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Autore: claws    15/08/2016    1 recensioni
«Non ti sembra di dovermi qualcosa?»
«Non ti sembra sufficiente aver giocato con lo zippo?»
«No. Promettimi che non ti arrabbierai per quello che sto per chiedere.»
«Ch. Va bene, prometto.»
«Ti piace di più il rosso o il blu?»

[≈3000 parole][utilizzo sfrenato e gratuito di citazioni da diversi film, videogiochi, et cetera][Genderswap!SmoAce]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Portuguese D. Ace, Smoker | Coppie: Ace/Smoker
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'The person that you take a bullet for is behind the trigger'
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Avvertenze: Non prendete troppo sul serio questa storia, è stata scritta perché non fosse né impegnata né impegnativa! XD
Sarebbe un sequel di Helter Skelter. Le ho ambientate nello stesso AU, ma è un ambiente talmente lasco/vago che potete leggere questa storia senza conoscere l’altra: le cose che servono vengono qui menzionate, per cui vi posso consigliare di leggere la prima one shot solo per farvi due risate. lol.
Ci sono anche alcuni punti un pochino volgari in termini di parolacce/linguaggio "colorito" ma nulla che, credo, richieda l'arancione.

Spero vi possa piacere!

 

 

 

 

 

 

Smokin’ Hot

 

Chiunque stesse fumando quella marca di sigarette – roba di classe, non la prima bravata da ragazzini – doveva essere lodato ora e per sempre. Dal momento che stava cercando di smettere di fumare, una zaffata di Death era una tentazione da evitare, ma fanculo il mondo, il profumo era molto invitante. Il vento scemò improvvisamente e Smoker rimase senza morte passiva, perciò insultò il creato per aver dato vita alle sigarette e per tutte le malattie che dal fumo si sviluppavano. Perché respirare, se respirare uccide? Tutte le ore feriscono: tanto valeva, per lei, godersele con una bella sigaretta da fumare. Fanculo il medico. Avrebbe chiesto da accendere a chi stava fumando (e con il suo fumo-radar individuò subito l’angolo e il muretto della strada dove si trovava la fumatrice). Immaginate il suo stupore quando si trovò davanti la ragazzina che Smoker stessa, con le proprie mani, aveva perquisit—cioè, aveva sbattuto in cella (in cella, non in senso—insomma!) qualche mese prima per tentativo di furto e oltraggio a pubblico ufficiale.

«Ah, ci si rivede, ufficiale.»

Ecco, appunto. La marmocchia era seduta sul muretto del parco e agitava le gambe avanti e indietro, con quella tremenda faccia di bronzo (e scura come bronzo sotto le luci dei lampioni).

«Portgas.»

«Ti ricordi come mi chiamo?»

«Ricordo i nomi e le facce di tutte le persone che ho portato in cella, ragazzina.» Si complimentò con se stessa per essere riuscita a dire portare e non sbattere. Ottimo lavoro!

«Forse te le ricordi tutte, ma di certo non ti avvicini a tutte. Come mai sei qui?»

Smoker sbuffò, prima di rispondere. Sembrava seccata da tutte queste domande (era seccata davvero da tutte queste domande). «Sono in ferie.»

Anne era perplessa, ma divertita. «Lo sai, Smokie, che essere in ferie significa staccare e andare al mare o in montagna, o in qualche bella città? O almeno dai tuoi? Insomma, non stare a casa tua.»

Alla faccia della marmocchia impertinente! Essere in vacanza non vuol dire per forza andarsene di casa per una settimana: chiedetelo agli studenti, per esempio! Una bella ubriacatura di alcol e fumo, per esempio, vale benissimo come essere in ferie. Chi cazzo aveva inventato lo stereotipo della vacanza fuori porta? «Fammi un favore, Portgas. Dammi una sigaretta e io vedrò di non rispedirti a fare un giro in Centrale.»

