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Autore: MaxB    16/08/2016    9 recensioni
Un castello abbandonato, nascosto nel bosco insieme ai suoi segreti.
Un ragazzo senza memorie.
Un gruppo di fantasmi che lo faranno sentire a casa per la prima volta dopo anni.
Ma c'è solo una cosa che Gajeel vuole più della sua memoria: Levy.
La ragazza che ama, che amava, e che sembra essere la chiave del mistero che gira intorno al castello.
Lo scopo di Gajeel è quello di salvarla, ma l'impresa potrebbe rivelarsi più oscura del previsto.
Tra ricordi riportati a galla da un lontano passato ormai dimenticato, amori e macabre scoperte, riuscirà Gajeel a salvare il suo futuro?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Mirajane, Pantherlily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Epilogo del prologo
Il futuro... nonostante tutto

 
 
Come in una vecchia fiaba per bambini, la mezzanotte scoccò proprio nel momento in cui l’uomo finì la storia.
Il respiro di una ventina di bambini si bloccò, il fiato sospeso, in attesa.
La donna che era rimasta raggomitolata su di lui tutte quelle ore, immobile, mosse le dita e allentò la morsa sulla mano del marito. Avevano tenuto le dita intrecciate per tutte la storia, per assicurarsi di essere loro due insieme, per sempre e sempre, e che non si sarebbero mai più separati. Per nessuno motivo.
- Master? – chiamò una vocina sottile.
Gajeel aprì gli occhi, di un liquido rosso che sembrava un mare in tempesta. Levy se ne innamorava ogni volta che li guardava, perché la scaldavano dentro anche quando il gelido passato minacciava di sopraffarla.
- Dimmi, Kinana – rispose lui, addolcendo la voce.
Gli occhi di numerosi bambini erano fissi su di lui, ancora rapiti, mentre altri erano spaventati. Le bambine più dolci invece piangevano, spaventate all’idea della mancanza di un lieto fine in quella storia d’amore.
Anche la piccola Kinana piangeva. – La storia finisce così? Ma Levy è scappata? Perché? Lui l’amava! – disse, la voce rotta.
Gajeel ghignò, un ghigno diverso da quello che aveva quando era un ragazzo libero, senza responsabilità. Era la sua versione di un sorriso rassicurante, e i suoi bimbi erano abituati a vederlo.
- Levy ha ritrovato la memoria? – chiese uno dei pargoli più discoli, che ogni tanto Gajeel chiamava erroneamente Natsu, facendolo infuriare. Era rimasto zitto per tutto il racconto, non aveva nemmeno commentato. Forse perché aveva capito quanto quella storia toccasse il Master e sua moglie.
- Perché la mamma è scappata quando ha visto la Spada? – intervenne Emma, la figlia dei due. – Eravate davvero voi, vero? Non è inventata questa storia?
- Non è inventata, Emma – rispose dolcemente la madre, asciugandosi una lacrima solitaria.
- Ma io non ho mai visto l’armeria! – esclamò un altro bambino, mentre gli altri annuivano.
Gajeel ghignò nuovamente. – Credeteci o no, io so che è vero. Levy ha davvero una cicatrice sul cuore, le mie braccia e il mio fianco li avete sempre visti, attraversati da tagli profondi. Polyushika la conoscete bene e i ritratti appesi vicino alle porte di ogni camera sono i nostri vecchi compagni, i nostri fratelli.
I bambini restarono zitti dopo quel commento, e aspettarono.
- Allora la storia la volete sapere? O volete immaginarvi voi la fine? – intervenne Levy, baciando il marito sulla guancia per poi seppellire il viso nel suo collo.
Un bambino, uno dei più svegli e vivaci, ridacchiò e commentò: - Hanno fatto sesso – facendo ridere tutti gli altri.
- Ehi – ringhiò Gajeel. – Vi ho detto che quelle cose si fanno solo a venticinque anni, quindi non parlate di cose che non sapete, marmocchi!
Levy gli scoppiò a ridere sul collo, facendogli il solletico. Forse, dopo quel commento, Gajeel avrebbe preso in considerazione la sua idea di fare un po’ di educazione sessuale ai bambini, anche se erano ancora piccolini. Almeno le basi!
Fortunatamente, comunque, lui aveva taciuto le parti più cruente del racconto, per non spaventare i bambini, e di conseguenza aveva omesso anche parte delle loro interazioni. Certe cose non andavano mai raccontate, specie a dei ragazzini fantasiosi sulla soglia della pubertà.
- Racconta la fine, papà! – lo incalzò Shutora.
- Ah… – sospirò lui – Va bene. Però poi tutti a letto, domani avete scuola!
- Domani è domenica – bisbigliò Levy, sempre con il naso sul suo collo.
- Li mando a scuola lo stesso così noi abbiamo la casa per noi.
Levy ridacchiò e gli tirò un pugno scherzoso, grata per il futuro che le era stato donato.
Nonostante tutto.
 
