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Autore: Seagullgirl    20/08/2016    1 recensioni
Edith è una sedicenne mezzosangue con una storia un po' particolare.
Cresciuta da una madre che vuole tenerla lontana dal suo mondo facendole frequentare solo scuole Babbane, impara quel poco che sa della magia da sua nonna Lilian.
Solo dopo la sua morte riesce a convincere i genitori ad iscriverla, ormai già grande, a Hogwarts, dove scoprirà che la storia della sua famiglia nasconde molti segreti, alcuni più oscuri di quanto potesse immaginare.
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Una nuvola di vapore avvolgeva il binario nove e tre quarti e con lui il vagone rosso fuoco da cui proveniva.
Una ragazza dai capelli scuri se ne stava ferma proprio nel bel mezzo della pensilina, fissando strabiliata ora il muro di mattoni alle sue spalle, ora il treno che sbuffava impaziente.
Accanto a lei vi era una donna minuta, vestita completamente di nero e che la superava in altezza di appena qualche centimetro. Era avvolta in una spessa sciarpa di lana, un cappello di velluto le nascondeva la fronte e ai piedi portava degli stivaletti di camoscio ricamati. L’unica cosa che faceva intuire che non si trattava di una strega oscura erano i polsini e il colletto di visone del lungo giaccone, che risaltavano fin troppo vistosamente in mezzo a tutto quel nero.
 
La ragazza sembrava non considerare troppo quella che doveva essere sua madre, guardando dovunque meno che verso di lei.
« Scusa, sai dove devo mettere il baule? » chiese ad una studentessa che le sembrava abbastanza grande da sapere come funzionasse la questione dei bagagli.
« Devi toccarlo con la bacchetta e dire “Conscendo “ »
Nel dirlo colpì il suo baule, che sparì all’istante.
« Oh, grazie »
L’altra non parve averla sentita; diede un’occhiata alla signora in nero, aggrottando le sopracciglia, poi si voltò di nuovo verso di lei, le rivolse un breve sorriso e si avviò lungo la pensilina.
 
« Sei sicura che non vuoi che ti accompagni? » le chiese la madre improvvisamente, come se si fosse resa conto solo in quel momento di dove si trovasse.
« No mamma, non ho due anni. E poi diamo già abbastanza nell’occhio così, te lo garantisco » le rispose leggermente scocciata, squadrandola da capo a piedi e sospirando. Probabilmente era abituata al modo strambo in cui si vestiva la madre, ma non molto a come gli altri la guardavano quando era con lei.
« Perché, che ho di strano? » l’aria innocente con cui lo chiese fece ridere la ragazza, che le si avvicinò e l’abbracciò delicatamente.
« Tu sei tutta strana, lo sai » rise, come fosse un vecchio gioco tra di loro.
« Hai preso tutto, sì? Sicura? Fai mente locale » cambiò discorso rapidamente, ammonendo la figlia.
« Sì, sono sicura. E comunque se mancasse qualcosa puoi mandarmela per posta, ricordi? I gufi arrivano anche lì »
Doveva sempre ripeterle le cose centinaia di volte e di solito questo la irritava, ma l’idea che non l’avrebbe rivista per i seguenti tre mesi la rendeva un po’ più tollerante.
« Allora divertiti… studia… » le sorrise la madre, sistemandole il colletto della giacca. « E mi raccomando, non fare troppo tardi la sera, altrimenti la mattina non ti svegli »
« Sì, sì, lo so. Prometto che farò del mio meglio » ridacchiò, abbracciandola di nuovo.
« Mi mancherai » le mormorò dandole un ultimo bacio sulla guancia.
Il treno fischiò e in lontananza si sentì qualcuno che annunciava la partenza.
« Devo andare o perdo il treno » annunciò iniziando ad allontanarsi, salutandola con la mano.
« Ti chiamo stasera! » le urlò la madre per farsi sentire sopra il rumore.
« Non credo che il cellulare funzioni lì! »
« Cosa?? »
« Non so se funziona! Ti scrivo! » le mimò da lontano, già attaccata al vagone.
La vide annuire e fare segno di “ok” con le dita, ma non era molto sicura che avesse capito davvero. Continuò a salutarla con la mano finché non la vide più; si appuntò mentalmente di chiedere se a Hogwarts si potessero usare i cellulari ed entrò.
 
