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Autore: madychan    19/08/2016    0 recensioni
[Dal primo capitolo]
Davanti a lei c’era una altra ragazzina. Con tanto di capelli lunghi, vestito dalla gonna ampia, e l’aria di chi non è per niente stanco per la camminata fatta. [...]
E, proprio quando Arthuria fece per parlarle e chiederle chi fosse, lei sorrise. Arthuria sbatté le ciglia, vedendo che i suoi occhi andavano a soffermarsi di nuovo sull’elsa di Caliburn per qualche istante, e poi tornavano a guardare i suoi.
«Avete gli occhi di questo stesso colore.» commentò.
Aveva una voce quasi strana, per essere una ragazzina. Di certo, non particolarmente acuta.
Arthuria spostò lo sguardo da lei all’elsa, a propria volta, e fissò l’azzurro smaltato che si alternava con l’oro e i suoi riflessi chiari dati dalla luce di un sole che stava sorgendo.
«Vi somigliate.» disse ancora l’altra.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Saber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quinto
Cambiamento radicale
 
 
 
 
Da una settimana, sembrava che Arthuria fosse svanita dai cortili del castello di Tintagel.
Lancelot aveva provato più volte a cercare di capire cosa fosse successo e perché lei non si facesse vedere in giro; ma tutto quello che aveva guadagnato erano state la sua spada che ora dimorava nella dimora di Cassandra, e la certezza che fosse successo qualcosa con Guinevere, dato che era stata lei a portarla a casa, la sera in cui era sparita e Arthuria era andata a cercarla.
Aveva più volte temuto che fosse accaduto quello che lui più temeva e voleva per loro due: che una di loro (più presumibilmente Guinevere) si fosse dichiarata all’altra. Il timore era che l’altra (verosimilmente Arthuria) l’avesse rifiutata, con chissà quali motivazioni. Guinevere non l’avrebbe mai fatto; ma Arthuria ne aveva mille, a cominciare dalla fede sotto cui era stata battezzata e che serviva, e per andare fino al fatto che forse i sentimenti di Guinevere non fossero corrisposti come Lancelot pensava.
Era un’ipotesi da non scartare, quella dell’avvenuta dichiarazione; ma se fosse stato così, da Guinevere si sarebbe aspettato un umore totalmente a terra, demoralizzato e depresso.
Cosa che invece non sembrava, a giudicare da quanta violenza ci mise a provare a mettere in pratica le nozioni base della magia di proiezione, per ora imparate solo nella teoria.
Sospirò, notando la sua fronte aggrottata a mostrare un’espressione seccata dalla mancata riuscita di quello che stava provando.
La magia di proiezione era un tipo di magia di grado superiore: prevedeva la trasmutazione dell’elemento con cui ci si era avvicinati alla magia (nel caso di Guinevere, l’aria) in un oggetto accuratamente pensato e studiato nei minimi dettagli, per un dato periodo di tempo. Era un tipo di magia che mescolava la magia dell’elemento di elezione, che veniva imparata appena si entrava in contatto con gli spiriti; la magia della natura, che prevedeva il cambiamento dell’essenza di un oggetto senza cambiarne la forma; e la magia della forma, che permetteva invece il cambio dell’aspetto esteriore di un oggetto, senza tuttavia cambiare la materia da cui era composto.
Guinevere era un’esperta nell’uso della magia della natura – più di una volta, grazie a quella, gli aveva facilmente curato le ferite che riportava negli allenamenti con Arthuria; tuttavia, non era una cima nella magia della forma. E in quel momento sembrava troppo occupata a pensare a qualunque cosa fosse successa con Arthuria, per riuscire a proiettare perfettamente nella propria mente un qualunque oggetto – anche un semplicissimo sasso – e poi riprodurlo grazie alla magia della proiezione.
Era da giorni che tentava – aveva studiato per anni, per arrivare a quel punto, in modo poi da passare alla magia del cambiamento radicale, l’ultimo stadio di magia consentito al loro tempo dalla comunità magica. Ma era da giorni che falliva miseramente, ottenendo solamente il risultato di smuovere violentemente l’aria davanti a sé, e provocare reazioni infuriate delle persone che si ritrovavano davanti durante gli allenamenti. Di conseguenza, avevano deciso (o meglio, Lancelot aveva proposto, giusto per evitare altre rimostranze) di fare pratica in un luogo abbastanza isolato, appena sotto i corridoi delle sentinelle del cortile più alto.
Il risultato era stato lo stesso tutte le volte che aveva provato, quel pomeriggio: un soffio d’aria, mille suoi sbuffi, e poi di nuovo il tentare di trovare la concentrazione per provare ancora.
C’era da dire che una delle caratteristiche di Guinevere era la testardaggine – e su quello non c’erano mai stati dubbi: Lancelot la conosceva da anni, e lei non aveva mai mostrato segni di cedimento, quando voleva raggiungere un obiettivo. Il problema principale, infatti, non era la sua mancanza di volontà, in quel momento: era la mancanza di concentrazione, di cui Guinevere sembrava non rendersi assolutamente conto.
Lancelot sospirò, e si fermò dall’allenamento nel manovrare delle gocce d’acqua rimaste sull’erba dalla pioggia della notte prima. Si mise ad osservarla in maniera palese, voltando la testa e rimanendo immobile; ed era impossibile che Guinevere non l’avesse notato.
Ma lo ignorava. Palesemente.
Sbuffò, e le afferrò una delle braccia tese avanti a cercare di portare a compimento l’ennesimo tentativo.
«Mollami.» gli intimò Guinevere, freddamente, senza nemmeno guardarlo.
Si era fatta anche molto più fredda, in quei giorni. Non gli parlava quasi, era stressata, di pessimo umore, e gelida nel rispondere. A ogni domanda che Lancelot le faceva, la risposta era sempre un’occhiata rapida e un voltare la testa dall’altra parte – un chiaro segno di non voler parlare dei fatti propri.
«Sei troppo presa a pensare ad altro. Ancora non l’hai capito?» fece Lancelot, mantenendo un tono tranquillo.
«Lancelot, mollami o ti scaravento da qui a tre o quattro metri di distanza. Hai visto i miei tentativi, sai che sono in grado di farlo.»
Lancelot rabbrividì lievemente per un attimo – non l’aveva mai vista così furiosa, eppure così gelida. Tuttavia, non mollò la presa – non poteva. Non prima di averla fatta parlare. Non prima di averla aiutata a calmarsi per quella questione – qualunque fosse il problema che le frullava in testa da giorni.
«Fermati un po’. Facciamo una pausa, poi ci riprovi.» tentò di nuovo.
Guinevere strattonò il braccio via dalla sua presa, e lo fulminò con un’occhiata iraconda.
«Tu hai il tempo di fare pause.» replicò, ancora gelidamente – ancora di quella rabbia estremamente lucida, controllata e consapevole. «Io non posso. Tu non hai necessariamente bisogno della magia. Io sì.»
Lancelot spalancò gli occhi; esitò per un secondo, sorpreso da quella sua considerazione. Per quanto Guinevere potesse essere legata alla magia in quanto maga, non capiva come mai ora ne fosse quasi ossessionata.
«Perché?» domandò, dopo qualche attimo – in cui Guinevere era rimasta immobile, accovacciata a gambe incrociate e mani nell’incavo tra le gambe, a fissare l’erba davanti a sé. «Da quando hai così bisogno della magia?»
«Io ne ho sempre bisogno, Lancelot.» replicò lei, con più calma e un tono stizzito, ma un po’ meno di prima. «Sono una maga. È parte di me.»
«Questo lo so, ma in questi giorni la tua è un’ossessione bella e buona. Cosa che prima non è mai stata.» considerò lui.
«Mi sono solamente resa conto che sto perdendo tempo, e che non dovrei farlo. Quello che non ho in campo di combattimento, devo compensarlo con la magia, e gli spiriti del vento non mi daranno aiuto sul campo di battaglia. Devo cavarmela da sola, e per farlo devo imparare il più possibile. Altrimenti non sarò mai alla vostra altezza.»
Lancelot sospirò. «Sarebbe un ragionamento anche convincente, se non fosse che hai iniziato a fare così da quando tu e Arthuria avete litigato. O qualunque cosa abbiate fatto.»