«Ma se non ti ho fatto niente! Non puoi mica portarmi dentro per qualcosa che non ho fatto!»

Maledetta stronza. Smoker se ne sarebbe andata al distributore a prendersi un pacchetto da venti—no, aspettate: lei voleva smettere di fumare, non ricominciare! Aveva bisogno di una sola sigaretta per trascorrere una nottata almeno decente: poi non avrebbe toccato sigarette per due giorni. Promesso.

Anne l’aveva fissata per tutto il tempo. Forse aveva anche intravisto la lotta interiore di Smoker tra il vizio del fumo e la voglia di uscirne. Ad ogni modo, dopo aver lasciato Smokie a cuocersi nel proprio brodo per altri due minuti, Anne le offrì una sigaretta, dicendo: «Mi sembra che manchi qualcosa alla tua—aura, quando non fumi. Come un boss senza Timore Reverenziale: non c’è gusto se non c’è il brivido dei Tiri Volontà.»

Smoker non capì il riferimento ai giochi di ruolo, ma prese la sigaretta quasi strappandogliela di mano, come se Anne avesse intenzione di farle uno scherzo e di usare una paglia per un ricatto, o qualche altra storia del genere. Nulla di tutto ciò accadde, comunque.

«Hai l’accendino?» Chiese Anne.

Smoker annuì. Dalla tasca estrasse uno zippo per accendersi la sigaretta. Anne fischiò e si fece dare quel gioiellino per giocare un po’, rigirandoselo tra le dita con destrezza.

«Cerchi di smettere di fumare, Smokie?»

«Quello è l’intento.»

Rimasero in un silenzio abbastanza confortevole. Quando Smoker finì di fumare, Anne le restituì lo zippo. Era tornata la faccia da schiaffi di sempre, e per un secondo Smoker si pentì di averle chiesto da fumare, perché quella smorfia non presumeva nulla di buono – nulla di buono per la poliziotta, ovviamente.

«Non ti sembra di dovermi qualcosa?» Chiese Anne, con un sorriso che pareva gentile ma portava tempesta.

«Non ti sembra sufficiente aver giocato con lo zippo?»

Anne mise su il broncio: era sorprendente la velocità con cui le sue espressioni si trasformavano. «No. Promettimi che non ti arrabbierai per quello che sto per chiedere.»

«Ch. Va bene, prometto.» Più che preoccupata, era infastidita: ora che s’era goduta una sigaretta, il suo obiettivo era diventato allontanarsi sana e salva da quella ragazzina.

«Ti piace di più il rosso o il blu?»

«Ma che cazzo di domanda è—»

Anne, veloce come una leonessa, prese il viso di Smokie tra le mani e la baciò delicatamente. Poi saltò giù dal muretto (stando seduta lì sopra le era stato più facile baciare Smokie, che portava pure i tacchi alti) e guardò la donna, con un’aria da gatta che ha spazzolato tutta la ciotola, e che si sta leccando i baffi.

«Portgas—»

«Avevi detto che non ti saresti arrabbiata!»

«Tu devi smettere di baciare gli sconosciuti!»

«Tranquilla, lo faccio solo con le tipe, e solo con quelle carine. Ti è piaciuta la mia citazione dal nuovo Star Trek? Il dottor McCoy è il mio preferito!»

Smoker non riusciva a capire se Portgas fosse rincretinita o se rincretinisse gli altri. Forse entrambe le cose. Per evitare ulteriori coinvolgimenti (e già era abbastanza compromessa, a questo punto), la nostra poliziotta pensò bene di non commentare, anzi: visto che Anne aveva ottenuto quello che voleva, Smoker cominciò ad allontanarsi, camminando a passo di marcia. Anne rimase ferma un po’ a contemplare un lato di Smokie che ancora non aveva ben colto (non il suo sedere, sia chiaro, ma la sua tattica di ritirata! Ok, forse un po’ anche il suo sedere. Non era mica male!); poi, finito il momento di apprezzamento, corse per raggiungere l’altra donna.

