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Autore: Ray Wings    17/08/2016    2 recensioni
Che Bokuto fosse un idiota era appurato.
A scuola non c'era persona che non conoscesse il suo nome e non per le sue qualità e capacità. Bokuto dormiva in classe e spesso russava, non scoprirlo era difficile. Bokuto aveva quella ridicola capigliatura che solo a guardarlo avrebbe portato al suicidio di massa intere generazioni di parrucchieri. Bokuto era rumoroso e faceva sempre un sacco di figuracce. Non era galante neanche un po', era tonto, sciatto, smemorato, credulone e aveva sempre quell'espressione da gufo sconvolto in faccia, con quelle sopracciglia innaturalmente a boomerang. Spesso camminava a gambe larghe, si sedeva scomposto e aveva la cravatta legata male o la camicia fuori dai pantaloni.
Che Bokuto fosse un idiota era appurato.
Ma che Yukie desiderasse che fosse il suo idiota, quello era già più difficile da concepire.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Koutaro Bokuto
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il metodo del "mi dispiace"


Yukie uscì dalla scuola abbastanza irritata e infastidita. Bokuto, finite le lezioni, era fuggito via ignorando il suo imperativo richiamo, e lei era stufa di doverlo rincorrere. Stava cominciando a sospettare che lo facesse apposta, e non fosse frutto di "dimenticanze" come lui diceva. Altrimenti non si spiegava come mai ultimamente fosse così irreperibile.
«Domani non mi sfuggirà» disse fra sè e sè, mentre usciva dal cancello e imboccava la strada verso casa. Ma si fermò in quell'stante, puntando gli occhi a pochi metri da lei. Accucciato, con la schiena appoggiata al muretto dietro, c'era proprio l'oggetto dei suoi pensieri. Sopra di lui, con un gomito poggiato a quello stesso muretto, si trovava anche Satou. Quest'ultimo guardava interessato e incuriosito la console portatile che Bokuto teneva tra le dita, occupato a premere i tasti in maniera convulsiva. Era concentrato: sopracciglia incurvate, fronte corrucciata, leggero sorriso e lingua fuori. Ogni tanto si agitava nella sua bizzarra posizione, sventolando la console qua e là, come se quello gli avesse reso più forza e capacità nel gioco elettronico in cui era impegnato.
Nell'istante in cui Yukie gli si avvicinò, Bokuto cacciò indietro la testa, chiudendo gli occhi e urlando contrariato.
«Non ce l'hai fatta neanche questa volta» lo canzonò Satou.
«Accidenti, c'ero quasi!» gracchiò di rimando, l'amico.
«Che state facendo?» chiese armonica Yukie, cercando di sorridere e risultare serena. Sul volto sembrava sparito ogni segno di irritazione, ma la sua era solo apparenza: dentro di lei stava per esplodere un vulcano di urla e insulti.
«Ciao, Yukie! Stavo provando a battere il record di Satou-san al suo videogioco! È complicatissimo!» spiegò Bokuto, mostrando la console alla ragazza.
«No, non così tanto. È che tu non sei capace» continuò a prenderlo in giro Satou, beccandosi in tutta risposta un'occhiataccia da parte del diretto interessato.
«Il gioco» annuì Yukie, col solito finto sorriso stampato in faccia. «Capisco.»
«Vuoi provarlo?» chiese gentilmente Bokuto.
«No, grazie. È meglio che torni a casa. Sai, per studiare...» disse, scoccando la prima freccia e sperando che quello bastasse a far accendere la lampadina al ragazzo. In fondo, bastava guardarla in volto per capire che quel suo sorriso non era altro che un vago tentativo di trattenere l'istinto omicida. Satou lo capì subito, ma per Bokuto non fu così intuitivo.
E restò silenzioso, a guardarla, chinando la testa da un lato come un vero gufo confuso. Probabilmente aveva cominciato ad accorgersi del comportamento strano di Yukie, ma il motivo di quel suo modo di fare era ancora un mistero.
«Tu non studi, Bokuto?» chiese ancora Yukie.
«Studiare?» sbuffò lui, già annoiato alla sola parola.
«Ci sono gli esami di fine trimestre, ricordi?» e solo allora Bokuto spalancò la bocca, lasciandosi sfuggire un gridolino raccapricciato. Finalmente stava cominciando a capire e soprattutto a ricordare.
