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Autore: Scemochiscrive    19/08/2016    0 recensioni
"Sara Collin si era appena abituata al suo nome, alla sua vita, al freddo di quell’Università e dopo tre anni, avrebbe dovuto cambiare tutto, un’altra volta? Tutta la sua esistenza, così insulsa, rispetto a quella vissuta nelle sue “vite precedenti”, tutta la sua sudata tranquillità, tutta quella calma apparente, quella normalità ostentata. Avrebbe dovuto cambiare maschera per l’ennesima volta? Il suo destino dipendeva nuovamente dalla volontà del burbero Nick Fury."
Cosa succede quando gli Avengers in persona hanno bisogno d'aiuto? Il destino dell'umanità è messo a repentaglio da un vecchio nemico che non muore mai. Per salvare il mondo c'è bisogno dei guerrieri più forti. Per salvare il mondo c'è bisogno di Sara Collin.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sara era ancora riversa sul suolo. Gli occhi semichiusi. Troppo stanca per aprirli, vedeva del sangue attorno a sé: una scia, che pareva diventare sempre più lunga, le toccava i capelli e il volto. “E’ la fine”, pensò, “Sono spacciata!” Eppure, non si sentiva davvero morta, solo un po’ stordita e quel sangue … quel sangue proveniva dalla parte sbagliata: non scorreva dal suo capo verso i piedi del suo assassino, ma in direzione opposta. La stranezza le fece pensare di essere totalmente uscita di senno: “Non può essere, deve esserci un errore. Forse, nell’Aldilà è questo il trucco: tutto sembra andare al contrario. Forse, la fisica non esiste e con essa nemmeno la gravità.”cercò di spiegarsi, ma la sua stanchezza era troppa e la mente troppo offuscata per pensare lucidamente.
«Stai giù!» le sussurrò una voce
«Non ti muovere!» urlò un’altra.
Erano amici o nemici quelli che le parlavano? Erano nella stessa squadra e cercavano di aiutarla o, semplicemente, tentavano di portarla con loro? Non riusciva a distinguere le figure; tutto quello che vedeva era un leggero e lontano bagliore. Le uniche cose che ricordava erano lo sparo, il colpo alla testa e due figure strane apparirle di fronte. Magari, erano solo i suoi incubi a manifestarsi in quel modo, come delle allucinazioni: un demone blu e … no, non poteva essere. Non poteva essere lui, quell’immagine, robusta e alta, che aveva visto; non dopo quanto si erano detti in quello spogliatoio. Era convinta di stare da qualche parte, nel mondo dei morti, tra diavoli e forconi e di non rendersene ancora conto. Beh, era evidente che stesse lì, nelle fiamme infernali, una col suo passato; d’altronde, non sarebbe mai andata in Cielo, tra cori melodiosi e angeli festanti. -Ammesso che ci fossero davvero un inferno e un paradiso e non fossero soltanto una solida, ma menzognera convinzione inculcata nella mente degli uomini, come pensava Sara.- La fatica di quelle cogitazioni le fece perdere anche le ultime forze rimastele. “Stai sveglia” si diceva “Forse non è tutto finito, forse puoi ancora farcela…” continuava, ma le palpebre diventavano sempre più pesanti e il respiro sempre più lento. Nata e morta sul terreno di guerra, questo avrebbero scritto sulla lapide, se l’avessero conosciuta per davvero. Nata e morta in un campo di battaglia. Nata per combattere, morta per vincere. Erano quelli i suoi ultimi attimi da eroina?
«Portala via da qui, vai da Fury!» ordinò al demone blu, la voce udita in precedenza.
Sara avvertì qualcuno prenderla tra le braccia, poi PUFF, vento freddo sbatterle dritto in faccia e capelli arruffati. Si sentiva come se stesse volando. Ecco, era la fine, la morte la portava via sulle sue grandi ali nere. Nemmeno un secondo dopo, però, quella strana sensazione si placò e si sentì, di nuovo, un essere umano e non più un’entità fatta di solo spirito.
«Finalmente siete arrivati. Entrate!» ordinò il proprietario di una voce profonda e preoccupata, che le era stranamente familiare.