«Cos’è, non hai visto Star Trek?»

Smoker guardò Anne negli occhi, fulminandola, come un taser. Le mani di Anne, in effetti, si mossero come se avessero preso la scossa, quando in realtà solo l’occhiataccia di Smoker le aveva colpite. «Preferisco il capitano Picard.»

Anne sbiancò. Quanta teatralità! «No! No, no, no, no! Non ci credo!»

«Che cosa c’è, adesso, Portgas?»

Anne decise di aver bisogno di un’altra sigaretta. Accenderla e camminare allo stesso tempo non era facile, specie in una sera di vento (che era tornato appena Smoker aveva cominciato a camminare, quasi per accompagnarla lontano da Anne), ma alla fine ci riuscì. «Senti, il tuo partner di lavoro, ecco – sai se preferisce Kirk o Picard?» Chiese, con tono falsamente indifferente.

«Lascia fuori Tashigi da questa storia.» Rispose Smoker, avanzando di qualche passo per poter sbarrare la strada ad Anne. Incrociò le braccia per cercare di essere più minacciosa possibile. «Puoi tornare a casa tua, ora.»

«Ah, va bene! Cercherò di essere chiara,» disse Anne, soffiando il fumo della sigaretta di lato, «se quell’altra volta ti ho preso il portafogli, l’ho fatto per divertimento. Ma se ti ho baciato è stato perché sei uno schianto. Te l’ho detto, bacio solo le tipe dal carino in su. Hai anche uno strano senso dell’umorismo, che a me non dispiace. Volevo solo—sondare il terreno.»

Stava farneticando. Chiaramente. «Ci stai provando con me, in sostanza.» Concluse Smoker, con lo stesso tono con cui una persona avrebbe accusato l’altra di prenderla in giro.

Anne, però, era serissima. «Quello è l’intento.»

Rimasero una di fronte all’altra per un minuto, in silenzio; Anne stava per fare l’ultimo tiro, quando Smoker le strappò di mano la sigaretta e l’ultimo pezzetto di cicca. Anne non poteva davvero essere scontenta (oppure offesa) per quel gesto: lo dimostrò esibendo un bel ghigno di soddisfazione. «Quello era un bacio indiretto, lo sai, Smokie?»

Quando arrivarono alla fine della strada, dove la linea dei lampioni si interrompeva e le case si tuffavano nel buio, le due vennero inghiottite dalla notte mentre erano ancora fianco a fianco.

«Che cosa ci facevi, sul muretto del parco?»

«Abito da quelle parti.»

«E i tuoi non sanno che fumi.»

«Ma davvero, Sherlock.» Anne sbuffò, e la torcia che aveva in mano (non usciva mai senza) venne puntata contro il viso di Smoker, in un movimento che voleva essere d’accusa – e che invece colpì la donna in faccia dal basso, al punto tale da farla sembrare un ghoul. Invece di arrabbiarsi, Anne scoppiò a ridere. «La prossima volta ti faccio una foto e la mando al primo regista di horror che trovo: potresti essere una non-morta perfetta!»

«Leva quella torcia dalla mia faccia.»

«Non è sulla tua faccia, è nella mia mano.»

Ah, questa volta Smoker aveva colto la citazione. «Allora togli quello che hai nella tua mano dalla mia faccia.»

«Hai vinto, signorina Watson!»

Smoker fermò la propria marcia. Anne, perplessa, indirizzò il getto di luce della torcia poco più avanti, sulla strada, e illuminò un’utilitaria color argento; vide Smoker estrarre dalla tasca un paio di chiavi e poi indicare l’auto. Pur dopo tutto quello che Anne le aveva detto e le aveva fatto, quella lì si ostinava a portarla a casa? (Be’, non che Smoker non gliene avesse combinata qualcuna di poco conto, ma in ogni caso Anne si domandò se avesse dovuto mettere in conto una proposta simile, quando aveva cominciato a seguire Smoker chissà dove.)