 
                         ***
 

« Te l’ho detto, non l’ho visto! » gridò esasperata una voce maschile dal vagone vicino.
Tre ragazze e un ragazzo se ne stavano fermi in mezzo al corridoio, e una di loro sembrava molto agitata.
« È passato di qui, sono sicura, era nella sua cassetta due minuti fa » mormorò continuando a guardarsi attorno preoccupata.
« Tanto non è che possa andare da molte parti, lo troverai, Cassy » le fece notare la ragazza riccia che le stava accanto, appoggiata al finestrino con le braccia incrociate e l’aria piuttosto annoiata.
« Lo so anche io che non può andare da molte parti, Alexa, ma Godric è ancora piccolo, non è mai stato da nessun’altra parte se non a casa e potrebbe farsi male… oddio, e se finisce tra i Serpeverde? Devo trovarlo al più presto! »
Tenendosi le mani tra i capelli biondi corse via con gli occhi sempre fissi sul pavimento.
Qualunque cosa stesse cercando, probabilmente era in grado di infilarsi negli anfratti più piccoli.
« L’ha chiamato… Godric? » domandò la brunetta dai capelli lisci, con l’aria di chi è seriamente preoccupato.
« Sì… la solita leccaculo » rispose la riccia, sempre con la stessa aria annoiata.
« Perché leccaculo? » intervenne la terza, riemergendo improvvisamente dai suoi pensieri. Aveva l’aria di chi non si è ancora svegliato del tutto, con i capelli neri e corti tutti arruffati, la frangia troppo lunga e il volto pallido.
« L’ha chiamato così solo perché pensa che farà buona impressione sui professori. Idiota. Come se alla McGrannitt piacessero queste cose…»
« Ma quanti anni ha quella donna, tipo cento? »
« Anche di più. Vorrei sapere come fanno certi maghi e streghe a campare così tanto… »
« Scusate » Edith interruppe la conversazione, che ormai stava iniziando a degenerare, con un po’ di titubanza. Le tre ragazze si girarono tutte assieme, mettendola un po’ in soggezione. « Io sono nuova e non so… come funzionano gli scompartimenti? Posso mettermi dove voglio oppure… » lasciò la frase in sospeso, sperando che non la trovassero troppo strana. Sapeva che a Hogwarts c’erano delle Case di appartenenza e che i rapporti tra di loro erano particolari, per cui non voleva rischiare di commettere un errore sedendosi nello scompartimento sbagliato.
A dire il vero si sentiva molto stupida, ma cercava di non darlo a vedere.
« Sì, sì certo, puoi metterti dove vuoi. In linea di massima ti sconsiglierei i primi tre vagoni del treno, perché sono quelli dei Serpeverde e personalmente preferirei una martellata su un piede a loro, ma per il resto puoi sederti dove vuoi… » le rispose la ragazza con i capelli ricci, che per la prima volta sembrava un po’ meno annoiata dalla situazione.
« Se vuoi puoi stare nel nostro scompartimento » aggiunse la mora, sorridendole gentilmente « c’è ancora posto, se ti va ».
Edith si sentì rincuorata. Quelle tre le sembravano piuttosto affabili, e poi non era molto brava ad attaccare bottone, per cui se doveva scegliere preferiva sedersi con qualcuno a cui era almeno riuscita a rivolgere la parola.
« Se non disturbo, volentieri »
« Figurati. Da questa parte, vieni » le fece strada, fermandosi davanti ad uno scompartimento chiuso. Quando lo aprì una ragazzina piuttosto bassa e rotondetta per poco non le andò addosso. « Ah, ecco, stavo venendo a cercarvi. Che è successo? » domandò sporgendosi per guardare nel corridoio.
« Niente, Cassy ha perso il suo gatto » le spiegò entrando
« Di già? Ma siamo partiti ora… quella ragazza è veramente svampita » constatò continuando a guardarsi intorno nel corridoio.
« Lei è… » si fermò un istante, indicando Edith e rendendosi conto che non le avevano ancora chiesto come si chiamava.
« Edith, mi chiamo Edith » sorrise lei porgendo la mano alla ragazzina più bassa.
Solo in quel momento notò che aveva le punte dei capelli di uno strano verde acquoso, come se stessero per cambiare colore da un momento all’altro. Sulla spalla destra, inoltre, aveva una specie di palla di pelo rosa, che sembrava muoversi.
« Cos’è quella? » domandò cercando di osservarla più da vicino.
« È una puffola pigmea »
Lo disse come se fosse una cosa perfettamente normale, ma Edith non aveva idea di cosa fosse. « Una puffola? »
La toccò con un dito, e improvvisamente quella aprì gli occhi.
Edith sussultò, sorpresa. Non era stata una sua impressione: quella cosa era viva e aveva gli occhi, oltre ad un piccolo musetto rosato a punta e delle minuscole zampette.
« Non ne avevi mai vista una? » chiese ridacchiando la ragazzina, accarezzando l’animaletto con l’indice. Questo sembrò fare le fusa, emise uno strano suono e ondeggiò, come se fosse contento.
« Vanno molto di moda qui da noi » la informò la ragazza mora, che nel frattempo aveva sistemato delle cose nella borsa sul sedile.
« Comunque io sono Merope » si presentò la proprietaria della puffola che aveva catturato l’attenzione di Edith.
In quel momento, anche le altre due ragazze entrarono nello scompartimento.
« Già, non ci siamo presentate » ricordò la mora, « io sono Hayleen e loro sono Alexa e Margot » disse indicando prima la riccia e poi la ragazza con i capelli scompigliati.
« Per favore, chiamami Maggie. Margot mi fa sembrare una persona seria » disse con una smorfia, buttandosi sul sedile consumato e appoggiando la guancia sul palmo della mano con aria stanca.
« Edith » ripeté il suo nome e sorrise, osservandole una ad una.
Non sembravano affatto male come primo incontro.
 