 
«E questo sarebbe il vostro modo di proteggerla?» urlò l’uomo, ancora sporco del sangue nemico. A poco possono preparazione tecnica e mosse di karatè se l’avversario è un mutante, immortale, pronto a ridurti in brandelli. L’uomo ritrasse gli artigli per un attimo, il tempo di aiutare il Capitano, caduto in un piccola voragine, in cui un drone aveva poco prima scagliato una granata di blanda valenza, a rialzarsi. Per l’esplosione le sirene delle autovetture vicine erano impazzite e il suono esasperante giungeva alle orecchie dei combattenti come il corno, che usava indicare l’inizio della guerra, in tempi antichi.
«È necessario ucciderli tutti?» chiese Steve, mettendosi in piedi, non con poca fatica.
«Se non vuoi farti uccidere, Capitano. Decidi tu!» ribatté il mutante.
«Non è una strategia apprezzabile, dovremmo solo …» continuò il supersoldato, ma un uomo dell’H.Y.D.R.A cercò di coglierlo alle spalle, approfittando del momento di debolezza. L’avevano steso al suolo solo pochi minuti prima ed, ora, sembrava di nuovo fresco come una rosa, pronto ad iniziare il combattimento dal punto in cui era stato interrotto. Il nemico saltò alla gola del Capitano, il quale, prontamente, lo scaraventò con la schiena a tappeto e ci pensarono gli artigli insanguinati di Wolverine a concludere l’opera, tagliandogli la gola da parte a parte.
«Ecco cosa succede a lasciarli in vita: tornano sempre!» esclamò Logan, con l’aria di chi la sa lunga.
«Ehi, bestione, non sarò l’amore della tua vita, ma servirebbe una mano anche a me!» si udì dall’altra parte del ponte. Tony, ripresosi dall’iniziale assedio dei droni, pur col volto parzialmente tumefatto e senza più munizioni, aveva ripreso la sua naturale verve.
Il Capitano si precipitò al fianco dell’amico, lasciando da solo Wolverine a fare strage degli ultimi combattenti rimasti. Quelli che continuavano a sopravvivere, a dirla tutta, sembravano instancabili, come se quegli esigui minuti di pausa, li avessero ricaricati ancora di più, tanto da farli sembrare, agli occhi dei tre eroi, addirittura più forti di come li avevano lasciati. Tra questi, v’era l’uomo, pelato e dagli occhi artici, che Sara aveva riconosciuto durante il precedente combattimento. Egli sembrava davvero il più potente di tutti: forse, nemmeno l’azione combinata di Captain America, Iron Man e Wolverine lo avrebbe abbattuto. Era come se si fosse immerso nella fonte della vita eterna e della forza infinita. Proprio in lui si imbatté Logan. Il comandante del manipolo mandato dall’H.Y.D.R.A. cercò di svicolare tra vetture e cadaveri, per raggiungere la fine del ponte, tentare una fuga e avvisare i suoi superiori di quanto accaduto e della possibile posizione della ragazza. Lasciarlo libero avrebbe costituito un enorme pericolo per Sara; egli, infatti, l’aveva riconosciuta e ora ne distingueva l’aspetto, nonostante i mutamenti, acquisiti insieme alla nuova identità. La missione di Wolverine, si fece seria: eliminare chiunque si fosse avvicinato a Sara in quella circostanza, per sotterrare tutte le prove del suo passaggio lì. Il corpo della ragazza, intanto, era stato teletrasportato, da Nightcrawler, appena oltre il confine, per metterlo al riparo, dove Fury e i suoi si sarebbero presi cura di lei.
Wolverine, intese le mosse del comandante, avvertì gli altri due urlando: «Sta Scappando! Prendetelo!» Nessuno era mai fuggito dalle sue grinfie; di certo, non avrebbe permesso di tentare la fuga a un uomo che aveva tentato di uccidere la ragazza per la quale si era teletrasportato nel bel mezzo di un combattimento. Il Capitano, il più vicino dei tre all’uomo, non fece in tempo a mettere KO un soldato, che si trovò a rincorrere il fuggitivo, intraprendendo con lui un combattimento corpo a corpo. Un pugno poi un altro, il pelato sembrava inarrestabile. Anche il mutante li raggiunse, entrando nel vivo dell’azione, calciando l’uomo alle spalle. Costui, caduto a terra, si trovò immobilizzato tra due auto. Ormai, era all’angolo: quello era il momento di scagliare il colpo finale. Gli artigli di adamantio brillarono al sole, come quando, appena qualche minuto prima, Wolverine era apparso davanti a Sara, deviando con i suoi unghioni la pallottola ad ella indirizzata. Quegli stessi artigli si conficcarono, con immensa cattiveria, nel torace dell’uomo che comandava la squadriglia. La rabbia verso quel militare era così tanta che fu difficile per Logan controllare quante pugnalate infliggergli e quando, finalmente, fermarsi. Quando il mutante estrasse la mano dalle ferite, i brandelli del nemico si sparsero in giro. Finalmente, aveva eliminato il più forte dei guerrieri. Una volta venuto meno lui, tutti gli altri sarebbero caduti uno dopo l’altro, pensava. Purtroppo, come spesso accade, i pensieri arrivano a soluzioni che la realtà capovolge, infatti, davanti ai suoi occhi, il soldato dall’accento straniero si rialzò e le lacerazioni, pur essendo profonde, si ricucirono nel giro di pochi secondi. Rogers deglutì pesantemente: questo non se lo sarebbe mai aspettato.