«Muoviti. Non è sicuro, per una ragazzina, andare in giro a quest’ora.»

«Ti ricordo che sono una studentessa universitaria di Chimica in Statale, e che se serve so come usare la lacca con un accendino senza farmi saltare una mano. Non ho bisogno di Xena per tornare a casa.»

Anne non vide chiaramente il viso di Smoker, ma avrebbe giurato che quella stronza (perché era stronza: l’aveva lasciata due giorni in cella solo perché—be’, due giorni in cella!) stesse sorridendo. Non sapeva se essere contenta, perché poteva essere una visione inquietante, o se essere triste, perché forse era un bel sorriso in stile Wonder Woman. «Neanche se ti lascio scegliere quali canzoni mettere su?»

Oh. Oh. L’autoradio era un’enorme debolezza di Anne, in effetti. «Ci sta!»

«Ma niente audio a palla.» Precisò Smoker, prima che si potesse scatenare una guerra per il controllo del regolatore del volume.

«Sissignora, ho capito. Fammi dare un’occhiata a quello che hai in memoria su quest’affare.» Disse Anne, e subito cominciò a pigiare tasti alla velocità del fulmine: Smoker era sempre affascinata dalla rapidità con cui ragazzine e ragazzini utilizzavano telefonini e tablet, e per questo rimase sorpresa per un secondo solo quando Anne sollevò la testa dall’autoradio e aggiunse: «Ma c’è solo musica della preistoria o hai qualcosa di più nuovo?»

«Cos’hai contro AC/DC, Jethro Tull e The Doors?»

«Da ora in poi ti chiamerò vecchia e non potrai ribattere. Vediamo la disco... Boney M? Seriamente? Grazie al cielo ancora non ho visto gli ABBA, qui dentro. Vabbè, Santana ok, poi—oddio, veramente i Nickelback? Ma tu fai salire delle persone su questa macchina, essendo consapevole del fatto che hai i Nickelback in radio?»

«Sta’ zitta e mettiti la cintura di sicurezza.»

«Ok, ok—vecchia

«Se critichi, vuol dire che li conosci.»

«E se li conosci, li eviti! Ovvio che so chi sono.» Tutta la discussione era avvenuta mentre Anne finiva di controllare quali album fossero disponibili sulla chiavetta USB attaccata all’autoradio, finché, demoralizzata, non decise di tirar fuori il proprio cellulare e di usarlo come stereo. «Sentiti questa. Halsey ha una voce bellissima.» Partì Ghost prima ancora che Smoker accendesse il motore. In effetti la cantante aveva una voce morbida, che calzava con l’orario notturno. Anche il contenuto della canzone pareva proprio adatto alla vita dei giovani in vacanza, per quello che ricordava Smoker dei propri primi anni dopo aver preso la patente.

«Portgas, tu non capisci niente di musica. Sai, almeno, qual è la prima canzone in cui è comparso il termine heavy metal

Anne disse di no. Non sembrava molto interessata a quest’argomento, visto come non si mosse dalla posizione in cui si trovava – vale a dire con la testa attaccata al finestrino e il braccio contro il vetro. Se avesse avuto un chewing gum con cui soffiare delle bolle, probabilmente sarebbe sembrata una teenager infastidita dal fatto che una gran bella festa s’era appena conclusa.

«Born to be wild, dei Steppenwolf. Mai sentita?»

«Non di quel gruppo – mi sarei ricordata il loro nome, se l’avessi letto. Ce l’hai qui sulla tua chiavetta?»

«No. Non l’ascolto spesso.»

Avevano giusto lasciato il quartiere in cui Smoker abitava: prima di immettersi sulla strada che si sarebbe allargata, dopo mezzo chilometro, in una rotonda, c’era uno stop. Vicino al segnale Smoker fermò la macchina, com’era previsto dalle regole della strada – ma rimase lì immobile per un tempo di molto superiore a quello in genere consumato per controllare che nessuno stesse arrivando a destra e a sinistra. Anne non se n’era preoccupata granché: era appena iniziata Control, e lei adorava quella canzone.