Mi rigiro nel letto senza riuscire ad addormentarmi, anche se sono così stanco da poter letteralmente morire di sonno. Fisso il soffitto, in attesa di sentire il taxi che arriva e Levy che se ne va, portando via con sé il mio futuro. Il nostro futuro.
Non voglio pensare a quello che succederà, non voglio pensare a ciò che farò della mia vita ora. Non ho la forza di pensarci.
- Gajeel…
Sono così devastato e vuoto che mi pare di sentire la voce di Levy chiamarmi, i suoi passi che risuonano per le scale e l’eco dei suoi singhiozzi. Sono così irrimediabilmente perso?
Che senso ha avuto tutto questo?
- Gajeel…!!
Basta, basta!
Mi premo il cuscino sulla testa e stringo i denti. Fino a quanto continuerò a sentire la sua voce?
Poi però la porta di camera mia si spalanca e sbatte contro il muro, mentre il materasso del letto ondeggia e scricchiola quando un peso ci si getta sopra.
- Ma che…?! – esclamo, gettando via il cuscino, prima di essere interrotto.
Levy mi ha placcato e, singhiozzando disperata, mi ha praticamente sbattuto a letto, sdraiato, con lei sopra.
- Che diamine…?!
Ma lei non reagisce e continua a singhiozzare, le braccia serrate attorno al mio collo e le lacrime che scendono e mi inzuppano la canottiera che porto per dormire.
- Gajeel, Gajeel, non posso… oh, Gajeel – biascica lei, in continuazione, dondolandosi su di me.
La mia vita può diventare più assurda di così?
- Levy calmati, che succede? Non passa il taxi? – le chiedo bruscamente mettendomi a sedere, e tirandola su con me.
- Gajeel, perdonami. Perdonami…
- Ehm… sì. Io ti… cioè, insomma, sarà difficile, ma non posso costringerti a restare e…
- Stai zitto un po’ – mi intima, ma per un breve momento mi pare di sentirla ridere.
È completamente andata via di testa, vero?
Invece lei allontana il viso dalla mia spalla e mi guarda sorridendo, asciugandosi le lacrime con i polsi. Mi fissa, e mi pare di intravedere qualcosa dei suoi vecchi occhi. Qualcosa che non vedevo da tanto, troppo tempo.
- Ti amo, Gajeel, ti amo ti amo ti amo, per sempre – mi rivela prima di baciarmi.
Baciarmi.
Nello stesso, identico modo in cui mi baciava in passato, quel modo tutto morsi e coreografie che abbiamo collaudato in mesi e mesi di rapporto. In quel modo che solo la mia Levy può ricordare, non Acnologia, non la Levy senza memoria. Solo Levy.
Io rispondo al bacio prima di chiedermi cosa diavolo stia succedendo, perché non so quanto durerà il momento di follia della ragazza che mi sta praticamente tenendo in ostaggio.
Poi potrò farmi tutte le pare mentali che voglio, piangermi addosso e buttarmi giù dal tetto, ma dopo.
Ora non voglio rovinare questo momento, forse l’ultimo che mi è rimasto.
- Ti amo, Gajeel, ti amo, ti amo… - continua a mormorare tra un bacio famelico e l’altro, quasi a corto di fiato.
Sto per risponderle che la amo anche io, da troppo tempo, ma mi blocco.
Mi ama.
Mi ama?!
- Levy! – esclamo, prendendola per le braccia e allontanandola da me. Le brillano gli occhi, e non solo per le lacrime. Ha le guance arrossate e sorride e giuro che è in tutto e per tutto uguale alla ragazza di cui mi sono innamorato, e che un tempo mi ricambiava. – Cosa significa che mi ami?
- Significa che ti amo, stupido Gajeel! – ride lei, come se fosse una cosa ovvia. Mi abbraccia ancora e mi bacia di nuovo, ma lentamente, assaporando ogni contatto, ogni tocco delle nostre labbra. Sono state poche le volte in cui ci siamo baciati così, donando all’amore il senso del tatto, creando con le nostre labbra l’Amore. Pochi momenti, speciali, intensi.
- Levy, sei tu? – bisbiglio, pronto a sentire il rumore del mio cuore che va in mille pezzi.
Ma lei continua a baciarmi come se fosse il nostro ultimo bacio, e la sento sorridere contenta sulla mia bocca.
- Sono io, Gajeel – sussurra a sua volta quando si stacca, fissandomi negli occhi e asciugando con i pollici le lacrime che non mi sono nemmeno accorto di aver versato. -  Sono io, sono la tua Levy, e non me ne andrò mai più. Mai. Più.
Mi abbraccia di nuovo, mi stringe a sé mentre le mie braccia se ne stanno inerti lungo i miei fianchi, incapaci di reagire agli stimoli del cervello.
Forse perché il cervello è andato in pausa.
Levy è tornata. È lei, è davvero lei. È qui con me e non se ne andrà più.
Mai più. Per sempre.
Finalmente le mie braccia la circondano e inizio a dondolare, cullandola al mio petto, mentre scoppio a piangere come un bambino.
Ma non me ne frega niente. Perché quest’avventura orribile ha finalmente un lieto fine e la mia vita ha di nuovo un senso.
Non me ne frega niente di nulla.
Levy è tra le mie braccia, è con me, è vera, e io piango tutto il dolore che non sapevo di aver accumulato in quest’anno e mezzo trascorso al castello. O nei due anni vissuti senza memorie.
Piango con Levy perché siamo finalmente insieme, e il mio cuore pieno di amore e gioia non può più tollerare il dolore.
Non c’è più spazio per la sofferenza dentro di me.
Spero che non ce ne sia mai più.
 
