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Autore: Bad Devil    18/08/2016    0 recensioni
Nessuno dei due proferì parola; se Jonathan era concentrato sulle proprie azioni, cercando di rendere il proprio tocco il più delicato possibile, Edward senza ombra di dubbio aveva la mente altrove. Non era da lui chiamare aiuto per qualcosa del genere, in passato se l’era sempre cavata da solo con successo, ma la botta ricevuta lo aveva stordito più di quanto gli facesse piacere ammettere e quando la voglia di vomitare aveva preso il sopravvento aveva deciso che forse, per una volta, avrebbe potuto smettere di tormentarsi per aver chiamato il fidanzato e lasciare che fosse qualcun altro a occuparsi di lui.
Jonathan non lo aveva deluso.
[Scriddler / RiddleCrow ]
[AU - Parte della raccolta "Riddler's Box of Memories"]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: L'Enigmista, Scarecrow
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Riddler's Box of Memories'
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Titolo: “Avrai sempre me”
Autore: Cadaveria Ragnarsson
Fandom: Batman
Personaggi: Jonathan "Scarecrow" Crane; Edward "Riddler" Nygma
Pairing: Scriddler / RiddleCrow
Genere: Angst; Sentimentale
Rating: R
Avvertimenti: Slash; tematiche delicate; contenuti forti
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non sono reali, né di mia proprietà. Inoltre sono maggiorenni. Non ho nessun diritto legale su di loro a differenza degli autori e, dalla pubblicazione di questo scritto, non vi ricavo un benché minimo centesimo.

Note: Questa storia fa parte della raccolta "Riddler's Box of Memories", concettualmente basata sull'idea di Edward e Jonathan cresciuti insieme, prima di diventare i villains di Gotham.



Avrai sempre me


"Ed, allarga un po'...ecco."

Il tono di Jonathan era freddo e deciso, distaccato quanto lo sguardo che in quel momento gli stava riservando, decisamente in contrasto con il suo.
"Fa male! Brucia..." Si lamentò Edward, ma il ragazzo lo spinse più indietro contro la scrivania in modo da farlo sedere su di essa e trovarsi un po’ più in basso rispetto a lui.

"Sta fermo. Ti abituerai presto..."

Il rosso annuì incerto, chiudendo gli occhi e provando a concentrarsi sulla sensazione delle sue dita sulla pelle, invece che quella di dolore che accompagnava i suoi gesti.
Le dita di Jon era lunghe e magre, scivolose su di lui e impietose nello spalmare quel gel che, gli aveva promesso, avrebbe migliorato le cose.

Strinse i denti ancora una volta, venendo prontamente fermato dalla presa delicata dell'altro, volta a impedirglielo.
Resistette, quindi, attendendo che finisse. Non che avesse altra scelta, in fondo.

"Ecco... ho fatto."

Spooky si era ritratto da lui con la stessa delicatezza con cui l'aveva toccato, pulendosi ora le dita sporche di pomata su un fazzoletto.

"Sicuro vada bene sulle ferite?"

Il ragazzo annuì, prendendo poi la scatola per porgergliela.

"La signora del negozio ha detto che è una specie di miracolo..." lo osservò quindi qualche istante, incerto se continuare.
"Formula irlandese..." l'espressione speranzosa di lui, però incontrò soltanto un gelido sguardo.
"Sai no... perché bevono e picchiano la moglie..."

"È pessima persino per te, Spooky."

Il ragazzo sorrise in modo più evidente e soddisfatto della propria battutaccia stereotipata; era stata casuale, ma l’intento era quello di provare ad alleggerire la tensione e tirarlo su di morale. Gettò il fazzoletto nel cestino, assentandosi solo per lavarsi la mani nel bagno adiacente alla camera del rosso.
Edward ne approfittò per raggiungere lo specchio, osservando come Jon, con la pomata, avesse coperto perfettamente tutte le parti del suo viso, precedentemente colpite dal padre.

