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Autore: Pandroso    15/08/2016    3 recensioni
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare: la seguente FF è da considerarsi come un seguito de L’impensabile inaspettato... anzi lo è. Comunque, non vi costringerò a leggere prima l’altra e poi questa. Potete iniziare benissimo con la qui presente... poi, magari, se vi va, ve la andate a spulciare.

 

 

 

 

 

Loverman

Capitolo Primo

 

 

“Never thought you'd make me perspire
Never thought I'd do you the same
Never thought I'd fill with desire
Never thought I'd feel so ashamed”

 

 

Il Jolly Roger dei Mugiwara frusciava fiero, alto, in cima alla coffa dell’albero di trinchetto, sferzato da un vento fresco che soffiava da nord-est; da lassù, il vessillo dominava il mare; e la sua presenza, monito per qualsiasi imbarcazione della Marina o di masnadieri, già imponeva con orgoglio l’egemonia del futuro Re dei Pirati, il giovane Monkey D. Rufy.  
«Esattamente, proprio come mi sento... » disse ironicamente un ragazzo biondo, osservando la bandiera nera dal basso, mentre, con le mani, si teneva al parapetto situato appena fuori dall’ampia cucina della Thousand Sunny. Egli aveva sul volto un'aria rassegnata, un aspetto che era l’esatto contrario del Jolly Roger, più simile a un pezzo di stoffa consunto, mal legato sul punto più alto della nave, in balia del vento e in pericolo di strapparsi all'implacabile e prossima raffica d'aria.
«Così non va, Sanji» continuò a parlare a se stesso; poi, frugando nella tasca del suo gilet doppiopetto, il ragazzo tirò fuori un pacchetto di sigarette e un accendino.
«Non va, per niente». Con le labbra acchiappò una sigaretta, la accese. Aspirò una boccata e buttò fuori il fumo dalle narici, disperato.
Intanto, la Sunny continuava a veleggiare placida su un mare lievemente agitato e tinto di un azzurro pallido scaturito da un sole sonnacchioso da poco sorto nel cielo. 
Nonostante il suo pessimo stato emotivo, il ragazzo si stava godendo l’alba; infatti, quella mattina, Sanji s’era alzato molto presto, per preparare croissant e ciambelle da servire a tutta la ciurma, con prezioso occhio di riguardo per Nami-san e Robin-chan, alle quali avrebbe fatto assaggiare delle paste con frutta fresca e marmellata. Voleva essere amato da entrambe solo per questo. Anzi, avrebbe dovuto desiderare unicamente l’amore delle donne, a suo parere. Solo quello delle donne.

Con i palmi volti verso il cielo, in posa di “ricevuta santità”, il ragazzo osservò le proprie mani come se, guardandole attentamente, riuscisse a intuirvi una qualche verità nascosta. Quelle mani, preziosissime, portavano parecchie e fastidiose ferite, sembravano il conveniente risultato di una lite avuta con un gatto arrabbiato; se Zeff avesse avuto modo di vedergliele, il vecchiaccio lo avrebbe preso direttamente a calci in culo. 
«Sii sincero, almeno con te stesso... » proseguì, con tono mesto.
In verità, non si era messo all'opera unicamente per far colpo sulle ragazze e perché era il responsabile cuoco della ciurma di Cappello di Paglia: Sanji non aveva chiuso occhio per tutta la notte; in preda all'insonnia, era saltato giù dal letto in un orario decisamente antelucano. E nel tentativo di salvarsi da una certa tentazione, era corso in cucina: il tempio sacro dove purificare il proprio spirito.
Era riuscito a distrarsi giusto un paio d’ore, ma oramai le prelibatezze erano pronte – c'era solo da attendere il risveglio dei suoi compagni, che con quel profumo invitante, sparso come incenso sulla Sunny, di sicuro non avrebbero tardato ad alzarsi – e lui non aveva più nulla da fare, così, era tornato a riflettere: cogitava, elucubrava serio, contorceva i pensieri, legandoli forte tra loro, tentando di bloccarne il flusso, ma inutilmente, fino a farsi venire un forte mal di testa.
Qual era la causa di tanto tormento? Era un chiodo fisso, conficcato nella sua testa, in profondità nel cervello, impossibile da togliere senza far zampillare sangue e morire. Non voleva tenerlo, ma non lo poteva rimuovere, continuava a fargli male.
«Lo sapevo che sarebbe stata una cattiva soluzione, dannazione!» inveì contro se stesso, stringendo i pugni dalla rabbia. 
Con folate più forti, il vento gli rubò parecchie boccate divorando la sigaretta, sbriciolando via molta cenere; e le vele della Sunny, riempite dalle correnti d’aria, risuonarono tese, come a sottolineare la gravità che trapelava dal soliloquio del pirata.
«Non doveva accadere, Zoro... »
Il chiodo fisso, la sua monomania, aveva anche un nome.