Guinevere sobbalzò, e assottigliò gli occhi. Ma non rispose, come faceva di solito, che quelli erano affari suoi; quella volta, come era successo poche altre, rimase in silenzio, e continuò a fissare il manto erboso davanti a loro.
«Non capisco come la magia potrebbe sistemare le cose tra voi due, e se non ne vuoi parlare non te lo chiederò.» disse Lancelot, dopo qualche secondo, distogliendo lo sguardo da lei e rivolgendolo alle case distanti da loro solo una dozzina di metri. «Ma di questo passo, non imparerai a mettere in pratica nulla. Lo sai anche tu, che non sei abbastanza…»
«Voglio trasformarmi in un uomo.»
Lancelot sussultò, e tornò a guardarla, sconvolto.
Una doccia ghiacciata. Una bruciatura improvvisa. Un colpo alle spalle. Qualunque cosa avrebbe fatto meno effetto di quello.
E il peggio era che Guinevere sembrava fermamente convinta di quello che aveva detto.
La fissò, attonito, per i diversi istanti in cui cercò di riordinare i pensieri – che si erano fatti assurdamente confusi, dopo quell’affermazione – e cercando una motivazione per cui Guinevere volesse fare una cosa del genere.
«Con la magia del cambiamento radicale si può fare. Sarei in grado di trasformarmi in qualcosa, radicalmente, cambiandomi completamente. E il cambiamento durerebbe per il resto della mia vita.» proseguì lei, spiegando le nozioni base che Lancelot le aveva già sentito pronunciare.
Lui boccheggiò per ancora qualche attimo.
«Perché?» domandò alla fine.
Guinevere gli lanciò un’occhiata – un solo istante, prima di tornare a non guardarlo in faccia, e andare di nuovo a contemplare l’erba.
Ma Lancelot captò il sorriso amaro che accompagnò quell’occhiata.
«Si è mai visto un soldato donna, Lancelot?» domandò Guinevere. «Tralasciamo per un attimo Arthuria: lei ha vissuto tutta la vita per quello. Ma un soldato donna, si è mai visto, Lancelot? È possibile che una come me, che si allena da soli tre anni con la spada, possa effettivamente diventare un soldato degno di proteggere la corona?». Lancelot la fissò – ma non ebbe il tempo di rispondere, che lei proseguì. «Sappiamo tutt’e due che, per quanto impegno ci possa mettere, per quanto possa allenarmi, per quanto motivata sia, la risposta sarà sempre no. Una donna è e rimane una donna. Fragile, debole. Sottomessa
«Tu sei tutto tranne che quello…» azzardò Lancelot, istintivamente.
«E credi che non lo diventerò?» domandò lei, tornando a guardarlo. Aveva la voce rotta, malgrado cercasse di mantenere il controllo. «Credi che non lo sia già, avendo questo corpo che mi impedisce di fare quello che vorrei?»
Lui esitò. Non sapeva cosa rispondere – ma sentiva il dolore di Guinevere, e sentiva che lei non voleva essere come le altre donne. Che non avrebbe mai voluto essere così. Non era il tipo che riusciva a rimanere dietro le quinte, in attesa, passiva, obbediente, ad aspettare.
«Diventare uomo sarebbe la soluzione.» proseguì lei. «Sarei più forte, non verrei più guardata male se volessi combattere. Imparerei più facilmente, avrei più resistenza.» disse. Poi, dopo una breve pausa, mormorò: «Lei non si preoccuperebbe più per me e per la mia salvaguardia sul campo di battaglia solo perché sono una donna.»
Lancelot spalancò gli occhi – e poi sospirò. Lo sapeva, che c’era di mezzo Arthuria.
«Se ne preoccuperebbe lo stesso. Perché sei tu.» disse.
«Si preoccuperebbe di meno, allora!» esclamò lei. «Mia madre si preoccuperebbe di meno, Arthuria si preoccuperebbe di meno, persino tu ti preoccuperesti di meno! Sarei un uomo, sarei più resistente, sarei più…»
«Se vieni trafitto da una spada nel punto sbagliato muori, Guinevere. Uomo o donna che tu sia.» la interruppe Lancelot, mettendole una mano sulla spalla.
Stavolta, lei non la respinse. Era talmente sconfortata e demoralizzata, che probabilmente una mano sulla spalla era il minimo di cui avesse bisogno, e non osava negarselo.
Lancelot cercò di ignorare le sue spalle piccole, e per niente simili a quelle di un uomo – così come cercò di non pensare che quello che stava dicendo Guinevere avesse una parte di vero, malgrado lui le avesse risposto il contrario. Guinevere aveva mille altri mezzi da usare in battaglia, oltre alla forza fisica.
«Parli così per quello che è successo con Arthuria?» domandò, inclinando il viso di lato per cercare di guardarle il suo.
Guinevere inspirò a fondo – e Lancelot, dalla sua spalla, la sentì rabbrividire.
«Quella è stata solamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso.» disse, a bassa voce. «Forse, se non avessi insistito tanto per imparare a combattere, lei avrebbe avuto qualcosa in meno di cui preoccuparsi.»
Lancelot non chiese: sapeva che non era il caso, perché insistendo avrebbe solamente generato l’effetto opposto del farla parlare. Le lasciò il tempo di decidere cosa dire, con calma, aspettando il resto del discorso.
Guinevere rimase in silenzio per diversi secondi. Forse anche diversi minuti. Poi, alla fine, fece un respiro profondo e continuò.
«Ti sei mai chiesto come sono i tuoi genitori, Lancelot?» domandò.
Lancelot sobbalzò, sorpreso da quella domanda. In tutti quegli anni, pur condividendo il fatto di essere orfani, non avevano mai affrontato quell’argomento. Per loro due, vivere con genitori diversi da quelli che li avevano generati era qualcosa del tutto naturale e scontato – o almeno, così aveva sempre pensato Lancelot.
«Credo di sì…» rispose lui. «Insomma, penso che anche tu ti sia chiesta come sono fisicamente, cosa hai preso da loro. Perché ti hanno abbandonato.» considerò.
Guinevere assottigliò lievemente gli occhi.
«I miei non mi hanno abbandonato, in realtà. Sono morti durante una delle innumerevoli guerre scatenate da Uther. Cassandra è la sorella di mia madre: appena ha saputo la cosa mi ha preso con sé e mi ha cresciuto come se fossi figlia sua. Avevo due anni, quando è successo.»
Lancelot sbatté le palpebre, sorpreso. Aveva notato una lieve somiglianza tra lei e Cassandra; ma non al punto da arrivare a pensare che fossero parenti piuttosto strette.
«Io non…»
«Non fa niente. Non lo sapevi, non te l’ho mai detto.» lo anticipò lei. «Ma in effetti mi sono chiesta più volte cosa volessero loro da me. Come mi avrebbero cresciuto, cosa mi avrebbero dato. Cosa si aspettassero che diventassi… Beh, non che ci sia molta scelta, in effetti.» aggiunse, facendo una smorfia con la bocca. «La sera che abbiamo discusso… mi sono resa conto che per Arthuria non è mai stato così.» disse ancora, facendo sobbalzare lievemente Lancelot per il cambio di argomento e perché, all’improvviso, lei gli stava rivelando cosa fosse successo. «Lei ha sempre avuto una strada già prefissata. Non le è mai stato dato modo di scegliere cosa volesse fare, a differenza di me e te, che da quello che ho capito un minimo di scelta l’abbiamo comunque avuto.»
Lancelot sospirò. «Non penso che si abbia molta scelta, se si nasce come figli di un re...»
«Eppure la scelta ci sarebbe, Lancelot. Caliburn non è automaticamente sua, non basta che lei sia la figlia del re.»
Lui annuì, e poi guardò l'erba davanti a sé. «Quindi? Cos'è successo tra di voi?»
Guinevere si espresse in una smorfia contrariata, e tenne lo sguardo basso. «Mi ha detto che non vuole più competere per Caliburn.» disse alla fine, a bassa voce.
Lancelot, dopo quella premessa, si era aspettato un'uscita del genere; perciò non si scompose, almeno non troppo.
Sospirò, e si appoggiò con la schiena al muro dietro di loro.
«Avete litigato solo per questo? Non mi sembri il tipo da darle contro solo per un motivo del genere.»