Quella sera si era svegliato, evidentemente, di cattivo umore, non gli erano chiari i motivi e nemmeno gli importavano, sapeva solo che lo scoprire che Edward avesse bisogno di soldi per un'uscita scolastica non facoltativa (e tutto sommato economica) aveva peggiorato le cose.

La situazione era degenerata da zero a cento abbastanza rapidamente: un momento prima Edward era in piedi in soggiorno con una camicia bianca addosso e, quello successivo, era con la mano premuta contro il volto sanguinante, a causa della botta ricevuta al viso. Un istante solo; nemmeno il tempo di rendersene conto, suo padre l'aveva preso per i capelli e forzato di faccia contro il tavolo, prima di lasciare la stanza e l'abitazione.

Nella foga di rialzarsi e in preda al dolore, Edward aveva barcollato indietro di qualche passo, finendo con l’urtare il muro con la schiena e lasciandosi quindi scivolare a terra lungo esso. La mano sinistra restava premuta contro il volto, nell’inutile tentativo di fermare il sangue che copioso gli scendeva dal naso, mentre la l’altra, istintivamente aveva iniziato a sbottonare la camicia che indossava al fine di sfilarla.

Era la cosa più simile ad un asciugamano, o una pezza, che avesse nelle vicinanze e ormai sufficientemente sporca da non doversi curare di quel dettaglio; rapidamente la appallottolò senza cura, premendosela contro il viso per provare ancora una volta a fermare la piccola emorragia, cercando poi con la mano libera il cellulare nella propria tasca.

Non aveva nemmeno avuto bisogno di prestare troppa attenzione allo schermo, conoscendo a memoria i movimenti necessari per poter chiamare Jonathan. Per la prima volta nella sua vita, Edward sentì il bisogno di avere qualcuno al proprio fianco. Quando questi aveva risposto al cellulare, non vi aveva impiegato molto tempo per capire che qualcosa non andasse. Edward era rimasto a lungo in silenzio, tirando appena su col naso, limitandosi a sussurrare la sua richiesta.

Fai in fretta...” Niente di più.

Sorreggendosi a fatica con il muro, Ed si era poi rialzato, cercando di raggiungere il bagno al più presto a causa della nausea che sentiva ogni istante più forte. Camminare dritto gli risultava difficile, la sua visione era ondulata e instabile e la voglia di vomitare sempre più impellente. Raggiunto il bagno con fatica crollò in ginocchio davanti al gabinetto, rigettando prevalentemente acqua e succhi gastrici.

Fu proprio sul pavimento del bagno che Spooky lo trovò, appena un quarto d’ora dopo, con la camicia contro il viso e la testa poggiata sulle ginocchia. Si era precipitato da lui appena ricevuta la sua chiamata, ritardando appena per la necessità di passare in farmacia e prendere qualcosa che potesse essere d’aiuto.

Con attenzione era riuscito ad aiutare Edward ad alzarsi, guidandolo poi fino alla sua camera e facendolo appoggiare alla scrivania. La camicia ora giaceva abbandonata in terra, appallottolata e zuppa del sangue che il ragazzo aveva copiosamente perso dal naso a causa della botta ricevuta, mentre le sue mani erano strette ai fianchi di Jonathan, come unica presa stabile.

Jonathan era stato bravo con lui: pazientemente aveva atteso che smettesse di sanguinare, prima di ripulirgli il viso delicatamente con l’ausilio di una piccola pezza umida. Dovette sciacquarla più volte visto che, senza l’ingombro della camicia, il sangue gli era sceso copiosamente anche sul petto e lungo il torace, gocciolandogli sulla pelle e macchiandogli persino i pantaloni.

Nessuno dei due proferì parola; se Jonathan era concentrato sulle proprie azioni, cercando di rendere il proprio tocco il più delicato possibile, Edward senza ombra di dubbio aveva la mente altrove. Non era da lui chiamare aiuto per qualcosa del genere, in passato se l’era sempre cavata da solo con successo, ma la botta ricevuta lo aveva stordito più di quanto gli facesse piacere ammettere e quando la voglia di vomitare aveva preso il sopravvento aveva deciso che forse, per una volta, avrebbe potuto smettere di tormentarsi per aver chiamato il fidanzato e lasciare che fosse qualcun altro a occuparsi di lui.

