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Autore: _Kurai_    14/08/2016    2 recensioni
Tornare sulla Terra era sempre stato il sogno di Oikawa, e nelle poche settimane in cui gli era stato concesso di fare il mestiere dei suoi sogni si era incantato spesso a contemplare lo splendore di tutto quel blu punteggiato di verde che galleggiava nello spazio profondo attorno a lui.
Aveva fatto in tutto tre passeggiate spaziali dopo aver passato l'esame con il massimo dei voti e con un anno di anticipo, prima di quel maledetto giorno.
Quel maledetto giorno che aveva segnato l'inizio della fine.
Ma poteva forse essere un nuovo inizio? O sarebbe stato solo un modo diverso per ucciderli?
Genere: Angst, Science-fiction, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Lost and found

 

Asahi, Noya e Tanaka si erano inoltrati nella macchia, inconsapevolmente diretti verso la zona della foresta dove Terushima e i suoi amici erano stati attaccati quella stessa mattina.

Se n'era reso conto per primo Yuu, notando delle grosse gocce di sangue sul terreno mentre cercava bacche e arbusti. Aveva chiamato gli altri, e un brivido li aveva scossi tutti e tre nel profondo.

Avevano camminato a ritroso seguendo le tracce e uno spettacolo orribile si era parato davanti ai loro occhi: due dei ragazzi che avevano seguito Yuuji, di cui Asahi non riusciva a ricordare i nomi (ma era così spaventato e scosso da aver difficoltà perfino a ricordare il suo stesso nome) giacevano sul terreno, a poca distanza l'uno dall'altro.

Se non fossero stati uccisi sul colpo dalle lame che spuntavano dal petto di uno e dalla fronte dell'altro, ci avrebbe pensato la nebbia: erano quasi irriconoscibili, e Azumane riuscì a reprimere a fatica un conato di vomito.

Altre tracce di sangue mostravano un trascinamento per alcuni metri, poi si riducevano alle piccole gocce che li avevano condotti lì.

Era probabile che i terrestri sarebbero tornati, per trascinare via gli altri cadaveri o forse a rendere cadaveri anche loro.

Asahi tremò visibilmente, cercando un'iniezione di coraggio nello sguardo di Nishinoya. Ma perfino Yuu e Ryuu si stavano guardando intorno preoccupati, dimostrando di aver pensato la stessa cosa. Azumane deglutì, cercando di mantenere il controllo.

Poi alle loro spalle sentirono tutti e tre chiaramente un fruscìo. Tanaka decise di prendere in mano la situazione, correndo in quella direzione mentre incoccava una freccia nel suo arco: da quella parte c'era l'accampamento, e non poteva permettere che chiunque avesse compiuto quella strage vi si avvicinasse.

Noya alzò lo sguardo e vide una seconda ombra sugli alberi: stringendo in mano la sua lancia corse dietro a Tanaka per avvisarlo, perché se l'amico si fosse concentrato troppo sul terrestre che stava inseguendo avrebbe rischiato di essere colpito alle spalle.

Asahi fece per seguirli, ancora tremando e senza riuscire a distogliere lo sguardo dal macabro spettacolo.

Appena alzò gli occhi dopo aver indietreggiato per qualche passo, tuttavia, una prospettiva ben peggiore lo pietrificò sul posto.

Pochi metri davanti a lui, con una freccia già incoccata nell'arco, il terrestre che aveva intravisto due volte tra gli alberi lo stava fissando. Non aveva dubbi: per quanto l'avesse visto confusamente quella fisionomia era difficile da dimenticare, e se non fosse bastata l'arma puntata nella sua direzione, quel suo strano mezzo elmo a forma di teschio di animale non faceva che peggiorare la sua brutta sensazione.

 

Asahi non riusciva a muoversi. Aveva l'impressione che le sue gambe avessero piantato radici nel terreno e i suoi occhi fossero inchiodati alla punta di quella freccia.

Noya e Tanaka sarebbero arrivati tardi, e lui sarebbe caduto senza potersi difendere.

Strinse i pugni per la frustrazione, ottenendo una fitta alla mano ferita.

All'ultimo istante, il terrestre variò di qualche centimetro la direzione dell'arco e scoccò la freccia.

Asahi la guardò superarlo e si voltò: una lepre giaceva trafitta alcuni metri dietro di lui sul terreno.