 
                                                                                                                                  ***
 
 
Il viaggio in treno durò qualche ora, durante le quali le quattro ragazze le spiegarono che non appartenevano tutte alla stessa Casa.
Hayleen e Alexa erano Grifondoro, Margot Corvonero e Merope Tassorosso.
Ad Alexa in realtà piaceva essere una Grifondoro solo perché detestava l’atteggiamento supponente dei Serpeverde, ma Hayleen l’aveva presa in giro dicendo che il Cappello Parlante aveva avuto dei lunghi momenti di indecisione sulla Casa alla quale assegnarla. Alla fine era stato Grifondoro a vincere, ma secondo Alexa questo era avvenuto solamente perché lei aveva esclamato “ Senti, diamoci una mossa che mi stai schiacciando tutti i capelli! “.
Affermazione, a quanto pare, tipicamente da Grifondoro.
Margot, invece, era convinta che il giorno in cui era stata smistata lei il Cappello avesse bevuto qualche Whisky Incendiario di troppo, perché ( a quanto diceva ) c’era poco del modo di essere dei Corvonero in lei, tanto che tutti i suoi compagni di casa la guardavano strano ogni volta che dimenticava la parola d’ordine.
“ Pretendono che io risolva l’indovinello ogni santa volta, anche se sono le dieci di sera e ho sonno! “ aveva esclamato all’idea di dover ripetere ancora simili esperienze per tutto l’anno scolastico.
Merope non aveva niente da dire sulla sua Casa; lì era stata messa e lì stava.
Niente di più, niente di meno.“ Oh, i Tassi sono okay. Guarda Moppi. Chi potrebbe avercela con lei? “ fu la breve descrizione offertole da Alexa.
Edith ebbe l’impressione che Tassorosso non fosse considerata al pari delle altre Case e si chiese perché, ma non osò esprimere la sua perplessità ad alta voce.
 
Quando arrivarono a Hogwarts, non appena scesa dal treno, Edith fu letteralmente “ pescata” tra la marea di gente e unita a quelli del primo anno da un omone grosso e barbuto, un mezzogigante che le sue nuove amiche le avevano detto chiamarsi Hagrid.
Aveva l’aria di averne passate molte, e i suoi capelli cominciavano a diventare bianchi, eppure nei suoi occhi c’era qualcosa di estremamente vivo e giovane che non riusciva a spiegarsi.
Attraversarono il lago su delle barchette pericolanti, ma nonostante temesse di finire da un momento all’altro nel Lago Nero la visione del castello illuminato in mezzo a tutta quell’oscurità valeva davvero la pena.
Quando finalmente toccarono terra Hagrid li condusse dentro, li fece sistemare in fila indiana e li accompagnò fino alla Sala Grande, dove si fermò, in apparente attesa di istruzioni.
Dopo qualche minuto, una volta che tutti gli altri studenti si furono accomodati ai rispettivi tavoli, li fece entrare, costringendoli ad una sorta di sfilata sotto gli occhi di tutti. Anche gli altri ragazzi e ragazze con lei erano in grande soggezione, ma Edith si sentì ancora più ridicola, perché era l’unica studentessa di sedici anni in mezzo a tanti ragazzini di undici. Aveva la sensazione di apparire una perfetta idiota, e mentre tutti la fissavano come fosse una bestia rara maledisse se stessa per non essere andata a scuola fin da subito come gli altri.
 
