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Autore: billswings    17/08/2016    0 recensioni
La solitudine è un argomento molto difficile tanto quanto diffuso.
Anna è una ragazza che si sente sola, le uniche cose che la tengono in vita, che le permettono di sopravvivere sono la solitudine e la desolazione.
lei crede di non essere capace neppure a respirare, non si trova a suo agio con se stessa.
lei crede che tutto il freddo e il vento che sente dentro sia giusto, lei è abituata a vivere con i suoi problemi, le sue stranezze.
lei crede che , come il vento che fa parte di se, sia inaccettabile, crede che nessuno può amarla per ciò che è.
Eppure, si sbaglia, lei non ha fatto i conti con il sole.
Un dottore bellissimo che è pronto ad aiutarla e che proprio come il sole , permette ai suoi raggi di riscaldarla, amarla.
impara ad accettarla per quello che è.
perchè non ostante tutto non dobbiamo mai dimenticarci di essere sempre noi stessi, di migliorarci ma non di cambiare .
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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  Il vento soffia anche con il sole che splende. 

 

 

 

La desolazione e la solitudine sono le uniche cose che mi tengono in vita, sono un corpo solo e freddo, respiro piano con la paura di dar fastidio. 

La mia vita è orribile.  

Chiudo gli occhi e vedo tutto bianco, vuoto e privo di emozione, non riesco neppure a credere che si possa provare così tanta solitudine. 

Non ho niente dentro, il mio cuore batte ma è vuoto, non batte per nessuno, nemmeno per me. 

Mi odio, odio costantemente ogni parte di me, ogni minima cellula che compone il mio corpo. 

Ogni granello della mia vita scorre troppo lentamente, la mia morte è ancora lontana, ma la sento costantemente vicina, io la amo. 

Lei è cosi bella è pura, la solitudine e la desolazione sono le uniche cose che ho imparato ad amare. 

Sono stanca di combattere contro di me, di farmi del male, sono stanca di sentirmi dire di essere malata, sono costantemente stanca di vedere mia madre piangere per colpa mia. 

Io amo mia madre, ma davvero, io non posso farci nulla, io mi sento vuota, nessuno mi farà sentire viva e al sicuro. 

Questo mi porta a pensare solo alla morte, lenta e dolorosa, nella mia completa e lunga solitudine. 

Sono stanca di vedere solo e soltanto me. 

Una lacrima solitaria scende sulla mia guancia bianca e scavata, i miei occhi necessitano di chiudersi, ma non ostante tutto io non posso farlo. 

Spero ci sia qualcosa che mi tenga legata qui, solamente per la mia famiglia. 

Sento che tutto sta scivolando via, nessuno però è pronto a salvarmi davvero. 

Mia madre è stanca, forse più di quanto non lo sia io, vuole che mi curi, dice di aver trovato la soluzione ai miei problemi, alla mia vita, al  mio stato d'animo. 

Stanca di non provare  nulla, ma non voglio andare lontano dalla mia famiglia, qualcosa mi dice che io li amo, ma loro sono stufi e stanchi, presto mi accompagneranno lontano dal minnesota. 

Mia madre qualche settimana fa mi ha parlato, non ostante io guardassi con sguardo vacuo fuori dalla mia finestra, di una struttura psichiatrica molto buona, una delle mie ennesime possibilità di guarire. 

Uennesimo ed equivocabile fallimento, per me e per la mia famiglia. 

Mi mancherà tutto, ma ho imparato grazie alla mia mente che non c'è niente che mi trattenga in un luogo troppo a lungo, infatti io sono pronta al giorno in cui morirò. 

 

Ormai sono in viaggio da ore su un aereo li linea, verso la nuova clinica nel dipartimento americano diretta in Romania. 

Un paese che dalle foto che mi ha mostrato mia madre è spento e davvero decadente, ma mia madre mi ha anche detto che non si giudica il libro da una copertina. 

Ma io non ho pensato proprio nulla, ovunque mi portasse io sarei rimasta imperterrita nel mio essere strana. 

Quando scendemmo dall'areo, l'aeroporto era davvero colmo di persone, correvano, piangevano, ridevano, provavano emozioni. 

Quelle che io non sarei mai riuscita a provare. 

La stanchezza mi faceva da padrona, ma mia mamma continuava a tirarmi la mano per correre al taxi. 

C'era parecchio freddo fuori dall'aereoporto, ma io non sentivo nulla, lo percepivo solamente dal modo ossessivo che mia madre aveva nel stringersi le braccia intorno al capotto che mio padre le aveva regalato per il suo quarantaduesimo compleanno. 

Mi guardai e non pensai nulla, vedevo solamente delle gambe talmente magre che sembravano sparire, le ossa del bacino sporgevano, completamente vestita di nero, e stretta nella mia giacchetta di pelle, troppo piccola per vestire una ragazza della mia età ma troppo larga per me. 

Salimmo presto sul taxi, mia madre aveva persino smesso di blaterare su quanto fosse spaventosa la Romania e che le ricordasse troppo i vampiri, facendo anche una stupida battuta sulla mia somiglianza a loro. 