Il terrestre uscì dalle fronde, avanzando verso di lui.

Azumane fece per tirar fuori il suo coltello, temendo che lo sconosciuto l'avrebbe colpito comunque prima di andare a recuperare la sua preda.

La lama gli tremava in mano così tanto che non sarebbe stato in grado nemmeno di tagliare un panetto di burro, tantomeno di difendersi da un terrestre potenzialmente pericoloso.

Dopo uno sguardo obliquo, Aone lo sorpassò, ignorandolo.

Asahi sbattè le palpebre, stupefatto. Non sapeva se sentirsi fortunato o offeso per essere stato totalmente ignorato, come un elemento del panorama. Nel dubbio, si girò e iniziò a correre per raggiungere Yuu e Ryuu.

Correndo inciampò quasi in un altro cadavere: si trattava di un terrestre, colpito da una delle frecce di Tanaka. Aveva un occhio segnato da una cicatrice e i capelli scuri e intrecciati, e indossava abiti simili all'uomo che lo aveva appena ignorato nella radura. L'occhio sano, spalancato, sembrava fissarlo con rimprovero.

Lo oltrepassò di qualche passo, poi ci ripensò e si abbassò cautamente per cercare un'arma tra gli oggetti del morto: per quanto la cosa fosse ripugnante, si era appena reso conto di aver perso il coltello nella sua corsa di poco prima, e vagare solo e disarmato in un ambiente simile sarebbe stato un comportamento a dir poco suicida. Azumane recuperò dal cadavere l'arco e il corno, che presumibilmente era molto simile a quello che poche ore prima aveva inviato il segnale della nebbia acida.

Asahi sospirò, non prima di aver controllato almeno dieci volte che il morto non lo stesse davvero fissando con quell'occhio spento.

Seguì per un centinaio di metri le orme affiancate dei due amici, nitide sul terreno umido; improvvisamente, in un piccolo spazio aperto circondato da alberi, le impronte si moltiplicarono, come se altre persone fossero apparse dal nulla.

Che avessero dovuto combattere con dei terrestri in inferiorità numerica? E come aveva fatto a risolversi tutto in quei pochi minuti in cui lui era rimasto indietro? Era arrivato troppo tardi?

Un brivido scese lungo la schiena di Azumane quando abbassò lo sguardo e raccolse qualcosa dal terreno.

Si trattava di un piccolo ciondolo metallico attaccato ad una catenella spezzata, raffigurante un piccolo fulmine. L'aveva regalato a Yuu molti anni prima, e lui l'aveva sempre tenuto al collo.

La preoccupazione che aveva provato fino a quel momento impallidì di fronte al vero panico che lo assalì non appena strinse il ciondolo tra le mani.

 

 

Tobio rimase a fissare la maniglia seminascosta della botola per un minuto buono: cosa avrebbero trovato scendendo là sotto? Era prudente scendere senza avvertire gli altri? Tsukishima e Yamaguchi si trovavano lì? Erano ancora vivi?

Mentre lui indugiava ponendosi tutte quelle domande, Shoyo aveva già aperto la botola e messo le gambe a penzoloni nel vuoto, cercando l'appoggio del primo piolo della scala.

“Non avevo mai scoperto questo posto” sussurrò, con una vaga emozione nella voce, come se avesse dimenticato i tristi argomenti di cui aveva parlato fino a poco prima.

Kageyama lo seguì senza proferire parola.

 

“Tsukki”

“Tsukki?”

“Tsukkiiiiiiii?”

Yamaguchi sussurrò con crescente intensità nell'orecchio di Tsukishima, che si era addormentato da poco sul morbido divano del bunker mentre lui sfogliava un libro ingiallito sull'allevamento dei bachi da seta che aveva preso a casaccio, seduto sull'estremità del giaciglio dell'amico.

“Hn?” grugnì Kei, che odiava essere svegliato.

“Ho sentito aprire la botola, Tsukki”

Kei si alzò stropicciandosi gli occhi e sbuffando.

“Magari te lo sei immaginato, Yamaguchi”

Poi sentì anche lui il rumore dei passi che scendevano lungo la scaletta metallica e si alzò, dirigendosi con passo sicuro verso la cassa delle armi.