Jonathan non lo aveva deluso.

Quando quest’ultimo fu di ritorno dal bagno, Edward era ancora di fronte allo specchio, nel vano tentativo di indovinare dove la sua pelle avrebbe iniziato a diventar livida a causa della botta ricevuta, riflettendo sull'accaduto.

La prima volta che suo padre l'aveva colpito era ancora impressa nella sua memoria. Sua madre si era suicidata da qualche anno ormai, lasciando Edward (poco più che bambino, all'epoca) alle cure del marito Edwin. Se l'erano cavata bene, tutto sommato, senza la donna. Anche se lui non poteva compensare la mancanza di un affetto così grande nella vita del figlio, l'anziana vicina di casa aveva fatto del suo meglio per prendersi cura del piccolo Edward e supplire alle attenzione che questi richiedeva. Lui era stato un bravo bambino, non di quelli difficili o dal carattere ingestibile o estremamente vivaci, no. Edward sapeva essere chiassoso quanto gli altri, ma al caos aveva sempre preferito giocare da solo o leggere qualcosa. Negli anni si era accorto di essere più intelligente degli coetanei, non di poco; questo lo aveva spinto a cercare di ottenere sempre di più: più attenzioni, più ammirazione, più tutto. Proprio a causa di questo, per una volta aveva scelto la via più facile e, nel venire scoperto, aveva dato il via a tutto quello.

"Non tornerà prima di stanotte, vero?"

Aveva chiesto Jonathan affiancandolo dinanzi allo specchio.

"No. Turno di notte..." Jon annuì.

"Mary é ancora fuori città... se vuoi posso stare qui ancora un po'."
Edward non replicò, evitando il suo sguardo e andando verso il letto.
Gli avrebbe fatto piacere avere Jonathan lì con sé, la sua presenza aveva iniziato a dargli sicurezza, ma non gli avrebbe mai chiesto direttamente di rimanere, non con il rischio che, se qualcosa fosse andato storto, potesse essere a causa della sua richiesta.

Si sfilò le scarpe da ginnastica e si stese poi sul letto, dando le spalle alla stanza e rivolgendosi al muro.

"Non dovresti dormire..." sentì l'altro dirgli, ma in risposta scosse la testa.

"Sto bene... Ho vomitato per via del sangue che ho perso..." l'odore e il gusto l'aveva nauseato.
"Non ho un trauma cranico." O almeno, era abbastanza certo che non fosse niente di grave.

Jon non replicò. Raccolse da terra la camicia ormai non più bianca del ragazzo e si avviò con essa fino al bagno.
Sapeva ripulire le macchie di sangue, ormai era pratico anche lui e sapeva che era più facile rimuoverle quando fresche. Non esitò a riempire il lavandino di acqua fredda e a versarci dentro della candeggina.

Lasciò in ammollo qualche minuto, giusto il tempo di fumare una sigaretta, tornando poi nel piccolo bagno per strofinare e risciacquare la camicia. Non poteva definirsi pulita, ma almeno le macchie di sangue erano venute via... lasciò la camicia strizzata alla meglio sul bordo della vasca, prima di lavarsi nuovamente le mano e tornare in camera del ragazzo.

L'odore della candeggina lo disturbava... gli ricordava la bisnonna.

Quando tornò in camera, Edward aveva l'aria di essersi addormentato, ma nel guardarlo da vicino era evidente che avesse pianto, anche se appena un po'.
Lo conosceva abbastanza da sapere che era per rabbia, per stress, per il dolore provato, ma ce l’avrebbe fatta ancora una volta.

Il suo Edward era più forte di così.

Spooky si tolse gli anfibi, sedendosi poi a gambe incrociate sulla sedia della scrivania di Edward. Accese il portatile e attese il caricamento, bloccandosi poi un istante alla richiesta della password.

Conundrum errata. Edward doveva averla cambiata.