«L’hai salvata una volta, non potrai farlo per sempre.» disse, con forte inflessione tedesca ed aria trionfante, mentre ogni ferita si annullava.
«L’ultima volta che ho sentito qualcuno parlare in quel modo, il tuo popolo ha perso la guerra ed è sprofondato nella miseria.» ribatté il Capitano, sferrando un nuovo colpo.
Il pugno non sembrò nemmeno sfiorarlo «L’H.Y.D.R.A. non ha mai perso; la vera battaglia è la creazione della perfetta razza umana. Voi ci combattete, ma non siete diversi da noi e anche la vostra amica, che ora chiamate Sara, un tempo era nostra amica.» A queste parole, Logan, preso da collera, sollevò il tedesco dal terreno con una sola mano, lasciandolo con i piedi penzolanti a mezz’aria, si sentì di nuovo l’inconfondibile rumore dei suoi artigli fuoriuscirgli con rapidità dalle nocche «Che c’è? Non lo sapevi? Non solo ci era amica, ma ci ha fatto anche tanto divertire con lei...» continuò, senza ritegno, mentre un sorrisino beffardo appariva sul suo volto «A voi no? Forse non siete i suoi tipi.»
Aveva oltrepassato ogni limite, il mutante d’adamantio gli si gettò letteralmente alla gola, mentre il Capitano gli copriva le spalle, lasciando sul campo di battaglia quelli che cercavano di aiutare il loro comandante. Anche Stark, riuscito finalmente a sconfiggere coloro che lo accerchiavano, si avvicinava al capannello, formatosi attorno a Wolverine e al suo nemico.
«Per lei, non sei stato né il primo né sarai l’ultimo.» Infierì il nemico, sapendo quali fossero i punti deboli del suo avversario, tanto forte fisicamente, quanto rabbioso, se si toccavano certi argomenti. E Sara e il suo passato erano, ovviamente, tra quelli.
Wolverine, infatti,ricordava bene in che condizioni Fury l’aveva trovata, quando, in una missione per sgominare una cellula dell’H.Y.D.R.A. , aveva scoperto dei laboratori sotterranei, in cui esseri umani, come cavie, venivano sottoposti ai peggiori esperimenti e usati come armi per la distruzione dell’umanità. Tutte le gabbie sembravano vuote, le porte spalancate, come se i prigionieri avessero deciso di scappare all’improvviso. Tutte, ma non una, che si trovava in una saletta ancora più isolata. Un soldato dell’associazione era in ginocchio davanti al lucchetto che chiudeva quella sudicia prigione, intento ad armeggiare per aprirla e portare con sé la bambina che vi era rinchiusa. Fury lo agguantò e sbattendolo a terra cercò di ammanettarlo, per portarlo al quartier generale e interrogarlo. A nulla valse torchiarlo per ore: appena  dopo l’interrogatorio, fu trovato morto nella sua cella. Cianuro, una capsula piccola come una capocchia di uno spillo, ma letale come il morso di un cobra. Meglio la morte che tradire la fiducia dell’associazione. Queste erano le regole e lui non le avrebbe mai trasgredite.
Del resto, Wolverine ricordava bene anche il giorno in cui fu chiamato da Xavier, quando Sara frequentava quello che sarebbe diventato, di lì a poco, il suo ultimo anno nella Scuola.
«Logan, siediti.» aveva detto il professore, voltato verso il grande balcone, che affacciava sul giardino antistante l’Istituto. Come facesse ad accorgersi di tutto, anche quando era totalmente rivolto verso un’altra direzione era un mistero che Wolverine, a volte troppo disattento per la smania di portare a termine eclatanti gesta, piuttosto che ascoltare spiegazioni, non avrebbe mai risolto.  «Allora, come stai?» gli aveva chiesto, ruotando la sua carrozzella in direzione di Logan, che, appena entrato, era rimasto impalato davanti alla porta, biascicando qualcosa come un “Bene” poco convinto.
