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Autore: Fenio394Sparrow    16/08/2016    2 recensioni
{Lo Hobbit|| OC|| Arya!Centric || Movieverse|| Long|| Prequel! Winter is Coming}
{«State sorvolando sulle condizioni in cui lascerete andare, signore.»
Thranduil la guardò stupito, senza capire dove stesse andando a parare Arya. «Non so quale considerazione abbiate riguardo gli uomini, signore, o delle bambine che si accompagnano ad un gruppo di nani, ma vi assicuro che io non sono stupida, e questo accordo mi puzza d’imbroglio. Ci lascerete liberi, certo, ma magari nel mezzo della foresta e senza viveri né armi e saremo alla mercé dei ragni in meno di un giorno, e tanti saluti alla nostra impresa. Perciò penso che vi convenga alzare un po’ la posta, Sire, perché io non faccio beneficenza e i miei servigi non sono a poco prezzo.» Arya sorrise amabilmente.}
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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but they were constantly parted



Time is running out
You’re something beautiful, a contradiction
I wanna play the game, I want the friction
You will be the death of me
 
 
«Non ti amo più» affermò Arya sconsolata. Il piano era troppo folle. Bilbo le lanciò un’occhiataccia come a dire non ti ci mettere anche tu, per favore, ma la ragazza non poteva farci niente. Almeno non stava dando di matto come una gallina, lei. Non potevano, seriamente, entrare nei barili e rotolare giù fino … fino a dove, poi? Arya si fidava di Bilbo, ma la fisica non è un opinione. Ed era piuttosto sicura che fosse una cosa che non insegnavano, nella Terra di Mezzo.
«Dovete fidarvi di me!» implorò Bilbo.
Thorin sedò le proteste imminenti: «Fate come dice!»
E quindi dovettero entrare nei barili in fretta e furia. Si aiutarono l’un l’altro ad entrare e a riempirli di paglia per “accomodarsi” , non senza qualche imprecazione. Una volta dentro, Bofur chiese che dovessero fare, e Bilbo rispose «Trattenete il fiato»
«Che vuol dire trattenere il fiato?!» squittì Arya.

Trattenere il fiato, scoprì dieci secondi dopo, significava trattenere il fiato. La pedana su cui le botti erano adagiate a piramide s’inclinò pericolosamente, facendoli strillare. La propria botte crollò sotto il peso delle altre e rotolò verso sinistra, precipitò lungo la rampa, cadde nel vuoto e si schiantò con un suono sinistro. Venne risucchiata giù  e qualcosa di gelido l’investì. Il tempo di un respiro e venne spinta verso l’alto dove riemerse aggrappandosi ai bordi di legno.  Arya sentì come se avesse lasciato lo stomaco nelle cantine e poi freddo, tanto freddo. Galleggiava.
Acqua. Gelida e schifosamente bagnata, l’aveva inzuppata fin dentro le ossa. I vestiti appiccicati alla pelle e pesanti la infastidivano; sentiva di avere la pelle d’oca e brividi la facevano tremare. Il lato positivo era che erano usciti di prigione. Tossì e sputò altra acqua, che bruciava nella gola come fuoco, per quanto era fredda.

«Ci siete tutti?» urlò qualcuno. «Bofur, Fili, Arya?»
«Ci sono» gracchiò la ragazza facendo il segno dell’okay con una mano. Un mezzo urlo le fece notare che anche Bilbo era precipitato giù, ma lui senza botte. Si allungò per prenderlo – non era sicura che sapesse nuotare. Bilbo si spinse verso Nori, e Thorin gli disse: «Ben fatto Mastro Baggins. Ora TENETEVI FOOORTE!»
E precipitarono di nuovo giù in un’altra cascata. I nani e Arya urlarono e splash! Di nuovo giù lungo il fiume. La corrente era fortissima e li sbandava a destra e a sinistra senza riguardi. C’era una piccolissima parte di lei che si stava divertendo, doveva ammetterlo, mentre tutto il resto … tutto il resto era impegnato a reggersi il più saldamente possibile per non cadere fuori il barile. Quando sbatté contro le altre botti non realizzò subito cos’era successo. Si arrischiò a far capolino dal proprio barile e li vide tutti ammucchiati: il cancello era chiuso. Arya guardò disperata una delle guardie che presidiavano il ponte sopraelevato e le sfuggì un urlo quando un elfo venne colpito da una freccia e cadde nelle acque gelide, morto.