"Se non puoi rispondere a una domanda che ti viene posta,
nemmeno volendo ma senza reali impedimenti,
sei...?"

Recitava l'indizio. Si concesse un po’ di tempo per pensarci.
Muto? Imbavagliato? Scosse la testa.

Digitò "morto". Password errata.

Jon sbuffò, tentando ancora una volta prima di desistere.

"Addormentato".

Risposta corretta, ma si trovò in disaccordo con essa: morto era una risposta più adeguata, più tardi l’avrebbe contestata a Edward.

Il desktop del rosso era ordinato al limite del ridicolo, esattamente come la sua stanza, con poche icone e un delizioso wallpaper di quello che riconobbe essere BlackRock Shooter. Avevano guardato l'OAV insieme appena poche settimane prima e ricordava quanto a Edward fosse piaciuto. L’avevano apprezzato entrambi, a dire il vero, ma ricordava anche il modo poco più che indiretto che il rosso aveva usato per chiedergli se gli andasse di portarlo insieme come cosplay... offerta che Jon aveva, gentilmente, declinato.

Sedette comodo alla scrivania incrociando le lunghe gambe, mise le cuffie e avviò un MMORPG, tanto per passare il tempo, ben sapendo che Edward non se la sarebbe presa per quella piccola violazione alla sua privacy.


*


Quando Edward aprì gli occhi era passate qualche ora.

L'orologio sul muro segnava le ventidue e quindici e la stanza era buia fatta eccezione per la luminosità imposta dal monitor del computer. Grazie ad essa riuscì a scorgere la sagoma di Jon, seduto alla sua scrivania e intento a giocare ad un qualche videogame.

La faccia gli doleva e l'odore della pomata alle erbe era ancora persistente sul suo viso, ma copriva a sufficienza quello del sangue e, tutto sommato, poteva considerarlo quasi piacevole.

Si tirò a sedere lentamente, ancora un po’ stordito dalla botta presa, ora accentuata dalle poche ore di sonno avute. Si tastò delicatamente il viso con la punta delle dita, soprattutto la zona delle guance e del setto nasale, stringendo i denti per il dolore.

Faceva male... sicuro che avrebbe trovato dei lividi già formati ad attenderlo.

Sul comodino trovò un bicchier d'acqua e una confezione di analgesici, evidente cortesia di Jonathan, ora troppo impegnato a giocare per rendersi conto del suo cauto risveglio. Assunse una compressa e bevve un paio di sorsi, prima di provare lentamente e con cautela a tirarsi in piedi, cercando il comodino come supporto per evitare di essere steso da un capogiro.

Quando si sentì abbastanza sicuro sulle gambe si avvicinò al ragazzo.

"Jon?"

Questi reagì al suono del proprio nome, voltandosi e abbassando le cuffie per appoggiarle sul collo, appena in tempo per incontrare le labbra dell'altro in un bacio.

"Ehi." Lo sguardo di lui era incerto ed indugiava sul suo viso.

"Come ti senti?"

"Una merda."

Spooky non sembrò sorpreso, ma provò comunque a sorridergli appena, incoraggiante.

"Fatti un favore ed evita gli specchi..."

Un sospiro sconfortato lasciò le labbra del rosso, mentre con un movimento aggraziato strinse le braccia al collo di Jon, abbracciandolo da dietro.

"Hai scoperto la password nuova" disse, in parte ammirato e sorpreso, vedendo come Jonathan avesse avviato Guild Wars 2 in sua assenza.

Quello sbuffò.

"A tal proposito..." disse, portando le mani nuovamente sul mouse e la tastiera per riprendere a giocare.

"La risposta è imprecisa."

Il necromante di Spooky, seguito da alcune improbabili e raccapriccianti creature organiche, tornò all'esplorazione di una mappa del nord, mentre il suo proprietario gettò un'occhiata divertita al fidanzato, ora col mento appoggiato alla sua testa.

"Ma per favore." Lo schernì.

"Morto è una risposta più corretta."

