Il metodo del "mi dispiace"
Yukie
uscì dalla scuola abbastanza irritata e infastidita. Bokuto,
finite
le lezioni, era fuggito via ignorando il suo imperativo richiamo, e
lei era stufa di doverlo rincorrere. Stava cominciando a sospettare
che lo facesse apposta, e non fosse frutto di "dimenticanze"
come lui diceva. Altrimenti non si spiegava come mai ultimamente
fosse così irreperibile.
«Domani
non mi sfuggirà» disse fra sè e
sè, mentre usciva dal cancello e
imboccava la strada verso casa. Ma si fermò in quell'stante,
puntando gli occhi a pochi metri da lei. Accucciato, con la schiena
appoggiata al muretto dietro, c'era proprio l'oggetto dei suoi
pensieri. Sopra di lui, con un gomito poggiato a quello stesso
muretto, si trovava anche Satou. Quest'ultimo guardava interessato e
incuriosito la console portatile che Bokuto teneva tra le dita,
occupato a premere i tasti in maniera convulsiva. Era concentrato:
sopracciglia incurvate, fronte corrucciata, leggero sorriso e lingua
fuori. Ogni tanto si agitava nella sua bizzarra posizione,
sventolando la console qua e là, come se quello gli avesse
reso più
forza e capacità nel gioco elettronico in cui era impegnato.
Nell'istante
in cui Yukie gli si avvicinò, Bokuto cacciò
indietro la testa,
chiudendo gli occhi e urlando contrariato.
«Non
ce l'hai fatta neanche questa volta» lo canzonò
Satou.
«Accidenti,
c'ero quasi!» gracchiò di rimando, l'amico.
«Che
state facendo?» chiese armonica Yukie, cercando di sorridere
e
risultare serena. Sul volto sembrava sparito ogni segno di
irritazione, ma la sua era solo apparenza: dentro di lei stava per
esplodere un vulcano di urla e insulti.
«Ciao,
Yukie! Stavo provando a battere il record di Satou-san al suo
videogioco! È complicatissimo!» spiegò
Bokuto, mostrando la
console alla ragazza.
«No,
non così tanto. È che tu non sei
capace» continuò a prenderlo in
giro Satou, beccandosi in tutta risposta un'occhiataccia da parte del
diretto interessato.
«Il
gioco» annuì Yukie, col solito finto sorriso
stampato in faccia.
«Capisco.»
«Vuoi
provarlo?» chiese gentilmente Bokuto.
«No,
grazie. È meglio che torni a casa. Sai, per
studiare...» disse,
scoccando la prima freccia e sperando che quello bastasse a far
accendere la lampadina al ragazzo. In fondo, bastava guardarla in
volto per capire che quel suo sorriso non era altro che un vago
tentativo di trattenere l'istinto omicida. Satou lo capì
subito, ma
per Bokuto non fu così intuitivo.
E
restò silenzioso, a guardarla, chinando la testa da un lato
come un
vero gufo confuso. Probabilmente aveva cominciato ad accorgersi del
comportamento strano di Yukie, ma il motivo di quel suo modo di fare
era ancora un mistero.
«Tu
non studi, Bokuto?» chiese ancora Yukie.
«Studiare?»
sbuffò lui, già annoiato alla sola parola.
«Ci
sono gli esami di fine trimestre, ricordi?» e solo allora
Bokuto
spalancò la bocca, lasciandosi sfuggire un gridolino
raccapricciato.
Finalmente stava cominciando a capire e soprattutto a ricordare.
«Gli
esami...» mormorò con un filo di voce.
«Te
li sei dimenticati, vero?» continuò Yukie.
«Devo
studiare tutto! Non ce la farò mai!» si
sollevò da terra e
cominciò a dimenarsi in preda a una vera e propria crisi di
panico.
«Come
hai fatto a dimenticarli?» chiese Satou, inarcando un
sopracciglio.
«C'erano
gli allenamenti e io devo diventare Asso,
perciò...»
«Riesci
a pensare ad altro oltre che la pallavolo?» lo interruppe
Satou,
contrariato dal suo modo di fare.
«Tu
hai studiato?» chiese Bokuto.