Gli orchi spuntarono dal nulla.
Quello era un buon momento per farsi piccola piccola. Un orco si gettò sulla sua botte e lei – con quale coraggio! – gli diede un pugno mentre strillava di paura e Fili gli sfracellava la testa sulle rocce. Vide un’ombra saltare e si rannicchiò di più, ma era soltanto Kili che mirava alla leva per aprire il ponte. Sembrava che stesse per arrivarci quando la mente di Arya registrò un sibilo. Poi la freccia si conficcò nella gamba di Kili. Non urlò, sembrò solo sorpreso ed emise un singulto: cadde a terra, senza forze.
«KILI!» Urlarono Fili e Arya in coro.
Un orco si stava per avventare su di lui, ma una freccia gli trapassò il cranio e lo uccise. Tauriel era uscita dal bosco e lanciava frecce con una precisione micidiale, e all’improvviso uno sciame di elfi si riversò fuori dal bosco in loro soccorso. Arya non era mai stata così contenta di vedere qualcuno in vita sua. Con un singulto venne risucchiata verso il cancello – non capiva come ma si era aperto- e riuscì a scorgere una cascata prima di pensare oh no prima di precipitare fra le acque gelide. Fu davvero terribile.

Sepolta dentro il proprio barile, Arya sentiva le colluttazioni, le grida, i sibili delle lame. Dopo un po’ svanirono e la corrente rallentò mano a mano che la pendenza diminuiva.
Si arrischiò a fare capolino e vide che era tutto tranquillo, a parte le imprecazione dei nani, quindi tutto apposto. Bofur sputò acqua. «Mi sa che abbiamo staccato gli orchi!»
«Non per molto, abbiamo perso la corrente!» replicò Thorin, ottimista come al solito.
«E Bombur è mezzo affogato!»
I nani non sembravano degli esperti nuotatori, perché si arrischiarono a raggiungere la sponda rocciosa all’interno della botte vogando con le braccia, mentre la ragazza trovò più naturale sgusciare fuori e nuotare fino a riva. Per quanto l’acqua fosse gelida fu una bellissima sensazione: le ricordava vagamente le giornate estive al mare, quando faticava a buttarsi in acqua per via della temperatura. Ma una volta dentro il freddo passa. Quando riemerse sgranò gli occhi per lo sbalzo termico e iniziò a tremare. Per una volta era lei che aiutava qualcuno a fare qualcosa: dava una mano per farli uscire dai barili e si allontanò anche per recuperare la botte di Ori che era rimasta a galleggiare al largo. Non toccava per pochissimi centimetri, ma fu comunque abbastanza arduo tornare a riva. I nani stavano cercando di orientarsi, ma tutto ciò che dicevano per lei era senza senso; piuttosto era rimasta colpita dalle proprie abilità di nuotatrice. Chissà dove aveva imparato a nuotare così. Il non saperlo la rattristì molto. Ancora una volta, guizzò nella sua mente un viso giocondo dagli occhi chiari e i capelli biondi. Oppure era solo il riflesso del sole sui baffi di Fili, che scrutava apprensivo il fratello?

Strizzò i capelli – almeno una doccia l’avevano fatta! – iniziando a pensare che per quel giorno ne avevano avute abbastanza, grazie tante.
Ma no! Ovviamente cinque minuti di tranquillità erano troppi per essere graziati così! Le emozioni non erano finite!
Un uomo puntava l’arco verso Ori, completamente ignaro. E sembrava disposto ad ucciderlo sul serio.
Arya sentì il proprio cuore andare in pezzi. Strillò «NO!» nello stesso istante in cui la freccia partiva e si incastrava nel legno che Dwalin – spuntato dal nulla – aveva usato per difendere il compagno, rapido come il fulmine scagliò un’altra freccia che disarmò Kili e aprì un taglio sottile sulla sua mano.
Puntò l’arco verso Kili, ferito a terra. «Fatelo di nuovo, e siete morti.»
Ancora troppo scioccata per fare qualcosa, non potè impedire a Balin di avanzare. «Scusami … sei di Pontelagolungo, se non vado errato.»
L’arciere misterioso puntò l’arco verso il nano, che comunque parlò con tranquillità, tenendo le mani alzate. «Quella tua chiatta … non è che sarebbe possibile noleggiarla, per caso?»
L’uomo abbassò l’arco, titubante. Il linguaggio dei soldi era una cosa internazionale.