Guinevere sussultò, e si voltò verso di lui, gli occhi spalancati dallo stupore.
«Lancelot, tutta qui la tua reazione?! Ti ho appena detto che Arthuria...»
«Ti ho sentito.» la interruppe Lancelot, con calma. Guinevere ammutolì, e lo fissò negli occhi per qualche istante.
Si vedeva chiaramente che non sapeva cosa fare, era confusa, erano troppe cose insieme e di sicuro non c'era solamente quella storia di Arthuria che aveva deciso di rinunciare all'obiettivo di un'intera vita, tra di loro; Guinevere non avrebbe mai litigato a quel modo con lei per un motivo del genere, piuttosto avrebbe tentato di capire perché, addirittura l'avrebbe supportata nella sua decisione se le motivazioni dell'altra fossero state sufficientemente logiche per lei.
Dall'altra parte, anche Arthuria non era il tipo da litigate: era troppo calma, e troppo affezionata a Guinevere.
Lancelot vide l'amica voltare la testa in maniera stizzita, e stringersi nelle spalle con fare nervoso.
«Guinevere, vuoi raccontarmi per filo e per segno quello che è successo, per favore?» sbottò Lancelot, sbuffando per l'esasperazione. «Cassandra è preoccupata, continua a chiedermi se so il motivo per cui tu hai improvvisamente smesso di mangiare in maniera decente e sei così nervosa, e io vorrei saperle dire il perché, o quantomeno saperlo e doverle rispondere “scusami, Cassandra, non posso risponderti perché mi ha chiesto di tenere il segreto; ma non ti preoccupare, si sistemerà tutto”. Ma maledizione, non so niente! E non credere che a me faccia piacere vedervi in questo modo, tutte e due!»
«Perché non lo chiedi a lei, allora?» replicò Guinevere, stringendosi ulteriormente nelle spalle e rimanendo stoicamente con lo sguardo fisso da tutt'altra parte.
«Perché non me lo puoi dire tu?!» esclamò Lancelot. «Cosa c'è di così vergognoso di cui non puoi parlare con me?!»
La vide trasalire lievemente, forse per l'urlo, forse per l'intensità della frase in sé. Lancelot la vide sbattere velocemente le ciglia qualche volta, esitare, voltarsi timidamente in una posizione in cui potesse guardarlo almeno con la coda dell'occhio.
In effetti lo sbirciò anche, in tralice; ma quando intercettò il suo sguardo, spostò subito il proprio, fissandolo a terra.
«Giurami che manterrai il segreto.» mormorò poi. «Anche con mia madre.»
Lancelot aggrottò le sopracciglia. «Addirittura? Mi pare che tua madre sappia addirittura di quello che provi per Arthuria...»
Guinevere strinse le labbra l'una contro l'altra. «Per favore, giuramelo.»
«Va bene. Va bene, lo giuro. Su entrambe le mie mani ti può andare bene?»
Guinevere annuì, e rilassò lievemente le spalle. Lancelot la vide tentennare ancora un poco, poi sospirare e prendere parola.
«Ci sono... due cose.» disse. Teneva la voce bassa, e lui non riusciva a capire se fosse per la vergogna o per che altro motivo. La vide fare di nuovo un respiro più profondo degli altri, e poi proseguire. «La prima è che... ero sparita perché da diversi mesi mi alleno in segreto nei ranghi inferiori, insieme ad altri soldati, o ragazzi che sanno usare le armi.»
Lancelot sgranò gli occhi, mentre vedeva la sua testa voltarsi di nuovo, leggermente.
«Perché...?» fu l'unica cosa che riuscì a domandare, mentre si chiedeva cos'avessero fatto di sbagliato lui o Arthuria nell'essere suoi maestri, tanto da spingerla a rischiare... chissà cosa, ad andare a combattere con qualcuno che nemmeno conosceva.
Guinevere aggrottò le sopracciglia. «D-direi... per lo stesso motivo per cui Arthuria preferisce allenarsi con te, e non con i soldati al comando di suo padre.» mormorò.
«Non mi risulta che tu abbia mai vinto uno scontro con noi!» esclamò Lancelot, contrariato.
«Non in quel senso...» replicò lei. «Ma... quello che faccio con voi è... solamente combattimento figurato.» spiegò. Lancelot spalancò gli occhi, sorpreso. «Insomma, se uno volesse diventare soldato... quello non basterebbe.»
«Non è un buon motivo per andare a cercarsi rogne con quelli dei piani di sotto!» ribatté lui, protendendosi col corpo verso di lei.
«Non sono mica andata a litigare...»
«Guinevere...!». Lancelot esitò, conscio di quello che stava per dire. Poi prese fiato, e proseguì. «Che ti piaccia o no, sei una donna! Cos'avresti fatto se ti avessero attaccato con intenzioni diverse dall'allenamento?! Chi mi assicura che non l'abbiano fatto, anzi?!»
Guinevere si voltò verso di lui con un gesto di stizza, ma quando incrociò il suo sguardo non riuscì a proferire parola. Lancelot la fissò, stoico, finché lei non tornò ad abbassare la testa, pur mantenendo un'aria corrucciata.
«Non mi è successo nulla di quello che pensi.» disse, con tono deciso. Lancelot sospirò di sollievo, per quanto si aspettasse una risposta del genere. «Si è trattato solamente di allenamenti sotto forma di tornei, con armi anche diverse dalla spada. Ho imparato parecchio.»
«Sarebbe bastato dirlo a noi!» esclamò di nuovo lui, allargando le braccia per dare più enfasi al concetto. «Perché non l'hai fatto?»
Guinevere si strinse nelle spalle. «Non voglio essere un peso.»
«Guinevere, non...»
«Lo sono!» esclamò lei. «Sono indietro di anni di allenamento, rispetto a quanto siete allenati voi due, non riesco a reggere i vostri ritmi, ma solamente... solamente quelli di qualche contadino che nel frattempo cerca anche di farmi la corte! Hai idea di quanto diavolo sia frustrante?! Ho faticato a battere anche quel ragazzo di cui abbiamo parlato qualche giorno fa, una cosa che non sarebbe successo né a te né ad Arthuria! E come se non bastasse sono un dolce fiore in età da marito, nessuno mi prende sul serio, nessuno prende sul serio in considerazione l'idea che io possa preferire diventare un soldato, non ci crede nessuno! Vengo vista solamente come una donna
Lancelot assottigliò gli occhi, al disgusto con cui lei aveva pronunciato quelle ultime due parole. Capiva – o almeno, intuiva – quello che lei stava provando, quello che le passava per la testa, e capiva la sua frustrazione; tuttavia, sapeva anche che non ci si poteva fare nulla.
Le mise una mano sulla spalla, sospirando. «Se ti può consolare, per me non sei un dolce fiore in età da marito.» disse. Guinevere gli lanciò un'occhiata contrariata, ma al vedere la sua espressione si addolcì un poco. Lancelot ridacchiò, e le mise una mano sulla testa. «Tifo ancora per te e Arthuria, in fin dei conti.»
Guinevere sorrise debolmente, e Lancelot ci vide anche dell'amaro. Sospirò e allontanò la propria mano da lei, costatando il proprio ennesimo fallimento nel tentare di risollevarle il morale.
«Guinevere.» la chiamò. «Se ti trafiggono nel punto sbagliato dell'armatura, muori. Non c'entra l'essere uomo o donna, e di sicuro cercare di usare la magia del cambiamento radicale per cambiare sesso non è la soluzione alla cosa.» disse. «Non sei un peso, e ti sei allenata tanto con noi; se vuoi provare armi diverse dalla spada, basta dirlo, e per i combattimenti seri manca ancora un po' di tempo perché non sei ancora pronta abbastanza; è normale, ci è voluto del tempo anche per me ed Arthuria. Ma hai fatto progressi, e cercare di bruciare le tappe in questo modo non ha senso: hai rischiato, e se avessi saputo della cosa e tu te ne fossi andata comunque, sarei stato parecchio in pena. Sono uomini, Guinevere, sono pericolosi a prescindere, che siano lì o qui. La differenza è che qui non osano metterti le mano addosso perché sanno chi sei, o ti portano rispetto per il loro status; là invece non sei che una ragazza di cui non sanno nulla, che si mette in testa di voler fare il soldato come loro.»