Trascorriamo la giornata a letto, abbracciati, in silenzio. Ogni tanto lo schiocco di qualche bacio riempie l’aria, e la risatina sommessa di Levy mi scalda il cuore. Abbiamo pianto insieme per un tempo che mi è parso interminabile, finché i nostri animi si sono calmati e i nostri baci sono diventati un conforto invece che un tentativo estremo di scacciare la disperazione.
Sospiro mentre fuori inizia a piovere, e seppellisco il viso nei suoi capelli, in quell’angolino di collo che è sempre stato il posto preferito del mio mento. Tornare a respirare il profumo direttamente dalla sua pelle è come riempire i polmoni di ossigeno dopo essere quasi annegati: liberatorio, necessario.
Lei ridacchia quando strofino le labbra sul suo collo, e si muove per intrecciare le gambe nude alle mie. Non so per quale motivo non ci siamo saltati ancora addosso. Il mio autocontrollo aveva iniziato a dissolversi quando Levy si è spogliata, ma la sua fuga sotto le coperte con me mi ha fatto desistere.
Forse ci sembra tutto troppo irreale per lasciarci andare completamente, ancora.
- Vado a preparare il pranzo – bisbiglia lei dopo un po’, penetrando nella nebbia che mi obnubila la mente.
Non mi ero accorto di essermi assopito. Del resto, è così rilassante starle accanto. Potrei morire felice, sul serio, tra le sue braccia. Nessun rimpianto. Solo calore.
Ma ovviamente questo non traspare, e io le afferro rudemente il polso quando lei si alza per uscire dal letto. – Ho appena pulito la casa, non vorrei che tu la facessi saltare in aria.
- Scemo, preparo solo dei panini. In questi mesi non hai fatto altro che lavorare per me.
Grugnisco un assenso e me la mangio con gli occhi mentre lei esce fuori dalle coperte e si infila la mia maglia, che le sta larga eppure copre proprio i punti che mi interessa vedere.
Lei intuisce i miei pensieri e mi fa l’occhiolino prima di uscire dalla camera e dirigersi in cucina.
Ho paura che non torni. Ho paura che sia solo un sogno, e che quando aprirò gli occhi scoprirò che il taxi se l’è portata via.
Per distrarmi fino al suo ritorno mi metto a sistemare i vestiti che ha abbandonato per terra. Nessuno ci credeva quando dicevo in giro che quello ordinato ero io. Levy è maniaca solo con i libri, per il resto può vivere nel più completo casino.
Le piego gli abiti e, quando prendo in mano la maglia, cade per terra un foglio.
No, non un foglio.
Mi chino a raccogliere la foto che ci ritrae, quella foto che non mi ero accorto mancasse dall’album.
Una delle mie foto preferite, con me che dormo sulle gambe di Levy dopo averle concesso di leggere, ore prima, la fatidica “ultima pagina”. Come sempre. Il ciliegio in fiore e Lily che dorme sul mio ventre perdono la loro bellezza quando guardo Levy, che sorride e ordina il silenzio a chi sta scattando la foto, così da non disturbarmi.
Fino a poche ore fa pensavo che non avrei più visto quel sorriso sul suo volto.
Invece è di nuovo mio, solo mio, finché morirò.
Quando, diversi minuti dopo, Levy rimette piede in camera e appoggia un vassoio con piatti e cibo sul comodino, io sono ancora fermo, chinato per terra, ad assorbire ogni dettaglio di quella foto sgualcita per farla diventare parte di me, impressa nel cuore come se fosse quel pezzettino di carta a farmi scorrere il sangue nelle vene.
- Gajeel… - mi riscuote Levy posandomi una mano sulla spalla, abbassando la schiena per osservare ciò che sto guardando.
Non mi serve guardarla per sapere che è arrossita.
- Oh… l’ho tenuta con me perché speravo che mi aiutasse a, sì, recuperare i ricordi. Ho sperato ogni minuto di ogni giorno di poter ricordare chi eravamo, Gajeel, perché si vede dalle foto che ci amavamo tantissimo. Ma non è mai successo nulla, né un flashback né un sogno, e io non potevo continuare a vivere qui, dove un tempo un’altra me era stata felice. Mi faceva paura.
Volto lo sguardo e mi scontro con i suoi occhi, così vicini al mio viso. Sono sinceri, come sempre, e non hanno segreti per me. Non ne hanno mai avuti.
Lascio cadere la foto e la bacio, ma non come prima. Lei percepisce la mia urgenza, il mio desiderio, il mio estremo bisogno di sentire che è tutto vero, e mi asseconda senza esitare. Forse, è quello di cui ha bisogno anche lei.
Nel momento in cui lei si sdraia sul letto e mi fissa con gli occhi pieni di fiducia, mi salgono di nuovo le lacrime agli occhi. Mentre la fisso dall’alto, la sua mano si posa sulla mia guancia e lei sorride mentre due perle le scivolano ai lati degli occhi.
- Sono tua, Gajeel – mi sussurra, accarezzandomi lo zigomo con il pollice. – Sono tua.
La paura mi assale come durante la nostra prima volta, così mi sdraio di fianco a lei e poso la testa sul suo petto, lì dove batte il cuore.
- La mia vita ti appartiene Gajeel. La metto nelle tue mani – mi promette mentre mi accarezza i capelli, prima di posarmi un bacio sulla testa.
Sentire il suo respiro, i suoi battiti di vita, il suo calore, il suo profumo, mi calma, e quando lei volta la testa verso di me, chiedendomi se sono pronto, non sono più il ragazzo inesperto che ha paura di ferirla.
Sono l’adulto che vuole guarirla del tutto, che vuole renderla parte di sé, sotto ogni aspetto.
E lo faccio.
Lo facciamo.
Lo facciamo per ore, fino al tramonto, fino a che Lily inizia a reclamare il suo cibo, insieme ad Happy e Charle, e ci rendiamo conto che il nostro pranzo ancora intatto in realtà sarà la nostra cena.
Quando mi alzo per nutrire i gatti, Levy mi sorride, e io capisco che in realtà è stata lei a guarire me. Come sempre.
Nei suoi occhi leggo anche la tacita promessa che dopo continueremo ancora, ancora e ancora per recuperare il tempo perso, oggi, domani e dopodomani, finché potremo farlo.
Poi lei mi invita con il capo ad andare a sbrigare le mie faccende. – Sarò qui al tuo ritorno. Sempre.
Io ghigno e le rubo un ultimo bacio prima di scendere al piano di sotto.
Senza di lei non ho uno scopo nella vita.
Perché è lei la mia ragione di vita.
Questo mi rende vulnerabile, ma so che mi darà la forza di vivere al meglio ogni giorno, perché lei sarà con me.
Sì, ci sarà.
 