Mise l’arma in spalla e scese lungo un sentiero che conduceva ad un pontile di pietra. Lo seguirono, scambiandosi occhiate dubbiose.
«Cosa vi fa pensare che vi aiuterò?» chiese ansante per lo sforzo di spostare i barili.
Balin rise gioviale. «Quegli stivali hanno visto giorni migliori, come quel cappotto, ah!»
Ora, Arya si fidava di Balin, ma per convincere qualcuno a fare qualcosa per lei di certo non avrebbe puntato al fargli notare quanto fosse povero.
«A casa scommetto che avrai delle bocche da sfamare, eh? Quanti bambini?»
«Un maschio e due femmine.»
Povero e con dei figli a carico, di bene in meglio insomma.
«E tua moglie immagino che sia …» si girò verso di loro, sorridendo  perché la trattativa stava procedendo «una bellezza, eh?»
Io dico che è morta. Sicuro l’inghippo era quello.
«Sì, lo era.»
Quasi si diede il cinque da sola, poi si ricordò che era una brava persona e che non gioiva delle disgrazie altrui.
«Io … mi dispiace, non so-»
«Oh e falla finita!» Brontolò Dwalin alzando gli occhi al cielo. «Gettiamolo nel lago e facciamola finita.»
Arya ridacchiò.
Il chiattaiolo quasi sorrise a sua volta.«Perché tanta fretta?»
«Perché ti interessa?»
Simulò disinteresse. «Mah, vorrei solo sapere chi siete e che cosa ci fate in queste terre.»
«Siamo dei semplici mercanti delle montagne blu! In viaggio per vedere i nostri parenti sui Colli Ferrosi.»
L’uomo alzò le sopracciglia. «Semplici mercanti, tu dici? Lei non sembra una nana.»

Arya trasalì, non si aspettava di essere chiamata in causa. «Chi ti dice che non sia una nana?»
«Non hai la barba.»
In altri momenti quello sarebbe stato un bel complimento, ma in quel frangente era un piccolo problema. Gonfiò le guance ed espirò, prendendo tempo. Dov’era la sua lingua lunga quando serviva? «E’ che sono ancora piccola. Ci vuole del tempo prima che cresca, non sai che seccatura, tutti a prendermi in giro perché sono ancora imberbe e -»
«Non ti credo. Ma non importa.» Accarezzò una botte, la parte del legno rovinata per la caduta. «Non so quali affari abbiate con gli elfi, ma non credo sia finita bene.»
«Però, perspicace.» Commentò la ragazza, beccandosi l’occhiataccia da Thorin.
Il chiattaiolo continuò a parlare, imperterrito. «Si entra a Pontelagolungo solo col permesso del Governatore. Tutte le sue ricchezze provengono dal Reame Boscoso, ti metterebbe ai ferri prima di rischiare l’ira di Re Thranduil.» Lanciò una cima a Balin, che non sapeva cosa dire.
«Offrigli di più!» sussurrò Thorin.
Balin alzò gli occhi al cielo, ma non si perse d’animo. «Sono certo che ci sono altri modi per entrare non visti!»
«Certo» concordò il chiattaiolo, sistemando l’ultimo barile. «Ma per quello vi ci vorrebbe un contrabbandiere.»
Balin spuntò lì accanto a lui in un modo un po’ inquietante. «Per il quale pagheremmo il doppio!»
Adesso sì che si ragionava.  L’uomo annuì e fece cenno di salire.