 
In fondo alla sala, esattamente al centro di un lungo tavolo orizzontale, stava seduta su di una enorme sedia in legno dipinto e decorato a mano una donna anziana ma distinta, dritta come un fuso e con uno splendido mantello verde smeraldo.
Da quello che le sue compagne le avevano detto, doveva essere la Preside, nonché ex Direttrice della Casa di Grifondoro, la professoressa McGrannitt, che viveva e insegnava nel castello ormai da tempo immemore, da prima della Prima Guerra Magica.
I suoi occhi, colore del ghiaccio, risplendevano alla luce delle candele, e anche se tradivano una certa stanchezza il suo sguardo non ne risentiva minimamente.
Hagrid le porse un rotolo di pergamena e si andò a sedere al tavolo degli insegnanti, dietro il quale riusciva a malapena a passare.
Mentre i nomi dei primini riecheggiavano nella sala, Edith si voltò a cercare tra la folla le ragazze conosciute sull’Espresso.
Alexa era seduta accanto ad Hayleen circa a metà della lunga tavolata Grifondoro e stava cercando di sistemarsi la cravatta senza molto successo, mentre l’altra era perfettamente composta e ordinata, senza nemmeno un capello fuori posto. Quando si accorse che Edith la stava guardando accennò un saluto con la mano e un sorriso, che la rincuorarono.
Nel tavolo accanto Merope era nascosta da un paio di ragazzi più alti di lei, e continuava ad agitarsi e sporgersi cercando di vedere qualcosa, invano.
Margot invece era invisibile in mezzo ai Corvonero, forse troppo lontana, ed Edith non riuscì a scorgerla.
Si chiese quanto ci sarebbe voluto prima che potesse sedersi a mangiare con loro, ma poi ricordò che non era così scontato che potesse stare in compagnia, poiché nessuna  di loro era in Serpeverde, per cui se lei ci fosse capitata sarebbe stata completamente sola e per di più in mezzo a gente che, a quanto aveva capito, non era molto amata dal resto della scuola.
« Edith Knight »
il suo nome riecheggiò come fosse una sentenza; Edith si voltò verso la McGrannitt con riluttanza, tremendamente preoccupata. Salì i tre gradini che la separavano dal Cappello con una lentezza che le parve infinita e si sedette sullo sgabello dove a quanto pare si sarebbe deciso il suo fato.
Ripetendosi mentalmente di non essere troppo melodrammatica attese in silenzio per qualche secondo che il Cappello decidesse in quale Casa smistarla, così come aveva fatto con i suoi compagni, ma l’attesa parve più lunga del previsto.
« Mmm… » si sentì mormorare,  « difficile… sono combattuto »
Edith lo avvertì muoversi sulla sua testa e tentò di spostarlo appena, come se volesse scoprirsi gli occhi per poterlo vedere meglio.
« Vedo coraggio, spirito d’iniziativa… ma anche lealtà e sincerità… » continuò nei suoi ragionamenti, poco chiari a tutti meno che a lui, mentre Edith si agitava sempre di più. Moriva dalla curiosità di sapere cosa ne sarebbe stato di lei, anche se temeva di finire nel posto sbagliato. A quanto dicevano, però, il Cappello non sbagliava mai, per cui pensò che la cosa migliore fosse lasciarlo fare.
« Ma tutto sommato, credo… TASSOROSSO! » esclamò scatenando un boato dal tavolo centrale.
Tirò un sospiro di sollievo, mentre scendeva i gradini e andava a sedersi accanto a Merope, che nel frattempo le aveva fatto posto e l’aveva silenziosamente invitata a sedersi accanto a lei con un leggero sorriso.
« Benvenuta! » le dissero in rapida successione tutti quelli attorno a lei e anche qualcuno di più lontano, ciascuno con un sorriso più smagliante dell’altro.
« Tu non hai undici anni » constatò un ragazzo vicino a lei, ottenendo una gomitata nelle costole dalla ragazza che aveva accanto.
« Ehm, no, infatti » ridacchiò Edith, voltandosi.
« Dove hai studiato fino ad ora? » continuò ignorando gli sguardi truci degli altri.
« A casa. Mi ha insegnato mia madre, noi… abbiamo viaggiato molto a causa del lavoro di mio padre, per cui hanno preferito portarmi con loro e non ci sono molte scuola di Magia… » non sapeva esattamente cosa dire; era piuttosto in soggezione con tutte quelle domande, ma quei ragazzi erano così affabili e solari che non la mettevano per nulla a disagio. Per la prima volta in vita sua, anzi, si sentiva interessante.
« Beh, benvenuta a Hogwarts, Edith! » le sorrise la ragazza davanti a lei, poggiando una mano sulla sua. Edith ricambiò il sorriso, grata di quella accoglienza così calda.
Pochi minuti dopo, quando finalmente fu finita la cerimonia di smistamento, i tavoli si riempirono di cibarie e bevande, e la Sala fu avvolta da una luce calda e un chiacchiericcio sommesso.
 