 

Lanciò una piccola pistola automatica a Tadashi, mentre lui prese uno dei fucili d'assalto: non avevano tempo per caricare le armi (e non aveva neppure idea di come si facesse, non avendone mai tenuta una in mano in vita sua), e sperava almeno di essere abbastanza minaccioso da spaventare gli invasori (Yamaguchi non sarebbe stato abbastanza minaccioso neppure al comando di un carrarmato, quindi rinunciò in partenza a considerare l'idea).

I due si nascosero dietro gli scaffali dei viveri, in agguato.

 

Shoyo e Tobio rimasero interdetti alla vista del bunker apparentemente vuoto.

“Ma che posto è questo?” chiese il piccolo terrestre a voce fin troppo alta, il che provocò un vago moto d'irritazione a Tobio, che comunque era troppo stupito a sua volta per palesarlo.

“Se mostrassimo questo bunker agli altri i nostri problemi sarebbero finiti”osservò Tobio, guardandosi intorno.

 

“Non azzardatevi a dirlo agli altri” Kei uscì dal nascondiglio col fucile spianato, seguito da un tremante Tadashi che cercava comunque di darsi un tono.

Tobio alzò lentamente le mani, senza variare però il suo tono di voce.

“Visto Shoyo? Avevo perfettamente ragione su di loro… però ho da farvi un piccolo appunto: la prossima volta che decidete di godervi un posto del genere tutto da soli almeno cancellate le vostre impronte, perché se al nostro posto ci fossero stati i terrestri o gli uomini della montagna vi avrebbero uccisi in un attimo”.

Mentre Tobio parlava per prendere tempo, Shoyo sfrecciò alle spalle di Tadashi, quasi scomparendo per un istante.

I due tenevano ancora le armi spianate, ma Yamaguchi sussultò quando sentì a sorpresa il freddo della lama di Shoyo che sfiorava il suo collo e si pietrificò sul posto, spaventato.

“Avevo ragione anche io sull'uccidere quel terrestre prima che si svegliasse” bofonchiò Tsukishima, irritato dal modo in cui la situazione si stava evolvendo.

 

“E così non mentiva sulla velocità” pensò Kageyama: era bastato un semplice scambio di sguardi con Shoyo per mettere a punto quel piano. Per quanto non riuscisse a comprendere il modo di pensare del terrestre e lo conoscesse solo da poche ore, gli sembrava ci fosse una strana sintonia, al di là del fatto che il giorno prima l'aveva quasi ammazzato.

 

“T-Tsukki… cosa devo fare ora?” balbettò Yamaguchi, che ancora teneva la pistola scarica con mani tremanti davanti a sé. La lama del coltello da caccia di Shoyo era sempre lì, a pochi millimetri dalla sua carotide, come una muta minaccia.

“Se continuate a tenermi sotto tiro Shoyo taglierà la gola a Yamaguchi… oltre al fatto che non sono così sicuro che sappiate usare quelle armi, davvero volete mettere alla prova l'istinto combattivo di un giovane guerriero cresciuto in questa foresta?”

Shoyo arrossì leggermente per la soddisfazione di essere stato definito “guerriero” da Tobio, anche se si trattava di un bluff. Non avrebbe mai tagliato la gola di un essere umano, visto che già faceva fatica ad uccidere le sue prede quando andava a caccia, ma non era opportuno che gli altri lo sapessero.

 

La situazione rimase in stallo per lunghi minuti, mentre Tsukishima e Kageyama si scambiavano sguardi in grado di fulminarsi a vicenda.

“E va bene” sbuffò Kei, cedendo allo sguardo terrorizzato di Tadashi “ora voi ve ne andate da qui, vi dimenticate di averci visto, dite al campo che siamo morti o quello che vi pare e fingeremo tutti che non sia successo nulla”

“Non credo proprio… davvero ti sentiresti in pace con te stesso a stare qui con cibo e armi mentre noi là fuori rischiamo la vita e soffriamo la fame? Già ti consideravo un po' stronzo ma non credevo a questi livelli...” giocò col fuoco Tobio, che ancora aveva il fucile puntato addosso.

“Io non sarei così sicuro di me con davanti un fucile spianato, Kageyama”

“Io fossi in te avrei già sparato quando Shoyo ha minacciato Yamaguchi, quindi deduco che quel fucile non sia carico perché vi abbiamo colto di sorpresa. Sbaglio?”

“Sfortunatamente per me hai ragione, sennò ti avrei sparato in mezzo agli occhi proprio in questo momento” rispose Tsukki, con uno sguardo di odio autentico “dimmi che diavolo volete per andarvene da qui subito e fingere che nulla di tutto questo sia accaduto”.