Le dita di Edward si intrecciarono ai capelli dell'altro, intrappolando tra le dita quelle lunghe ciocche corvine e scostandogliele da viso, giocherellandoci appena.

"Decido io qual è la risposta corretta."
Gli ricordò, con fil di voce, prima di lasciarlo con un bacio sula fronte e avviarsi verso la porta della stanza.

"Potrei avere fame" gli disse Spooky, prima che lasciasse la stanza.

"Prepara qualcosa... io ti raggiungo subito."

A passo lento ed esitante, Ed raggiunse il bagno, sorridendo appena nel trovare la propria camicia stesa sul bordo della vasca, ora priva di macchie. Il sorriso però si cancellò immediatamente, non appena ebbe modo di specchiarsi. Jon aveva ragione: non avrebbe dovuto farlo.

Il suo viso era livido, seguendo una linea orizzontale che sul naso si allargava sotto agli occhi, marcandoli eccessivamente. Jon aveva ragione, avrebbe fatto meglio non guardare... la pomata comunque sembrava aver sortito un qualche effetto, perché sentiva meno dolore di quanto avrebbe dovuto provarne.

Sentì Jon scendere al piano di sotto e ai ripromise di raggiungerlo al più presto.
Ogni volta che suo padre lo colpiva, lui sentiva il bisogno di isolarsi, tanto per necessità di solitudine quanto per quella più incombente di nascondere quei segni dalla vista degli altri.
Da quando frequentava Jonathan, però, era diverso. Aveva trovato in lui qualcuno davvero in grado di capirlo, che sapeva cosa significasse provare umiliazione e impotenza, con la certezza di non poter far nulla in merito.

In tal senso, suo padre non era differente dalla sua bisnonna di Jon.

Si sciacquò il viso con dell'acqua fresca lavando via le misere rimanenze della pomata, avendo poi la premura di riapplicarla, prima di scendere in cucina.

Al piano di sotto, Jonathan aveva messo a bollire dell'acqua e aveva tagliuzzato in modo impreciso e fortemente irregolare dei wurstel.

"Spaghetti?" Domandò Edward porgendogli un posacenere, divertito nel vederlo far cadere la cenere nel lavandino.

"Non va bene?" Il rosso annuì.

Era... confortante, in qualche modo, vedere Jonathan quasi a suo agio nella cucina di casa sua.
Il posto sembrava diverso, con suo padre assente.

"Va più che bene" lo rassicurò, notando divertito quanto ancora la loro differenza di statura fosse evidente, nonostante Spooky avesse lasciato gli anfibi in camera.

"Non so quanto tu ti senta di mangiare, dopo quanto successo, ma..." il brontolio del suo stomaco lo precedette "...io ho parecchia fame..."

Edward accennò un sorriso.

"Come minimo non mangi decentemente da quando lei se n'è andata..." e conoscendolo, sapeva di non sbagliare.
Non che Mary Keeny nutrisse Jonathan a sufficienza, comunque.
Più volte il ragazzo gli aveva confidato come lei fosse capace di lasciarlo senza cena per giorni per punirlo, ma in confidenza non era poi una gran perdita.
La sua cucina era disgustosa.

Spooky lo guardò di sottecchi ma non disse nulla, limitandosi a gettare una quantità abbondante di spaghetti nell'acqua ora bollente.

"Mangiamo di sopra?"

"Sì... magari guardiamo qualcosa? Tanto mio pa- lui non tornerà prima delle sei."

Il ragazzo si dedicò ai fornelli ancora un po', aiutato appena da Edward.
Sapeva quanto l'altro fosse negato in cucina e non voleva lasciarlo solo, soprattutto dopo che si era premurato di prendersi cura di lui dopo l'accaduto.

Ben presto la pasta fu pronta e scolata, mescolata ai wurstel malamente tagliuzzati e a un paio di uova rotte direttamente nella padella a fine cottura.

"Ne hai fatta per un reggimento."
Commentò Edward divertito, notando quanto fosse palese che Spooky non stesse più nella pelle di affondare la forchetta e iniziare a mangiare.