Mentre mangiamo in silenzio, a letto, Levy inizia a parlare di sua spontanea volontà.
Risponde a domande che mi sono fatto per mesi, dopo averla salvata, ma che non ho mai avuto l’occasione di porle, dal momento che non ricordava.
- Io ricordo tutto.
La fisso, smettendo di masticare, e blocco Lily che ha deciso di venire a mangiare nel mio piatto. Come se non gli fosse bastata la sua, di cena. – Lo so che ricordi. Nel senso, sì, che hai recuperato i ricordi questa mattina, però…
Non so più cosa dire. Capisco allora che è uno di quei momenti in cui devo tacere e basta, starmene al mio posto. Come abbiamo sempre fatto quando lei aveva bisogno di sfogarsi e io l’ascoltavo senza emettere un suono. Lei mi ringraziava sempre con un bacio alla fine, e nei suoi occhi leggevo la sua gratitudine per non essermi stancato di ascoltarla.
- Ricordo il mio passato, ma ricordo anche gli anni passati insieme a… ad Acnologia.
Non mi sorprende che lei sappia il nome di quell’essere infame, dal momento che ha condiviso con lui il corpo.
- Sono stati due anni logoranti. All’inizio, quando l’ho relegato dentro di me, ho semplicemente dormito. Prima di entrare in quella specie di coma, ho portato te in ospedale. Più o meno. Sanguinavo tanto e mi chiedevo come il cuore potesse continuare a battere. Però batteva. Ero tanto stanca, ma sono riuscita a portarti sul ciglio della strada, fuori dal bosco. Poi ho chiamato l’ambulanza con un numero privato e non ho più saputo nulla di te.
Relego il piatto sul comodino e mi sdraio posando la testa sul ventre di Levy. Lei inizia a giocare distrattamente con i miei capelli e io chiudo gli occhi, rilassandomi grazie al suo tocco.
- Tornata a casa ho iniziato a sentire male, tanto, al cuore. Ho fatto in tempo a raggiungere l’armeria e sono crollata sul tavolo di cemento, prigioniera di me stessa. Però tu eri salvo. I ragazzi, poco dopo, hanno scoperto di essere fantasmi. Li percepivo, ma non li vedevo. Mi hanno trovata e mi hanno sistemata sul tavolo di cemento. Hanno vegliato su di me, ma non c’era niente che loro potessero fare. Intanto, all’ospedale c’era Mest, il vecchio avvocato di Makarov, che ti ha riconosciuto. Hanno scoperto i cadaveri e la voce di un castello infestato da fantasmi ha fatto il giro della città. Le indagini non hanno condotto a nulla, e anche i più cinici alla fine hanno abbandonato la città. Magnolia era diventata una città fantasma. Non so per quale motivo, non so come, ma nessuno è mai entrato nell’armeria. Nessuno ha mai visto il mio corpo morente e allo stesso tempo vivo. È forse l’unica cosa che non so spiegarmi, questa.
La mia bocca ha uno spasmo, ma Levy non se ne accorge.
Qualcosa mi dice che la protettrice del castello ci ha messo lo zampino.
Qualcosa mi dice che Mavis ha salvato Levy dallo scoop e dagli esperimenti scientifici.
Mavis.
- Gli altri hanno iniziato a manifestarsi dopo che le autorità hanno seppellito i loro cadaveri nel cimitero di famiglia, nella cappella dietro la villa, nel bosco. Erano sconvolti, ma con il tempo hanno capito cosa stava succedendo. Penso che nessuno, però, lo abbia accettato del tutto. Io non potevo manifestarmi come gli altri, non ero mica morta. Però poi Acnologia ha iniziato ad agitarsi e a valutare i confini del mio corpo, della sua gabbia. Ho lottato per settimane per tenerlo a bada, ma la sua rabbia e la sua follia erano un pozzo senza fondo, e non ho potuto nulla contro la sua sete di vendetta. Debole com’ero, mentalmente e fisicamente, lui ha cominciato a fare pressione su di me. Ha forzato qualche meccanismo, non lo so, ma è riuscito a prendere forma di spirito come gli altri. È così che ha potuto nascondere la Spada, la sua unica minaccia, nel bosco, dove tu l’hai trovata. Solo che non ha contato che io ero con lui, e non gli volevo certo lasciare carta bianca. Lottavamo, le nostre battaglie mentali sono state laceranti, ma fuori dal mio corpo Acnologia era più forte. Mi prosciugava lentamente. Fu allora che mi relegò in un cantuccio della mia coscienza, annichilendomi. O così gli feci credere.
- I sogni – mormoro io.
- I sogni – conferma lei. – In qualche modo sono riuscita a raggiungere la tua coscienza e ad avvertirti. Ma era tanto difficile, Gajeel. Eravamo lontani, io ero tenuta al guinzaglio da Acnologia, e tu non ti ricordavi più di me.
- Mi sei arrivata forte e chiara – bisbiglio io mentre le sue dita leggere tracciano il contorno del mio viso, dalle palpebre, al naso fino alle labbra, che arriccio per baciarle i polpastrelli.
Non apro gli occhi, ma so che sta sorridendo.
- Per due anni ho vissuto nei tuoi sogni, anche se non sempre al mattino li ricordavi. E poi sei arrivato qui. Acnologia si è agitato perché finalmente aveva la possibilità di ucciderci tutti. Tu eri la sua occasione. Io ho lottato con tutte le mie forze e per un po’ sono riuscita ad evitare che si manifestasse a te. Ma non l’ho bloccato a lungo, e lui mi ha confinata per sempre in me stessa, sfruttando i miei ricordi per essere credibile. Non ti ha rivelato nulla di ciò che era successo alla fine perché nemmeno gli altri fantasmi sapevano di com’era andata a finire la storia, e per far sì che il teatrino reggesse ti ha logorato fino all’ultimo, nascondendoti le cose.
Mi scappa una smorfia: - Ho baciato e abbracciato Acnologia? Vado a vomitare.
Levy ridacchia, e poi mi posa un bacio in fronte: - Mi sento tradita.
Un gemito frustrato mi fuoriesce dalle labbra. Non posso crederci.
- Se può consolarti, io le ho sentite. Mi sono arrivati, i tuoi tocchi. Eravamo due spiriti fusi insieme, più densi degli altri, e ho sentito ogni tuo tocco. Grazie.
- Ho sempre saputo che non eri tu. Dentro di me lo sapevo, ma averti davanti mi disorientava.
- Posso capirlo. Inoltre Acnologia poteva accedere a tutti i miei ricordi, era difficile quindi capire che non ero davvero io.
Io annuisco, ricordando quanto il suo fantasma mi sembrasse turbato ogni volta che accennavo ai sogni su Levy.
Ho ancora gli occhi chiusi, ma li spalanco quando sento i capelli morbidi di Levy solleticarmi il viso. Giusto in tempo per vederla mentre si china su di me per baciarmi.
Io rispondo al bacio con calma, e le accarezzo una guancia. Sento di nuovo le lacrime che le solcano il viso, e mi chiedo se questa storia non abbia aperto in lei una ferita che non si potrà mai più rimarginare.
In questo caso, toccherà a me tenere insieme i pezzi di Levy. I nostri pezzi.
- Ti amo – le bisbiglio. Gliel’ho detto troppe poche volte, così direttamente. Anche se gliel’ho fatto capire in tanti modi diversi.
La sento sorridere sulle mie labbra e baciarmi più volte la guancia. – Ti amo anche io.
Non dovrò tenere insieme i pezzi della sua anima. Perché Levy è la donna più forte che io conosca.
E sarà lei a tenere in piedi me.
 