Poco dopo: il cuoco udì aprirsi una porta, quella della cabina dei ragazzi, che si trovava nella zona di prua di fronte a lui; ed ecco comparire la causa di tanto sforzo mentale e fisico. Quella persona, che vide deambulare nella sua direzione, era accompagnata da un tintinnio che si ripeteva ad ogni suo passo, modulato dallo sfiorarsi leggero di tre orecchini e dal contatto duro delle spade che portava legate alla vita, queste erano tante quante i ciondoli che aveva appesi all’orecchio sinistro.
«Pensando troppo al Diavolo, si finisce per evocarlo» sibilò Sanji, che non si aspettava di veder comparire lo spadaccino così presto e, di conseguenza, doverci fare subito i conti.
«... Marimo!» gridò, chiamando la monomania col nome che più le si addiceva, ma non troppo forte per evitare di svegliare le ragazze, giusto in un grado sufficiente per catturare la sua attenzione; tuttavia, lo spadaccino non gli rispose, attraversò il manto erboso della Sunny fino a trovarsi proprio sotto il parapetto del primo piano e sotto il naso del ragazzo biondo… che lo stava guardando dall’alto, con malcelata intensità.
«Già sveglio, e che è successo? Ti sei stufato di fare il dormiglione scansafatiche!» lo apostrofò il cuoco, urtato dal non aver ricevuto alcun saluto in cambio e, soprattutto, per apparire come sempre, dandogli un equo buongiorno.
«Dormo quanto mi pare, la cosa non ti riguarda. E oggi devo allenarmi,
mica sto sempre a perdere tempo come te»
Furono parole pronunciate in malavoglia… alla faccia del buongiorno!
Sanji sentì, oltre alla solita “simpatia” a lui riservata, una forte puzza di allusione, buona ad attaccar briga. Corrugò inviperito le sue particolari sopracciglia arrotolate e, ovviamente, replicò: «Ti faccio notare che sono sveglio da un pezzo prima di te, e poi cosa stai cercando dire? Che quello che faccio in cucina è meno impegnativo rispetto alla tua dannata ginnastica?»
«Sì, anche» ammise Zoro, sorridendo di sghembo.
Tra i due sfrigolava una esagerata tensione, a prima vista immotivata.
«Ti avviso, testa d’alga: non cominciare a provocarmi, perché ti giochi la colazione! Che dici, lo vuoi assaggiare latte e veleno?» lo minacciò il ragazzo biondo, mordendo la sigaretta.
«Ma guarda come ti scaldi di prima mattina! Devi aver dormito poco stanotte, vero?!» lo schernì Zoro, guardandolo con attenzione.
A quell’insinuazione, sentendosi addosso l’unico occhio dello spadaccino, Sanji avvampò imbarazzato, ridicolo, decisamente scoperto; perché ciò significava due cose: la prima che Roronoa si era accorto del suo letto vuoto appena lo aveva lasciato; la seconda che non solo Zoro aveva fatto caso alla sua assenza... ne conosceva anche le motivazioni. Quest’ultima possibilità mise immediatamente il cuoco in crisi.

La colpa della fuga notturna di Sanji era da attribuirsi al caldo che non gli aveva permesso di dormire, e che gli aveva creato una situazione conturbante e avvenente... da farlo capitolare ai piedi di una deleteria bramosia.
A causa dell’afa, nonostante la presenza all’interno della cabina dei ragazzi di comodi letti a castello, durante la notte lo spadaccino aveva preferito dormire a terra, per giunta mezzo nudo; mentre gli altri, Rufy, Usop e Chopper si erano sistemati ai piani alti – anche se, la renna si addormentava volentieri tra le gambe di Zoro, ma non era accaduto in quell’occasione – e sotto, sui letti bassi, stavano Franky e Sanji; Brook era rimasto di vedetta nell’osservatorio.
E proprio Sanji si era trovato il marimo srotolato accanto al suo letto, poco sotto di lui, a portata di tocco, quasi completamente nudo e profondamente addormentato.
Accorgendosi della sua presenza così vicina – solo trenta centimetri d’altezza a separarli – con tanta porzione di pelle scoperta ad una possibile mercé, Sanji si era sentito alla pari di un tossicodipendente a cui erano state servite, gratuitamente e su un piatto d’argento, diverse sostanze stupefacenti, pronte da sniffare, iniettare... ingoiare. E quest’ultima attività era tra quelle che, ossessivamente e da alcune settimane, il cuoco anelava di provare insieme allo spadaccino, e meglio se fosse stato Zoro stesso a somministrargli tutto.
Farne uso e abuso, contorcersi e rilassarsi ad ogni dose, abbandonare se stesso ai singulti, farsi completamente riempire e stravolgere dal loro effetto…  farsi fottere…  il cervello. 

