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Autore: Shadow writer    19/08/2016    2 recensioni
«Detective Graham» lo salutò freddamente la donna.
«Mi sembra che meno di un'ora fa, mi augurava a "Mai più rivederci"» replicò lui ironicamente.
«Già e ci speravo con tutto il cuore» fece lei «Mi hanno detto che mi avrebbero fatto parlare con il migliore, ma ci dev'essere stato un errore» la donna fece per uscire, ma il detective la frenò, facendo un passo verso di lei.
«Aspetti» la richiamò «Lei si trova nel posto giusto. Se vuole ritrovare il suo fidanzato, deve fare affidamento su di me»
La donna lo scrutò, da sotto le palpebre socchiuse, con aria guardinga.
Era entrata nella centrale due ore prima, preoccupata, sperando che qualcuno la rassicurasse, dicendole che se ne sarebbero occupati loro, ma si era ritrovata faccia a faccia con quel detective dall'aria baldanzosa, che non aveva perso occasione per rivolgerle seccanti frecciatine senza migliorare minimamente la situazione.
«Lei è l'unico detective disponibile?» domandò, scrutandolo.
Graham le rivolse un sorrisetto storto: «Non l'unico, ma il migliore»
Genere: Mistero, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1_ L'inizio


 
 
La mano aperta sbatté con violenza sulla scrivania mentre la proprietaria si sporgeva verso la segretaria seduta al di là.
«Possibile che nessuno qui sappia fare il proprio lavoro?» sbottò violentemente, con gli occhi grigi che mandavano lampi.
«Pretendo di parlare con qualcuno di competente!»
«Il detective Graham sarà sicuramente in grado di aiutarla, signorina» rispose il più gentilmente possibile la segretaria «Perché non prova a parlare con lui?»
«Il detective Graham?» ripeté l'altra con una smorfia «Sono qui da due ore e quell'uomo non ha saputo far altro che rivolgermi commenti sarcastici ed arroganti. Voglio parlare con qualcuno di competente!»
«Signorina, posso chiederle di calmarsi?» continuò senza scomporsi la segretaria.
«No, non può chiedermelo!» replicò l'altra risoluta, poi prese un respiro profondo e quando parlò, cercò di farlo con un tono ragionevole: «Senta, il mio fidanzato è scomparso da due giorni e io ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a ritrovarlo. Penso che una centrale di polizia sia il posto adatto, no?»
C'era una forte vena di amaro sarcasmo nelle sue ultime parole, ma la segretaria finse di ignorarlo.
Afferrò la cornetta del telefono e, mentre digitava il numero, disse alla donna: «Ora chiedo che le sia permesso di parlare con il miglior detective»
Rinunciò di chiederle di aspettare seduta, perché sapeva che non l'avrebbe fatto, e spiegò velocemente la situazione dall'altro capo del telefono.
«Va bene, grazie» concluse, poi si rivolse nuovamente alla propria interlocutrice, che non le aveva mai staccato gli occhi grigi di dosso: «Qualcuno la sta aspettando nella stanza cinque. Prenda il corridoio a destra, la terza porta»
«Grazie» la donna ringraziò con un cenno del capo e, sistemandosi la borsa sulla spalla, si avviò dove le era stato indicato, con il sollievo della segretaria.
Attraversò la sala, imboccò il corridoio luminoso e si fermò davanti alla terza porta di legno chiaro.
Dopo aver bussato, attese che le venisse detto di entrare prima di farlo.
All'interno della stanza, non molto ampia, era sistemata una scrivania, perpendicolare alla porta.
Da entrambi i lati del tavolo c'erano le stesse sedie di metallo dall'imbottitura sottile, ma l'unica altra persona presente se ne stava in piedi e guardava verso la porta.
Si trattava di un giovane uomo dai capelli chiari, mascella definita e alta statura. Indossava una giacca di pelle, maglia scura e jeans sbiaditi.
«Detective Graham» lo salutò freddamente la donna.
«Mi sembra che meno di un'ora fa, mi augurava a "Mai più rivederci"» replicò lui ironicamente.
«Già e ci speravo con tutto il cuore» fece lei «Mi hanno detto che mi avrebbero fatto parlare con il migliore, ma ci dev'essere stato un errore» la donna fece per uscire, ma il detective la frenò, facendo un passo verso di lei.