Era mia madre, ma la odiai, o almeno provai a farlo o a sembrare di saperlo fare. 

Lei, mi stava portando lontano da loro, lei aveva sempre combattuto per me, aveva sempre imposto cosa fare, e mio padre stanco di avere quattro figli iperattivi, una malata e mia madre- semplicemente acconsentiva a qualsiasi cosa. 

Il rapporto dei miei infatti stava semplicemente in piedi per il loro amore verso di me  e i miei fratelli. 

Io però, sapevo perfettamente il perché della loro stanchezza e del loro tralasciare il loro amore, che fino alla mia nascita era stato perfetto, nemmeno la morte di mia sorella maggiore li aveva distrutti quanto il mio stato di depressione perenne. 

Avevo solamente cinque anni quando iniziai ad isolarmi, e da lì fu solamente peggio. 

Io li capivo, era ingiusto quello che gli stavo facendo, ma io non riuscivo nemmeno a rendermi conto di quello che io stessa mi ero sottoposta. 

Non sempre la vita è bella, mi piacerebbe, per esempio, essere gli alberi che in questo momento mi stanno frecciando davanti, il mio sguardo è quasi ammirevole. 

Ma io mi sento un albero intrappolato che le persone non riescono a vedere perché il loro vetro è troppo doppio. 

Io invece mi vedo benissimo, vedo benissimo il fantasma che sto diventando, io penso davvero di amarlo, anche se io non so cosa sia l'amore. 

Ma so che mia madre presto tornerà a casa, infatti proprio adesso sta scaricando i miei bagagli dal taxi. 

Non credo che servano spiegazioni da una come me nel vedere quella grande struttura, nulla mi inquieta. 

Ma c'è una cosa che sembra dichiarare la tua malattia: un enorme cartello un po' malandato con su scritto a grani caratteri, Istituto Pisichiatrico. 

Sospirai in silenzio, il mio eterno silenzio. 

Mia madre stava già blaterando su quanto questo posto possa sembrare orribile, ma che in realtà sarebbe stato fantastico una volta entrate. 

Io la guardavo, era davvero bella, una delle donne più belle e naturali, mi dispiace così tanto per lei. 

ti voglio bene mamma. 

Entrando, senti la desolazione nel mio corpo aumentare, sembrava un posto bello e curato, in ogni angolo c'erano piccole piantine e divanetti colorati, tutto molto colorato, mi recò decisamente troppo fastidio. 

Sembrava essere una montatura a tutto quello che c'era dietro, lì c'erano delle persone malate, e loro non vogliono aiutarci, ma solamente farci stare peggio. 

Ma io devo stare in silenzio, io sono come il vento –reco scompiglio ovunque, ma poi vado via e nessuno si ricorda di me, nessuno mi sorride come fa con il sole- io sono solamente strana, un vento troppo strano. 

< vado a chiedere cosa dobbiamo fare, se vuoi puoi sederti lì, vuoi che ti accompagni?>> mi disse mia mamma accompagnandomi direttamente al divanetto vicino l'entrata, di un colore viola accesso. 

Mi sorrise, uno di quelli che una persona che sta bene dedica ad un malato, ecco tutto; lei però è mia mamma. 

Io annui semplicemente, io non so neppure cosa significhi sorridere. 

Io non credo di potercela fare questa volta, il freddo è costantemente parte di me. 

Vidi mia mamma annuire incerta e avviarsi verso una ragazza, a mio parere troppo bella, troppo tutto. 

La vidi parlare con mia madre, sorriderle, e continuare a spiegarle alcune cose. 

La vidi gesticolare un paio di volte e mia madre si girò verso di me. 

Stavano parlando di me, del mio essere così. 

Mia madre mi venne vicino, e si inginocchio davanti a me, continuando a sorridermi, ma questa volta con gli occhi lucidi:<ccuperà di te costantemente, è solamente il tuo dottore, ti prego>> mi pregò, perché io dovevo guarire, io dovevo essere una persona normale. 

È sbagliato sentire costantemente freddo, è sbagliato non ridere, non mangiare, non piangere ne provare emozioni. 

È sbagliato non piacersi a tal punto di farsi del male, fare di tutto pur di soffrire. 

È giusto vivere e non sopravvivere per poter morire. 

È giusto amare, come fanno le lacrime sulle guance, scendendo piano, quasi accarezzandole come nessuno riesce a fare; amare come fa il sole accarezzando con i suoi raggi la pelle, delicatamente come se avesse paura di bruciarle, semplicemente amare. 

Io e mia madre aspettammo, passò qualche minuto, mia madre continuava ad accarezzarmi, con la paura che questa potrebbe essere l'ultima volta. 

Sa che se io non riuscirò a migliorare, morirò, lentamente e atrocemente. 

Chiusi gli occhi e sospirai, davvero una persona può ridursi in questa maniera? 

Davvero ci si può odiare così tanto? 

Senti mia mamma muoversi vicino a me, ed io apri gli occhi. 