Quando, terminato il banchetto, le Case si divisero, Edith scese con Merope verso le cucine, dove si trovavano la Sala Comune e i dormitori dei Tassorosso.
Nascoste dietro alcune piante finte, sul lato destro dello stesso corridoio, vi erano alcune file di botti incastrate dentro al muro, in una sorta di strano puzzle.
« Noi non abbiamo una parola d’ordine come le altre case » spiegò, « devi picchiettare su questa botte, la seconda dal basso, nel mezzo della fila, al ritmo di “ Tosca Tassorosso” » spiegò, facendole vedere e sentire come doveva fare.
Edith cercò di memorizzare il ritmo, sperando di ricordarselo la volta successiva, se fosse stata sola. « Cosa succede se sbaglio? » chiese mentre Merope apriva la porta.
« Vieni annaffiata con l’aceto » rispose lei secca, senza un filo di ironia nella voce.
Mentre ancora cercava di elaborare ciò che aveva appena sentito, però, la sua attenzione fu catturata da una calda luce gialla che proveniva da alcune lampade appese al soffitto e da cui pendevano anche numerosi vasi ricolmi di piante di ogni tipo.
La Sala Comune era tonda, e nella parete di fronte a lei vi erano altre due porticine a forma di tappo di botte, dalle quali, suppose, probabilmente si accedeva ai dormitori.
Il pavimento in legno era coperto da un enorme tappeto decorato che seguiva la forma della stanza, e numerose poltrone dall’aria molto comoda erano lì pronte ad accoglierle, accanto ad un grande tavolo dall’aria antica.
Merope procedette spedita verso le porte sul fondo, aprendone una e salendo delle scalette che conducevano alle stanze femminili.
 
Quando entrarono nella stanza Edith si meravigliò che le sue cose fossero già poste ai piedi del suo letto, e soprattutto che fosse così grande.
La stanza ospitava una dozzina di letti, tutti baldacchini con tendaggi gialli e delle splendide coperte in patchwork che le ricordavano le coperte di lana che la nonna le cuciva da piccola.
« Siamo tutti insieme? » domandò sorpresa.
Era sempre stata convinta del fatto che Hogwarts avesse delle camere come ogni college, da tre o quattro persone massimo, e invece a quanto pareva ogni ragazza del sesto anno si trovava lì con loro. Si grattò il braccio, come faceva spesso quando era a disagio.
« Sì, siamo divisi solo per sesso e per anno » ammise Merope sedendosi sul suo letto, che miracolosamente era accanto al suo. Qualcosa le faceva pensare che non fosse solo un caso, ma non si fece troppe domande.
« Beh, visto che è tardi credo sia meglio andare a letto. Spero solo che domattina non ci sia Pozioni alla prima ora » sbadigliò e si infilò velocemente il pigiama, come se non vedesse l’ora di poter dormire.
Edith avrebbe voluto chiedere perché Pozioni fosse così terribile, ma anche i suoi occhi erano piuttosto pesanti e sentiva il bisogno di stendersi su quel piumone così soffice e colorato.
Cercò velocemente il pigiama nel baule e imitò Merope, infilandosi sotto le coperte.
Stranamente non erano ruvide come spesso le era accaduto negli alberghi Babbani, ma lisce e profumate.
Avvolta in quella inaspettata sensazione di comodità, come fosse a casa, Edith si addormentò profondamente nel giro di poco.
 