Assalito dalla più proibita delle tentazioni, in quella torrida notte, dopo aver osservato a lungo lo spadaccino, Sanji aveva proteso un braccio, inconsapevole di cosa realmente volesse fare, ed era giunto, con le dita, ad accarezzare il petto liscio e vigoroso di Zoro, scoprendone, al contatto, il rilievo della cicatrice obliqua che lo sfregiava; e, ispezionando quella zona, gli aveva titillato anche un capezzolo; dopo, aveva proseguito sfiorandogli il collo fino ad arrivare a toccargli le labbra socchiuse, indugiando sulla loro morbidezza. In quella situazione, il pirata aveva desiderato lo spadaccino al punto tale da volersi gettare su di lui come un assetato vampiro; e, fregandosene del rischio di svegliarlo, aveva calato la mano febbricitante verso quella parte del corpo che, per naturale corso biologico utile al mantenimento della specie umana, era stata fatta apposta per essere accolta da una donna e non da un uomo.
Ma prima di arrivare a riempirsi la mano, afferrando tutto quello che c’era da afferrare, il cuoco si era bloccato, perché lo spadaccino aveva mosso appena il viso, così da far vibrare gli orecchini con un lieve “tic” che, come un allarme, avevano svegliato il ragazzo biondo dal pericoloso trance in cui era caduto.
Dopo essersi accorto d'essere tremante, orrendamente sudato e appena eccitato, Sanji era schizzato via dal letto, sgusciando veloce dalle lenzuola madide e sperando che nessuno, tra i presenti addormentati, si fosse accorto del suo insolito comportamento, specie lo spadaccino, che fortunatamente gli era sembrato stare ancora in coma profondo.
Il cuoco era andato verso il lavabo interno alla cabina per affogare la propria faccia nell’acqua fredda e spegnere l’incendio che sentiva bruciargli le orecchie. Prontamente, vi aveva immerso anche le mani in una sorta di abluzione purificatoria – soprattutto per sciacquare quella peccaminosa, che aveva desiderato andare oltre – lavando entrambe in modo tanto energico da togliersi la pelle con le unghie, da graffiarla fino a perdere del sangue, come se avesse potuto, in tal maniera, rimuovere ogni intenzione avuta, scacciarla via per sempre.
Chiunque lo avesse guardato in quel momento, lo avrebbe descritto come un invasato in preda ad un’orticaria fulminante che, mentre tentava di pulire ogni singola traccia della clandestina ed improvvisa voglia avuta, si voltava ininterrottamente e a scatti in direzione del marimo, assicurandosi di vederlo sempre dormiente.
Alla fine, che aveva compiuto di tanto scabroso e perseguibile? Aveva semplicemente sfiorato la pelle di uno dei suoi nakama, non c’era nulla di strano o, meglio, non ci sarebbe stato nulla di strano, se non avesse desiderato al contempo di accarezzarlo su ogni centimetro del corpo, di aggrapparsi a lui e di provare un nuovo tipo di accoppiamento.  
Dietro quelle carezze si nascondeva l’impurità, una cloaca di curiosità, secondo Sanji.

Il cuoco era arrivato a desiderare “la droga” a tal punto perché,  in realtà, l’aveva già provata prima di quella notte. 
Era accaduto all’incirca un mese prima, durante una disperata perdita di autocontrollo, probabilmente dovuta alla lunga permanenza sull’isola Momoiro; quando, all’apice del suo altruismo, Zoro era intervenuto contro la volontà stessa di Sanji – che non aveva saputo fermarlo –  per placare, a mano, gli incontenibili istinti del cuoco attraverso miracolosi e decisi massaggi. Un semplice aiutino, nulla di più, che non avrebbe dovuto dare adito a comportamenti recidivi, come quelli che il ragazzo biondo stava avendo.
Era stata questa la soluzione estrema, che però lo aveva guarito: i travestiti di Kamabakka non si intrufolavano più nei suoi sogni tramutandoli in incubi, e lui poteva benissimo guardare una donna senza perdere sangue dal naso e mandare a quel paese facoltà motorie e intellettive. Inoltre, non si eccitava improvvisamente senza motivo. Era stato completamente risanato. Ma dal marimo e non da una femmina.
L’episodio doveva finire lì dove era cominciato. Tuttavia, quel piccolo assaggio gli era piaciuto subito e già da quella volta Sanji era divenuto cosciente di volerne dell’altro.
Inizialmente, non gli parve un problema; il cuoco si comportava normalmente sia con Zoro che con le ragazze, ma col passar dei giorni, erano fioccati i sensi di colpa per la nascita di una sinistra attitudine: una sorta di attrazione morbosa per il marimo, non per gli uomini, per il marimo e basta; gli mancavano quelle particolari attenzioni che lo spadaccino gli aveva elargito bonariamente. 
Il cuoco era praticamente precipitato nell’astinenza, da sentirsene male; e non solo per questo: l’attitudine stessa cozzava con il suo concetto di “essere un uomo, essere degno di chiamarsi Mr. Prince”.  
L'attitudine non andava assecondata in nessun modo, e Sanji non aveva fatto altro che resistere da allora fino alla notte del misfatto.

