Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: La Setta Aster    18/08/2016    0 recensioni
Questa breve storia fu scritta dalle dita di una Helen più piccola, di età e di spirito. Erano i tempi delle medie, avrò avuto quattordici, massimo quindici anni, ed ero parecchio melanconica, a quanto pare XD Ora ho riadattato questo episodio con i personaggi (amatissimi dalla sottoscritta) di Fiori e Metallo, in particolare il mio personaggio Chloe, che un po' mi rappresenta, è la protagonista. Buon lettura! ;-)
_ Helen
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non avevo voglia di mangiare. La cartella era ancora nella stessa, precaria posizione in cui l’avevo lasciata due ore prima. Da allora, io ero immobile, vegetando su una sedia, aspettando qualcosa, forse. Non potevo saperlo. Non potevo muovermi, non volevo muovermi, era come se io stessa mi fossi legata con strette corde a quella sedia, così come il mondo aveva fatto con la mia anima. Non mi accettava per come ero, come un polline per un allergico, in primavera, o come un virus nel computer. Sembra che il sistema avesse individuato in me un grosso bug, un problema da risolvere al più presto, e così tutti i programmi mi hanno dato contro. In breve, quella era una di quelle giornate in cui pare che il mondo intero sia contro di te. Avrei voluto uscire in strada e dare fuoco a tutti gli alberi che trovavo, per ripicca. Ma poi ho riflettuto: non era colpa del mondo, ma delle persone. Inutili, nauseabonde sacche di carne amalgamate con odio e rancore, e una copiosa dose di imbecillità. E più le odiavo, più mi rendevo conto che stavo divenendo come loro: facendosi odiare mi abbassavano al loro livello. Ma non gliel’avrei data vinta. Non andavo bene per quel mondo? Le sue genti mi rifiutavano? Forse avevano ragione, e volevo accontentarle. Già pregustavo un funerale in cui qualcuno avrebbe mentito con ipocrisia, asserendo di essermi stato amico ed elogiandomi come si suol fare coi cadaveri. Qualcun altro, invece, tra i più onesti, si sarebbe disperato, oppresso dai sensi di colpa come una morsa che si stringe attorno al cranio. Un simile funerale, pensavo, si confà ad una persona quale io sono stata: mai malvagia col prossimo, sempre in disparte o generosa quando potevo. È davvero un mondo spietato, creato per chi è capace di divorare il prossimo. Se quel mondo non mi voleva, quindi, lo avrei accontentato. Dopo due ore di assoluta immobilità, scattai dalla sedia e corsi in camera mia. Il mio cuore pulsava: era giunto il momento. La mia finestra, posta sopra al letto, come da tradizione degli abbini, era pesantemente martellata da una pioggia furibonda, che pareva piangere per me, come se volesse sfondare il vetro per entrare e fermarmi. Spiacente, mia cara amica pioggia, è troppo tardi. Prenditela con chi mi ha portato a fare questo.