«Accomodati.» lo aveva invitato, di nuovo, il prof.
Il problema dei colloqui per Wolverine era uno solo: il colloquiare stesso. Parlare, mostrarsi, farsi conoscere erano atti che proprio non riusciva a compiere.
«So cosa vuoi sapere, non è per nessuna delle … chiamiamole “marachelle” che combini, quando sei in azione, che ti trovi qui. Vorrei che lo fosse, Logan, ma è un discorso più serio.» aveva intrapreso la discussione Charles, mentre il suo silenzioso interlocutore si era accomodato sulla poltroncina rossa, davanti a lui. «Sono venuto a conoscenza di un interesse che nutri nei confronti di una nostra allieva, la qual cosa mi mette di cattivo umore. È severamente vietato questo tipo di comportamento da parte di ogni professore, in ogni scuola che si rispetti. Non importa il colore, l’età e le capacità dell’alunno. È un comportamento proibito e, come tale, molte e pesanti sanzioni gli si collegano. Passi il tuo amore non corrisposto per Jean, passi la tua rivalità con Ciclope e le modalità alternative che usi durante le lezioni, mandando all’aria i nostri principi, ma questo oltrepassa ogni confine. Ho scoperto di tale situazione prima che tu stesso te ne accorgessi e sono sempre stato qui, in silenzio, in attesa che tu me lo dicessi, ma nulla. Avrei voluto, non dico molto, una richiesta di incontro, due parole scritte su un bigliettino. Invece, niente.» aveva iniziato ad ammonirlo duramente il preside.
Wolverine, era restato lì seduto, con la sua espressione accigliata, come sempre «Nemmeno leggere i pensieri dei suoi insegnanti mi sembra un atteggiamento permesso altrove.» aveva, poi, ribattuto, lasciando che Charles scuotesse il capo vigorosamente, in segno di disapprovazione. «Se è questo quello che doveva dirmi, allora me ne andrò dalla scuola e dagli X-Men, come le sue sanzioni prevedono per la mia condotta.» aveva frettolosamente concluso Logan, mostrando la sua solita fierezza e scattando dalla sedia, per andarsene
«Logan, fammi finire. Siediti!» l’aveva ripreso il più anziano e l’altro, davanti ad un tono così perentorio, aveva eseguito, pur essendo contrariato. «Sai bene che, ormai, la voce è giunta a chiunque. Le inimicizie che le provocherà sono maggiori dei vantaggi, ammesso che ci siano vantaggi nello stare con un testone come te.» aveva scherzato. Poi, si era fatto, di nuovo, serio: «So perfettamente cosa questa storia significhi per te, ma non posso fare a meno di pensare all’interesse di quella giovane. Cecilia ha subito tante brutture, che non riesci nemmeno a immaginare. Il caso mi è stato affidato direttamente da Fury, è lui che l’ha trovata. Gli ordini dello S.H.I.E.L.D. erano di distruggere un intero edificio, covo dell’H.Y.D.R.A., ma quando vi entrarono,  trovarono un piano nascosto, un sotterraneo supertecnologico che celava esseri umani, divenuti esperimenti scientifici nelle mani di quei folli. Forse, conosci già questa parte della storia e sai che, quando è stata trovata, aveva l’aspetto di una ragazzina, appena tredicenne, mal nutrita, senza capelli, con indosso una specie di camicia di forza. Nick l’ha portata con sé al quartier generale, se ne è preso cura per anni. Le ha insegnato a leggere e scrivere nella nostra lingua, le ha dato un’istruzione e ha cercato di controllare i suoi poteri. Dopo tre anni, però, ha compreso che un elemento simile non poteva rimanere rinchiuso nel suo studio a New York: doveva essere portata in un luogo in cui avrebbe incontrato coetanei con simili capacità e avrebbe potuto migliorare e sviluppare le sue doti in modo più pieno. Ecco come è arrivata da noi, ecco i mille misteri su di lei, il silenzio sulla sua provenienza, la camera singola per evitare che qualcuno la infastidisse. Probabilmente, questo ti è stato già raccontato da lei o dalla tua amica Tempesta. Quello che non sai è che loro torneranno per venirla a prendere e se ciò accadrà sarà la fine per Cecilia e per il resto del mondo.»