“Avete altre armi da fuoco e munizioni? Voi siete solo in due e qui c'è spazio almeno per cinque, quindi immagino non ci siano solo quelle...”

Tsukishima esitò, poi acconsentì con una vaga reticenza “E sia… ma sappi che se qualcuno verrà qui a cercarci o se scoprirò che hai detto qualcosa a quegli idioti che credono di essere i leader del campo non esiterò a uccidere te per primo, magari facendolo sembrare un incidente”

“Detto da uno che preferisce rinchiudersi in un bunker pieno di lattine di fagioli non sembra una gran minaccia” ribattè Tobio, ghignando.

Dopo il breve scambio di battute acide e ad accordo quasi raggiunto, Shoyo rimise a posto il suo coltello.

Kageyama e Tsukishima rimasero a trattare ancora un po' sul numero di armi e infine la spuntò Tobio, ottenendo tre fucili e tre pistole, con relative munizioni. In fondo a che serviva tutto quell'arsenale per sole due persone?

 

Tobio e Shoyo uscirono in silenzio dal bunker con le armi in spalla, per poi nascondere meglio l'accesso e cancellare le impronte, come d'accordo.

Kageyama abbozzò un mezzo sorriso, felice di aver ottenuto ciò che voleva.

“Anche quando sorridi hai una faccia strana, Tobio” commentò Shoyo, ridendo “sembra più il ghigno di una bestia feroce”. Tobio lo guardò sollevando un sopracciglio, per poi superarlo e incamminarsi verso l'accampamento con il suo prezioso carico, pensando alla storia che avrebbe inventato per giustificare l'accaduto.

 

 

Nel frattempo, all'accampamento, Kenma si era chiuso nel mutismo totale dopo aver fallito con la radio. Il suo errore aveva bruciato tutto il circuito e non avevano abbastanza pezzi per costruirne un altro: lui aveva reagito salendo al piano di sopra della navicella e chiudendo la botola per scendere al livello inferiore, senza far entrare nemmeno Kuroo.

Tetsurou stava bussando sulla botola da almeno mezz'ora, appeso alla scaletta che divideva i due livelli e continuando a parlare per cercare di convincere il più piccolo a uscire o a farlo entrare.

Non che fosse facile, considerando che Kenma aveva vissuto per tre anni in un armadio e se sfidato sarebbe rimasto lì dentro per altrettanto tempo.

Oikawa era uscito a sbollire il nervosismo e a cercare Iwaizumi e nella navicella erano rimasti solo loro due, almeno fino a quel momento.

“Che succede bro?” sentì all'improvviso Kuroo alle sue spalle, e preso di sorpresa per poco non scivolò giù dalla scaletta “Kenma si è chiuso dentro? L'hai fatto incazzare?” chiese Bokuto, come sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Apparentemente era entrato per cercarlo, in realtà l'aveva fatto per prendersi una pausa dal lavoro per la costruzione delle fortificazioni, che non era affatto divertente.

“Non ho fatto proprio niente… c'è stato un corto circuito mentre lavorava alla radio e si è depresso di colpo, non riesco più a farlo scendere” spiegò Kuroo.

“Dovresti provare ad attirarlo col cibo...” propose Bokuto, convinto.

“Non è un animale, Koutarou!” ribattè Tetsurou “Non credo che funzionerebbe, comunque” aggiunse, anche se prese mentalmente nota di provarci.

“Mah, io faccio un tentativo, uomo di poca fede” disse Bokuto, tirando fuori dalla tasca una delle schifosissime barrette insapore che avrebbero dovuto essere le loro provviste ma venivano sistematicamente evitate. “Quiiiiiii, miciomiciomicioooo! Dai, vieni giù a mangiare o lì sopra morirai di fame!”

“Sei uno scemo bro, non scenderà mai se fai così… E poi quella barretta non attirerebbe nemmeno il più affamato e disperato degli animali denutriti, visto quanto fa schifo.” affermò Kuroo, sospirando “Ora vai, o renderai vani tutti i miei tentativi. Prometto che appena risolviamo questa faccenda vengo ad aiutarvi con le fortificazioni” congedò Bokuto, che se ne andò deluso dalla navicella.