«Gli esami...» mormorò con un filo di voce.
«Te li sei dimenticati, vero?» continuò Yukie.
«Devo studiare tutto! Non ce la farò mai!» si sollevò da terra e cominciò a dimenarsi in preda a una vera e propria crisi di panico.
«Come hai fatto a dimenticarli?» chiese Satou, inarcando un sopracciglio.
«C'erano gli allenamenti e io devo diventare Asso, perciò...»
«Riesci a pensare ad altro oltre che la pallavolo?» lo interruppe Satou, contrariato dal suo modo di fare.
«Tu hai studiato?» chiese Bokuto.
«Certo che ho studiato e sto continuando a studiare! Per chi mi hai preso?»
«Aiutami! Senpai...» ma Satou l'anticipò, strappandogli la console di mano e allontanandosi velocemente, diretto a casa.
«Senpai!» provò a richiamarlo Bokuto, invano, allungando una mano nel vuoto. Era stato abbandonato. Non lo rincorse solo perché sentiva di avere un altro asso nella manica: «Yukie-chan! Mi aiuterai tu? Vero?» chiese cercando di sorriderle dolcemente.
«Certo!» sorrise Yukie, ma ancora una volta Bokuto non riuscì a cogliere il sarcasmo nella sua voce.
«Davvero?» chiese illuminandosi.
«Sicuro! Se solo potessi...» aggiunse infine, prima di spiegare: «Sai, i miei appunti sono stati presi in prestito circa un mese fa e ancora non mi sono stati restituiti. Tu non ne sai niente, Bokuto?» e solo a quel punto una lampadina si accese nella mente del ragazzo, lasciandolo quasi in fin di vita.
Boluto si paralizzò, a malapena riusciva a respirare, di fronte a quell'enorme dimenticanza che ancora una volta gli era stata fatta notare.
«Tu non ne sai niente, Bokuto?» chiese ancora Yukie, ma questa volta non risultava nè carina nè sorridente. La voce gli gracchiava dalla rabbia e lo sguardo, se ne avesse avuto il potere, l'avrebbe trapassato uccidendolo seduta stante. Se avesse bocciato gli esami per colpa di quell'idiota che ancora una volta si dimenticava di riportarle indietro le sue cose, era la volta buona che l'avrebbe ucciso. E non ci sarebbero stati occhi dolci a salvarlo!
«Eh? Bokuto?» insistè lei, scandendo sempre più il suo nome, come un serpente che gusta la propria preda con la punta della lingua.
«È tardi! Ci vediamo domani!» disse lui tutto d'un fiato prima di scattare e correre via.
«Fermo! Farabutto!» gridò Yukie, provando a lanciarsi in avanti per afferrarlo ma lui fu decisamente più veloce e nel giro di pochi secondi era già sparito dalla circolazione.
«Ti faccio a pezzetti! Bokuto!» gridò infine Yukie, sfogando la rabbia nel suo nome.
Mai più! Non gli avrebbe più prestato neanche un solo foglietto o un solo centesimo! Da quel momento si sarebbe scordato ogni sorta di gentilezza e carineria da parte sua. Non l'avrebbe più passata liscia!

La mattina dopo Yukie corse verso la sua classe, già pronta a divorare il ragazzo e farlo a fettine. Da lì non sarebbe potuto scappare, non ancora. Era in trappola e lei aveva raggiunto il limite.
Fece il primo passo all'interno dell'aula, aprendo la bocca, già pronta a urlare con tutto il fiato che aveva, ma un quaderno quasi non le si spiaccicò in faccia. Si fermò appena in tempo, osservando la copertina a pochi millimetri dal suo naso.
«Mi dispiace!» urlò la voce di Bokuto dietro di esso.
I suoi appunti, quella mattina, si era ricordato di portarglieli. Finalmente.
Yukie tirò un sospiro di sollievo e l'afferrò, cercando il volto del ragazzo davanti a sè. Nonostante l'avesse fatta disperare per tutto quel tempo, era bastato così poco a farle passare ogni sorta di arrabbiatura. Era inutile, riusciva sempre ad avere la meglio.
L'osservò, corrucciato, inchinato e rigido, mentre stringeva le palpebre, aspettandosi chissà quale ramanzina.
Ancora una volta sembrava solo un cucciolo troppo vivace.