La chiatta resse il peso di tutto il gruppo con tranquillità, anche se l’uomo consigliò di sparpagliarsi per distribuire il peso. Raccomandò loro di fare anche silenzio, perché il Governatore aveva occhi e orecchie ovunque.
La ragazza si prese del tempo per osservarlo. Non era un uomo brutto. Per quanto l’antipatia iniziale gli faceva perdere diversi punti sulla sua classifica, non poteva negare che la sua figura emanava una dignità che aveva visto in pochi. Sembrava un uomo che si spaccava la schiena per portare la cena in tavola alla propria famiglia e che pensasse prima a loro e poi a sé stesso: gli abiti dimessi e le movenze pratiche e veloci lo confermavano. Le ricordò in qualche modo Thorin, perciò si sentì subito più ben disposta verso quell’uomo misterioso che, nonostante tutto, aveva deciso di aiutarli a proprio rischio e pericolo. Si avvicinò a lui e sorrise. «Come ti chiami?»
Rispose un po’ preso in contropiede. «Bard.»
Allungò la mano verso di lui. «Io sono Arya.»
La strinse con un po’ di diffidenza, poi levò gli ormeggi e si posizionò al timone. Più si addentravano nel lago, più la nebbia saliva a coprire tutto, avvolgendo la chiatta in un silenzio irreale. Avanzavano nell’ombra come fantasmi, fendendo placidamente l’acqua. Pezzi di ghiaccio attaccavano la chiglia, segno dell’imminente arrivo dell’inverno.
Avrebbero proceduto per un’altra ora almeno, le confidò Bard, così decide di poggiare la testa sul parapetto della nave, intenzionata a chiudere gli occhi solo per un po’, giusto il tempo di riposarli. Ovviamente si addormentò.

Neve. Nei suoi sogni c’era sempre la neve.
Neve rossa, macchiata di sangue, l’innocenza violata e la gelida morsa della morta stretta alla gola. Era anche nera, come se fosse marcita, e l’aria puzzava di dolore. I fiocchi le volteggiavano attorno con dolcezza, tentando di distrarla, ma c’era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato, di profondamente sbagliato …

Riaprì gli occhi di scatto. Ori le stava dolcemente scuotendo la spalla, invitandola a svegliarsi. La fece entrare nel barile come tutti gli altri, poi attesero. Stava cominciando a stufarsi di queste botti e stava per fare un bel discorsetto a tutti quanti, quando un rumore viscido la incuriosì. Che cos’è?
«Pesce!» esclamò qualcuno sopra di lei. E iniziò a buttare giù tutto il pescato della nottata. Arya soffocò un singulto schifato chiuse gli occhi mentre la puzza la investiva e tutti quei pesci la coprivano fin sopra i capelli – e tanti cari saluti alla doccia.
Ripartirono conciati in quella maniera e una volta arrivati alla barriera per il pedaggio udì una voce infida e strascicata parlare. Non capiva cosa stesse dicendo, ma le comunicò una sensazione di viscido che non aveva niente a che vedere con il pesce. Le scappò un gemito quando ribaltarono la botte cominciando a far cadere del pesce e rischiando di smascherarla, ma Santo Bard da Pontelagolungo la salvò in qualche modo.

Ovviamente dopo dovettero rituffarsi in acqua.
La ribaltarono ancora una volta ed emerse dal mare di pesce in tutta la dignità rimastole, che in effetti era molta poca. Seguirono abbattuti l’uomo che li guidò per viuzze secondarie, al riparo da occhi indiscreti.
Ad un certo punto un giovanotto di circa quindici anni, non molto più piccolo di lei, si accodò a loro. Dal modo in cui si rivolgeva a Bard - «Pa’» - dedusse che fosse suo padre.
La città lacustre era molto caratteristica: le case erano delle palafitte costruite direttamente sull’acqua ed erano dipinte di blu e marrone; i vetri erano opachi e la gente silenziosa. Sembrava un agglomerato di tristezza costruito con la fatica e col sudore, che si manteneva in piedi grazie alla forza delle centinaia di schiene che ogni giorno lavoravano per mantenerla in piedi. Sarebbe stata caratteristica, non fosse stato per il lungo profilo della Montagna a gettare la sua ombra.
Entrarono in casa dell’uomo dal gabinetto – sì, dal gabinetto e no, non ci avrebbe pensato – e ricevettero un’accoglienza non proprio calorosa.
«Pà, perché dei nani escono dal nostro gabinetto?» domandò una ragazza.
La sorellina sorrise: «Ci porteranno fortuna?»
Arya decise che l’adorava.
 