 

“Dai Kenma, se non ti va di scendere almeno fammi salire… sono sicuro che troveremo un modo, puoi ancora usare il mio bracciale e troveremo altre componenti per il circuito! Non è da te arrenderti così… Se mi fai salire ti lascerò in pace finché vorrai, ma odio quando mi tagli fuori in questo modo e non mi dai nemmeno la possibilità di aiutarti” concluse Kuroo, non senza una sfumatura di frustrazione nella voce.

La botola si aprì lentamente, lasciando appena lo spazio perché un occhio di Kenma facesse capolino. “Bokuto è andato via, vero?” chiese, quasi sussurrando.

“Sì, è tornato dagli altri… posso salire adesso?” chiese dolcemente Kuroo, con il suo solito sorriso sghembo.

Kenma non rispose, ma lasciò la botola aperta.

Tetsurou finì di salire la scaletta ed entrò nel nuovo rifugio di Kenma, che comunque era molto più spazioso dell'armadio sull'Arca.

Gli occhi dorati del biondino erano arrossati, ma Kuroo era sicuro che non avesse pianto: dal giorno in cui erano scomparsi i suoi genitori Kenma aveva finito le sue lacrime e aveva sviluppato un comportamento freddo e apatico per farsi da scudo, che solo Kuroo con impegno riusciva a scalfire.

Tremava e respirava troppo rapidamente, tenendo una mano sul petto come se ogni respiro gli provocasse dolore.

Kuroo l'aveva già visto così diverse volte, e sapeva cosa fare.

Kenma era troppo orgoglioso per chiedergli aiuto, ma si avvicinò comunque al più grande fino ad appoggiarsi al suo petto con la testa. Kuroo lo circondò con un braccio e iniziò ad accarezzarlo lentamente, aspettando che si calmasse. Il respiro del più piccolo iniziò lentamente a normalizzarsi, mentre l'attacco di panico gradualmente sfumava in una sensazione di stanchezza.

Kenma era stato incredibile negli ultimi due giorni: aveva preso iniziative e risolto problemi quasi insormontabili, ma quella parte di lui che aveva subìto lo shock della perdita dei genitori, degli anni passati a nascondersi e dalle torture dei dottori del laboratorio sull'Arca era ancora lì, pronta ad uscire in ogni momento di debolezza.

Per questo Kuroo era lì, pronto a fornirgli tutto il supporto e la sicurezza di cui aveva bisogno.

Era lì al suo fianco, e ci sarebbe sempre stato.

 

 

Oikawa e Iwaizumi furono i primi a vedere da lontano Shoyo e Tobio tornare con la sacca piena di armi. I due stavano aiutando a costruire le fortificazioni (nonostante Hajime potesse usare un braccio solo) ma si avvicinarono subito per chiedere spiegazioni, così come Koushi che era rimasto in ansia tutto il tempo: stava scendendo la sera, e gli altri tre non erano ancora tornati.

Tobio glissò e spiegò di aver trovato per caso la sacca con le armi in una cassa di legno sotterrata nella foresta.

Oikawa soppesò uno dei fucili d'assalto, pensieroso.

“Con questi potremo andare tranquilli alla montagna” commentò Hajime, congratulandosi con Tobio, che ottenne di tenere per sé una delle pistole; Shoyo non volle neppure toccare le armi, perché tra i Trikru vi era una bizzarra credenza secondo cui anche solo sfiorare un'arma da fuoco avrebbe portato alla propria morte.

Kageyama raccontò anche di aver visto e sotterrato i corpi di Kei e Tadashi, che non erano sopravvissuti alla nebbia. Sugawara si adombrò improvvisamente e tornò nella tenda infermeria, in preda a ingiustificati sensi di colpa.

 

Una volta allontanatosi dal resto del gruppo, Shoyo fissò Tobio con il suo migliore sguardo accusatore e disse: “Perché non gli hai detto che quei due sono vivi ma non vogliono stare qui? Il guaritore Koushi sembrava così triste...”.

“Perché non li sopporto, e se vogliono stare sottoterra come i vermi di certo non sarò io a tirarli fuori per riaverli qui a lamentarsi… se lo avessi detto a Sugawara-san avrebbe deciso sicuramente di convincerli a tornare e Tsukishima avrebbe dato di matto. Meglio così, ognuno per la sua strada” concluse Tobio, stringendo l'impugnatura della sua nuova pistola.