«Potremmo fare una piccola deviazione,» disse Smoker, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio, «per sentire quella canzone. Poi a casa.»

Adesso sì che Anne fu perplessa. Che cavolo era questo passo in avanti, questa proposta? Anne non era certo convinta di voler arrivare a quel punto in quella notte. Smokie non era male (proprio per niente), però la fiducia massima in lei proveniva non dal suo carattere – perché Anne non la conosceva bene –, bensì dal suo ruolo nella società. Se Smoker non fosse stata una poliziotta, Anne non si sarebbe mai fidata così velocemente di lei, e anche così non aveva lasciato la presa sulla torcia, né aveva permesso a Smoker di chiudere le portiere a chiave. «Mi stai già invitando a vedere la tua collezione di farfalle? Non ti sembra un po’ affrettato?»

«Trovo insopportabile la tua mancanza di fede,» rispose Smoker, e Anne non poté non apprezzare la citazione da Darth Vader. «C’è un bar vecchio stile, giù dalle parti di casa tua, e c’è uno di quei vecchi jukebox su cui hanno installato un software moderno. Te la faccio sentire lì.»

«D’accordo. Ma i soldi ce li metti tu.»

Smoker sbuffò, ma quella fu l’ultima protesta. L’utilitaria ripartì e il giro ricominciò. Anne non era un’amante dell’aria condizionata nelle auto, ma guai a contraddire Smoker sulla sua macchina – dopotutto le aveva dato via libera solo per l’autoradio, per cui Anne si godette Drive tenendo gli occhi fissi sul percorso che stavano seguendo (tutta questione di s-fiducia, niente di veramente personale nei confronti della poliziotta). Sembrava non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, alla fine: Anne conosceva bene le strade di Linrossa e quello era proprio il suo quartiere. Aveva anche una mezza idea su quale fosse il locale di cui Smoker aveva parlato.

«È quello» disse Smoker, indicando con un cenno un bar chiamato Quinn Robinson. Scese dall’auto, le due donne diedero un’occhiata all’orario di chiusura: avevano ancora una mezz’ora, un tempo sufficiente per ascoltare la canzone e tornare ognuna a casa propria.

Finirono per spendere metà delle monete nel portafogli di Smoker, ascoltando vecchie canzoni rock di quei gruppi che al tempo erano giovani, belli e dannati (e che ormai, data l’età delle tracce, dovevano essere solo dannati). Alla chiusura del bar, verso l’una di notte, recuperarono l’auto e Smoker accompagnò Anne fin davanti alla porta di casa sua.

«Arrivederci, vecchia metallara! Grazie per il passaggio!»

Anne si accorse di un piccolo particolare, molto divertente, solo quando Smoker accese il motore per tornare a casa e si lasciò dietro Anne: appena sotto la targa posteriore dell’auto era attaccato un adesivo che doveva sicuramente aver preso nell’Occidente estremo, visto che c’era scritto WE BRAKE FOR NOBODY. Cose di un altro universo, proprio.

 

⁂ ⁂ ⁂

 

Stavano guardando (o meglio, ascoltando) Born to be wild su TùTube. Da quando l’aveva ascoltata quella sera al bar, Anne si divertiva a sentire vecchie canzoni rock ‘n roll per non sentirsi in colpa nel bere un bicchierino di gin Tanquerey e nel far finta di essere vecchia per giusto quei quattro minuti di musica. Ehi, era già trascorso un po’ di tempo – e non era stata rispedita in cella. Un progresso, insomma.

«Dice davvero “I never wanna die”, cioè, che vorrebbe non morire mai?»