 
Quelle parole gli continuavano a ronzare nella testa, la scena che aveva davanti agli occhi era nitida, sebbene, in quel momento di lotta, fosse difficile restare lucidi e usare il raziocinio. Il tedesco, infatti non mollava, anzi ribatteva ad ogni colpo. Wolverine continuava a picchiarlo con vigore, ma ogni ferita, ogni piccola lacerazione si richiudeva senza provocargli alcun danno. Anzi, sembrava che quel dolore gli influisse sul cervello, facendolo diventare ancora più potente e invincibile, più forte e borioso. Rideva -quasi- e quel sorriso indirizzava ancora più in alto l’ira di Logan, che considerava ogni sua minuscola parola come un macigno che gli schiacciava il cranio e gli stritolava il fegato.
«Dimmi che le avete fatto!» urlò continuando a pensare a quella conversazione passata.
 
«Che le hanno fatto?» aveva chiesto, quel giorno,  a Charles, alzandosi, ancora una volta, dalla sedia e scaraventandosi vicino alla scrivania, dietro la quale il telepate era seduto.
«Sono informazioni riservate, meno persone ne sono a conoscenza e meglio sarà per Cecilia. Non cercare risposte a domande inutili. Pensa al futuro, ormai il passato è incancellabile, ma tu pensa al suo bene. Manca poco, Logan, tra poco la troveranno e sarà impossibile lasciarla qui. Ti chiedo solo di proteggerla, come io ho promesso a Fury e a me stesso, il primo giorno in cui l’ho visitata.»
«Dimmi che le hanno fatto, Charles!» aveva urlato. Lo ricordava, ricordava bene, quella rabbia, quella paura che una parte di lei gli sfuggisse per sempre, che divenisse per lui impossibile comprendere chi fosse davvero la ragazza che lo attraeva così tanto.
«Ascoltami, ormai non puoi fare più nulla. Lei ne è uscita, per fortuna. Tu mi devi promettere che non le ricorderai mai del suo passato. La sua mente è come il vaso di Pandora, se lo rovesci nulla più avrà lo stesso senso, dopo. Sarebbe una catastrofe! E non fare l’eroe, non cercare risposte dove non ne troverai. Se apri quel varco buio, lei ne sarà risucchiata insieme a te e a tutti coloro che ama. Non farlo Logan, sarebbe il più grande dei tuoi errori.»
 
Il ricordo si interruppe a causa delle parole del comandante del gruppo: «Nulla che non volesse.» rispose «La tua ragazza, talvolta, è stata un po’ aggressiva, ma a noi piaceva così.» riprese il soldato. «Però, dopo un po’, non si dimenava neanche più!» concluse.
Un urlo di dolore fuoriuscì dalla gola del mutante. Non aveva bisogno di sapere altro; quelle piccole e feroci allusioni, quei sorrisini. Era tutto chiaro. Non necessitava di una piena confessione e, a dirla tutta, nemmeno la voleva; non voleva sentirselo dire. Il solo pensiero, il solo immaginare cosa succedesse in quella minuscola cella alla ragazza solitaria ed educata che aveva conosciuto, gli bastava. Preso dalla furia, Wolverine conficcò gli artigli di adamantio nel collo dell’avversario. Avvertì il sangue ribollirgli nelle vene come magma che fuoriesce da un vulcano. Iniziò, così, a premere il metallo sempre più in profondità, fino a vedere zampilli color rosso acceso uscire dalla giugulare dell’avversario.
«Hail H.Y.D.R.A.!» mugugnò il tedesco. Queste furono le sue ultime parole, dopo di che quegli unghioni gli  passarono attraverso il collo, recidendogli il capo pelato. Solo così Wolverine sarebbe stato sicuro di non rivedere il militare ritornare in vita, mai più.
Il Capitano e Stark, intanto, stavano a debita distanza, concludendo il combattimento con gli ultimi soldati ancora in azione. Quando udirono le urla del loro compagno, non riuscirono a comprendere le motivazioni che lo avessero spinto ad una tale rabbia. Insomma, combattere contro un nemico così forte provoca sicuramente molto stress, soprattutto se si aggiunge che il suddetto combattente continua a provocare con ogni mezzo, ma urlare a quel modo sembrava a dir poco eccessivo. Il mutante, in preda alla furia accecante, pareva non riuscire a fermare il suo canto funesto e, come un animale selvaggio, si scostò pieno di sangue, dal cadavere del nemico, per rendere cadaveri anche gli altri militari ancora in vita.