 

 

Dopo un pasto frugale con gli avanzi del cervo, consumato in silenzio un po' per la stanchezza e la preoccupazione e un po' per il terrore di attirare invasori non graditi, ognuno si ritirò nella propria tenda. Sugawara aveva deciso di tenere Terushima in osservazione per una notte, temendo che la nebbia gli avesse danneggiato le vie respiratorie.

 

Avevano deciso di stabilire dei turni di guardia per la notte, e il primo era stato affidato a Iwaizumi e Hanamaki: Oikawa aveva insistito per essere lui a rimanere con Hajime, ma era poco credibile con gli occhi che minacciavano di chiudersi continuamente per la stanchezza accumulata, e quest'ultimo lo aveva minacciato di prenderlo a pugni se non fosse andato immediatamente a dormire.

I due si erano appostati vicino al fuoco per scaldarsi, e tenevano i fucili carichi a portata di mano, pronti a sparare a qualunque intruso.

Asahi, Noya e Tanaka non erano tornati, ed era stata già progettata una spedizione per il mattino seguente: non avrebbero perso nessun altro, Hajime lo aveva promesso ad un tristissimo Koushi che li aveva convocati di nuovo dopo cena.

 

 

Nonostante i due si conoscessero da anni rimasero in un silenzio imbarazzato per quasi due ore, prima che Takahiro decidesse di porre ad Hajime la domanda che gli frullava in testa da quando l'aveva visto entrare nella navicella: “Da quanto tempo sapevi che saremmo venuti sulla Terra?” chiese, lo sguardo basso e concentrato su un anellino d'acciaio che si rigirava intorno all'anulare.

“Vuoi chiedermi perché non l'ho detto a Issei, immagino” rispose Iwaizumi, con tono monocorde.

“Sì… mi sembra di impazzire a pensare che lui sia ancora sull'Arca che sta finendo l'ossigeno, mentre noi siamo qui a chiederci se sopravviveremo a domani. E poi… sono certo che tu e Tooru mi stiate nascondendo qualcosa… sbaglio?”

“Non sbagli, Takahiro. È colpa mia se Issei non è qui, è colpa mia che ho sbagliato tutto… Non gliel'ho detto per non metterlo in pericolo, perché aver parlato troppo aveva già causato un attentato alla vita del caposquadra Sawamura… capisci che non potevo parlare anche a lui di quello che io e Tooru abbiamo scoperto e dell'Operazione Cento, non con le spie del Cancelliere che spiavano ogni movimento sospetto...” rispose Hajime, come un fiume in piena, con un vago senso di colpa che gli opprimeva il petto.

“Avresti dovuto dirglielo, qualunque cosa voi due abbiate scoperto… non pensi che ora sia comunque in pericolo, se sta indagando per capire cosa ci è successo?” disse Hanamaki con la voce rotta, a metà tra la rabbia e la tristezza “Non so nemmeno se è vivo ora… per quanto ne sappiamo noi potrebbe essere successa qualsiasi cosa lassù” tirò su col naso, alzando lo sguardo verso le stelle e giocando distrattamente con l'anellino, che portava incise all'interno le lettere “I. M.”.

 

Proprio in quell'istante, una scia luminosa attraversò il cielo sopra le loro teste, per poi sparire oltre gli alberi.

I due videro salire un filo di fumo e si guardarono per un istante, poi Hanamaki sfrecciò in avanti con il fucile in spalla e la torcia in mano, sparendo oltre le fortificazioni in pochi secondi. Hajime lo seguì correndo, cercando di non svegliare gli altri.

“Qualunque cosa fosse, è quasi sicuramente atterrata nel lago” osservò Iwaizumi, valutando la distanza e il rumore attutito che avevano sentito dal campo.

Takahiro non lo stava ascoltando: era come se una forza misteriosa lo stesse attirando verso lo specchio d'acqua, che raggiunsero nella metà del tempo che avevano impiegato la prima volta, nonostante il buio.

Quando arrivarono videro solo fumo, che vestiva l'atmosfera notturna di un'aura inquietante: il nero dell'acqua si increspava ancora per l'atterraggio violento di una piccola navicella di emergenza, che sembrava fissarli dai due grandi oblò scuri che facevano capolino dalla nube grigiastra.

Dopo qualche minuto, il portellone si aprì lentamente e una sagoma alta uscì tossendo, con l'acqua fino alle ginocchia.