«Beh. Col tempo hanno capito chi fossi. Non mi hanno mai aggredito, comunque; è bastata la prima performance nel torneo, per dimostrare con chi avessero a che fare.»
Lancelot sorrise lievemente. «Non ne dubito.» commentò. «Arthuria ti ha scoperto?»
Guinevere annuì, mesta. «Pensava che l'avversario che avevo davanti volesse farmi fuori, ed è intervenuta a difendermi.» spiegò. «Posso immaginare cosa le sia passato per la testa, quando ha capito che non era così. Qualcosa tipo quello che mi hai detto tu, oltre il fatto di sentirsi in colpa per avermi scoperto in qualcosa in cui non volevo essere scoperta... Cose così, conoscendola.»
Lancelot annuì, riconoscendo che in effetti sarebbe stato da lei.
«Infatti la prima cosa che ha fatto è stata chiedermi scusa per essersi intromessa.» commentò ancora lei. «Pensavo l'avessi mandata tu a cercarmi, e mi sono arrabbiata senza ascoltarla... finché non ho detto qualcosa come “ha mandato te a cercarmi, come se fossi chiunque”.»
Lancelot sgranò gli occhi; iniziava a capire come fosse andata la cosa.
«Ha capito male?» domandò.
«Cosa poteva capire, Lancelot? Quello che avremmo voluto io e te?» replicò lei, con un'ironia amara. «Mi ha detto che lei per me non era altro che il futuro re da proteggere da eventuali congiure, che avevo intenzione di prendere le armi perché in lei avevo sempre visto soltanto il futuro re... Non posso biasimarla, visto il nostro primo incontro davanti a Caliburn. Ero davvero convinta che sarebbe diventata lei il re, e gliel'ho detto. Lei non ha mai visto altro che quello.» spiegò. «E nel frattempo, mentre mi parlava, la mia testa non riusciva a trovare una scusa decente per cui avrei potuto dirle che volevo diventare un soldato. Qualcosa che fosse diverso dal “lo faccio per i sentimenti che provo per te”.» aggiunse. «Non ho trovato... nulla da dirle. E intanto, lei proseguiva, e mi ha detto che aveva visto la madre, quella mattina...»
«Lady Igraine?» domandò Lancelot, sconvolto da tutte quelle rivelazioni, troppo improvvise. «Ha parlato con Arthuria?»
Guinevere abbassò lo sguardo, e assottigliò le palpebre. «Mi ha detto che aveva visto Lady Igraine» riprese, e Lancelot aggrottò le sopracciglia per quella domanda ignorata; era sicuro l'avesse sentito. «e che, parlando con lei, era giunta alla conclusione di non essere in grado di essere re di un regno come la Britannia. Di conseguenza, ha detto di voler rinunciare a Caliburn.» concluse. «Ero talmente... confusa, sapevo di doverle dire qualcosa, sapevo che così l'avrei fermata e magari saremmo riuscite a chiarire, ma non sono riuscita a trovare cosa. Cosa avrei dovuto dirle? Che ero innamorata di lei, e che per quello voglio affiancarla sul campo di battaglia, diventare un soldato, non sposarmi per non allontanarmi da lei? Che ero convinta che sarebbe diventata re perché ho sempre creduto in lei, perché l'ho sempre stimata? Avrei dovuto dare delle spiegazioni, e nella mia testa erano... sono tutte troppo sdolcinate e romantiche, per non farle capire quello che provo.» commentò. Lanciò un'occhiata a lui, che nel frattempo la stava fissando, allibito. «Ed ecco il motivo per cui non ci parliamo.»
Lancelot boccheggiò per un secondo. Poi abbassò lo sguardo, storcendo le labbra.
Era tutto così assurdo. Era quasi sicuro che Arthuria provasse qualcosa per Guinevere: lo vedeva da come lei la guardava, lo sentiva da come lei continuava a parlare dell'altra, come se fosse l'unico vero argomento di cui le importasse, come se riuscisse ad avere in mente solo lei. Gli aveva fatto sempre tenerezza quel modo di fare, perché lo mostravano entrambe,; non avrebbe mai immaginato che le cose sarebbero evolute in quel modo proprio per quel motivo.
«Non era Lady Igraine.»
La voce bassa di Guinevere lo riportò alla realtà, e a quella domanda insoluta. Si voltò, aggrottando le sopracciglia, e la vide seria, a fissare il muro davanti a loro.
Tremava. Anche se lievemente.
«Lancelot... sto per dirti qualcosa che non ti farà piacere.» proseguì, sempre a voce bassissima. «Sappi che vorrei non farlo.»
Lancelot sbatté le palpebre per un paio di volte, confuso.
«Era Lady Morgana.»
Spalancò gli occhi, sconvolto; sentì il proprio corpo immobilizzarsi sul posto, incapace di muoversi.
«In che senso?» domandò poi, facendo un sforzo notevole con la gola per articolare quelle parole.
Guinevere scosse la testa. «Ha preso le sembianze di Lady Igraine ed è andata a parlare con Arthuria, quel giorno. Sulla torre su cui lei guardava sempre Caliburn.» disse. «Non so esattamente di cosa abbiano parlato, ma Arthuria ha davvero creduto che si trattasse di Lady Igraine. E credo che Lady Morgana l'abbia fatto per darle un po' di fiducia in sé stessa, consapevole del fatto che le serva quella, per padroneggiare la magia.»
Lancelot aggrottò le sopracciglia. «Ma tu come fai a saperlo...?» domandò.
Guinevere socchiuse gli occhi. «Il suo famiglio.» mormorò.
«Il suo famiglio?» domandò Lancelot, confuso.
«Era poco distante da lei, mentre lei era con Arthuria.» spiegò Guinevere, rabbrividendo lievemente. «Sulla torre accanto a quella su cui erano loro. E l'ho riconosciuto, l'ho visto un paio di volte, e ho notato che non si stacca mai molto da lei; però anche lei ha notato che stavo guardando verso di loro. È stato... l'attimo di disattenzione col contadino.»
Lancelot ricordò all'improvviso. Lei che combatteva, improvvisamente guardava sopra di loro in maniera quasi distratta, e per poco non veniva buttata a terra dal contadino che le faceva la corte. L'aveva attribuito a un atto di disattenzione e al fatto che lei avesse notato all'ultimo minuto che il contadino se ne stesse approfittando...
«Sei andata da Lady Morgana, quel giorno.» commentò. «E poi non sei tornata a casa e sei svanita nel nulla...»
Guinevere annuì debolmente, stringendosi nelle spalle. Tremava, come se avesse freddo; eppure, aveva iniziato solamente da quando avevano cominciato a parlare di Lady Morgana. Possibile che...?
«Mi stava controllando tramite il suo famiglio.» spiegò. «Dunque ho deciso di andare nelle sue stanze. In realtà volevo solamente parlarle, ringraziarla per il gesto fatto con Arthuria, chiarire che non avrei detto una sola parola in merito perché era importante per me quanto lo era per lei... Quindi sono passata da casa, ho preso delle erbe tonificanti, visto che per quell'uso di magia della forma su di sé doveva aver perso parecchie energie. E sono andata nelle sue stanze.».
Lancelot aggrottò le sopracciglia a vederla tremare più visibilmente; stava iniziando a preoccuparsi seriamente. «Cos'è successo?» domandò.
Guinevere raccolse le gambe in un abbraccio, e tenne lo sguardo basso.
«Non so nemmeno se mi crederesti.» mormorò.
«Guinevere.» la richiamò Lancelot, con voce ferma.
Lei esitò. Fu quasi un sussurro, quello che le uscì dalla bocca subito dopo.
«Mi ha... attaccato.»
Lancelot sentì il cuore mancare un battito. Sentì gli occhi spalancarsi, e la bocca socchiudersi per la sorpresa.
Aveva sempre saputo dell'antipatia che Morgana provava per Guinevere, apparentemente senza motivo. In realtà, al castello non era un segreto: chiunque aveva avuto modo di notare i modi rudi con cui l'affascinante Lady Morgana trattasse la migliore amica di sua sorella. E nessuno se n'era mai fatto una ragione, per quante voci ci fossero in giro, che proponessero i più svariati motivi; Lancelot ne aveva sentite talmente tante, sul loro conto, che non se ne ricordava nemmeno una.