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Con il tempo, arrivò anche il dolore per la perdita delle persone che Levy aveva amato. La verità la colpì come una fucilata, quando si rese conto che i ricordi di cui era rientrata in possesso non riguardavano solo la sua idilliaca storia d’amore con me, il nostro sogno.
E questo la devastò.
Per una settimana mangiò poco quanto un uccellino, perse interesse per tutto e rimase insensibile a qualsiasi cosa io le proponessi. Era così assente da non poter rispondere nemmeno ai miei baci o alle mie carezze, facendomi temere che il peggio dovesse ancora arrivare. Guardava le foto del passato, con Lucy, Kana, Mirajane, Erza e Juvia, e tutte le altre, e piangeva.
Un giorno, stanco di quel suo stato catatonico, le presi dalle mani gli album di foto e me la caricai in spalla, portandola in camera. La chiusi a chiave dentro, sordo alle sue proteste e ai suoi pugni contro la porta, e la lasciai lì un’ora.
Quando andai a liberarla, avevo ottenuto l’effetto desiderato: Levy era così arrabbiata da non riuscire a esprimersi a parole. Poche volte l’avevo vista così irata, così incapace di mettere insieme un pensiero razionale.
Nel momento in cui si avvicinò a me per spingermi via, lo sguardo carico di rabbia, la bloccai per i polsi e la baciai, stringendola a me.
Nelle ore successive, stretti a letto l’una all’altro, le mormorai a tratti parole di conforto che l’aiutarono a calmarsi.
Il giorno dopo facemmo visita alla cappella con le tombe dei membri della nostra famiglia, e versammo lacrime silenziose per coloro che erano morti precocemente e ingiustamente.
Levy si sostenne a me come ad un’ancora di salvezza, e questo mi impedì di crollare come una casa che viene demolita.
Con la coda dell’occhio vidi un lampo biondo e uno svolazzo di un vestito leggero, ma quando alzai lo sguardo non c’era nessuno.
Mavis c’era, però.
Ne sono certo ancora oggi.
 