Ora, lo spadaccino era lì e gli aveva fatto proprio quella sorta di domanda/allusione, guardandolo addirittura con l’espressione di chi sapeva. Se ne era veramente accorto?  Oppure, era solo la paranoia a mostrargli un’alterata realtà?
A Sanji venne voglia di volatilizzarsi come la cenere della sua sigaretta; restò zitto, e non perché non sapeva cosa dire, piuttosto, non sapeva da dove iniziare.
Zoro interpretò il silenzio come un segno di resa e, indisturbato, si mosse per salire le scale.
Il cuoco ancora lo osservava dall’alto, confuso. Voleva chiedergli a sua volta se la notte era stata insonne anche per lui, ovvero, se si fosse accorto di qualcosa, ma questo avrebbe equivalso una dichiarazione. E Zoro avanzava; ogni gradino che saliva accorciava le distanze tra loro: i passi rumorosi che facevano scricchiolare le assi di legno, gli orecchini che dondolavano liberi, le spade che si toccavano; in poco tempo sarebbe subentrato anche il suo odore di pirata fatto e finito. Aveva un aspetto troppo invitante, pareva una cornucopia in formato spadaccino, ricca di frutti belli e succosi, da prendere e mangiare, e che stavano rinviando Sanji alla notte trascorsa, durante la quale aveva desiderato cibarsene.
Altroché frutti del Diavolo! Il demonio ce lo aveva lì, in carne, muscoli e con pericolosi istinti omicidi sopiti, che si risvegliavano ogni volta ch’egli sguainava le affilatissime katana.
Sanji non riusciva a levargli lo sguardo di dosso, e continuando ad osservarlo la sua coscienza elaborò liberamente un’immagine: un’immagine in cui Zoro gli era tanto vicino da avvertire l’elsa della Wado’ premere contro il suo addome, un’immagine in cui lo spadaccino lo fissava languidamente e come il più scorretto degli amanti gli sussurrava all’orecchio una sorta di febbrile incantesimo: “ti ho sentito stanotte, non dovevi andartene”, un’immagine che non smetteva di prendere forma e nella quale Zoro, con poca grazia, tentava di sfibbiare la cinta che gli teneva su i pantaloni, “adesso, cuoco, voglio che finisci quello che hai cominciato: toccami, forte!”...
«CHE FAI?!» gridò Sanji, completamente posseduto dalle sue fantasie; vedendo lo spadaccino avvicinarsi veramente, ebbe il timore di esserne palpato.
Quasi stordito, perché l’idiota del cuoco gli aveva urlato in faccia e all’improvviso, lo spadaccino guardava Sanji con aria perplessa, indeciso se gridare a sua volta, ma scelse una via più diplomatica e razionale: ignorare l’accaduto, per il momento: « … Mi sembra ovvio: vado a fare colazione, che tu lo voglia o meno» e proseguì in prossimità della sala da pranzo, dove il cuoco ne intralciava l’ingresso.
«Ah, solo questo... » esclamò Sanji, tirando un sospiro di sollievo nell’avvertire la patta dei suoi pantaloni ancora serrata e il resto in sicurezza. Ma quel sospiro non sfuggì all’accorto spadaccino, che fece caso anche ad un certo rossore iniziato dal collo e arrivato ad imporporare le guance di quello stupido ricciolo biondo, non resistette alla tentazione di pungolarlo: «… Senti un po’, che ti prende stamattina? Sei più strano del solito»
«Assolutamente niente!» rispose subito Sanji, correndo ai ripari del suo incontrollato comportamento, che lo stava cacciando in un guaio bello grosso, perché il marimo si stava insospettendo, e se non si era accorto di niente, come il cuoco sperava, perché fargli venire per forza dei dubbi.
«Be’, se non hai nulla, smettila di fare lo scemo, sei alquanto fastidioso», e Sanji non controbatté: gli importava essere lasciato in pace per il momento. Poi, nel tempo, il cuoco gliela avrebbe fatta comunque pagare.
Finalmente, Zoro fece per andarsene con grande gioia da parte di chi aveva parecchio da nascondergli, ma, attratto dalla vista di un piccolo particolare, lo spadaccino si voltò ancora in direzione del cuoco: «E quelli cosa sono? – chiese, bloccandosi prima di entrare nella sala da pranzo della Sunny – Che hai fatto lì?» gli domandò, cogliendo Sanji di sorpresa.
«Come? Lì dove?!»
Stavolta, Zoro si avvicinò tanto che davvero l’elsa di una delle sue spade arrivò a sfiorare Sanji, facendogli  credere d’essere un veggente: la situazione stava precipitando trasformandosi quasi nella sconvolgente fantasia da poco svanita ma ancora vivida nella sua mente. Addirittura, Zoro gli afferrò con fare impulsivo un polso, per sottomettere la sua mano destra ad un’analisi attenta.