Ma addirittura attaccarla per quello?
Stentava a crederci, eppure sapeva che Guinevere stava dicendo la verità: nel momento in cui le mise una mano sulla spalla, sentì che i suoi brividi di terrore erano sinceri, non solamente qualcosa di fatto per tirare acqua al proprio mulino. Da parte propria in realtà si pentì addirittura di aver dubitato di lei – ma dannazione, era qualcosa di così assurdo, che Morgana attaccasse Guinevere per una cosa del genere.
«Mi dispiace, Lancelot, so che provi...»
«Perché?» domandò Lancelot, interrompendola. «Avete fatto discussione ed è degenerata? Voglio dire...»
Guinevere si strinse nelle spalle. «Era già partita col piede sbagliato sulle erbe. Pensava che la volessi avvelenare.»
Lancelot si espresse in un gemito di frustrazione. «Va bene tutto, ma per quale diavolo di motivo ce l'ha tanto con te? Non mi risulta che tu le abbia fatto niente. O le hai fatto qualcosa che io non so, Guinevere? Sputa il rospo, se è così, è anche ora che capiamo come stanno le cose...»
«Non le ho fatto nulla.» replicò lei. Non sembrava arrabbiata per quei dubbi che lui le aveva espresso, e di cui lui stesso si era pentito appena dopo averli pronunciati; piuttosto, sembrava concentrata a pensare a quello che le era successo.
«E allora come stanno le cose?» domandò.
Guinevere strinse le labbra in una smorfia. «Non mi crederesti.»
«Ehi, così non mi aiuti.»
Lei emise un suono di disappunto. «Credi quello che ti pare. Se ti dicessi il motivo per cui mi odia tanto non mi crederesti, e probabilmente se lei venisse a sapere che te l'ho detto mi ammazzerebbe senza pensarci due volte. E mi è bastato che abbia provato a farlo una settimana fa, e il sapere che in ogni caso nutre istinti omicidi nei miei confronti, e mi farebbe volentieri fuori se solo ne avesse l'occ...»
«Fermati un attimo!» esclamò Lancelot, stringendole la spalla. «Ha tentato di ammazzarti?!»
Guinevere lo fissò negli occhi per qualche istante; poi, scostò lo sguardo, l'espressione seria e le spalle scosse da un ennesimo fremito.
«Cos... Cos'è successo?» chiese Lancelot, cercando di essere più calmo possibile.
«Mi ha quasi strangolato con una delle sue piante.»
Lancelot sentì il gelo lungo la spina dorsale, e per un attimo percepì chiaramente la mancanza di volontà e di forza di muovere qualunque muscolo del suo corpo, che fosse per toccarle la spalla e confortarla, o per dirle che l'avrebbe protetta.
Guinevere in effetti per qualche attimo nemmeno se ne accorse; fu solamente dopo un po', che voltò la testa verso di lui e sbatté le ciglia, guardandolo senza nessuna espressione particolare.
Il che era già strano di per sé.
«Non mi faccio ammazzare per così poco.» affermò, sollevando il mento in un gesto di tracotanza che poco c'entrava con il terrore che ancora le faceva tremare i muscoli del corpo, seppur in maniera meno evidente rispetto a qualche minuto prima. «Tagliare i rami col vento è stato un gioco da ragazzi. Però devo ammettere che mi ha colto alla sprovvista.»
Lancelot la fissò per qualche secondo ancora, a bocca aperta, senza riuscire a trovare nulla da dire se non un soffiato “Ti ha quasi ucciso”.
Guinevere lo osservò per qualche attimo, e poi si strinse nelle spalle. «Beh, sono ancora viva, no?» commentò, distogliendo di nuovo lo sguardo, e assumendo un'espressione cupa in viso.
Lancelot boccheggiò, nella sua testa solo il pensiero di rimarcare quanto lei fosse ancora lì, per fortuna, e quanto fosse sconcertato per quello che era successo, e quanto non riuscisse a capire perché. Ma alla fine, non disse nulla; sapeva che non sarebbe stata Guinevere a chiarire i suoi dubbi.
Improvvisamente avrebbe solamente voluto andare nelle stanze di Lady Morgana, strattonarla per il vestito e urlarle contro perché, per quale diavolo di motivo doveva avercela tanto con Guinevere; avrebbe voluto davvero farlo, senza farle del male ma cercando di capire cosa diavolo ci fosse tra quelle due. Tuttavia, se l'avesse fatto non avrebbe ottenuto altro che mettere ulteriormente in pericolo la vita di Guinevere e, visto quello che era successo, era meglio evitare.
Chiuse gli occhi, cercando di mettere insieme le idee: era tutto così inconcepibile.
«Ricapitolando: Morgana si è finta Lady Igraine per dare ad Arthuria fiducia in sé stessa, tu l'hai scoperta e ti ha quasi ammazzato per motivi che non posso ma che vorrei molto sapere, e nello stesso giorno tu e Arthuria avete litigato e lei ti ha rivelato di non voler più competere per Caliburn.» riassunse, in un sospiro.
«In effetti avrei potuto essere molto più sintetica e dirti solo questo.»
«Ti stavi tenendo tutto questo schifo dentro. Non mi stupisce che tu ne volessi parlare.»
«Non avrei dovuto.»
«E allora cos'avresti dovuto fare?»
Guinevere si espresse in un suono di stizza. «Parlare con Arthuria prima che tutto questo succedesse.» disse. «Per i sacri spiriti dell'aria... sono così debole
Lancelot le mise una mano sulla spalla. Con qualunque altra ragazza probabilmente avrebbe allungato il braccio fino ad appoggiarla sulla testa, ma con Guinevere gli veniva naturale metterla lì. «Smettila.» la redarguì pacatamente. «Dopo tutte quelle cose in una giornata, è normale essere sconfortati e comportarsi come hai fatto tu.»
«Non avrei dovuto parlarti di Morgana.» considerò Guinevere, stringendosi nelle spalle e voltando la testa dalla parte opposta a lui, quasi si vergognasse di guardarlo in faccia.
«Hai fatto bene.»
«Sei innamorato di lei.»
«Ha tentato di ammazzarti.» ribadì Lancelot, come se la piega che avrebbero dovuto prendere gli eventi fosse alquanto ovvia. «Ero innamorato dell'aspirante assassina della mia migliore amica. Meno male che l'ho saputo a tempo debito.»
Guinevere sbatté le sopracciglia e gli rivolse uno sguardo perplesso e timido al tempo stesso. «Tutto qui?»
«Conosco poco e niente di Morgana. Mi spaventa molto di più perdere te, che perdere lei.» disse Lancelot, stringendosi nelle spalle.
Guinevere abbassò lo sguardo, e lui la vide arrossire lievemente. Sorrise, e le diede una pacca leggera sulla schiena.
«Quindi che farai, a proposito di Arthuria?» domandò.
Guinevere sobbalzò; sbarrò gli occhi, e sotto le dita Lancelot sentì chiaramente un brivido violento provenire dal suo corpo.
«C-che devo fare?» replicò lei, rivolgendo lo sguardo altrove. «Basta, è chiusa. No? Non posso rivelarle i miei sentimenti, sarebbe tutto controproducente, scatenerei una catastrofe. Meglio che le cose rimangano così.»
«Ma state male entrambe!» esclamò Lancelot.
Guinevere sussultò. Era vero, e lo sapeva anche lei: Lancelot aveva visto sia lei conciata in quel modo, tanto che Cassandra non sapeva più che fare, sia Arthuria che aveva preso ad estraniarsi dal mondo intero; le poche volte che Lancelot l'aveva vista uscire dalla sua camera e si erano scambiati uno sguardo veloce, Arthuria aveva rapidamente distolto lo sguardo dal suo e si era allontanata a grandi passi senza voltarsi indietro.
Dubitava che ce l'avesse con lui, o anche con Guinevere: Arthuria non era il tipo. Le era stato insegnato di perdonare, perdonare sempre, tanto che ne aveva fatto qualcosa di simile a una religione. Semplicemente, si sentiva inadatta ad avere a che fare con loro: non voleva, e preferiva starsene da sola, in modo da non avere a che fare con qualcuno che  - ora lo sapeva – le ricordava fin troppo spesso il motivo per cui era venuta al mondo, e quello per cui aveva lottato per anni, per poi decidere di rinunciarvi.