                                                                                                                                                                                           
La ragazza si osservò allo specchio, stringendo le labbra. No, pensò seccata, non ci siamo proprio. La nuotata indesiderata almeno era servita a qualcosa: aveva lavato via tutto il sudiciume ed ora era pulita, e l’immagine riflessa allo specchio non era cambiata dall’ultima volta. Una ragazza bassa dal viso gradevole ma scialbo, i capelli castani e gli occhi di un imprecisato colore fra il nero e il marrone. Forse era più magra? Restava comunque graziosa, ma nulla di speciale. Tuttavia il proprio aspetto non la impensieriva più di tanto, per il momento, visto che era intenta a cercare un’acconciatura adatta alla serata. Gli abitanti di Pontelagolungo avevano indetto in quattro e quattr’otto una festa per loro ed il Governatore aveva offerto una casa per passare qualche giorno in tranquillità prima dell’imminente viaggio. Avevano inoltre concesso loro dei nuovi capi, visto che gli elfi li avevano spogliati dei propri, ed ovviamente a Thorin e ai ragazzi erano spettati i capi più belli e caldi, ma tutti avevano insistito affinchè i meno danneggiati andassero a lei, per scaldarla. Quindi aveva ricevuto un cappotto semplice, da uomo, che le stava grande; probabilmente una pelliccia di orso o simili. Arya preferì non indagare e si limitò a ringraziare con un sorriso. Alla fine pettinò i capelli come meglio poteva e li lasciò sciolti, constatando che si erano allungati di molto, in quei mesi. Andò verso il camino, dove Fili stava sistemando i capelli di Kili. La ragazza aveva imparato che per i nani era molto importante, intrecciarsi i capelli. Già fra gli uomini era un gesto riservato a pochi, ma per loro era proprio un atto intimo. I fratelli erano solito acconciarsi l’un l’altro – non solo Fili e Kili, anche Balin e Dwalin e Bofur con Bombur – mentre Thorin sembrava non farci molto caso. Non come Dori, che era maniacale con Ori e Nori. Le ricordava vagamente qualcuno che conosceva, anche se non ricordava chi. Arya si attorcigliò una ciocca di capelli, pensosa. Il fuoco scoppiettava allegramente nel caminetto, trasmettendole una meravigliosa sensazione di calore. Ogni tanto si spaventava per uno scoppio troppo forte, ma per diverso tempo si godette quel momento. Il cielo era buio. La casa che era stata prestata loro il giorno prima non aveva molte finestre, inoltre quelle del pianterreno erano piccole e appannate, perciò l’unica luce proveniva dal caminetto e dalle numerose candele che illuminavano quello che doveva essere il soggiorno.   

«Che fai davanti al camino?» le chiese la voce di Thorin. Arya alzò lo sguardo ed incontrò quello del nano, stranamente rilassato. Ma non la ingannava. Aveva viaggiato con lui per mesi e mesi e l’impazienza che infiammava quegli occhi azzurri non le era nuova. Thorin moriva dalla voglia di dirigersi fuori  e mettersi in cammino perché non riusciva ad aspettare ancora, non ora che la Montagna era così vicina. Fortunatamente Thorin non era sprovvisto di buonsenso, perciò aveva concordato con loro che una breve pausa a Pontelagolungo avrebbe giovato alla loro salute. Dopodiché, si sarebbero messi in marcia subito.
«Mi sto scaldando» rispose Arya. Lo osservò e un sorrisino le incurvò le labbra. «Vedo che ti sei fatto bello» per lei Thorin era sempre bello, ma questo non aveva certo intenzione di dirglielo. Thorin sorrise a sua volta. La ragazza stava giochicchiando distrattamente con il pettine che aveva trovato nella stanza da bagno: se ne era appropriata senza alcun rimorso, visto che lei aveva perso il suo e la casa era a loro completa disposizione. I capelli le scivolarono oltre la tempia come una tendina, li scostò con una mano e li sistemò dietro l’orecchio.
Al nano faceva uno strano effetto vederla coi capelli così sciolti, perciò le parole gli uscirono di bocca prima che potesse fermarle: «Ti faccio una treccia.»
Arya spalancò appena gli occhi, evidentemente sorpresa. Vederla dall’alto in basso, quando era solito averla alla stessa altezza, aumentava il senso di orgoglio e rispetto che provava per lei: quel viso dolce e gli occhi innocenti che la facevano sembrare pronta a sfiorire alle prime avvisaglie dell’inverno li avevano fregati tutti, lui compreso. E c’erano poche persone che ci riuscivano: Arya e Bilbo erano fra questi. Il nano sedette su una poltrona vicino al fuoco e Arya si accomodò ai suoi piedi, gli passò il pettine ed iniziò la tortura.