«Certo
che ho studiato e sto continuando a studiare! Per chi mi hai
preso?»
«Aiutami!
Senpai...» ma Satou l'anticipò, strappandogli la
console di mano e
allontanandosi velocemente, diretto a casa.
«Senpai!»
provò a richiamarlo Bokuto, invano, allungando una mano nel
vuoto.
Era stato abbandonato. Non lo rincorse solo perché sentiva
di avere
un altro asso nella manica: «Yukie-chan! Mi aiuterai tu?
Vero?»
chiese cercando di sorriderle dolcemente.
«Certo!»
sorrise Yukie, ma ancora una volta Bokuto non riuscì a
cogliere il
sarcasmo nella sua voce.
«Davvero?»
chiese illuminandosi.
«Sicuro!
Se solo potessi...» aggiunse infine, prima di spiegare:
«Sai, i
miei appunti sono stati presi in prestito circa un mese fa e ancora
non mi sono stati restituiti. Tu non ne sai niente, Bokuto?»
e solo
a quel punto una lampadina si accese nella mente del ragazzo,
lasciandolo quasi in fin di vita.
Boluto
si paralizzò, a malapena riusciva a respirare, di fronte a
quell'enorme dimenticanza che ancora una volta gli era stata fatta
notare.
«Tu
non ne sai niente, Bokuto?» chiese ancora Yukie, ma questa
volta non
risultava nè carina nè sorridente. La voce gli
gracchiava dalla
rabbia e lo sguardo, se ne avesse avuto il potere, l'avrebbe
trapassato uccidendolo seduta stante. Se avesse bocciato gli esami
per colpa di quell'idiota che ancora una volta si dimenticava di
riportarle indietro le sue cose, era la volta buona che l'avrebbe
ucciso. E non ci sarebbero stati occhi dolci a salvarlo!
«Eh?
Bokuto?» insistè lei, scandendo sempre
più il suo nome, come un
serpente che gusta la propria preda con la punta della lingua.
«È
tardi! Ci vediamo domani!» disse lui tutto d'un fiato prima
di
scattare e correre via.
«Fermo!
Farabutto!» gridò Yukie, provando a lanciarsi in
avanti per
afferrarlo ma lui fu decisamente più veloce e nel giro di
pochi
secondi era già sparito dalla circolazione.
«Ti
faccio a pezzetti! Bokuto!» gridò infine Yukie,
sfogando la rabbia
nel suo nome.
Mai
più! Non gli avrebbe più prestato neanche un solo
foglietto o un
solo centesimo! Da quel momento si sarebbe scordato ogni sorta di
gentilezza e carineria da parte sua. Non l'avrebbe più
passata
liscia!
La
mattina dopo Yukie corse verso la sua classe, già pronta a
divorare
il ragazzo e farlo a fettine. Da lì non sarebbe potuto
scappare, non
ancora. Era in trappola e lei aveva raggiunto il limite.
Fece
il primo passo all'interno dell'aula, aprendo la bocca, già
pronta a
urlare con tutto il fiato che aveva, ma un quaderno quasi non le si
spiaccicò in faccia. Si fermò appena in tempo,
osservando la
copertina a pochi millimetri dal suo naso.
«Mi
dispiace!» urlò la voce di Bokuto dietro di esso.
I
suoi appunti, quella mattina, si era ricordato di portarglieli.
Finalmente.
Yukie
tirò un sospiro di sollievo e l'afferrò, cercando
il volto del
ragazzo davanti a sè. Nonostante l'avesse fatta disperare
per tutto
quel tempo, era bastato così poco a farle passare ogni sorta
di
arrabbiatura. Era inutile, riusciva sempre ad avere la meglio.
L'osservò,
corrucciato, inchinato e rigido, mentre stringeva le palpebre,
aspettandosi chissà quale ramanzina.
Ancora
una volta sembrava solo un cucciolo troppo vivace.
Dov'era
finita tutta la rabbia?
«E
va bene» sospirò Yukie, ritornando in
sè. «Se vuoi, a questo
punto, posso anche aiutarti a studiare.»