 

Ancora prima che il fumo si dissipasse, Takahiro lasciò cadere la torcia che aveva in mano e corse nell'acqua bagnandosi fin quasi alla cintura per gli schizzi, per poi saltare letteralmente al collo del ragazzo che era appena uscito dalla navicella. Le mani tra i capelli ricci che conosceva così bene, giù sulla nuca e poi sul collo su cui tante volte aveva lasciato i segni dei suoi baci, le braccia muscolose di Issei che lo stringevano e lo tiravano a sé, le lacrime incontrollabili che scendevano dagli occhi di Hanamaki e che Matsukawa cercava di trattenere, con pochi risultati.

Takahiro gli sfiorò la spalla ferita e lo guardò negli occhi con apprensione, ma Issei gli sorrise: non c'era più nulla di cui preoccuparsi, non se erano insieme.

Si baciarono lì, immersi per metà nell'acqua scura del lago, tagliando fuori ogni altra cosa.

Intrecciarono le dita come una serratura inespugnabile, e due anelli uguali si sfiorarono con un flebile tintinnìo, mentre entrambi riassaporavano la sensazione di poter essere di nuovo una cosa sola, di poter di nuovo stare vicini senza più alcuna barriera a dividerli, che fossero le sbarre del carcere dell'Arca o l'atmosfera terrestre.

Probabilmente sarebbero anche andati oltre, se dall'interno della navicella non fosse giunta la voce di Daichi, che aveva preso una testata non indifferente durante l'atterraggio ed era ancora un po' frastornato dal viaggio e sofferente per il dolore alle ferite non ancora del tutto guarite.

Hajime vi entrò, aiutando il suo caposquadra a uscirne non senza difficoltà.

Era malconcio, ma era vivo.

“E così… ce l'abbiamo fatta?” chiese al suo sottoposto con un sospiro di sollievo, per poi guardarsi intorno e riprendere un po' di lucidità “State tutti bene? Dov'è Koushi?”

“Vi accompagnamo subito all'accampamento, Sawamura-san… Sugawara-san sta bene, ci ha praticamente tenuti in vita lui finora” gli sorrise Hajime, che si sentiva come se un enorme peso gli fosse appena stato tolto dal petto.

Iwaizumi raccolse la torcia di Hanamaki dal terreno e tornarono sui loro passi, impazienti di portare la buona notizia agli altri.

 

 

Tooru si svegliò apparentemente dopo un paio di minuti di sonno, anche se in realtà erano già passate almeno due ore.

Aveva sentito un rumore, ma non era sicuro se fosse reale o se l'avesse solo immaginato.

Aveva un gran mal di testa e la tenda era soffocante, così uscì all'esterno per cercare un po' di sollievo contando le stelle come faceva con Hajime sull'Arca, fin da quando erano piccoli. Magari sarebbe anche andato a sedersi accanto a lui davanti al fuoco, per trarre un po' di conforto dalla sua vicinanza, sempre che non mantenesse la promessa di prenderlo a pugni.

Camminò lentamente in punta di piedi tra le tende verso il fuoco al centro dell'accampamento, pensando a mille cose da dire ad Iwaizumi per giustificarsi senza fare la figura dell'idiota, ma poi decise che non gli importava.

Una volta raggiunto il suo obiettivo però rimase interdetto e si lasciò istantaneamente prendere dal panico: Hajime e Takahiro non erano più seduti a fare la guardia intorno al fuoco, e non erano da nessuna parte lì intorno.

Oikawa rabbrividì nel buio nonostante la vicinanza del falò, e camminò a tentoni fino alla tenda di Sugawara, che si trovava a fianco dell'infermeria, a pochi passi da lì.

“Non ci sono più… Hajime e Takahiro… non sono da nessuna parte” non potè evitare di svegliare Koushi di soprassalto, che già era in preda a un dormiveglia fatto di incubi e inquietudine: il medico si alzò a sedere in fretta e gli chiese di calmarsi, perché sicuramente c'era una spiegazione valida.

“Temo che siano andati verso la montagna… Hajime era così felice per le armi trovate da Tobio, ma non pensavo che avrebbe aspettato la notte per andare senza di me...” Oikawa tremava leggermente, come se fosse sull'orlo delle lacrime o di una crisi di nervi.