Come consuetudine presero entrambi una ciotola abbastanza capiente e una forchetta a testa, dividendo le porzioni in modo quasi e infine salirono in camera, prendendo posto sul letto.

Consumarono il pasto in tranquillità, con come compagnia un episodio di South Park, trovato casualmente in televisione. Servì ad alleggerire il morale, ma sapevano entrambi che ci sarebbe voluto di più perché le cose si sistemassero.

"Ti fa male?" Chiese Jon ad un certo punto, senza nemmeno guardarlo.

Edward posò la forchetta nel recipiente quasi vuoto, indeciso sulla risposta da dare.

Perché Jon non era stupido, non poteva avergli fatto davvero una domanda tanto retorica.

Allora cosa avrebbe dovuto rispondergli?
Che aveva smesso di far male quando aveva capito perché sua madre aveva scelto di lasciarli?
Che non smetteva mai?
Che ogni volta che suo padre lo chiamava stupido tremava di rabbia e odio?
Che la sua vita era stata rovinata da un solo dannatissimo errore cui gli era stato impossibile rimediare?

Affondò nuovamente la forchetta e arrotolò i pochi spaghetti rimasti.

"...smetterà mai?" Gli chiese semplicemente, certo che, come risposta, fosse più che esauriente.

La risposta di Jon fu così simile a un sussurro che quasi temette di averla immaginata.

"Quando saranno morti."

Inarcò un sopracciglio ma non replicò, riponendo la propria ciotola vuota in terra e attendendo che Jon finisse la propria. Cartman, in televisione, sputava veleno facendo del facile umorismo, ma nessuno dei due si sentì di ridere.

"Le porto di sotto." Disse poi ad un certo punto Jonathan, raccogliendo le stoviglie sporche di entrambi e avviandosi nuovamente verso la cucina.

Il rosso non si sentì di fermarlo o seguirlo, sperando tacitamente che lavasse anche i piatti, non riuscendo nemmeno a pensare di doversene occupare lui stesso.

Spooky però, il suo Spooky, era intelligente, sapeva che non l'avrebbe deluso.

Approfittò della sua assenza e si distese sul letto ancora una volta, sperando soltanto che quella giornata potesse finire al più presto e che quella seguente fosse un po' meno orrenda.

Al piano di sotto, intanto, Jonathan lavava i piatti, utilizzando quell'espediente per allontanarsi dal ragazzo e riflettere sulla loro breve ma profonda discussione.
Si era quasi tradito... e se Edward avesse capito che a volte provava l'impulso di uccidere...?
Se avesse capito che gli altri avevano ragione a dire che qualcosa non andava in lui?

Ogni volta che la bisnonna lo forzava in quegli abiti pregni di sangue di animale e lo trascinava nella piccola chiesa diroccata accanto alla casa, giurava a se stesso che sarebbe stata l’ultima volta.

Giurava che avrebbe reagito, un giorno, che avrebbe smesso di avere paura di lei e dei corvi, ma...

Se Edward lo avesse saputo?

Avrai sempre me.


Si girò di scatto nel sentire quella voce, ma ben presto realizzò, ancora una volta, che era soltanto prodotto della sua mente. Scosse la testa, scostandosi il ciuffo con il dorso della mano ancora bagnata, finendo di sciacquare le poche stoviglie rimaste.

Forse aveva troppo sonno arretrato... d'altra parte anche se, approfittando dell’assenza della bisnonna, cercava di dormire sul divano del salone invece che in camera propria, non riusciva a riposare per più di poche ore, prima di svegliarsi di soprassalto e passare insonne il resto della notte.
I corvi non lo facevano mai dormire...

Si asciugò le mani su un canovaccio, attinse al pacchetto delle sigarette e se ne accese una, tornando poi in camera da Edward, trovandolo ancora steso sul letto e con un braccio sulla fronte.

"Senti..." lo sentì chiedergli, appena messo piede nella stanza.