Mi posi tra il letto e lo specchio che vi era davanti, alto come me, così da potermici specchiare e ritrovare un po’ di serenità nel buio dei miei indumenti stretti al mio corpo minuto come se volessero abbracciarmi. Ma adesso vi erano dei vestiti di troppo. Presi un coltello. Mentre nella mia mente tornavano i ricordi colmi di rabbia che mi avevano portata là, dai miei occhi arrossati iniziarono a sgorgare lacrime. Distorcendo il mio volto un tempo dolce in una smorfia di dolore, mi strappai di dosso la maglietta, con furia, foga, ira. Poi anche il resto dei vestiti. Rimasi nuda davanti allo specchio, a piangere e a guardare il mio viso divenire rosso come i miei occhi. Il coltello era pronto. Guardai per l’ultima volta quegli occhi, quella pelle eburnea che ricopriva un magro corpo emaciato. La mia mano tremava, mentre fissavo il coltello avvicinarsi al mio ombelico. Quando vi si puntò dentro, però, il tremolio svanì e la mano divenne ferma, salda. Risi, pensando a ciò che stavo lasciando, con la mia amica pioggia, la mia più cara amica, a sorvegliare la mia morte. Potevo sentirla, era lì insieme a me, sarebbe stata l’ultima a vedermi. Il trucco nero come la notte più scura stava colando lungo le guance, come se fosse sangue colato dagli occhi. Premetti il coltello contro la pancia. Mi trapassò l’ombelico, conficcandosi nel mio ventre. Lacerò pelle, carne, muscoli, organi. Potevo sentire la lama gelida dentro di me scaldarsi col sangue bollente che pian piano iniziò a sgorgare. Colava lungo le cosce scarne. Come avrei voluto che invece del sangue ci fossero le mani di colei che da tempo s’insidiava nei miei sogni più fiammanti. Era lei, immaginavo, a rigirarmi il coltello nell’ombelico. Ora potevo vederla davanti a me, che piangeva, ma al contempo era sollevata. Provai a baciarla, alzandomi dalla posizione piegata sul ventre dal dolore, ma lei estrasse il coltello e mi infilzò di nuovo, guidata dalle mie mani, e poi ancora, e ancora, ripetutamente, finché non caddi in ginocchio. E ancora una volta, di nuovo il coltello si fece strada laddove tanti altri colpi avevano riaperto l’antica ferita della nascita. Così nacqui, e così morii. Mi sembrò equo. Non mi reggevo più, mi accasciai sul freddo legno del pavimento, in una pozza di sangue. I miei capelli corvini si lordarono. Il dolore era pari solo al piacere che provai, quando le ultime tre pugnalate giunsero che ormai ero già a terra, morente, ma con un sorriso insanguinato. Il mio corpo pallido appariva come una statua di marmo con un rubino cremisi nel mezzo del ventre, sdraiata su uno stagno rosso come un cuore trafitto. Stavo morendo. I miei occhi viaggiavano nei mondi che avrei visto. Sorridevo, non ero spaventata. Abbandonavo la mia amica pioggia con cuore leggero. Era come si raccontava nelle grandi storie: “la cortina di nebbia del mondo si apre, e tutto si trasforma in vetro argentato”. Avevano ragione. Giacevo sul pavimento, fanciulla morente, attendendo il gelido eppure così rassicurante abbraccio della morte.

Un suono terreno ridestò la mia attenzione. Con le esigue forze che rimanevano al mio debole corpo, estrassi il coltello di legno che tenevo premuto contro il mio ombelico. Tutto si trasformò, ma non in vetro argentato: il sangue svanì dal parquet, i miei capelli tornarono ad essere corvini e bagnati solo di pioggia. Qualcuno aveva suonato al campanello e spezzato il mio sogno ad occhi aperti. Corsi in bagno a sciacquarmi la faccia, mi passai un batuffolo di cotone bagnato di acqua fresca nell’ombelico arrossato, e mi rivestii, il tutto in una manciata di secondi. Dopodiché, corsi alla porta.

La pioggia era delicata sul viso di Rosemary, e addirittura si poteva intravvedere qualche sparuto raggio di sole che squarciava le nuvole inglesi, come un fiore che nasce nel metallo. 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Dunque, Helen, da dove cominciare?
Questa storia, come anticipato nella presentazione del capitolo, è piuttosto vecchia. Devo ammettere che è strano rivedere la ragazza che ero solo pochi anni fa, e come erano diversi i momenti, il modo che avevo di affrontare quelli bui. Oggi non penserei mai di scrivere una storia del genere. Sono una Helen diversa, ma mi fa piacere notare che certe cose non cambiano, le mie storie anche all'epoca avevano dei tratti caratteristici che non ho mai abbandonato, anche se manca la musica XD Mica per niente ho deciso di aggiornare questa storia inserendo come protagonista Chloe invece che me stessa (che poi non cambia molto XD). Chissà, se un giorno dovessi pubblicare un racconto vero e proprio su Fiori e Metllo inserirò sicuramente questo episodio ;-) spero che vi sia piaciuto come scrivevo a quattordici anni! 
Ps Riordan: Helen, ti capisco bene: ti reputi rassicurata notando che il tuo stile di scrittura, bene o male, è rimasto lo stesso. Cambiare, crescere, perdere qualcosa di prezioso lungo la strada... Questi sì che sono incubi! (quoto! ndHanck) 

 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: La Setta Aster