“Non credo che Iwaizumi lo farebbe… non è al massimo della forma e non ha preso munizioni extra, non vedi?” indicò la sacca delle armi, che avevano deciso di custodire nella sua tenda “E poi è il suo lavoro fare la guardia per proteggerci, quindi se lui e Hanamaki si sono allontanati dev'esserci un motivo serio, non credi?” gli rispose Koushi, stropicciandosi gli occhi e alzandosi del tutto. Tooru era scettico, e per quanto annuisse alle spiegazioni logiche di Sugawara immaginava nella sua testa le peggiori prospettive possibili: già tre di loro erano scomparsi, non potevano trascurare quell'aspetto… e poi Hajime avrebbe potuto davvero essere abbastanza cocciuto da andare da solo (o trascinandosi dietro Takahiro, che aveva continuato disperatamente a vagare per tutto il tempo alla ricerca di qualcosa da fare per tenere la mente occupata) verso la montagna, lasciandolo lì solo per proteggerlo.

Fu allora che alzò lo sguardo, notando il filo di fumo che saliva verso il cielo nel mezzo della foresta.

“È successo qualcosa” sussurrò a Koushi, rapito anch'egli da quella visione.

“Può darsi che… sia arrivato qualcosa mandato dall'Arca” azzardò a bassa voce l'altro, speranzoso.

 

 

Impiegarono molto più tempo per tornare rispetto alla corsa dell'andata, in primis per la lentezza di Daichi che era uscito piuttosto provato dalla sparatoria e dal viaggio, anche se gli occhi gli brillavano per la voglia di rivedere Koushi; inoltre ad un certo punto videro un movimento nella notte, che li indusse a rimanere nascosti per un po', prima che quello che presumibilmente era un terrestre si allontanasse.

Issei e Takahiro continuavano a sussurrare tra di loro, tenendosi per mano, e il sorriso di Hanamaki era luminoso quasi quanto la luce della torcia: il contrasto con i giorni precedenti era evidente, e sembrava camminare a un metro da terra.

 

Quando infine Iwaizumi apparve da dietro le fortificazioni, seguito dagli altri tre, Oikawa lo vide subito e iniziò ad andargli incontro con passo spedito, per poi iniziare a insultarlo e a prenderlo a piccoli pugni sul petto, mentre l'altro reagiva con un'espressione attonita.

“Sono già sparite e morte delle persone… e tu… sei sparito di notte… io credevo che vi avessero catturato… o che foste andati alla montagna senza di me, Iwa-chan!” quasi urlava Tooru, fregandosene del fatto che fossero appena le tre del mattino e che dalle tende stavano salendo insulti e minacce orribili a lui rivolte.

Senza dire nulla, Hajime invitò Tooru a guardare dietro di lui, e in un istante Oikawa capì.

“Quindi… quel fumo… siete appena atterrati? Com'è la situazione sull'Arca?” riprese il controllo di sé, rivolto a Matsukawa e Sawamura.

Ancora prima che Tooru ricevesse risposta, Koushi raggiunse il gruppetto e notò immediatamente Daichi.

Il tempo parve fermarsi, come se nient'altro esistesse all'infuori di loro.

Daichi era quasi a corto di energie, ma trovò le forze sufficienti per azzerare in un istante la distanza che li separava e cingerlo in un abbraccio che sottintendeva mille parole.

“Direi che non hai seguito le istruzioni per la convalescenza che avevo lasciato a Takeda-san” gli sussurrò in un orecchio Koushi, mentre non riusciva a trattenere le lacrime di gioia.

“Direi proprio di no, ma è stato assolutamente per un'ottima causa” rispose Daichi, asciugandogli le lacrime con le labbra e poi sollevandolo quasi di peso per baciarlo, per poi ricordarsi di essere convalescente e trattenere il respiro per una fitta improvvisa.

Ma non gli importava.

Koushi era tra le sue braccia, nient'altro era importante.

 


Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma ecco finalmente l'aggiornamento! In questo capitolo ho voluto fare qualche piccolo passo indietro di qualche ora per raccontare ciò che è accaduto nel frattempo ad alcuni personaggi, sempre nell'ottica del cambio di punto di vista... spero che sia tutto chiaro, sennò comunque fatemi presente eventuali dubbi o incongruenze nelle recensioni o in mp!
Grazie a tutti quelli che stanno leggendo, siete la mia gioia <3

E dedico la DaiSuga finale a Yua, che ho fatto tanto penare XD

Alla prossima!

_Kurai_

   
 
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