Levy si riprese, dopo la visita al cimitero. Accettò gradualmente la morte della sua vita precedente e cominciò a guardare al futuro insieme a me. Con i fondi del Master finanziammo la ricostruzione di parte della città di Magnolia, che si ripopolò e divenne una delle mete più ambite come quartiere residenziale: poca criminalità e case pressoché nuove grazie alle ristrutturazioni.
In breve, gli affitti iniziarono a fruttare e io e Levy divenimmo i nuovi magnati della città.
Ma ci mancava qualcosa e la mia donna, come sempre, se ne rese conto prima di me. – Questa casa è troppo grande per me e te da soli – mi disse una sera, accoccolata a me sul divano.
- Non scordare Lily, Happy e Charle – le feci notare, scherzando.
Ma avevo capito benissimo cosa voleva dire. – Potremmo seguire le orme del Master e rifondare l’orfanotrofio – mi suggerì lei, seppellendo il naso nel mio collo.
Ci avevo pensato, ma temevo che lei non fosse ancora pronta.
- Vuoi rifondare Fairy Tail?
La sentii annuire contro la mia spalla.
- Che ne dici di sposarmi, prima?
Levy sollevò la testa di scatto, senza riuscire a capire se ero serio o se la prendevo in giro.
Non era una proposta romantica, non c’era l’atmosfera giusta e l’anello era ancora in camera, seppellito sotto le felpe nel nostro armadio.
Ma forse questa storia melensa dell’atmosfera giusta per fare una proposta di matrimonio è solo un cliché per ragazzine delle elementari.
Levy non avrebbe voluto una proposta diversa, e io non gliel’avrei fatta diversamente da quella. Semplice e diretta.
Come il bacio che lei mi diede dopo.
 
Ci sposammo due anni dopo la morte di Acnologia, circa cinque anni e mezzo dopo lo sterminio della Fairy Tail originale. Non avevamo nessuno con cui condividere la nostra gioia, così organizzammo una festa cittadina per inaugurare la nuova Magnolia e la riapertura dell’orfanotrofio.
I giornali parlarono per giorni di quell’evento di cui eravamo protagonisti, e le procedure burocratiche di cui Levy si occupò per la riapertura della nostra villa furono molto più veloci del previsto.
Subito dopo la nostra luna di miele, al castello vivevamo io, Levy, i nostri tre gatti e tre piccoli orfani di tre e quattro anni, due femminucce e un maschietto.
Non fu facile all’inizio, ma tre mesi dopo avevamo con noi dieci bimbi e due donne delle pulizie assunte a tempo pieno. Levy faceva l’insegnante e io ero il cuoco, e i bambini si affezionarono a noi nel giro di poco. A volte erano discoli e disobbedienti, ma non abbiamo mai dubitato del loro amore nei nostri confronti. Non espressero mai il desiderio di andarsene o di avere una mamma. Levy era perfetta in quel ruolo, e insieme a quei ragazzini la vidi diventare sempre più felice e serena.
Restò incinta sei mesi dopo il matrimonio. Emma fu un fulmine a ciel sereno, perché venne al primo colpo. Avevamo già parlato di avere dei figli, ma volevamo aspettare ancora qualche mese per permettere ai nostri orfanelli di ambientarsi. Per permettere a noi di abituarci.
Invece, per una mia svista, Levy restò incinta.
Nove mesi dopo io divenni padre, e i bambini che per noi erano come dei figli accolsero la nuova arrivata senza un briciolo di invidia per la sua situazione: lei non era orfana.
Tutti volevano vederla e i più grandicelli volevano tenerla in braccio, dato che i bambini che arrivavano erano tutti abbastanza grandini. Non avevano mai visto un neonato.
La loro gioia e il loro stupore di fronte all’arrivo di una nuova sorellina commossero profondamente me e Levy: li stavamo facendo sentire parte di una famiglia, dove nessuno era invidioso di nessuno.
Perché anche loro avevano due genitori che si occupavano di loro.
 
Levy se ne rese conto quando Emma era ancora un fagiolino di tre mesi nella sua pancia.
Una notte la sentii svegliarsi e divincolarsi dalle mie mani, avidamente posate sul suo ventre morbido e appena tondo. La seguii in silenzio mentre scendeva le scale per andare in sala giochi, e capii cosa stava facendo solo quando si fermò davanti al punto in cui, un tempo, c’era stata la porta dell’armeria.
- Gajeel, cosa…?
Lì dove un tempo c’era stata la porta, ora capeggiava un quadro di Mavis.
- Chi è questa bambina? Dov’è l’entrata dell’armeria, Gajeel? Mi è venuto in mente che per i bambini potrebbe essere pericoloso entrare qui, ma…
Fu allora che mi resi conto di non aver parlato a Levy di Mavis.
La protettrice del castello. Stava svolgendo il suo lavoro davvero egregiamente.
Levy si avvicinò al quadro e lesse la targhetta dorata appesa sotto al quadro: - ‘Per non ripetere ancora gli errori del passato’. Chi ha messo qui il quadro, Gajeel?
Levy mi vide sorridere, mentre lei, in preda alla confusione, si chiedeva cosa diavolo fosse successo.
- Levy, ti va di sentire una storia?
Lei aggrottò le sopracciglia. – No! Voglio solo sapere dov’è l’entrata dell’armeria. E la Spada dello Spirito? Io…
Mi chinai per essere alla sua stessa altezza e guardarla negli occhi, e la vidi lentamente calmarsi. – Vieni a letto con me, ti racconto una storia che parla di una bambina che protegge un castello maledetto.
Levy sembrò capire, e allora mi precedette in silenzio verso camera nostra.
Prima di seguirla osservai il quadro, e me ne andai sorridendo.
Mavis, la protettrice del castello, aveva reso invisibile l’entrata dell’armeria. La Spada avrebbe protetto per sempre il castello, nessuno avrebbe più portato l’arma al di fuori delle sue mura.
“Per non ripetere ancora gli errori del passato”.
Il quadro di Mavis mi aveva fatto l’occhiolino.
 