Thorin non era delicato. Thorin non capiva che lei aveva i capelli mossi e crespi e che se avesse continuato a mettere tutta quella forza nel pettinarla le avrebbe fatto lo scalpo ma ooooookay ce la posso fare altrimenti questo non mi parla più ahi! Riuscì a trattenere le lacrime  per tutto il tempo di quella tortura e anche a ringraziarlo con tanti complimenti. Si era formata la folla lì intorno, infatti Bofur volle continuare ciò che Thorin aveva iniziato. Fortunatamente lui ci andava piano. Ben presto, tutti iniziarono a dispensare consigli: una ciocca lì, un fermaglio là. La sensazione di benessere che man mano cresceva nel suo petto l’avvolse con dolcezza e la cullò per molto tempo. Era un modo per prendersi cura l’uno dell’altro, un po’ come quando Bombur preparava la cena e lei, nell’attesa, raccontava le storie. Anche quando non si poteva proseguire per via di una valanga o di una strada allagata, o semplicemente quando il morale era troppo basso per fare altro.
Bilbo le diede una molletta. «Tieni.»
La ragazza la osservò e vide una perlina sopra di essa. «Grazie» disse con un sorriso. «Sono un bravo scassinatore» gongolò lui.

Arya si alzò, andò verso lo specchio e la sistemò fra i capelli, in modo che risaltasse. Per una volta, l’immagine riflessa nel vetro non la deluse. Girò il capo per rimarsi per bene, un sorriso incredulo che cresceva sul viso. I capelli erano strettamente legati in una treccia che partiva dalla parte superiore della nuca e scendeva fino ad assottigliarsi alle punte, legate da un nodo blu gentilmente regalatole da Balin. Era elaborata, tipicamente nanica. Sentì come una forza crescere in lei, una consapevolezza di sé che le fece vedere le cose da un’altra prospettiva. Era bella. La persona nello specchio era lei ed era bellissima. Gli occhi non erano solo scuri, erano vispi, erano magnetici, attiravano in qualche modo lo sguardo. Il viso esposto rivelava la presenza di tagli ed escoriazioni, ma erano il suo percorso, la sua storia. Era scolpita come la pietra.
Non vide  qualcosa di cui vergognarsi. Vide una giovane donna con la speranza negli occhi, una personalità su cui dipingere l’orgoglio, un fiore appena sbocciato la cui bellezza, una volta raggiunto il pieno dell’estate, poteva solo essere immaginata. Era così che la vedevano i nani? Avevano tanto rispetto per lei? Arya sapeva da tempo che per lei loro significavano tutto, ma non credeva che il sentimento fosse così ricambiato … Commossa, si voltò verso la Compagnia, li guardò negli occhi uno ad uno. «Grazie.»
Per ultimo si soffermò su Thorin. Arya sentì vagamente come qualcosa che si lasciava andare, in un angolo remoto della sua mente, come se stesse perdendo la presa, ma non vi badò. Thorin stava sorridendo proprio come tutti gli altri, e tanto bastava a distrarla.
 