«Sul
serio?» si illuminò Bokuto, afferrandole
improvvisamente le mani e
avvicinandosi pericolosamente al suo viso, puntando i propri occhi da
gufo in quelli della ragazza. Lei arrossì con tale violenza
che il
sangue arrivato troppo velocemente alla testa le provocò un
capogiro, e si ritrovò di colpo a balbettare, sorpresa da
quel
contatto improvviso.
«Grazie,
Yukie!» continuò a piagnucolare Bokuto, commosso e
felice della
gentilezza della sua amica. «Oh! Apri il quaderno!»
si illuminò
poi improvvisamente.
«Eh?
Aprirlo?» chiese Yukie, non capendo: cosa doveva trovarci
dentro?
Bokuto
annuì e lei, staccando di malavoglia la propria mano da
quella del
ragazzo, obbedì.
Sulla
prima pagina, proprio sopra la sua scrittura accurata nello spiegare
e schematizzare la prima lezione di biologia, c'era l'enorme disegno
di un gufo che con un fumetto diceva: "Mi dispiace. Sono un
idiota"
«Hai
scritto sul mio quaderno!» strillò Yukie, colta da
un guizzo di
nervosismo e terrore. I suoi appunti... rovinati.
«Non
è venuto benissimo? Certo, non come i tuoi disegni, ma
comunque sono
stato bravo, no?»
«Ma
sei un bambino di sei anni, che scrivi sul quaderno altrui?»
gli
gridò in faccia Yukie, per niente contenta della "sorpresa".
«Non
ti piace?» chiese stupito Bokuto, tornando a corrucciarsi
dispiaciuto. Non riusciva proprio a capire dove avesse sbagliato. Il
suo voleva essere solo un gesto carino e simpatico. In fondo, aveva
messo nero su bianco il fatto che lui fosse stato un idiota e lei
meritava delle enormi scuse. Era stato più che gentile nei
suoi
confronti! Che aveva da arrabbiarsi, ora?
«No,
no» sospirò Yukie, socchiudendo gli occhi e
sforzandosi di
respirare normalmente. Non doveva arrabbiarsi. In fondo aveva riavuto
i suoi appunti, poteva comunque ricavarci qualcosa tra quegli
scarabocchi, non era la fine del mondo. E poi, ancora una volta,
Bokuto l'aveva fatto innocentemente. Non era stato cattivo, solo
tanto scemo.
Non
doveva arrabbiarsi. Avrebbe sorvolato e avrebbe ripreso con lui un
classico e innocente rapporto d'amicizia. E poi si sarebbero visti
per studiare insieme, era come un appuntamento e la cosa non poteva
che essere splendida. Solo loro due, in una stanza, vicini sul
proprio quaderno. Doveva pensare solo a quello e a quanto sarebbe
stato romantico. E chissà che magari tra loro non sarebbe
finalmente
scattata la famosa scintilla.
Sì,
doveva pensare solo a quello.
«È
molto carino. Grazie» si sforzò di sorridere.
«Meno
male che ti piace, perché ce ne sono altri!» disse
Bokuto
entusiasta più che mai.
«Che
cosa?» strillò Yukie, spalancando gli occhi, prima
di cominciare a
sfogliare istericamente il proprio quaderno. Non c'era una sola
pagina che si fosse salvata da quel trattamento. Gufi ovunque, ognuno
con un fumetto diverso, che ripeteva quanto lui fosse stupido e
quanto Yukie invece fosse grandiosa e un'ottima amica, riempiendola
di compliementi di ogni sorta.
«Non
sono stupen...?» chiese Bokuto, sorridendo felice, ma la sua
domanda
venne interrotta dall'urlo incontrollabile di Yukie che gli dava
dell'idiota.
«Cretino!»
ribadì, prima di sbattergli il quaderno in faccia con una
tale forza
da fargli restare il segno rosso sulla fronte per le prossime due
ore. «E scordatelo che ti aiuto a studiare!»
aggiunse, infine,
raggiungendo il suo banco.
«Ma
perché adesso sei arrabbiata?»
piagnucolò lui, disperato nella sua
incomprensione.
Non
avrebbe avuto risposta nè quel giorno nè i
successivi.
Non
avrebbe avuto nessun tipo di parola da Yukie, per un bel po' di
tempo.
Fino
a quando non sarebbe riuscito a farla ridere di nuovo.