Il ragazzo biondo, nel percepire quella presa d’acciaio, avvertì le membra farsi molli: lo spadaccino lo stava toccando, lo aveva preso proprio per quella mano furba che aveva osato cercare il proibito.
Sanji non sapeva come comportarsi e temeva che il suo viso cambiasse espressione contro la sua volontà, in una smorfia buona a far trapelare tutto quel torrente in piena che erano i suoi sconci pensieri sul marimo, i quali l’avrebbero sicuramente tradito e fatto scoprire.
«Cosa sono questi graffi?» domandò secco e conciso lo spadaccino, con aria seria e clinica, sbattendo in faccia al cuoco l’evidenza che lo avrebbe incastrato.
Per il pirata Gamba Nera, era arrivato il momento di comportarsi nel modo più pacato e distaccato possibile. Il depistaggio e la nonchalance gli parvero un’ottima scappatoia: «Ah, questi… Me li sono procurati pulendo il pesce spinato che abbiamo mangiato ieri sera. Il suo corpo coriaceo aveva spine affilate, lunghe più di cinque centimetri – disse, racchiudendo la misura delle ipotetiche spine tra due dita, con un gesto della mano che aveva libera – andavano tolte, altrimenti non avrei potuto tagliare via il primo strato di tessuto duro per giungere al suo ventre molle, la zona più gustosa e commestibile di questo pesce... Delizioso se viene cotto al forno, accompagnato da un ottimo vino bianco... Di che ti stupisci? Sono incidenti che possono capitare in cucina» confessò Sanji, con aria molto professionale, ma inventando una balla esagerata; che però aveva dignità e ragione di esistere, perché la sera prima la ciurma aveva mangiato davvero del pesce, ma nessuno era venuto a conoscenza del tipo e, di solito, in pochi si soffermavano a vedere il cuoco ai fornelli; tra l’altro, lo spadaccino non aveva mai fatto parte dei curiosi.
Peccato solo che un cuoco del suo calibro avrebbe fatto attenzione e non sarebbe mai arrivato a ferirsi in quel modo; Sanji era bravo in cucina e un chirurgo nell’uso dei coltelli, ne era a conoscenza anche lo spadaccino, che non la prese a bere. Inoltre, Zoro sapeva benissimo quanto quello stupido del suo compagno cercasse sempre di tenere immacolate le proprie mani.
Lo spadaccino scelse il silenzio, un invito per dare a Sanji una seconda possibilità, il tempo di farlo riflettere e sputare il rospo, anziché blaterare cazzate.
Al contrario delle sue aspettative, il cuoco tirò indietro il braccio, invitandolo a mollare la presa. Però, non accadde: Roronoa gli teneva stretto il polso e continuava a fissarlo tanto accuratamente dando l’impressione di essere in grado di leggere gli altrui pensieri. O così sembrava al ragazzo biondo, che non ce la faceva più ad essere scandagliato da quella testa d’alga inaspettatamente attenta. Si sentiva come un imputato sotto interrogatorio.
Passarono una ventina di tesissimi secondi di nulla. Fino a quando scoccò l’ultimatum, e Zoro tornò a dare la sua imbeccata: «Che strano, giurerei di averti visto con le mani intatte fino a ieri sera, anche dopo cena, evidentemente mi sono sbagliato»
«Non ci avrai fatto caso, piuttosto sono io che trovo strana la tua attenzione nei miei riguardi» rispose il cuoco, cercando furbamente di eludere la questione, persino volgendola contro Zoro che corrucciò ancor di più il suo cipiglio teso e corrusco.
«Quindi, tutti questi graffi solo per aver tolto le spine ad uno stupido pesce... E neanche sei andato a farti medicare da Chopper» osservò lo spadaccino ignorando l’accusa; il suo tono era stato leggermente enfatico per mettere in luce le evidenti falle dell’alibi, a sottolineare quanto il cuoco gliel’avesse sparata grossa, e lui ovviamente non c’era cascato.
Sanji deglutì rumorosamente, avrebbe dovuto nascondere le prove fasciandosi le mani, non pensarci era stato un madornale errore.
Lo spadaccino attendeva ancora un’ultima risposta, «È andata davvero così?»
«Sì.» confermò Sanji, senza aggiungere altro.