«Wolverine, calmati!» gli intimò il Capitano più volte, ma a nulla servirono tali richiami.
«Ma cosa fa?» domandò sconvolto Iron Man, senza ricevere risposta alcuna. «Se avessi saputo che era come Banner in versione uomo verde gigante, non mi sarei sprecato tanto per averlo nella nostra squadra. Un pazzo furioso ci basta e avanza.» commentò, sempre sarcastico, il miliardario, senza, però, perdere di vista il mutante.
In quello scenario post apocalittico, i civili, ancora chiusi in macchina, madidi di sudore, cercavano disperatamente aiuto, guardando con occhi strabuzzati i due famosi eroi. Se prima erano spaventati dal gruppo di militari, ora si sentivano poco al sicuro a causa di Wolverine, che non riusciva a calmarsi per nessuna ragione. Un forte vento iniziò ad alzarsi tutto attorno. Dalle acque sottostanti il ponte, un rumore di tante enormi ventole si udì con chiarezza. Il frastuono divenne assordante, fin quando dal nulla apparve quello che sembrava un enorme sottomarino. Tutti si girarono a guardare la scena. Una gigantesca piattaforma mobile emerse, dividendo in piccoli mulinelli l’acqua del lago, mentre affiorava alla luce la grandezza del veicolo che si stagliava al lato dell’Ambassador Bridge, su cui lo scontro era avvenuto.
«Wolverine, è Nick Fury che ti parla, ritrai gli artigli e porta le mani in vista!» si udì dal veicolo volante.
L’Helicarrier fece la sua entrata trionfale, innalzandosi nel cielo, dando luogo a una tempesta di vento e polvere.
«Finalmente, Fury, volevi farci morire?» gli urlò Stark, sistemandosi la camicia, ormai ridotta in pezzi, attendendo di salire grandiosamente sul veicolo.
Il capitano, alzò il capo e salutò con la mano i suoi compagni, a bordo del quartier generale volante, comandato da una espertissima Natasha: «Vi siamo mancati?» chiese con aria sensuale, la donna, facendo aprire un piccolo sorriso sul volto di Steve, ancora sconvolto per quanto successo.
«Ehi, bestione, datti una ripulita. Finanzio una buona parte delle spese di manutenzione di quel trabiccolo, non vorrei graffi o macchie di sangue nella cabina di comando.» disse Stark in direzione del mutante, il quale, pareva essersi ripreso dallo sfogo iniziale, non senza abbandonare la sua aria accigliata e affranta.
Dall’Helicarrier venne calata la scaletta. «Forza, saltate su, non possiamo stare qui per sempre!» li incitò Tash, dando un’occhiata al ponte, sul quale avevano combattuto alacremente i tre eroi, che si arrampicavano su per le scale, fino all’entrata dell’Helicarrier.
 
 
«Allora è lei, quella che aspettavamo?» domandò una voce ignota. Sara l’udì come un’eco distante. Aveva ancora gli occhi chiusi e non voleva riaprirli; sarebbe rimasta lì, dovunque fosse stata, a sonnecchiare un altro po’.
«Wolverine mi ha detto di portarla qui. Ora devo tornare all’Istituto, prima che si accorgano della mia assenza.» rispose un’altra voce. Questa la ricordava meglio, l’aveva già sentita.
«Nightcrawler, il tuo lavoro è stato importante per noi, se ti volessi unire alla missione, sappi che te ne saremmo davvero riconoscenti.» intervenne una terza voce, profonda.
«Fury, lo sai che non posso abbandonare Tempesta e gli altri. Hanno tutti davvero bisogno di me. Per di più, devo ancora riscattarmi per essere … beh, per essere il figlio di un loro acerrimo avversario.» spiegò il demone blu col potere del teletrasporto, alludendo a colei da cui quel colore proveniva: sua madre, la temibile Mystica, la quale non costituiva più un pericolo per gli X-Men, poiché aveva perso i suoi poteri,per aiutare Magneto in una missione di conquista del genere umano. Ma, si sa, le colpe dei padri, a volte, ricadono sui figli e il giovane mutante, il cui vero nome era Kurt Wagner, aveva deciso di cambiare strada e stare al fianco di Xavier e della sua strana Accademia, divenuta per lui una seconda casa.