La festa era divertente, doveva ammetterlo. I violini strimpellavano allegri e il banchetto, per quanto povero, era abbondante ed aperto a tutti. Il primo fugace pensiero che aveva avuto nell’arrivare a Pontelagolungo era stato “E’ una Venezia povera” ma non aveva la più pallida idea di cosa fosse Venezia. Invece, non appena aveva messo piede nella sala del banchetto aveva pensato “alcool” e l’alcool lo conosceva benissimo. Aveva appena finito di ballare con un simpatico vecchietto molto interessato alle reti da pesca e si era ritrovata con un bicchiere pieno in mano. Bevve e il fuoco le incendiò l’esofago. Brutta idea pensò disgustata e lo diede a Bofur- che ormai era partito per la tangente – e prese un boccale di birra, che le piaceva. Ma venne trascinata in un brindisi, inciampò in Tilda, volteggiò con Fili senza un motivo apparente si ritrovò di fuori senza che si ricordasse di aver attraversato la porta. Oh, guarda, c’è Thorin! Ovviamente si era tenuto fuori dai festeggiamenti, l’eremita. Arya sospirò internamente e si prese un secondo per osservarlo bene, perché non scherzava prima quando diceva che si era fatto bello. Lei si era dovuta accontentare di un abito grigio dismesso che nel complesso le stava bene: era privo di decorazioni ma molto caldo ed era comodo nel vento che soffiava gelido da nord e nell’aria umida. Thorin aveva dovuto adattarsi come gli altri, ma quel cappotto che gli faceva da mantello accentuava la sua regalità innata.

«Che vuoi, Arya?» le chiese lui, senza particolare inflessione nella voce. Arya non se la prese. Aveva capito che era lei perché aveva il passo pesante, glielo diceva sempre.  
«Niente» rispose lei caracollando verso il nano. «In realtà mi domandavo che ci facessi qui fuori.» Quindi si stava preoccupando. «Fa freddo. Non vuoi unirti alla festa? Dopotutto è per te, Re sotto la Montagna.» Thorin si girò verso di lei e la guardò sospettoso. «Sei ubriaca?»
«Noo» le formicolavano un po’ le dita, ma sentiva di avere pieno possesso delle facoltà mentali. «Sei impaziente, vero?» domandò indicando col capo il punto dove Thorin stava guardando. La Montagna, ovviamente, sempre la Montagna. Arya era diventata gelosa di una montagna.
«Molto.» confermò Thorin. «Siamo quasi arrivati. Ho aspettato così a lungo ed ora che sono così vicino … ancora una volta sono costretto a mendicare aiuto da qualcuno.»
«Ce l’hai quasi fatta» lo interruppe Arya. «Pazienta un po’. Abbiamo ancora un Drago da sconfiggere. Non possiamo farlo se non siamo al massimo delle forze. Questa gente sa quanto vali. E se ti hanno aiutato solo per un tornaconto personale … problemi loro. L’importante è che tu non perdi di vista te stesso. Non lasciarti consumare.» Quel discorso la sorprese, specialmente perché era stata lei stessa a farlo.  Lasciarsi consumare da cosa? C’entrava con il libro che aveva letto, ovviamente. Se si fosse ricordata bene, però, sarebbe stato meglio.
«Tu parli sempre al plurale» Thorin le sorrise amaramente. «Noi, noi, noi. Cosa ti impedisce di restare qui, al sicuro? Nessuno penserebbe che tu sia codarda.»
«Non me ne voglio andare.» Il sorriso era svanito dalle sue labbra. Ora lo guardava con serietà. «Non me ne andrò, Thorin. Voi siete la mia famiglia. Sarei solo al mondo, senza di voi, ed ora …»
«Ora cosa?»
«Ora che i ricordi della mia vecchia vita … svaniscono» abbassò lo sguardo, per nascondere eventuali occhi lucidi. Da quando lo aveva detto a Gandalf quella era la prima volta che lo ammetta ad alta voce. « … stare con voi, stare con te … mi fa sentire al sicuro. Penso … penso che se ho finito una vita posso iniziarne un’altra con qualcuno. Con la mia famiglia.»
Thorin si avvicinò a lei, le trecce mosse dal vento. In quel momento soffiava ad intermittenza e con più dolcezza; era freddo come il ghiaccio, ma riparati dalle case non era poi così terribile stare lì fuori.  «La Montagna ora come ora non è un luogo ospitale. L’inverno sta arrivando, Arya.»
Non seppe dire cosa la spinse a fare ciò che fece. Forse era la sua ingenuità o il fatto che il giorno dopo avrebbe potuto dare la colpa all’alcool, ma gli prese la mano e l’accarezzò fugacemente, sorridendogli con dolcezza. «Lo so. Ma non mi importa. Il nostro tempo sta scadendo, Thorin. Sento che qualcosa di terribile sta per accadere, ma non so cosa. Faccio dei sogni terribili da molto tempo ormai, ed ogni indizio è sfumato da troppo perché possa ricordarlo e-»
«Che vuol dire “qualcosa di terribile sta accadendo”?» Thorin la interruppe con fermezza e Arya si morse la lingua. Dannata loquacità. Potevi starti zitta.
 «Una guerra è in arrivo. Questo è tutto ciò che ricordo. Probabilmente è la guerra contro Smaug.»
Thorin annuì. «Probabilmente.»