A quel monosillabo, e mantenendo la stessa espressione ghiacciata, Zoro stritolò il polso del cuoco con forza, quella vera, la stessa forza che usava quando brandiva le katana per sferrare i suoi feroci fendenti. Guai a prendere in giro uno degli spadaccini più temuti al mondo.
Sanji non era una donnicciola, sapeva resistere al dolore e, naturalmente, si era accorto che l’intensità della presa si era fatta pericolosa. Iniziò a temere una ovvia eventualità, c’era un messaggio implicito dietro tutto il loro tergiversare.
I due continuarono a guardarsi, entrambi grevi; al cuoco tremava addirittura il braccio per resistere a quella stretta massacrante, tanto forte che la sua mano era diventata d’un colore tendente al viola a causa del sangue che non rifluiva correttamente.
«Hai qualche problema?» domandò Sanji, cercando d'essere minaccioso, ma inutilmente: era vistosamente sudato a causa dell’agitazione e dello sforzo.
«Io no, ma tu forse» rispose Zoro.
Altro ingombrante silenzio, la verità non veniva fuori, il ragazzo biondo aveva scelto la reticenza e a Zoro, poco paziente, parve inutile continuare; gli bastava avergli fatto intendere che lui non era uno stupido da prendere per il naso. Allentò la pressione delle dita liberando Sanji, che aveva acquisito in poco tempo, oltre ai graffi sulle mani, pure degli evidenti segnacci rossi, proprio lì dove il suo compagno lo aveva stretto in modo micidiale.
E no! Il pirata Gamba Nera non ci stava, da quando lo spadaccino era diventato tanto subdolo? E come si era permesso di usare quella forza con lui! Arrivato a quel punto, il cuoco voleva sapere.
«Marimo, aspetta un attimo…»
Zoro se ne stava andando ma si fermò, curioso e speranzoso di sentire vuotare il sacco.
«Cosa vuoi ancora?»
Sanji aspirò l’ultima boccata di fumo dalla sigaretta ridotta a un mozzicone, «È inutile che ci giriamo in torno, parla chiaro, a che ti riferisci?» fu una domanda a doppio taglio, perché insistendo era possibile che il cuoco arrivasse a sentirsi dire parole che avrebbero potuto confermare il disastro, cioè che lo spadaccino si era accorto lui e della sua mano svelta.
Sanji sapeva di non essere preparato a tale eventualità, cosa gli avrebbe risposto? Come si sarebbe giustificato con lui? Il pirata Gamba Nera non era pronto a ricevere la condanna, ad essere giudicato; ma nemmeno voleva passare per fesso, se lo spadaccino aveva qualcosa da recriminare doveva solo accomodarsi.
Rimasto deluso, perché s’aspettava una confessione, Zoro gli servì una gelida risposta, gelida quanto il metallo che se ne stava dormiente in ogni fodero che teneva allacciato al fianco destro: «A te non devo chiarire un bel niente, lo strano sei tu, sono fatti tuoi, non mi interessano. Ora vorrei passare, togliti di mezzo… Ah, e puoi stare tranquillo»
«Per cosa?» gli domandò Sanji.
«Non andrò a lavarmi le mani dopo averti toccato»
Chiuso il discorso.
Lo spadaccino scansò il cuoco con una spallata; Sanji rimase imbambolato, non afferrò subito l’appena svelata verità, ma quando focalizzò tutta la sua attenzione ripensando alle ultime parole di Zoro, il ragazzo passò automaticamente a guardarsi le mani offese dalle ferite che lui stesso si era procurato. E iniziò a comprendere immediatamente. Sgranò le palpebre, persino gli cadde dalle labbra la sigaretta quasi spenta. Provò una sorta di forte vertigine, come se fosse stato affetto da labirintite, unita ad un crescente stato d’ansia.
«Tu.. !» con fare impetuoso e sconvolto, il pirata Gamba Nera afferrò Roronoa per i lembi della veste scura che lo spadaccino indossava. Tante, troppe domande e avvenute prese di coscienza erano riassunte in quel “tu”. Così tante che si stavano incastrando l’una sull’altra e non permettevano al cuoco di proferire altro articolando la lingua. Ma di voglia per picchiare forte lo spadaccino, ne aveva barili pieni: non solo Zoro si era accorto di lui, se ne era anche preso gioco per tutto quel tempo, atteggiandosi a finto ignaro e facendo fare al cuoco la figura dell’idiota racconta balle.
Sanji avvertì la rabbia muoversi in profondità, a partire dallo stomaco, accompagnata dall’arrivo di una copiosa dose bile, che gli avrebbe dato bruciori nei giorni a seguire. Voleva prenderlo a calci, l’avrebbe fatto, lo stava per fare, ci era vicino ma, fortunatamente, gli venne impedito.