«Aspetti» la richiamò «Lei si trova nel posto giusto. Se vuole ritrovare il suo fidanzato, deve fare affidamento su di me»
La donna lo scrutò, da sotto le palpebre socchiuse, con aria guardinga.
Era entrata nella centrale due ore prima, preoccupata, sperando che qualcuno la rassicurasse, dicendole che se ne sarebbero occupati loro, ma si era ritrovata faccia a faccia con quel detective dall'aria baldanzosa, che non aveva perso occasione per rivolgerle seccanti frecciatine senza migliorare minimamente la situazione.
«Lei è l'unico detective disponibile?» domandò, scrutandolo.
Graham le rivolse un sorrisetto storto: «Non l'unico, ma il migliore»
«Anche il più arrogante, immagino» mormorò lei a voce troppo bassa perché potesse comprenderla, ma abbastanza alta perché l'altro intuisse il concetto della lamentela.
«Si accomodi» le fece cenno di prendere posto di fronte a lui, mentre faceva altrettanto.
La donna obbedì e si sedette insieme al detective.
«Credo che per questioni di praticità, sia meglio ridurre i convenevoli tra noi. Posso darti del tu, giusto?» continuò l'uomo e l'altra annuì in modo secco.
«Bene, il tuo nome e cognome?»
«Tess Graves»
«Hai detto di essere qui per la scomparsa del tuo fidanzato, giusto?»
«Sì. Due giorni fa non è tornato a casa la sera, così ho pensato si fosse trattenuto in ufficio per lavoro. La mattina non è tornato e anche se ero preoccupata, ho pensato fosse uscito presto. L'ho chiamato per tutto il giorno e quando anche ieri sera non è tornato, ho cominciato ad essere seriamente in pensiero»
«C'è qualcuno che avrebbe avuto motivo di rapirlo?»
«Assolutamente no!» rispose la donna «Ma la sua famiglia è benestante, quindi qualcuno potrebbe pensare di arricchirsi con un riscatto»
Il detective la guardava fisso negli occhi, senza perdersi una parola.
«Non prende appunti?» domandò la donna trapassandolo con lo sguardo.
L'uomo si portò l'indice alla tempia e picchiettò: «Io ho questo e, per ora, funziona piuttosto bene. Torniamo al fidanzato scomparso. C'era un fidanzamento ufficiale tra voi?»
La donna sussultò, sorpresa dalla domanda: «No, ma ero certa che mi avrebbe chiesto la mano da qui a poco. Non faceva che parlare del nostro futuro insieme e di tutte le cose belle che avremmo potuto fare»
«Mmh...da quanto vivete insieme?»
«Dieci mesi»
«E da quanto vi frequentate?»
Tess ebbe una leggera esitazione, poi rispose: «Abbiamo cominciato quattro anni fa...»
«Ma non è stata una relazione continua» indovinò il detective con una smorfia.
La donna scrollò le spalle: «Ci sono stati alcuni momenti di...pausa, ma molto brevi, non più di dieci giorni»
«Capisco» commentò l'altro, celando nella replica molti sottintesi.
La donna si agitò sulla sedia: «Quindi?»
«Tu cosa ne pensi?»
Lei parve spaesata dalla richiesta, poi abbassò lo sguardo, lo rialzò e infine parlò: «Io...non saprei. Elliot non aveva alcun motivo per volersene andare, è questo che mi preoccupa»
Il detective si alzò in piedi: «Bene, andiamo a dare un'occhiata all'ultimo luogo che ha visitato, secondo ciò che sappiamo: l'ufficio»
«Non mi fa altre domande?» chiese Tess sorpresa.
Lui scrollò le spalle: «Preferisco verificare prima le cose di persona. Qualsiasi tuo giudizio potrebbe essere alterato d influenze esterne, io voglio oggettività»
«Come vuole, detective» replicò lei alzandosi in piedi a sua volta.
L'uomo si voltò, lanciandole uno sguardo tra le ciglia lunghe: «Chiamami Harrison»
Dieci minuti più tardi erano in strada, a bordo della rossa Oldsmobile 88 del detective, alla volta dell'ufficio.
«Elliot Hooper è un pubblicitario, giusto?» domandò Harrison, alla guida, senza togliere lo sguardo dalla strada.