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- Buonanotte Shutora – disse Levy posando un bacio sulla fronte della figlia.
- ‘Notte mammina – mormorò la piccola, ormai partita per il mondo dei sogni.
- Buonanotte mamma – bisbigliò Emma, gettandole braccia al collo quando questa le si avvicinò.
Levy cadde sul letto ridendo.
- ‘Notte piccola mia – rispose, baciandole la guancia con degli schiocchi sonori.
Fece per alzarsi e andare a salutare Yaje, nel letto lì vicino, ma Emma la trattenne per il braccio: - Mi giuri che è vera la storia che ci avete raccontato?
Levy la osservò a lungo, scrutando nei suoi occhi così simili ai suoi e a quelli di suo marito. – Te lo giuro. Un giorno ti farò vedere il cimitero che c’è dietro il castello, così conoscerai i nostri amici.
Emma annuì e strinse la mano della mamma, prima di lasciarla andare e seppellirsi sotto le coperte.
Quando si avvicinò a Yaje, il bimbo le strinse forte forte il collo, abbracciandola. – Non morire, mammina.
- No che non muoio, tesoro mio – mormorò Levy accarezzandogli i moribidi capelli celesti.
I tratti del viso erano quelli del marito, ma gli occhi e i capelli erano i suoi. Chissà come sarebbe diventato da grande, il suo piccolo Gajeel.
- Ora dormi, domani mattina è domenica e mi verrai a svegliare come sempre.
Il piccolo annuì e si accertò della presenza della gemella nel letto accanto al suo.
I tre fratelli dormivano insieme nella vecchia stanza di Gajeel, mentre gli altri bambini erano in camere singole o doppie.
Quando Levy finì di fare il giro della buonanotte in tutte le stanze, si rese conto che la storia aveva toccato profondamente i bambini. Alcuni, pensando di non essere sentiti, volevano anche organizzare squadre di investigazione per trovare l’armeria.
Ma Levy era tranquilla, perché Mavis non avrebbe mai permesso che la Spada venisse trovata.
- Ce ne hai messo di tempo – la sgridò Gajeel una volta che vide entrare la moglie in camera.
Levy sorrise tristemente e, dopo che si fu spogliata, lui aprì le braccia per accoglierla contro il suo petto.
Non glielo aveva mai chiesto, ma sapeva che condividere anima e corpo con un mostro fatto di vendetta e omicidio le aveva tolto parte della sua spensieratezza passata. Rispetto a quando era giovane e vedeva il mondo con occhi innocenti, la sua Levy rifletteva molto di più e ogni tanto si incantava a fissare il vuoto con occhi lucidi. In quei momenti, con il tempo, aveva imparato a rifugiarsi tra le braccia del suo unico punto fisso: Gajeel.
Levy, sdraiata di fianco a lui, alzò il viso per baciarlo. – Non ti sei ancora stancato di me? – chiese ironicamente quando sentì le sue mani mapparle tutto il corpo.
- Nah. Con tutta la fatica che ho fatto per tenerti in vita, sarei proprio stupido a stancarmi.
Levy ridacchiò e si mise a cavalcioni su di lui con un movimento rapido e fluido.
Gajeel sospirò, beato, e mise le mani dietro la testa, osservando il corpo della moglie. Quel corpo che conosceva a memoria eppure riscopriva sempre, ad ogni carezza. Ogni volta era come la prima, il desiderio e la necessità non erano cambiate con il tempo.
- Che ne dici se mi metto quel vestitino rosso che mi avevi comprato per Natale? Quello pieno di pelo? Alla fine non l’abbiamo mai usato. Sono sicura che sia qui da qualche parte…
Gajeel ghignò e le mise le mani sui fianchi. – Magari lo cerchi domani e te lo metti per farmi una sorpresa Ora non posso aspett…
Un timido bussare alla porta lo bloccò, e i suoi occhi cercarono subito quelli di Levy, spaventati. Lei scese subito dal ventre del marito e si infilò sotto le coperte, coprendosi.
- Avanti – ordinò poi Gajeel, appoggiandosi ad un gomito per vedere chi era.
Sulla soglia della camera, Emma, Yaje e Shutora fissavano i genitori, agitati.
Qualcosa suggeriva a Gajeel che non fossero soli.
- Mamma, papà, vorremmo venire a dormire con voi.
Levy scambiò un’occhiata con Gajeel. Non era la prima volta che si trovavano in cinque in quel letto. Più Lily, quando Levy lo aiutava a salire sul letto a causa della sua artrite alle zampe. Era diventato vecchietto, il loro gatto.
- Va bene – farfugliò Gajeel, buttando la testa sul cuscino.
E ora come faceva a stare solo con sua moglie?
- Però… anche gli altri vorrebbero dormire con voi, ma nel letto non ci stiamo tutti… - rivelò Emma.
Levy, confusa, fece per alzarsi, ma Gajeel la bloccò in tempo perché non uscisse allo scoperto: si era scordata di essere mezza nuda.
La donna ringraziò il marito con lo sguardo mentre quest’ultimo si dirigeva alla porta con addosso i pantaloncini da notte.
Levy lo vide sgranare gli occhi: tutti i bambini di Fairy Tail erano ammassati sulla soglia della loro camera.
Gajeel grugnì e si passò le mani sul volto. – Ho capito, tutti a dormire in mansarda. Prendete coperte, cuscini e quello che vi pare e filate di sopra. Arriviamo subito.
Gajeel guardò la moglie eloquentemente: un’altra sveltina. Del resto, il rischio che li beccassero era sempre alto.
- Noi vi aiutiamo a prendere le vostre cose – annunciò Emma entrando nella stanza insieme a Yaje e Shutora.
Levy vide Gajeel sbiancare, mettere il broncio e assumere un’espressione sconsolata. Niente poté impedirle di scoppiare a ridere.
- Porta pazienza – gli bisbigliò all’orecchio quando Gajeel le passò di nascosto una sua vecchia felpa. – Lunedì sono tutti a scuola e noi abbiamo la casa per noi.
Per quanto la proposta lo allettasse, Gajeel non poté fare a meno di pensare a quanto avrebbe voluto starsene abbracciato a sua moglie quella notte.
Quando la sua famiglia si allontanò nel corridoio, lui rimase indietro a osservare la scena che gli si presentava davanti: Levy teneva per mano Yaje e Shutora, mentre la dolce e responsabile Emma raggiungeva gli altri bambini ai piedi della scala per la mansarda. Levy accarezzò le testoline di alcuni bambini spaventati prima di iniziare a farli andare su per le scale.
Quando si girò verso di lui in cerca dei suoi occhi, la delusione svanì dal volto di Gajeel, che si godette la vista dei suoi trenta bambini che salivano le scale per dormire tutti insieme.
Come anni prima, sorrise e guardando il soffitto bisbigliò: - Grazie Mavis.
Poi si avvicinò a sua moglie e se la caricò in spalla, gridando ai bambini: - Via, fate largo! Sto passando con un tricheco sulla spalla.
- Gajeel! – sbottò lei, pugnandogli la schiena.
I bambini urlarono e corsero su insieme a loro, ridendo per quella scenetta.
Quando fu arrivato in cima, Gajeel depositò Levy per terra e le rubò un bacio a cui lei si sottrasse, irritata.
Lui ridacchiò: - Senza di me non vivresti.
Quella frase era tremendamente vera, perché senza di lui Levy non sarebbe sopravvissuta.
Ma era anche vero che lui non avrebbe tollerato una vita senza Levy.
E non avevano bisogno di dirselo: nel momento in cui si strinsero la mano e si sdraiarono per terra, circondati dai loro tre figli e dagli altri trenta bambini, Gajeel e Levy si comunicarono tutto quello che non potevano esprimere a parole.
E ringraziarono ancora una volta per il futuro che avevano avuto.
Nonostante tutto.
 