Non avrei mai creduto che il sole fosse cosi bello, splendente, un raggio che ti fa sentire meno freddo e il calore che ti entra dentro, amore. 

Il sole sorrise:<Stephan>> e sorrise ancora di più, lasciando uscire delle simpatiche fossette e delle rughette di espressione vicino gli occhi, era tutto ciò che riuscivo a chiamare bello. 

Il suo accento non era per nulla romeno, quindi supposi che non lo fosse, nemmeno il suo aspetto lo ricordava. 

E io per la prima volta sorrisi, poi pensai - io non lo merito, lui non mi guarderà mai- a quel pensiero mi bruciò il petto per la prima volta. 

 

 

 

 

Mia madre era appena andata via, dopo un enorme abbraccio che per quanto lei sapesse perfettamente che io odi il contatt non riuscì a trattenere. 

Dovetti ricordarmi della mia situazione e della mia solitudine per non provare dispiacere e pensare di essere fuori posto, quando non riuscì più a distinguere i suoi  grandi occhi dal corridoio della mia nuova camera. 

Il dottore era dietro di me con la mia valigia nella sua mano sinistra ed un sorriso sul volto. 

Non avevo mai sofferto di abbandono, nemmeno in quel momento, o forse un pochettino. 

<, va tutto bene, io sono qui>> mi disse il mio dottore, ma questo non cambia nulla, io sono qui, sola come sempre e con tanti di quei problemi che per una persona sola sono fin troppi. 

<> dissi piatta, tanto se anche fossi stata antipatica sarebbe solo stata un ennesimo contro su di me. 

<> dissi sorridendomi in modo quasi esagerato, mostrandomi il pollice. 

Lo guardai e mi resi conto che guardandolo il mio cuore emise un battito e i brividi di freddo erano scomparsi per due secondi, i raggi stavano iniziando ad amre il mio corpo. 

 

 

 

Le settimane passarono veloci, erano ormai cinque mesi che ero dentro l'istituto psichiatrico. 

Stephan diceva che io stavo migliorando, io no. 

Volevo solo morire, la mia mente stava iniziando ad odiarmi, perché da quanto passavo il tempo con il mio dottore oltre il vento costante che sentivo sul mio corpo, quest'ultimo sembrava venir baciato da dei tiepidi raggi di sole. 

Stephan diceva  che il mio colorito era migliorato e che i miei occhi erano meno vitrei, sorrisi mentalmente al pensiero che era solamente grazie a lui. 

Ben presto iniziai a parlare con lui, iniziai a sorridere con lui, e di notte a piangere, credevo non ne fossi capace. 

in poco tempo imparai a soffrire, a piangere e a ridere, imparai che mangiare un insalata con del pane non mi avrebbe ucciso, ma soprattutto imparai a capire quanto io fossi innamorata di lui. 

ma io ero cosi diversa, non potevo amarlo. 

Dovevo accontentarmi dei suoi sorrisi e dei suoi tocchi appena accennati sulla mia pelle. 

 

*** 

Il tempo passava e con lui i miei problemi sembravano affievolirsi, il mio cuore aveva semplicemente iniziato a battere e a smettere di seguire sempre e solo la mente. 

Fu proprio il cuore infatti a farmi fare una delle azioni che mai avrei pensato di fare, infatti per la prima volta mi misi in gioco, senza aspettare il tempo che avrebbe spezzato ogni cosa. 

Cercai di essere più bella, non avevo mai provato a truccarmi ne a sistemarmi. 

Infatti il vestitino di sangallo rosso, era strano indosso a me, ma sorrisi. 

Spazzolai i miei lunghissimi capelli neri. 

Misi le ballerine nere, e usci. 

Mi avviai verso il lungo corridoio verso la stanza delle macchinette del caffè -lui lo adorava- e dove sapevo avrei trovato Stephan, infatti come entrai lo trovai lì. 

Bellissimo come sempre, i suoi capelli biondo cenere tagliati con una frangetta abbastanza lunga, un accenno di barba, alto, quasi a raggiungere i due metri, le spalle larghe. 

Gli enormi occhi azzurri come il cielo, e il suo sorriso, bello e caldo. 

Perfezione. 

Mi avvicinai di corsa a lui e mi misi sulle punte. 

Lo baciai, le mie labbra attaccate alle sue, un tornado si distrusse in me. 

Il sole prese il sopravvento su tutto quanto, un emozione piena di colori,  i quali io non ne conoscevo neppure il nome. 

Il sole riusciva a dare l'amore sia per lui sia per il vento, tutto gridava amore. 

Il sole lo portava e il vento lo sussurava. 

Mi staccai da lui e iniziai a correre lontano da. 

Un braccio mi tirò di scatto in dietro, e un paio di bellissime labbra mi colpirono, facendole combaciare con le mie. 

Allora imparai davvero a sorridere. 

Pensai che io lo meritavo, che lui mi aveva presa così come ero, senza pretese, accettandomi e amandomi. 

Perché il sole ama tutti, persino il vento, fastidioso e problematico. 

 

 

Perché non ostante tutto il vento soffia anche quando il sole splende.

  
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