Tess annuì: «Più che altro si occupa di contattare giornali, stazioni radiofoniche, reti televisive»
«Mmh»
«Ecco, l'edificio è questo» la donna indicò una costruzione moderna che si elevava a destra della strada. Ruotò il volante e s'infilò nel parcheggio davanti agli uffici.
Dopo aver sistemato l'auto, i due si avviarono verso l'ampia porta a vetri.
Al di là di essa si apriva un atrio luminoso con una scrivania esattamente di fronte all'entrata. Una segretaria li accolse sorridendo: «Buon giorno, con chi avete appuntamento?»
Il detective mostrò il distintivo e senza parlare si diresse a grandi passi verso le scale.
Tess lo seguì a ruota, senza protestare e tre rampe dopo giunsero a destinazione. 
«Qual è il suo ufficio?» domandò Harrison, voltandosi leggermente verso la donna.
«Ultima porta del corridoio a sinistra» 
Il detective si diresse dove indicato, bussò leggermente sulla porta, e quando nessuno rispose, s'introdusse indisturbato all'interno.
Tess si guardò attorno, ma nessuno sembrava aver notato la loro intrusione, così seguì l'uomo chiudendosi la porta alle spalle.
L'ufficio di Elliot era una stanza piccola, ma ben arredata, con una scrivania sistemata di fronte alla porta e i pochi scaffali addossati alle pareti.
Tutto era in ordine e non lasciava presagire nulla di sospetto, anzi, sembrava che Elliot fosse sul punto di arrivare per svolgere la sua normale giornata lavorativa.
«Mmh...» fece il detective pensieroso, attraversando più volte la stanza a grandi passi e lanciando occhiate qua e là.
Tess lo seguì per qualche minuto con lo sguardo, fino a che lui si decise a parlare: «Il tuo fidanzato si è fermato in ufficio fino a tardi, diciamo almeno oltre alle undici»
«Cosa glielo fa credere?» domandò lei dubbiosa.
«La temperatura» replicò il detective rivolgendole uno sguardo che sembrava dire: "Non è ovvio?"
«Nel corridoio che abbiamo attraversato c'è una temperatura media di quindici, sedici gradi, mentre all'interno di questa stanza, è molto più alta, non l'hai notato?»
«In effetti» acconsentì lei, costretta a dargli ragione «Ma non capisco cosa c'entri questo con Elliot»
«È abbastanza semplice. Ho notato che il riscaldamento dell'edificio non è centralizzato, ma ogni stanza permette di regolarlo manualmente. Elliot si trovavo in ufficio quando la temperatura esterna ha cominciato a scendere e ha quindi regolato quella dell'ufficio di conseguenza. Suppongo per questo che fossero passate le undici. Dopodiché ha riordinato tutto ed è uscito, probabilmente soprappensiero, dimenticandosi di spegnere il riscaldamento»
Tess non replicò, ma aspettò che il detective aggiungesse altro.
«Il suo cellulare è un IPhone dalla cover blu?» domandò lui poco dopo.
«E questo come l'hai capito?» replicò lei sgranando leggermente gli occhi.
Il detective le rivolse un sorriso storto e sollevò il cellulare, posato accanto al computer.
Tess finse di riprendersi velocemente dalla figuraccia e commentò: «Questo significa che sarà più difficile rintracciarlo?»
L'altro annuì: «E conferma la tesi secondo cui fosse soprappensiero, a meno che non l'abbia lasciato intenzionalmente»
«Con quale scopo?» 
«Non ne ho idea, e non ne sono convinto, ma bisogna considerare tutte le possibilità»
Senza aggiungere altro, il detective uscì dall'ufficio, senza aspettare la donna, così che quando lei lo raggiunse, l'uomo stava già parlando con quello che riconobbe essere Jacob Stiles, nonché il responsabile di Elliot.
Il detective le fece cenno di seguirla e insieme si infilarono nell'ascensore che salì al quinto piano, dove si fermarono davanti ad una porta segnata da un cartello di divieto d'accesso.
Stiles batté due colpi sul legno e senza aspettare replica, aprì la porta.
«Si accomodi, detective» disse «Sono certo che loro sapranno come aiutarla»
Harrison lo ringraziò con un cenno ed entrò insieme a Tess.
Si trattava di una stanza scura, con una parete tappezzata di televisori in bianco e nero. La qualità delle riprese indusse la donna a pensare che si trattasse dei video di sorveglianza e non sbagliò.