 


 
Una fine è solo un nuovo inizio, non importa quanto disastrosa e definitiva possa essere la fine.
Guarda avanti.
In ogni giornata che vivrai ci sarà un sorriso ad aspettarti dietro l’angolo.
A volte sarà effimero e immediato, durerà un secondo e si spegnerà subito. A volte sarà un sorriso stentato in mezzo a lacrime di disperazione e profondo nero.
Ma ci sarà quel sorriso.
Ci sarà ogni giorno, per quanto siano gravi e irreparabili i tuoi problemi.
È questo il bello della vita.
È questo che la rende degna di essere vissuta.

Cerca il tuo sorriso di ogni giorno, che sarà diverso da tutti gli altri.
Sarà unico.
E sarà speciale.
Non stancarti mai di cercarlo, perché dietro l’angolo ti attende quello definitivo.
Quello che ringrazierai di aver trovato.
 
Quello che, fidati, ti ripagherà di tutto.
 
 



MaxB
Vi supplico di non odiarmi.
Sono in montagna e ho passato giorni a girare con in mano l’hotspot per cercare una o due tacche di connessione che, ovviamente, non ho trovato.
Mi hanno persino chiesto se ero a caccia di Pokemon. Invece ero a caccia di tacche di Internet.
A parte questo, sono commossa e mi batte il cuoricino per aver messo quella spunta su Completa.
Ho finito The Ghost.
Non ci credo.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto in silenzio e hanno messo la storia tra le preferite, seguite e/o ricordate, ma soprattutto coloro che hanno lasciato un commento e hanno speso parte del loro prezioso tempo per farmi sapere cosa ne pensavano di questo mio esperimento.
In particolare ringrazio (il mio) Angelo Nero, Kounchan, (il mio fanboy preferito) Gallade, C63 (per i suoi commenti su uozzap) che mi hanno seguita assiduamente, e ovviamente la mia musa ispiratrice EbiBeatrizP.
Grazie di essere nella mia vita, e cerca sempre il tuo sorriso, piccola mia.
Non mi resta che salutarvi, se avete piacere fatemi sapere se ho risposto a tutto o avete dei dubbi irrisolti riguardo alla storia, ditemi magari se vi è piaciuta o avrei potuto farla meglio.
GRAZIE ANCORA E BUONANOTTE MONDO *piange*
MaxB
 
…ovviamento non potevo far finire male Gajeel e Levy.
Mai e poi mai.
Maissimo.
  
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