Il nano rimirava pensoso la Montagna avvolta dalla nebbia, e lei pensò di andarsene, di dargli un colpetto sulla spalla e di tornare a ballare, però le parole uscirono lo stesso, stufe di nascondersi nelle sue labbra. «Però voglio credere che non toccherà a noi. Voglio credere che un lieto fine sia possibile, che ci sia concessa quest’occasione. Voglio costruirmi una vita ad Erebor, e la voglio passare con …» Arrossì per ciò che aveva quasi detto e abbassò lo sguardo.
Thorin le alzò il viso con delicatezza, incontrando quei grandi occhi scuri che parlavano senza dir niente. Sorrideva. «Sei così giovane e coraggiosa, Arya. Non voglio che tu rischi la vita per noi. Ma non posso impedirti di venire, e sarò più felice di vederti trascorrere la tua vita al sicuro all’ombra della Montagna. E troverai qualcuno che ti farà felice a sua volta.»
Arya posò la propria mano su quella di Thorin e la strinse con forza. «Ma io voglio stare con te. Quando sono con te io … mi sento a casa.»
Thorin tacque per un paio di secondi, senza smettere di guardarla negli occhi. «Tu mi sorprendi sempre, Arya. Tu e Bilbo mi siete diventati cari. Mi avete insegnato che avere un cuore gentile non significa avere un cuore debole, e di questo vi sono grato. Mi hai fatto cambiare idea.»
Quello che accadde dopo non fu programmato. Non avevano programmato proprio niente. Ma scivolare l’uno verso l’altra, in sincrono, fu una cosa naturale. Le labbra si sfiorarono con delicatezza, senza fretta, senza degenerare in un bacio animalesco e violento. Teneramente, si strinsero fra di loro e la mano di Thorin sulla guancia di Arya disegnò ghirigori sulla sua pelle, facendole sfuggire un sorriso. Con dolcezza, si lasciarono andare, le fronti che si toccavano. Nessuno dei due aprì gli occhi. Arya sentì distintamente qualcosa nella sua testa spezzarsi definitivamente, lasciarsi andare per sempre. Ma non le importava. Se il vero amore era quello, capiva perché tutti si struggevano per averlo.


Our Time is Running Out
Our Time is Running Out


Angolo di Fenio:
eh eh,
non so nemmeno da dove cominciare. Faccio schifo lo so ciao. Salto la manfrina in cui mi scuso che tanto la sappiamo tutti a memoria.
Inizio subito col titolo della canzone: Time is Running Out dei Muse. Abbastanza esplicito, lo dice anche Arya a Thorin e voilà, c'è stato il bacio finalmente! Che dire, questo capitolo è stato un parto ma non lo schifo completamente. Buona parte era pronta da mesi ma il corpo centrale non ha voluto saperne di venire fuori per moltissimo tempo, il tempo di una gravidanza in effetti, perciò ecco il mio parto plurigemellare, pronto per voi!
Tutta la parte dell'arrivo a Pontelagolungo, quando vengono scoperti e blablabla non ha voluto comunque uscire, perciò mi sono detta "Fenio, vedi di andare avanti, scrivi quello che ti viene e posta. Il resto lo metterai come flashback." E infatti farò così. Chiedo scusa a tutte le persone che hanno recensito e alle quali non ho risposto, giuro che rimedierò il prima possibile. Ringrazio chiunque abbia ancora la pazienza di seguirmi e chiunque vorrà lasciarmi un commento. Ci ho messo un sacco ad aggiornare e me ne vergogno, ma la mia vita è molto più appassionante di quanto mi potessi aspettare, devo essere sincera. Per quanto ormai ora navighi in altri fandom (Dottore <3) questa è la mia bambina e ha un posto nel mio cuore. Buon Ferragosto in ritardo!
Feniah <3
   
 
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