«Almeno pensaci e mi raccomando, non dire a nessuno quello che hai visto e sentito oggi.» lo ammonì Fury, con tono sicuro. «Fallo per lei, se lo merita. » concluse la spia dall’occhio bendato.
PUFF, si udì un’altra volta e il demone blu scomparve in un baleno.
«Vado in sala di comando a salvare quei tre idioti, la lascio nelle vostre mani.» avvertì Fury ai due uomini, che avevano assistito alla conversazione e, così dicendo, si allontanò.
«Sembra una ragazza come tante.» non poté far a meno di asserire la voce che Sara aveva sentito per prima.
«Non l’ho ancora conosciuta, ma se il suo potere è così grande, possiamo affermare con certezza che non sia proprio una “ragazza come tante”.» ribatté una seconda voce. A Sara sembrò di averla già sentita da qualche parte, ma era ancora tutto troppo distante e ovattato per poterla riconoscere.
«E così, è tutto nelle sue mani. Il bene e il male, tutto in un unico corpo. Voi umani non finirete mai di sorprendermi, una persona di questo calibro da noi sarebbe stata osannata e temuta da tutti. Sarebbe divenuta una divinità.» disse la prima voce.
«Purtroppo non siamo tutti figli di Odino.» lo schernì, appena, la seconda.
“Non siamo tutti figli di Odino …” ripeté la mutante nella sua mente. Quella voce, quella che aveva ascoltato per ultima, le ricordava qualcosa. Doveva aprire gli occhi, doveva sforzarsi di ricordare. Girò appena la testa verso destra, poi a sinistra. Si dimenò su quello che aveva tutta l’aria di essere un lettino. Era bloccata. Si sentiva in gabbia. Doveva aprire gli occhi, doveva sapere cosa stava succedendo!
«Dottore, guardi: la sua attività cerebrale sta crescendo a dismisura.» avvertì una terza voce. Era quella di un agente dello S.H.I.E.L.D. ,addetto a monitorare la mutante.
«Entro.» gli rispose, con sicurezza, la seconda voce.
«È pericoloso, i suoi livelli sono alterati!» ribatté l’agente, ma era troppo tardi: la seconda voce aveva già premuto il bottone rosso che faceva aprire la porta trasparente, per poter entrare nella stanza in cui la giovane era stata accolta. Nel mentre, la mutante continuava a combattere contro se stessa, per tentare di svegliarsi da quello stato di incoscienza nel quale era caduta.”Non sei morta, devi svegliarti.” si diceva “Devi aprire gli occhi!” e così, dopo qualche gemito di sofferenza, Sara spalancò gli occhi, come chi è stato tenuto sott’acqua per troppo tempo e, dopo, ha difficoltà a respirare e a mettere a fuoco ciò che la circonda. Guardò verso il basso e vide che era legata da stringhe nere al lettino bianco, mentre sulle braccia e sul petto le erano stati posizionati degli elettrodi rossi, che, con molta probabilità, aveva anche sul capo. Allora, erano amici o nemici quelli che l’avevano presa? Entrò nel panico, le pareva di essere tornata indietro nel tempo e quell’alone plumbeo che avvolgeva tutto non le dava modo di distinguere il luogo in cui si trovava. Eppure, era la voce di Fury quella che aveva sentito, o almeno così le pareva. Si alzò di scatto, rompendo la prima fascia che le legava il torace al lettino, ma la testa le girò vorticosamente: era ancora troppo debole per sforzi simili.
Si guardò attorno e vide le macchine che la monitoravano. Le  linee verdi e blu, che apparivano sugli schermi, si alzavano in picchi sempre più alti, mentre un fastidioso beep beep di sottofondo le massacrava i timpani, ancora troppo sensibili per sopportarlo. 
«Non riesce a calmarsi!» continuò l’agente, ansioso.
Sara si staccò con forza i piccoli cerchietti rossi che aveva sparsi ovunque. La vista era annebbiata. Le immagini si confondevano e sdoppiavano davanti ai suoi occhi. Voleva solo mettersi in piedi e fuggire, nel tentativo di capire cosa le stesse accadendo. Dov’era finito il suo salvatore, il demone blu? Era davvero Nightcrawler, come sospettava, o solo un altro infido esperimento di Teschio Rosso e dei suoi?
«Ehi!» udì una voce calma, quella che le sembrava di conoscere. Forse, la conosceva davvero, magari era un militare che l’aveva imprigionata ai tempi dell’H.Y.D.R.A.