Infatti, ad un ordine del detective, l'addetto della sicurezza, digitò qualcosa sulla sua piccola testiera e tutti gli schermi divennero neri per un istante, poi ricomparvero le immagini.
Le inquadrature erano le stesse, ma i luoghi deserti e scuri. In un angolo dello schermo era segnato l'orario, 22:01.
Il video scorse velocizzato, fino a che il detective non ordinò di fermarsi con un secco: «Stop»
I numeri segnavano le 11:48, quando le telecamere del corridoio ripresero Elliot uscire di fretta dal proprio ufficio e infilarsi nell'ascensore, all'interno del quale non c'erano però telecamere, così il filmato continuò quando l'uomo uscì nel parcheggio. Raggiunse a passi rapidi la propria auto, in una zona troppo buio per distinguere la sua figura. La sua auto emerse qualche secondo dopo dalle tenebre e sparì sulla strada.
«Questo non aiuta molto» commentò il detective con un sospiro.
«Torna indietro» ordinò poi all'addetto «E fammi rivedere la scena»
L'altro ubbidì prontamente.
«Aspetta!» esclamò ad un tratto Tess, mentre Elliot attendeva l'ascensore. La figura nelle riprese stava guardando diritta verso la telecamera, con la fronte corrugata.
La donna sentì lo sguardo del detective trapassarla, ma continuò a scrutare l'immagine.
«Va bene» aggiunse poi, facendo cenno all'uomo di proseguire.
Riguardarono le riprese altre quattro volte, ma non riuscirono a trovare nulla di più, o almeno nessuno ne fece parola.
Il detective Graham  ringraziò l'uomo della sorveglianza e tornò alla propria auto insieme a Tess.
Prima di salire a bordo, la donna gli lanciò una lunga occhiata, al di là della vettura e solo dopo qualche istante, si decise a chiedere: «Hai qualcosa da dire riguardo la nostra...visita?»
Il detective la guardò dritta negli occhi, con il sole che illuminava le sue iridi verdi, poi fece un cenno d'assenso: «Sì, ho qualcosa da dire. Il tuo fidanzato manca al lavoro da due giorni e il responsabile non sembrava preoccupato»
Tess resse quello sguardo penetrante che sembrava lasciare intendere molto più di quanto non avesse detto. 
Sospirò: «Hai ragione. Il padre di Elliot possiede tre giornali, il che è molto...vantaggioso per chi lavora come pubblicitario»
Sul volto del detective si dipinse il suo sorriso sghembo e sarcastico: «Questo è interessante...un figlio di papà»
Prima che l'altra potesse replicare, l'uomo si era già sistemato dietro al volante e lei fece solo in tempo a salire prima che l'auto partisse rumorosamente.
«Il dipartimento non fornisce un'auto di servizio?» domandò lei pungente quando furono usciti dal parcheggio.
Dallo specchietto notò un bagliore di divertimento negli occhi del detective: «Non parlare male del mio gioiello»
L'altra fece una risata secca, ma non aggiunse altro.
«La prossima tappa è il luogo in cui vive Hooper. Dopodiché non avrò più bisogno della tua consulenza, immagino che tu abbia degli impegni»
La donna non replicò, ma si limitò a guidarlo fino alla propria abitazione.
Il detective parcheggiò sulla strada accanto al piccolo ma curato giardino della casa e insieme si mossero verso la villetta. 
La costruzione non era grossa, ma considerando che era occupata da solo due persone, risultava molto spaziosa.
Era di colore bianco, con le ante di legno scuro e una veranda davanti alla porta d'ingresso. Nonostante alcuni elementi tradizionali, nell'insieme dava l'idea di un edificio moderno. Infatti l'interno era arredato in modo semplice ma secondo le tendenze del momento.
Tess condusse il detective nel salotto, una sala luminosa e ampia. L'uomo si fermò davanti alla perdete decorata con fotografie. 
La maggior parte ritraevano gli stessi soggetti: una donna sorridente, dai capelli castani e gli occhi grigi, accanto ad un uomo alto e biondo, anche lui sempre sorridente.
«Carini» commentò Harrison sottovoce, ottenendo una smorfia sul volto di Tess.
«Pensavo che fossi qui per ricavare indizi, non per criticare le nostre fotografie» replicò lei pungente. 