«Sanji! Sanji! È pronta la colazione?! Mamma mia, ho una gran fame! C’è anche Zoro, ci siamo svegliati tutti e tre molto presto oggi!»
Quello che stava sbraitando allegro era Rufy, il Santo Capitano che grazie al suo arrivo aveva salvato entrambi i ragazzi da un’animata baruffa.
Il cuoco non tolse mai lo sguardo da quello di Zoro, anche quando, lentamente, si voltò con la faccia verso Rufy che li stava raggiungendo. Pure lo spadaccino non batté ciglio: inamovibile, una montagna. 
«Ragazzi, ma state litigando?!» domandò il Capitano, interpretando il siparietto che aveva davanti a sé, con il cuoco aggrappato allo spadaccino e quest’ultimo avente sul volto una brutta cera, più la mano sinistra sull’elsa di una spada.
«Non stiamo litigando, stiamo solo cercando di capire chi tra i due è il vigliacco» gli rispose Zoro, laconico, lasciando Rufy sorpreso quel tanto da fargli assumere la sua classica posa inespressiva, con la testa inclinata da un lato, posa che montava su mentre iniziava a riflettere nel tentativo di capire le dinamiche che si stavano agitando dinnanzi ai suoi occhi.
«Vigliacco a chi?!» ringhiò Sanji, simile ad una belva idrofoba.
«Dimmelo tu» contrattaccò lo spadaccino.
Dopo una breve riflessione sui due, Rufy si pronunciò: «Be’, a me questa vostra storia non interessa. Io ho fame, Sanji dammi qualcosa!» probabilmente il ragazzo di gomma intuì che era meglio non intromettersi. Erano i suoi compagni, poteva accadere che litigassero e che poi, risolte le cose, facessero pace. Senza contare che non era nemmeno la prima volta che quei due finivano con l’azzuffarsi. E mangiare era più importante.
«Adesso sarai subito servito» disse il cuoco al capitano, ma la frase sembrava tutta indirizzata a Roronoa.
«Dai Sanji, lascia stare Zoro, discuterete dopo. A proposito, che hai preparato di buono oggi?!» ribadì Rufy, perché il cuoco pareva proprio assente, eccetto che con lo spadaccino dal quale non si staccava.
«Sanji?!» niente, neanche gli rispose; il ragazzo di gomma pensò di attuare una strategia per riavere l’attenzione del cuoco, la strategia del “diventare assillante fino a far scoppiare l’altrui pazienza”: cominciò ad agitare le mani compiendo ampi archi con le braccia e a dire a voce alta “cibo, cibo, cibo, cibo!” stando vicinissimo al cuoco. Era incontenibile, pareva una sirena; ma fu immediatamente interrotto. 
«E che ti si è incantato il disco?! Smettila di gridare o sveglierai le dolcissime Nami-san e Robin-chan!!!»
Centro! Il cuoco mollò definitivamente la presa dallo spadaccino, con quella piattola intorno non ci sarebbe stato più modo per continuare ad approfondire la questione.
«Che problema c’è? – rispose Cappello di Paglia, tranquillo e felice – È mattina, devono svegliarsi, e poi Nami deve dirmi quanto manca per arrivare alla prossima isola, bisognerebbe chiamarla... Naamii!», Rufy iniziò a gridare in direzione della cabina delle ragazze.
«MA SEI IMPAZZITO!», il pirata Gamba Nera, tramutatosi in un momentaneo uomo-squalo dai denti aguzzi, con un colpo deciso gli mollò un calcio in testa… e con la scusa, ne approfittò per sfogare parte della rabbia che non si era consumata con lo spadaccino.
«Ahiaaa!!! Perché mi hai colpito?!»
«Così la smetti di fare baccano, non si svegliano due signore che dormono, maleducato!»
«Ti faccio notare che stai alzando la voce anche tu!» replicò il ragazzo di gomma, andando a toccare un doloroso bernoccolo appena cresciutogli in prossimità della fronte.
«Finiscila!»
«D’accordo Sanji – esordì il Capitano, diventando improvvisamente serio – tu dammi la colazione e io non andrò a svegliare nessuno» concluse, molto convinto di aver formulato un efficacie ricatto. Ma col cuoco non attaccava, anzi: «Se non la pianti non ti darò niente, a parte qualche altro colpo in testa!»
«Sei crudele, io ho fame e tu non mi fai mangiare... »
«Non ho detto che non ti faccio mangiare, ma che devi stare zitto se vuoi del cibo!» Sanji lo riprese come avrebbe fatto con un bambino.
«Wow! Ma da qui vedo tante cose dall’aspetto squisito! Sono pasticcini quelli con la frutta?!» disse Rufy estasiato, dopo aver buttato un occhio oltre Sanji e aver notato la tavola imbandita all’interno della sala da pranzo, la quale, secondo lui, aveva tutta l’aria di dover essere assalita. Guardandolo, Sanji ne capì al volo le intenzioni; come ad esempio quella di allungare un braccio di qualche metro e sgraffignare i dolcetti preparati con tanto amore per le sue principesse; appena lo vide scattare,  afferrò Rufy per la collottola «Giù le zampe, non t’azzardare a prendere ciò che non ti spetta o ti concio le mani! Per te c’è altro, e di certo non è allo stesso livello, gli ingredienti migliori li uso solo per la dolce Nami e la magnifica Robin!», sulle ultime parole il cuoco diventò immancabilmente zuccheroso e stucchevole, per ricomporsi subito dopo e tornare scontroso. Alla fine, dopo avergli fatto presente una sfilza di avvisi di morte qualora avesse compiuto azioni ai danni del cibo preparato per il resto della ciurma, Sanji lasciò andare il Capitano che, alla pari di un criceto a caccia di provviste, entrò veloce nell’ampia sala da pranzo con l’intento di mettersi in bocca tutto ciò che poteva, ma solo della sua porzione.
Zoro, rimasto in disparte, ripose nel fodero la Kitetsu che aveva sfilato di appena qualche centimetro. Anche lui lasciò stare l'idea di continuare la discussione. Perciò, si mosse seguendo Cappello di Paglia; dando volentieri le spalle al cuoco e approfittando dell'occasione per un’ultima bottarella: «Sì, oggi ho molta fame anche io, speriamo che toccando il cibo con queste mani non venga contagiato da una qualche malattia strana», ennesima frecciatina scoccata contro Sanji ,che incassò il colpo e non rispose.
«E perché dovrebbe venirti una “qualche malattia strana”?» gli domandò Rufy.
«Chi lo sa… » rispose Zoro, vago, chiudendo lì la questione.
«Si mangia, evviva!» strillò ancora Rufy, che alla vista del cibo dimenticò quel che lo spadaccino aveva appena detto.
«Ricorda di lasciarne anche agli altri, non fare il solito ingordo!» lo redarguì nuovamente il cuoco che, udendo una melodia provenire dall’alto dell’osservatorio, scelse di rimanere sul ponte ancora un po’. 
Quello che stava ascoltando era  l'inconfondibile suono di un violino: Brook suonava, dando un delicato buongiorno a tutta la ciurma.
Per un attimo, Sanji tornò a fissare il vessillo pirata, come a dedicargli una devota preghiera; il Jolly Roger era scosso da un vento fortissimo che sembrava animarlo di vita propria.