Si liberò, anche dai lacci che le legavano le gambe e le caviglie, spezzandoli con le mani. Il beep beep delle macchine circostanti continuava a ronzarle nella testa.
«Basta» biascicò la giovane, portandosi una mano al capo. «Basta…» continuò, sconvolta e col fiatone.
«Shh sei tra amici, nell’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D.» le disse monotona, la seconda voce, mentre si avvicinava sempre di più.
Era vero? Sara si voltò e vide una stanza completamente trasparente, il letto bianco sul quale era seduta a cavalcioni e una serie di tecnologiche apparecchiature. Fuori dal quell’immacolata infermeria, al di là di uno spesso vetro, scorse delle figure, in frenetico movimento, vestite con tute nere e auricolari bianchi che spiccavano ai lobi delle loro orecchie. Sembravano dare mille direzioni, guardare tutte gli schermi che avevano davanti per cercare risposta a quanto appariva su di loro. Lì vicino si imponeva un uomo dai lunghi capelli biondi, bardato in una corazza splendente e un mantello rosso di pregiata fattura. Sembrava uscito da un gioco di ruolo. “Non siamo tutti figli di Odino …” ripetè Sara nella sua mente, per l’ennesima volta. Poi, distolse lo sguardo da quel mucchietto di gente lontana e confusa, per rivolgerlo alla voce che l’aveva rassicurata. “Sei tra a amici” le aveva detto. “Ma quali amici?” Avrebbe voluto rispondere lei, “Non so nemmeno riconoscere dove mi trovo, figuriamoci capire chi siano i miei amici!”
«Ehy, Sara, giusto? Ciao» riprese con voce tranquilla, l’interlocutore: «Vedo che ti sei ripresa.>> disse avvicinandosi. La ragazza continuava a fissare le macchine, concentrata su quel dannato ticchettio. «Guardami, sono qui, davanti a te. Mi avvicino con calma, non ti voglio fare del male. Siamo tutti qui per aiutarti. Adesso chiamiamo Nick. So che lo conosci bene, vero?» continuò, venendo totalmente ignorato dalla ragazza, che, come un uomo del medioevo catapultato nella realtà odierna, non smetteva di stupirsi di quanto avesse attorno. «Eccomi, Sara, sto arrivando da te.» disse a pochi passi l’uomo. La giovane si sentì toccare l’omero e di colpo rivolse la sua attenzione al possessore della seconda voce. Si trovò davanti un uomo vestito di un camice bianco, sbottonato, con una cartellina in mano. Il volto, dall’incarnato quasi olivastro, era solcato da qualche piccola ruga e dei capelli bianchi spuntavano dalla sua chioma bruna.
«Io sono il dottor Bruce…»
«Banner» finì la frase la giovane, guardandolo dritto negli occhi e sperando di vedere in lui la stessa luce che risplendeva nelle sue stesse iridi. Non poteva essere, Bruce Banner, lì, davanti a lei. Era passato qualche mese dal loro incontro, poi non si erano più rivisti. Non poteva averla dimenticata. Non si dimentica qualcuno a cui si dà la peggiore delle notizie. Lo shock di quell’incontro, fece aumentare ulteriormente il battito cardiaco della giovane e la costrinse a ritrovare forza mentale e lucidità che, fino a poco prima, aveva abbandonato. La mutante alzò una mano a mezz’aria e, chiudendola come un pugno, annullò l’opera delle apparecchiature che l’avevano monitorata, facendole spegnere di colpo e, finalmente, fermando quel concerto di suoni metallici indesiderati.
«Dov’è ora?» la voce di Fury si stagliò nel silenzio calato nella stanza.
Banner continuava a guardare la giovane, incredulo, anche lui ricordava bene, benissimo, quel momento. Ogni parola gli era rimasta impressa nella memoria. Aveva cercato di trovare un modo, una via per liberarla dalle sue sofferenze, ma nessuna era possibile, nessuna avrebbe sortito l’effetto sperato. “È  solo questione di tempo.” aveva sentenziato e, da quel momento, non aveva potuto far a meno di ripeterlo tutti i giorni  anche a se stesso “Bruce,” si diceva “è solo una questione di tempo”.
La porta di vetro si aprì, Sara vide Nick che stava per varcare la soglia.
«Noi non ci siamo mai visti prima. MAI.» intimò, a bassa voce, ma con grande convinzione, al dottore, il quale poté solo annuire con un veloce cenno del capo, prima che fossero raggiunti dal passo deciso di un ignaro Fury.
  
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