«Così dice, sì. Tu non vorresti morire?» Chiese Smoker, fumando l’unica sigaretta della settimana. Se la stava godendo dall’inizio alla fine, in un lunedì sera che, senza una Death e senza Anne, sarebbe risultato veramente deprimente.

(Dopotutto, era passato del tempo. Adesso riusciva a fidarsi.)

«Dipende,» rispose Anne, «fossi tu a uccidermi, un pochino, allora sì.»

L’aveva buttata lì, con tutta la noncuranza possibile perché l’argomento potesse essere dimenticato o raccolto senza troppe parole inutili. Per Anne si trattava comunque di una questione importante, perché si sentiva pronta e voleva provarci sul serio: nell’imbarazzo del portar avanti una proposta simile s’era inventata la prima frase che le era capitata in testa e, per quanto fosse una battuta infelice, pensò che non le sarebbe venuto in mente qualcosa di meglio. Seduta sul divano in casa di Smoker, con il computer portatile sulle ginocchia, Anne si rese conto degli eventi che l’avevano portata lì: prima il suo divertimento coi portafogli, poi il vizio di Smokie di fumare, e infine un’altra serie di (più o meno) scuse o giustificazioni abbastanza solide per ritrovarsi in un bar o giù al parco.

 

Fortunatamente, su TùTube era stata aggiunta l’opzione loop, perché nessuna delle due avrebbe avuto voglia e pazienza di rimettere Born to be wild ogni tre minuti, specie mentre erano nel mezzo di quello che gli Steppenwolf stessi avrebbero forse chiamato love embrace (e che noi, nella nostra lingua, tradurremo malamente con amplesso amoroso).

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Autrice:

Death – marca di sigarette che Sanji fuma nel manga, almeno fino a un certo punto della storia. Mi piaceva. -w-

Star Trek e Star Wars sono ovunque perché non so decidere quale dei due mi piaccia di più. E sarò una brutta persona inaffidabile, ma preferisco Picard a Kirk. adoro Patrick Stewart, che posso farci? biscotti virtuali a chi becca tutte le citazioni.

Quinn Robinson – ok, tributo alle Harley Davidson perché sono belle. Harley Quinn è un pg della serie di Batman, e dal suo nome viene il nostro Quinn; Robinson perché mi piace l’idea che Franky abbia ideato il modello Harley Davidson in questo AU, e che il nome di queste fantastiche moto sia, in onore della moglie Robin (sì, FRobin ovunque), proprio Robinson. È contorto, ma spero sia chiaro.

C’è anche una piccola citazione da un film di Mel Brooks. YOHOHOHO

vuol dire “tu” in spagnolo. Sì, mi spreco in queste cose. YEEE

Mi sa che il love embrace della canzone non era esattamente quello di cui ho parlato io, ma ehi, è una fanfiction che ho scritto per rilassarmi, senza cercare di essere troppo precisa. Ho cercato di parlare di tutte le cose che adoro e che rendono la mia vita quotidiana un po’ più leggera: la musica, i giri in auto di sera, i film, i tacchi alti (ho la fissa terribile per i tacchi, aiuto), i bar con buona musica, i videogiochi. Ultimo ma non ultimo, la SmoAce! Amo queste due rincoglionite! Volevo scrivere qualcosa di arancio-rosso, ma figuriamoci, non sono capace. sith happens.

Il titolo è uno stupido gioco di parole come al solito che riguarda il fuoco e il fumo: smoking, in inglese, è anche un termine slang per indicare una persona attraente. In genere è accompagnato da hot, a dare quindi smoking hot. Ma Smokie (e qui anche Anne, ma solo perché è una studentessa universitaria piuttosto stressata, e quindi fuma un po’ solo sotto esami) fuma...! Sì, mi diverto con questi pun, manco fossi Brook con i suoi skull jokes. Non sapendo come tradurlo, l'ho tenuto in inglese.

Spero vi abbia divertito. Da qui posso dire solo che mi son divertita molto a scriverla!

Buone vacanze!

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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