"N-non devi per forza sopportare tutto questo..." il tono del rosso era incerto, ma calmo.
Sembrava aver riflettuto parecchio sulla questione, seppur fosse in difficoltà a parlargliene apertamente.

“Cosa vuoi dire?”

“Io non sono un tuo problema. Tu... hai già altro a cui pensare, non voglio che senti qualche tipo di obbligo verso di me.”

Ti sta lasciando.



Voltò il capo, in ascolto, ma non distolse mai lo sguardo dal ragazzo; improvvisamente si sentì incapace persino di respirare.

“E’ per quello che ho detto prima?” chiese con fil di voce, ignorando la cenere della sigaretta che ora era caduta in terra.

Edward si tirò a sedere, scostandosi finalmente il braccio dal volto per guardarlo.
La stanza era buia, ma lo schermo della televisione, ora muta, era più che sufficiente.

“Cosa? No.” Si strinse nelle spalle, indicandogli con un cenno il posacenere, ma Jon non si mosse.

“No” ripeté, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“E’ che non voglio che tu senta tutto questo” alluse alla situazione “come un obbligo.”

“La mia vita è un casino, ma anche la tua non è da meno... e...” distolse lo sguardo.

“Non mi devi niente.”

Jonathan esitò a lungo prima di parlare, muovendosi solo per spegnare la sigaretta, ormai quasi del tutto consumata, nel posacenere.

Mi stai lasciando?” Chiese infine, con tono fermo, ma era evidente che temesse la risposta.

Il silenzio di Edward fu lungo, ma chiassoso più di un grido.
Si guardarono a lungo negli occhi, come a voler scorgere persino le più insignificanti sfumature emotive dell’altro, fino a quando il rosso non gli sorrise appena, triste.

“Mai.” Ammise. “Ho paura che sarai tu, a farlo...”

Il più grande sospirò di sollievo, quasi impercettibilmente, riprendendo il fiato che nemmeno si era accorto di star trattenendo.
Un istante dopo fu seduto accanto all’altro sul letto, stringendolo in quello che sembrava più simile ad un abbraccio carico di disagio, che non un vero e proprio gesto d’affetto.

“Mai...” replicò allo stesso modo Jonathan, nascondendo il viso contro la sua spalla, esitando.

Edward ricambiò il gesto con la stessa difficoltà con cui l’aveva ricevuto, artigliando con le dita la larga maglia del ragazzo.

“E’ che...” si morse le labbra prima di continuare, provando finalmente ad essere sincero e spiegargli la situazione una volta per tutte.
“Non ho mai permesso a nessuno di vedermi in questo modo...”
Fragile e vulnerabile, spezzato, bisognoso, disperato.

“Non è facile... potrei abituarmici...” strinse infine la presa su di lui “ma lo capisco se è troppo.”

Jonathan ruppe l’abbraccio, distanziandosi appena per guardarlo in volto, nonostante la fioca luce nella stanza.
I lividi ormai più che evidenti sul suo viso non facevano altro che accentuarne la carnagione chiara, seppur non quanto la sua.

Gli prese il volto tra le mani e delicatamente posò le proprie labbra sulle sue, in un bacio.

Era Edward, di solito, a ricercare quel tipo di contatto fisico; lui glielo lasciava fare e raramente ne sentiva la necessità, ma ora tutto quello che voleva era poter stringere l’altro a sé e dimenticare, ancora una volta tra le sue braccia, quanto quel castigo che chiamavano vita si fosse accanito su di loro.

Si separò dalle sue labbra con la stessa delicatezza con lui le aveva sfiorate, poggiando infine la fronte contro la sua.

“Non lo è.” Disse soltanto, incapace di aggiungere altro.
Avvertì la presa di Edward farsi più forte sulle sue spalle e le sue gambe prendere posto ai lati delle proprie, in modo da lasciargli posto nel mezzo.

“Non lo è.” Ripeté ancora una volta, ma venne messo a tacere da un altro bacio.

Un istante dopo, Edward, si era lasciato ricadere indietro sul letto, trascinandolo con sé.






End
Cadaveria†Ragnarsson

  
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