Era spaventata, ed era una cosa assolutamente normale che lei non riusciva ad accettare, perché non era stata cresciuta per essere normale.
«Dovresti parlarle.» suggerì.
«No.». La risposta di Guinevere fu talmente lapidaria che Lancelot per qualche secondo rimase a fissarla, in cerca delle parole giuste da dire.
«Guinevere...»
«Lo so cosa intendi per “parlarle”, e la risposta è no, Lancelot.» affermò lei, perentoria. «Ti ho promesso che non le avrei detto nulla, e il fatto che tu mi abbia visto stare male per la cosa è solamente segno della mia debolezza. Non vi porrò rimedio parlandole di quello che provo per lei.» disse.
«Farebbe stare bene entrambe.»
«No, Lancelot. Lei è devota a una religione per cui quelli che provano i sentimenti che provo io nei suoi confronti sono considerati un abominio. Qualcosa da cancellare dalla faccia della Terra. Non la farebbe stare bene: al contrario, la confonderebbe ulteriormente sulla propria posizione, sul perché sono sempre stata al suo fianco, su quello che dovrebbe fare di me.»
Lancelot la osservò per qualche attimo. «Stai cercando di convincerti di questa cosa, vero?»
Guinevere assottigliò gli occhi, e Lancelot per qualche momento fu quasi sicuro che gli avrebbe dato quantomeno un pugno in risposta. Tuttavia, non ricevette nulla.
Aveva notato che il tono con cui aveva detto quelle parole era andato sfumando dal perentorio al rantolo trascinato di chi cercava di trattenere il pianto e le sue evidenze con una forza che non gli apparteneva. In quel momento sentì davvero l'impulso di metterle la mano sulla testa e di attirarla a sé, facendola accoccolare contro di lui per farla calmare; tuttavia, si limitò a passarle la mano avanti e indietro sulla spalla un paio di volte, e poi a staccarla da lei.
«Non voglio parlarle.»
«A mio parere, dovresti. Ma la scelta spetta a te, Guinevere; e sono sicuro che saprai decidere per il meglio.»
Guinevere si espresse in un sorriso chiaramente amaro. «La tua fiducia nelle mie capacità decisionali è mal risposta, visto quello che è successo.»
«A tutti capita di sbagliare.» minimizzò Lancelot, alzandosi e battendole la mano sulla spalla ancora una volta. «L'importante è provare a rimediare. E comunque non penso che Arthuria ti odierà per questo.»
Guinevere scosse la testa e si strinse nelle spalle. «No, certo, ho solo abbattuto quella poca fiducia che aveva nel non essere considerata solamente l'erede di Uther. Di sicuro non mi odierà.» considerò, con tono abbattuto. «Te ne vai?»
Lancelot annuì. «Penso ti serva un attimo di tempo per pensare a quello che vuoi fare. Senza di me.»
Guinevere lo fissò per un secondo, e sbatté le palpebre, sorpresa. Poi evidentemente riuscì a cogliere l'antifona, perché Lancelot vide i suoi occhi assottigliarsi lievemente e la sua testa abbassarsi con espressione contrita.
«O-okay.» la sentì biascicare. «A dopo, allora.»
Lancelot le rivolse un ultimo veloce sguardo, e sorrise amaramente. Si allontanò da lei, lasciandola sola e rannicchiata contro il muro.
 
Sapeva che Guinevere aveva capito, e sapeva che probabilmente non avrebbe dovuto lasciarla sola nel prendere una decisione così importante.
Ma aveva bisogno di riflettere e calmarsi.
Mettere in ordine le idee e realizzare quello che avrebbe potuto succedere.
Quello che non era successo.
Quello che era successo.
Erano troppe informazioni, tutte insieme, e a un certo punto aveva quasi sentito la testa scoppiargli per tutte quelle rivelazioni improvvise.
Morgana aveva quasi ammazzato Guinevere. Lui era stato innamorato per anni di una donna che odiava la sua migliore amica al punto da tentare di eliminarla a sangue freddo da un momento all'altro.
Avrebbe tentato di farlo di nuovo? E perché? Perché Guinevere non gli aveva detto di cosa si trattava? Capiva il terrore che poteva avere dopo quello che era successo con Morgana, ma per arrivare a non dirglielo probabilmente era qualcosa di estremamente compromettente.
Come faceva Guinevere a saperlo e lui no?
Perché Guinevere non gliene aveva mai parlato, prima?
Perché proprio Guinevere  lo sapeva?
E come aveva fatto Morgana a scoprire che Guinevere lo sapeva? Se si trattava di un'informazione così pericolosa, Guinevere non se la sarebbe lasciata facilmente sfuggire. Era incosciente, alle volte, ma non così tanto. Sicuramente lo era meno di lui e Arthuria messi insieme, perciò come?
Ma soprattutto, di che razza di donna si era innamorato? Per anni era morto dietro Morgana, per anni aveva creduto che avesse qualcosa di buono, per anni aveva per quello sottovalutato i suoi atteggiamenti nei confronti di Guinevere. E ora, quello.
Se solo non fosse stato così stupido da minimizzare l'odio che Morgana provava per Guinevere come una semplice gelosia dovuta al rapporto molto stretto che Morgana aveva sempre avuto con...
Spalancò gli occhi.
Non era Lady Igraine, ma Morgana.
Morgana aveva assunto le sembianze di Lady Igraine solamente per fare in modo che Arthuria acquisisse della fiducia in sé stessa tale per cui avrebbe potuto imparare la magia e, quindi, sarebbe stata una possibile candidata all'estrazione di Caliburn. Aveva assunto un ruolo complicato solamente per quello, quando avrebbe potuto parlarle semplicemente come sorella e spingerla a fare di più.
E la reazione che aveva avuto verso Guinevere appena l'aveva conosciuta...
Gelosia.
No, una cosa del genere era assolutamente da pazzi.
Stava degenerando. Era ancora semplicemente troppo sconvolto dal rischio di ritrovarsi con Guinevere morta da un momento all'altro, stava vaneggiando.
Però quale altro motivo avrebbe potuto avere per tentare di fare fuori Guinevere, se non...?
No. No, era assurdo.
Morgana aveva un atteggiamento morboso nei confronti di Arthuria, e nessuno lì lo avrebbe mai negato. Ma era semplicemente perché era molto affezionata ad Arthuria, e visto il rapporto praticamente nullo di Arthuria con Lady Igraine, Morgana si era ritrovata ad essere sorella e madre, per lei. Era un legame molto stretto. Un rapporto del tutto normale.
Poteva essere, però, che in virtù di quello, Morgana avesse cercato di essere protettiva con Arthuria e per quello avesse tentato di ammazzare Guinevere? Ma protettiva per cosa?
Sbatté le ciglia, quando si ritrovò davanti una chioma bionda e disordinata che conosceva fin troppo bene.
Arthuria, vedendo la sua ombra proiettata davanti a sé, alzò lo sguardo dal gattino che stava vezzeggiando.
Lancelot vide i suoi occhi azzurri sbarrarsi, quando lo vide, e il suo intero corpo irrigidirsi. Era quasi sicuro dal suo sguardo, simile a quello di un animale braccato, e dalla tensione dei muscoli delle sue gambe, che volesse fuggire di lì e stesse valutando mentalmente la migliore direzione da prendere.
La osservò per qualche secondo. Era trasandata, più che disordinata: di certo non aveva il portamento e la compostezza che ci si aspettava da un membro della famiglia reale. Aveva un'espressione chiaramente provata in viso, e dei segni scuri sotto le palpebre inferiori, visibile segno di quanto avesse pianto. O quantomeno dormito male, per via dell'essere stanca e agitata per tante cose.
Valutò per un istante la decisione da prendere. Non voleva che scappasse, ma era sicuro che se lui si fosse avvicinato di più di quanto già non fosse – ed era già fin troppo vicino a lei – Arthuria sarebbe scattata e sarebbe corsa via più veloce di un fulmine, perché non voleva affrontare nessuno.