Dov'era finita tutta la rabbia?
«E va bene» sospirò Yukie, ritornando in sè. «Se vuoi, a questo punto, posso anche aiutarti a studiare.»
«Sul serio?» si illuminò Bokuto, afferrandole improvvisamente le mani e avvicinandosi pericolosamente al suo viso, puntando i propri occhi da gufo in quelli della ragazza. Lei arrossì con tale violenza che il sangue arrivato troppo velocemente alla testa le provocò un capogiro, e si ritrovò di colpo a balbettare, sorpresa da quel contatto improvviso.
«Grazie, Yukie!» continuò a piagnucolare Bokuto, commosso e felice della gentilezza della sua amica. «Oh! Apri il quaderno!» si illuminò poi improvvisamente.
«Eh? Aprirlo?» chiese Yukie, non capendo: cosa doveva trovarci dentro?
Bokuto annuì e lei, staccando di malavoglia la propria mano da quella del ragazzo, obbedì.
Sulla prima pagina, proprio sopra la sua scrittura accurata nello spiegare e schematizzare la prima lezione di biologia, c'era l'enorme disegno di un gufo che con un fumetto diceva: "Mi dispiace. Sono un idiota"
«Hai scritto sul mio quaderno!» strillò Yukie, colta da un guizzo di nervosismo e terrore. I suoi appunti... rovinati.
«Non è venuto benissimo? Certo, non come i tuoi disegni, ma comunque sono stato bravo, no?»
«Ma sei un bambino di sei anni, che scrivi sul quaderno altrui?» gli gridò in faccia Yukie, per niente contenta della "sorpresa".
«Non ti piace?» chiese stupito Bokuto, tornando a corrucciarsi dispiaciuto. Non riusciva proprio a capire dove avesse sbagliato. Il suo voleva essere solo un gesto carino e simpatico. In fondo, aveva messo nero su bianco il fatto che lui fosse stato un idiota e lei meritava delle enormi scuse. Era stato più che gentile nei suoi confronti! Che aveva da arrabbiarsi, ora?
«No, no» sospirò Yukie, socchiudendo gli occhi e sforzandosi di respirare normalmente. Non doveva arrabbiarsi. In fondo aveva riavuto i suoi appunti, poteva comunque ricavarci qualcosa tra quegli scarabocchi, non era la fine del mondo. E poi, ancora una volta, Bokuto l'aveva fatto innocentemente. Non era stato cattivo, solo tanto scemo.
Non doveva arrabbiarsi. Avrebbe sorvolato e avrebbe ripreso con lui un classico e innocente rapporto d'amicizia. E poi si sarebbero visti per studiare insieme, era come un appuntamento e la cosa non poteva che essere splendida. Solo loro due, in una stanza, vicini sul proprio quaderno. Doveva pensare solo a quello e a quanto sarebbe stato romantico. E chissà che magari tra loro non sarebbe finalmente scattata la famosa scintilla.
Sì, doveva pensare solo a quello.
«È molto carino. Grazie» si sforzò di sorridere.
«Meno male che ti piace, perché ce ne sono altri!» disse Bokuto entusiasta più che mai.
«Che cosa?» strillò Yukie, spalancando gli occhi, prima di cominciare a sfogliare istericamente il proprio quaderno. Non c'era una sola pagina che si fosse salvata da quel trattamento. Gufi ovunque, ognuno con un fumetto diverso, che ripeteva quanto lui fosse stupido e quanto Yukie invece fosse grandiosa e un'ottima amica, riempiendola di compliementi di ogni sorta.
«Non sono stupen...?» chiese Bokuto, sorridendo felice, ma la sua domanda venne interrotta dall'urlo incontrollabile di Yukie che gli dava dell'idiota.
«Cretino!» ribadì, prima di sbattergli il quaderno in faccia con una tale forza da fargli restare il segno rosso sulla fronte per le prossime due ore. «E scordatelo che ti aiuto a studiare!» aggiunse, infine, raggiungendo il suo banco.
«Ma perché adesso sei arrabbiata?» piagnucolò lui, disperato nella sua incomprensione.
Non avrebbe avuto risposta nè quel giorno nè i successivi.
Non avrebbe avuto nessun tipo di parola da Yukie, per un bel po' di tempo.
Fino a quando non sarebbe riuscito a farla ridere di nuovo.

   
 
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