L'uomo si voltò leggermente, quando bastava per lanciarle un'occhiata rapida e far saltare lo sguardo da lei alle immagini.
«In realtà, questo fa parte del mio lavoro»
L'altra incrociò le braccia al petto e lo fissò.
Dovette attendere qualche minuto prima che il detective parlasse ancora.
Dopo aver esaminato ogni fotografia, si voltò verso di lei e la squadrò con le sue iridi verdi.
«Dimmi...come reagisce di solito Elliot alle difficoltà?»
Le labbra di Tess si schiusero e i suoi occhi si sgranarono in un'espressione di sorpresa. Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa, ma l'impazienza dell'uomo la spinse ad affrettarsi a rispondere.
«Lui...generalmente non ci sono mai state difficoltà» rispose.
«E quando c'erano?» insistette l'uomo.
Tess si strinse le braccia al petto, pensierosa: «Be', lui è piuttosto in gamba, quindi riesce a risolvere quasi tutto, ma...» esitò un istante, poi riprese: «Ricordo una volta, quando avevo saputo che c'erano stati dei problemi sul lavoro -ora non ricordo di cosa si trattasse precisamente- Elliot diceva che tutto andava bene, che non c'era nulla di cui preoccuparmi, ma io sapevo che non dormiva ed era molto nervoso»
«Però non ha mai voluto renderti partecipe della difficoltà, giusto?»
L'insinuazione del detective provocò una smorfia sul volto di Tess: «Io credo che più che altro volesse evitarmi preoccupazioni. Non mi sembra una cosa così cattiva»
Harrison si lasciò scappare una risata secca e irrisoria.
«Cosa significa?» domandò l'altra indispettita.
L'uomo le rivolse un sorriso sghembo: «Mi dispiace rompere la tua...dolce illusione, ma non era questo che spingeva Elliot a comportarsi così. Le immagini e il suo agire, sembrano rivelare un certo narcisismo nel tuo ragazzo»
«Narcisismo?» ripeté l'altra divertita «Chi non è un po' narcisista?»
Lo sguardo del detective si fece serio: «Non sto parlando di sciocchezze, ma di psicologia. Il narcisismo non comporta solo l'ammirarsi allo specchio, come la maggior parte degli ignoranti credono» lo sguardo di Tess diventò di ghiaccio all'udire quella frecciatina «Ma un vero e proprio modello di comportamento. La persona narcisista è piena di sé e si piace fisicamente quanto socialmente. Vuole avere successo e vuole che gli altri lo riconoscano per ciò che è. Quando è sulla cresta dell'onda, si sente euforico e travolge di entusiasmo tutti quelli che lo circondano. Quando insorge un problema, cerca di risolverlo di nascosto, evitando che chi gli sta vicino lo venga a sapere perché questo potrebbe portare delusione nei suoi confronti e non se lo perdonerebbe mai»
Quando il detective ebbe finito di parlare, Tess rimase in silenzio e lasciò che l'uomo vagasse per la stanza.
«Non c'è bisogno che tu lo dica a parole» commentò lui poco dopo «Il tuo silenzio mi sta dando ragione»
Lei imprecò in mezzo ai denti, perché l'uomo sembrava aver ritratto alla perfezione Elliot, eppure non voleva dargli la soddisfazione di sapere che aveva ragione.
«Non capisco cosa c'entri la psicologia con la sua scomparsa» commentò poi.
Harrison smise di camminare per il salotto e si fermò davanti a lei.
«La cosa più importante, per ora, è capire se il tuo ragazzo è stato costretto ad andarsene o l'ha fatto di sua spontanea volontà. So che ti risulta difficile credere a quest'ultima opzione, ma ovunque sia, si è portato con sé la macchina e il portafoglio, mentre ha lasciato il cellulare. Non ti sembra un po' sospetto?»
Tess scrollò le spalle, così l'altro aggiunse, abbassando la voce come se non volesse farsi sentire: «Se sai come pensa una persona, allora saprai anche come agirà»
Nessuno parlò per qualche istante, poi lui domandò: «Hai lasciato l'auto alla centrale?»
La donna annuì.
«Allora ti riporta là. Ora posso proseguire le indagine da solo»
lei annuì ancora: «Va bene, ma voglio essere informata»
L'uomo tirò le labbra in un sorriso storto: «Sarà fatto»
   
 
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