Abbassò lo sguardo sul gattino, che nel frattempo era rimasto fermo ad aspettare che le dita della mano destra di Arthuria riprendessero ad accarezzarlo sotto il collo come stavano facendo prima che lei lo notasse. Si abbassò cautamente, evitando di guardare lei negli occhi, e allungò una mano in direzione del gatto, schioccando la lingua per attirare la sua attenzione e farlo muovere verso di sé.
Captò con la coda dell'occhio lo stupore di Arthuria, il suo corpo che si rilassava quasi impercettibilmente, la sua testa voltarsi a osservare la reazione del gatto; le sue dita si allontanarono dal suo pelo, quando lui, dopo un lungo attimo di esitazione, si avvicinò a Lancelot e si lasciò accarezzare.
Continuò a non guardarla, e vide indistintamente che lei si rilassava di più, e lasciava cadere la mano destra lungo il fianco, per poi appoggiare la schiena contro il muro del vicolo in cui si era nascosta e che Lancelot aveva preso come scorciatoia verso casa. Udì un flebilissimo sospiro da parte sua, e poi un suo lento alzarsi in piedi.
«Arthuria.» la chiamò Lancelot, a bassa voce.
Lei si irrigidì, di nuovo. Lancelot sollevò lo sguardo, e incrociò il suo.
Terrorizzato. Era quello di un animale fin troppo prossimo a incontrare la morte per via della freccia di un cacciatore.
La vide rabbrividire lievemente, e per quanto desiderasse prenderla per il polso e trattenerla lì, non lo fece. L'avrebbe solo spaventata, e avrebbe solamente ottenuto l'effetto contrario – quello di farsi prendere a calci da lei e di vedersela scappare da sotto le dita.
«Possiamo parlare, per favore?» domandò Lancelot, piano. Arthuria sussultò, e Lancelot proseguì prima che potesse essere troppo tardi. «Solo per poco.»
Arthuria esitò e distolse lo sguardo dal suo. «Di cosa... dovremmo parlare...?»
Lancelot la osservò per qualche secondo: aveva mille domande da farle, e una grande confusione in testa su quale farle per prima. Avrebbe voluto parlare di Guinevere, di cosa provava per lei, di cosa fosse successo tra loro due; capire cosa stesse pensando, in modo da dare loro un consiglio per risolvere la situazione; darle quella fiducia necessaria a riprendere a competere con lei per Calib...
La spada.
A casa di Cassandra c'era ancora la spada di Arthuria.
E qualunque domanda volesse farle, sarebbe stato meglio che gliela facesse Guinevere e che chiarissero direttamente. Mettersi in mezzo e fargliele per conto proprio avrebbe rischiato di dare ad Arthuria una visione distorta della situazione, con la probabile conseguenza di farla chiudere di più in sé stessa.
Sospirò. Era l'unico modo in cui potesse aiutarla, probabilmente.
«Vorrei che tu mi parlassi di cos'è successo tra te e Guinevere.» disse con tono dolce, tornando a rivolgere le proprie attenzioni al gattino, che al suo tocco dietro le orecchie iniziò a fare le fusa. Sentì Arthuria trasalire e trattenere il fiato per qualche secondo, e sorrise debolmente, amareggiato da quella sua reazione. «Ma, dal fatto che tu sia scappata da me per giorni, intuisco che...»
«Non stavo scappando.» ci tenne a puntualizzare Arthuria.
Lancelot la guardò in tralice. «Dunque cosa stavi facendo?»
Lei rimase in silenzio e lo guardò per un attimo negli occhi; poi, arricciò le labbra in una smorfia. «Non... non stavo scappando.» disse, con voce flebile.
Lancelot intuì quale fosse il senso di quell'affermazione. Arthuria doveva essere forte, sempre: e per quello non poteva scappare. Sorrise lievemente e sospirò di nuovo, prima di annuire.
«D'accordo, allora... non abbiamo trovato un'occasione adatta per parlare da soli.» l'assecondò. «Vorresti parlare, quindi?»
Arthuria si strinse nelle spalle, lo sguardo ancora altrove, rispetto a lui.
«Non prenderò le difese di Guinevere, Arthuria.» la incalzò Lancelot. «Ma non prenderò nemmeno le tue. Piuttosto, starò ad ascoltare le vostre versioni e aspetterò che sistemiate questa faccenda tra di voi, se si può sistemare.»
Arthuria incassò di più il viso nelle spalle, come a volersi difendere da qualcosa. Da un suo eventuale giudizio negativo su quello che aveva fatto, forse.
Lancelot sorrise di nuovo. Prese in braccio il gattino, si sollevò in piedi e se lo mise sulla spalla, per poi iniziare a coccolarlo mentre la guardava dall'alto.
«Altrimenti...» aggiunse. La vide sussultare, e voltare debolmente il viso verso di lui, fino a far incrociare i loro sguardi. L'aver ottenuto la sua attenzione in effetti era un enorme risultato. «Dato che non mi sembri molto propensa a piangere o a parlare, posso sempre darti un altro modo per sfogarti.»
«Un altro...?» azzardò Arthuria, confusa.
Lancelot sorrise ed estrasse la propria spada dal fodero, per poi lanciarla davanti a lei.
La vide osservarla per qualche istante, con un'espressione confusa in viso. Poi, tornare a guardare lui, con mille domande stampate in viso.
«Conosco un paio di posti abbastanza appartati in cui potremmo combattere per conto nostro, senza che nessuno, inclusa Guinevere, ci disturbi.» spiegò lui. «E per vivacizzare i nostri confronti, visto che non riusciamo a smuoverci dalla parità da mesi, ci scambieremo le armi. Tu userai la mia spada, e io userò la tua.»
Arthuria osservò per qualche istante la spada; poi allungò le dita verso l'elsa, e la prese tra di esse.
«Non... non so se sono in grado di...» azzardò Arthuria.
Lancelot inarcò un sopracciglio. «Oh, beh. Vorrà dire che il pareggio si smuoverà a mio vantaggio.»
«Non ho mai usato la tua spada...»
«E io non ho mai usato la tua.»
Arthuria lo fissò per qualche attimo. Poi storse la bocca, contrariata.
«Arthuria, con la tua aura negativa allontani persino i gattini da te.» disse Lancelot. «Quindi, dal momento che suppongo che non ti sia rimasto nemmeno questo da fare durante la giornata, ci vediamo davanti a casa di Cassandra tra un'ora.»
Arthuria fece una smorfia, a quell'ordine, probabilmente più per il luogo d'incontro che per il suo ordine che non lasciava spazio alle repliche.
«Qualcosa in contrario?» domandò Lancelot, con tono di sfida.
Arthuria si strinse nelle spalle. «No.» mugugnò.
Sospirò in maniera quasi impercettibile. Non aveva ancora perso quell'abitudine di farsi dare ordini dagli altri, e di pensare che quello che gli altri dicevano fosse inequivocabilmente giusto, mentre quello che diceva lei fosse molto probabilmente sbagliato. «Bene.» acconsentì. «Ci vediamo tra un'ora da Cassandra, allora.»
Fece appena in tempo a vedere Arthuria annuire debolmente; poi si diresse a grandi passi verso casa.
 
 
 
Credeva di essere puntuale. Non ne era sicura, in realtà, dato che quando aveva alzato lo sguardo aveva visto il sole spostato rispetto a prima, e si era maledetta per aver perso tutto quel tempo a riflettere a vuoto senza arrivare a una conclusione.
Le capitava spesso, in quel periodo. Era come se lei volesse mettere i suoi pensieri in un cassetto e iniziare a pensare ad altro, ma la sua mente in qualche modo non si chiudesse a dovere e glieli ributtasse tutti fuori, più alla rinfusa di prima.
In realtà non le importava nemmeno di combattere. Aveva corso per non arrivare in ritardo, perché sarebbe stato scortese nei confronti di Lancelot, ma se avesse potuto avrebbe trascinato i piedi fino alla casa di Cassandra. Anzi, molto probabilmente non sarebbe neanche andata fino a lì: c'era il rischio di incontrare Guinevere. E non voleva incontrarla. Voleva starle alla larga il più possibile.
Anche se, vederla solo per un attimo, forse non sarebbe stato...
No. Che motivo aveva di rivedere una persona che l'aveva ingannata per tutto quel tempo?
Quella che aveva conosciuto non era la vera Guinevere. Aveva solo creduto di conoscerla, per tanti anni. Troppi.
