardi, no?
Il moro lo guardò attentamente per un secondo, magari aspettandosi che gli venisse rivelato lo scherzo dietro alla domanda. John non comprese bene il senso dell'esitazione, ma non ebbe poi tanto tempo per chiederselo: Sherlock non si tirava indietro, mai.
«John, sei palesemente agitato e profondamente paranoico. Shockato, direi. Non ti sei neanche tolto la giacca, sporca e sudicia, nonostante tu sia qui da almeno dieci minuti. No, dodici. Senza contare quello che hai fatto appena sei entrato - e qui sorrise sardonico -: hai attaccato (pateticamente, perdomani se te lo dico) la poltrona. Non una qualsiasi, bada, ma la tua. Tua, non mia, eppure sono io il ragazzino da rimprovare per la sua sconsideratezza. Ma no, niente da fare, lo spirito del dottore ti fa sentire in colpa perché hai rischiato di non arrivare in tempo, no? Ti stai colpevolizzando, John, credi che la colpa sia tua. Anzi, no, non lo credi davvero, è mia, in fondo lo sai anche tu, ma vuoi addossartela perché tu salvi le persone e sei quasi riuscito a non salvare me. Tremi: hai paura. Paura di cosa? Ma è ovvio: delle tue mancanze, dei tuoi ritardi (e per questo, davvero, la colpa non è mia: dovresti spiegare a Mary cosa ritieni primario per te, se lo shopping - puzzi di boutique, chiudi quella bocca - o il tuo...- esitò profondamente, prima di concludere, assottigliando la voce, - migliore amico. Stai trattenendo le lacrime: di nuovo il rimorso, la colpa, la paura, la disperazione. Potrei andare avanti ad elencare tutti i tuoi tremori, ma ti annoieresti e, onestamente, mi stancherei anch'io di ripetere sempre le stesse cose. C'è un'ultima cosa, tuttavia, che senti in questo momento. È un bisogno»
John era a bocca aperta. Annaspò per trovare l'aria per poter articolare qualche suono, ma gli uscì solo una specie di rantolo, per di più vagamente ammirato. In una circostanza diversa, ne era sicuro, si sarebbe complimentato. In quell'istante ebbe la buona creanza di evitare una cosa del genere: era stato sottilmente insultato o era stata una sua impressione?
«Oh, Dio» Finalmente ritrovò la voce. «Quale sarebbe, dunque, questo bisogno?» chiese, cercando di risultare scettico, come a mettere (inutilmente) alla prova il suo detective.
Sherlock non rispose. Finì di mangiare il biscotto - di cui rimaneva un morso scarso - e si avvicinò ad ampie falcate. John sentì chiaramente il suo cuore perdere un paio di battiti quando le mani dell'altro uomo gli si posarono una sulla schiena e una dietro la nuca. Poi, Sherlock lo strinse a sé, lasciandolo senza fiato. Soltanto quando il detective rimase lì troppo a lungo per un normale abbraccio John sentì la necessità di ricambiare quella stretta più forte che poteva, abbastanza da inspirare il suo odore e provare a se stesso che fosse vivo. Trattenne a stento l'impulso di nascondere il viso nella camicia dell'altro e piangere a dirotto. Quello sarebbe stato troppo per tutti e due, lo sapeva.
Sherlock gli diede una pacca sulla schiena e si separarono. John si sentì privato di qualcosa di davvero importante, come di un pezzo di sé, ma non protestò - si sentiva spossato anche solo per pensare di farlo. Dal canto suo, il detective non disse una parola: lo oltrepassò senza guardarlo negli occhi e si dileguò verso la sua stanza. Soltanto quando la portà sbatté, quando Sherlock non poteva vederlo, soltanto allora John si concesse di essere scosso dai singhiozzi, un interrogativo nella mente: cosa gli stava succedendo?









Angolo dell'autrice: Salve a tutti!
Questa storia è nata praticamente da un lampo di ispirazione giunto con il prompt «Voglio vedere fin dove puoi arrivare, voglio che tu deduca cosa sto provando in questo momento». Tra le possibilità, avevo anche optato per una scelta molto romantica, poi sono stata deviata dalla malinconia!
Ringrazio di cuore Jessica per avermi fornito il prompt, i lettori silenziosi e coloro che vorranno lasciare il proprio parere!
Un abbraccio e alla prossima.

Menade Danzante

   
 
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