Non sono un vigliacco...
Il cuoco e il marimo avevano un impellente conto in sospeso.

 

 

“Never thought I'd have to retire
Never thought I'd have to abstain
Never thought all this could back fire”

 

Continua...


Note dell'autrice: ed eccoci qui! Sto ritrovando il piacere di trattare One Piece. Però devo scaldare meglio le mani e ricordare come si scrive , ah, 'sti due che sanno l’uno dell’altro ma che sono restii ad affrontare la questione. Vedremo cosa accadrà nel prossimo capitolo. 
Comunque, i Jolly Roger presenti sulla Sunny sono due, l’altro è in cima all’albero maestro. Anzi credo si possano considerare tre se ci infiliamo pure quello dipinto sulla vela.
L’immagine presente ad inizio pagina, co’ i primi piani, è una mia fan art. Lo so, Pandroso scritto in fucsia fa schifo, però la firma ce la dovevo mettere. Spero che vi piaccia, l’immagine non la firma, ovvio.
Rispetto a L’impensabile inaspettato, questa ff  ha e avrà un clima diverso. Ve ne accorgerete.
Attendo vostri commenti, impressioni, pareri. 
Un salutino! ^^
PS: il testo della canzone scelta è My sweet Prince, dei Placebo, non a caso, potete ascoltarla qui: LINK.

Storie ON-LINE (mi autopromuovo ^^):

L’impensabile inaspettato (Zoro/Sanji)
Sanji ha un urgente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note.
E a voi la lettura.

Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro

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Ultime previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law)
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.

Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami

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Curami (Zoro/Perona/Mihawk)
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line

Pubblicata: 11/09/13 | Aggiornata: 02/10/13 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 3 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro

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