D'improvviso, rallentò. Era a pochi metri dalla casa di Cassandra, e per un attimo si chiese se dovesse davvero andare fino a lì. Poteva rifiutarsi. Poteva non presentarsi all'appuntamento di Lancelot. Poteva semplicemente lasciar perdere, far cadere la spada da qualche parte e andarsene per conto proprio. Sarebbe stato scortese, ma... chi le assicurava che anche quella di Lancelot non fosse tutta una montatura?
Sollevò lo sguardo verso la dimora della maga, la presa sull'elsa che vacillava. Lancelot uscì proprio in quel momento, parlando amabilmente con Cassandra di chissà cosa.
Era tutto così... diverso, da come si sentiva dentro.
Odiava quelle espressioni tranquille e sorridenti. Avrebbe voluto averne una anche lei, ma non poteva, non ci riusciva; perciò, non le rimaneva che odiarle. Odiare lui, perché nonostante dicesse di essere suo amico era così tranquillo e sembrava non le importasse del suo dolore; odiare Cassandra, semplicemente perché non sembrava turbata da quella situazione, come non sembrava mai turbata da nulla; e soprattutto, odiare Guinevere, che probabilmente rideva alle sue spalle, come se non fosse successo nulla.
Assottigliò gli occhi, quando Lancelot sollevò lo sguardo e la vide.
Durante un lungo attimo, vide le sue palpebre spalancarsi.
Per un lungo attimo, percepì l'elsa della spada scivolare lungo le proprie dita.
Poi, il tonfo della lama di metallo sull'erba.
Scattò, correndo dalla direzione da cui era venuta.
Era più veloce di Lancelot. Era sempre stata più veloce di lui.
Lancelot non sarebbe riuscita a raggiungerla.
Per un attimo, sentì la familiare sensazione del senso di colpa montarle al centro dell'addome.
Poi, la scacciò.
Che senso aveva sentirsi in colpa, quando non doveva più nulla a nessuno? Non aveva obblighi nei confronti di nessuno. Non doveva rendere conto a Lancelot: non era stata lei a decidere di voler combattere. Aveva fatto tutto lui. Non le aveva chiesto se volesse, e non le aveva lasciato possibilità di scelta. Aveva ordinato, e basta.
Non sarebbero stati più amici, probabilmente.
Non era importante.
Saettò dentro il castello, e si infilò velocemente tra i corridoi meno frequentati dalle domestiche.
Nessuno l'avrebbe interrotta, ora.
Nessuno le avrebbe detto cos'era giusto fare e cosa non lo era, ora.
Nessuno l'avrebbe fatta sentire in colpa.
Si fermò in uno stretto corridoio, e si appoggiò con una mano alla parete di pietra. Trasse un profondo respiro, cercando di regolarizzare il respiro che si era fatto corto per via di quella corsa forsennata.
Per un attimo, davanti ai suoi occhi vi furono solo le fredde pietre del pavimento del castello di Tintagel.
Per un attimo, la sua mente fu vuota.
Libera.
 
 
Lancelot osservò con la coda dell'occhio il luccichio della lama della propria spada. In realtà, il suo sguardo era più concentrato a osservare la schiena di Arthuria mentre correva in maniera forsennata chissà dove.
Stava scappando.
No, non era solo quello.
Per un attimo nei suoi occhi aveva visto qualcosa che l'aveva immobilizzato sul posto, e gli aveva impedito di continuare il dialogo che stava avendo con Cassandra sulle condizioni di Guinevere, e su quando si sarebbe ripresa.
Negli occhi di Arthuria c'era rabbia.
Non era mai stata arrabbiata in quel modo, da che ricordasse. In quei non comuni momenti in cui si era opposta a qualche osservazione che gli era stata fatta, aveva abbassato la testa in segno di sconfitta pochi minuti dopo averla alzata, sottostando a qualcosa che non era sicura fosse giusto.
In quel momento, invece, era una rabbia definitiva.
Arthuria aveva deciso che qualcosa – che fosse la sua imposizione, o il luogo dell'incontro, o entrambe le cose; non importava – era sbagliato per lei e aveva agito di conseguenza, senza pensare alle ripercussioni che la sua azione avrebbe avuto.
Era spaventata, ma... al tempo stesso, aveva alzato la testa.
Ghignò lievemente, mentre andava a recuperare la spada caduta a terra.
Sperava di far liberare Arthuria dalle proprie preoccupazioni durante il duello; sperava di farla riuscire a parlare e sfogarsi, una volta che fosse stata sfinita dallo scontro.
Ma, forse, andava bene anche così.
«Che le è preso?» domandò Cassandra, mentre lui tornava sulla porta di casa. Aveva un'espressione impensierita, che si accigliò ulteriormente a vedere il sorriso che Lancelot aveva ancora sulla faccia.
Lancelot si voltò per un attimo a osservare il punto in cui Arthuria era sparita. Poi, tornò a guardare Cassandra con un sospiro.
Con la coda dell'occhio, vide Guinevere sulla porta. Era rimasta lì per tutto il tempo, nascosta agli occhi di tutti, a sporgersi appena per vedere Arthuria dopo tanto tempo. Era parecchio inquieta anche lei, alla sua reazione; e Lancelot la vide aggrottare le sopracciglia quanto e più di Cassandra, quando vide il sorriso che lui fece.
«Arthuria è cresciuta un poco, ecco tutto.» fu la sua semplice risposta, mentre rientrava in casa.
 
 
Le palpebre stavano diventando pesanti. Il fiato era di nuovo regolare: l'aria le riempiva il petto e piano usciva. La pietra era umida e fredda sotto il palmo della mano. Le gambe tremavano per la corsa forsennata.
C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che aveva fatto. Forse. Forse no, forse aveva solo fatto ciò che era giusto. No, come poteva essere giusto scappare a quel modo da una persona che aveva persino assistito alla sua fuga da lei? Come poteva essere giusto, con un amico?
Probabilmente non sarebbero più stati amici, ora. Come poteva perdonarla, Lancelot?
Sentì un brivido lungo la schiena.
Era di nuovo sola.
Per un attimo nella sua mente vi fu il vuoto.
Poi, sentì la mano scivolare lungo il muro.
Voltando involontariamente la testa, intravide il palmo, e l'intero braccio.
Stava tremando.
Con un'analisi più attenta, si accorse che il proprio intero corpo stava tremando.
C'era un senso di pesantezza alla pancia, proprio sotto il cuore.
Gli occhi pizzicavano.
La gola bruciava.
E poi, un lungo suono di tromba riempì l'aria.
Spalancò gli occhi, e sollevò di scatto il capo.
Non era un allarme.
Era una fanfara gioiosa e trionfante, creata non da una sola tromba, ma da più trombe e corni che si univano tra loro. Era come se alcuni fiati chiamassero, e altri rispondessero al richiamo con suoni ancora più alti e vivaci.
Si voltò verso l'entrata del castello, proprio dietro di lei. Davanti ad essa si era già raccolto un gruppo di persone, prevalentemente donne, che parlavano con toni concitati.
Parevano felici.
Si concentrò di nuovo sulle note che vibravano nell'aria.
Parlavano di vittoria, e di un ritorno glorioso.
Senza nemmeno farvi caso, si avvicinò al capannello di persone davanti all'entrata, e guardò verso l'esterno.
Le bandiere col simbolo della Britannia svettavano imponenti sopra le torrette.
Le persone si scambiavano abbracci e parole eccitate; alcune sventolavano la bandiera britannica.
Le sentinelle suonavano trombe e corni senza fermarsi.
Arthuria sgranò gli occhi, quando vide l'uomo a capo dei soldati.
Aveva i capelli neri, la barba era scura e scarmigliata. Gli occhi azzurri guardavano in basso verso i suoi sudditi, mentre lui teneva la testa alta, e portava con fierezza la sua corona d'oro sulla testa.
Uther Pendragon era tornato.
 

 
Le vicende
Malory, nel suo “Le Morte d'Arthur”, riporta che Arthur venne dato in custodia a Sir Ector subito dopo la nascita, e che Uther morì di malattia due anni dopo la sua nascita, subito dopo una vittoria contro le schiere del Nord. Prima di morire, diede la benedizione al fatto che Arthur potesse diventare suo erede al trono.
  
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