 
                                                                                                                            ***
 
 
 
Il giorno dopo, quando scesero per la colazione, la Sala Grande sembrava ancora più affollata del giorno prima.
Edith si sedette accanto a Merope, la quale sembrava non essere infastidita dalla continua presenza della ragazza, anche se lei iniziava a sentirsi un po’ una palla al piede per la sua nuova amica.
« Scusami se ti sto sempre appiccicata » sussurrò mentre imburrava un toast
« Appiccicata? » Merope non sembrava capire bene di cosa parlasse, e Edith ridacchiò mentre la guardava cercare di sistemarsi il mantello stropicciato sulle spalle.
« Sì, voglio dire… non voglio essere di peso, venendoti sempre dietro, ma non ho idea di come funzionino le cose qui e il castello è davvero enorme e… »
« Tranquilla, sono stata una novellina anche io » la rassicurò mentre si versava dell’acqua calda nella tazza e metteva in ammollo una bustina di the.
« Pensa che il primo giorno di lezioni mi sono persa e sono arrivata in ritardo alla lezione di Pozioni. Ho vagato per i sotterranei per più di quindici minuti prima di trovare l’aula, e per poco non morivo di paura »  raccontò rabbrividendo al ricordo.
Edith rise, e per un po’questo alleviò la tensione.
Aveva così tanta paura di sbagliare che temeva di rimanere da sola anche solo per un minuto.
Non era mai stata in una scuola di Magia; nei suoi sedici anni aveva sempre frequentato scuole Babbane, mentre sua nonna e poi sua madre le insegnavano i rudimenti della Magia a casa. Non aveva mai capito perché, ma quest’ultima sembrava volerla tenere lontano da quel mondo, come se nascondesse qualche terribile segreto che non le aveva mai rivelato.
Tutto ciò che Edith aveva appreso sulla magia in quegli anni lo doveva a sua nonna e ai suoi libri, perché sua madre si era limitata ad insegnarle sempre e solo incantesimi molto elementari e sicuramente non le sarebbero bastati per entrare al sesto anno ad Hogwarts senza aver frequentato i cinque precedenti.
Tuttavia, la professoressa McGrannitt, la preside, una volta che ebbe saputo la sua condizione, non fu troppo rigida con lei. Quando si parlarono, colse nel suo sguardo come una punta di curiosità, mista a preoccupazione. Non riuscì a capire il perché, ma quando Edith le chiese di essere accettata a Hogwarts la preside sembrò contenta, quasi sollevata, di dirle di sì.
Doveva ammettere di aver studiato parecchio prima di sostenere l’esame di ingresso a cui era stata sottoposta; nonna Lilly le aveva lasciato libri e appunti a valanghe, incoraggiandola sempre ad essere curiosa ma anche timorosa nei confronti della magia. Edith sapeva bene quanto poteva essere pericolosa, se usata nel modo sbagliato. Suo nonno era morto in quel modo, e la nonna era riuscita a non perdere la fiducia nella magia solo grazie ai libri di cui era stata gelosamente custode per tanti anni. Contenevano incantesimi molto complicati, che Edith non poteva ancora gestire, ma che – stando a quanto diceva sempre sua nonna- avevano aiutato la sua famiglia a non allontanarsi dalle arti magiche negli anni successivi alla Prima e poi alla Seconda Guerra.
Lilian diceva sempre che la luce poteva essere trovata ovunque, anche nei momenti più oscuri. Sua madre sorrideva con malinconia quando la sentiva dire quella frase, come se fosse un vecchio detto appartenuto a qualcuno che entrambe conoscevano bene.
 
Edith era ancora immersa nei suoi pensieri, quando qualcuno le mise davanti un foglio con l’orario delle lezioni.
« La Preside vorrebbe vederla prima dell’inizio delle lezioni, signorina Knight » disse con voce paciosa la Professoressa Sprite, direttrice della sua Casa, prima di tornare al tavolo degli insegnanti.
Merope sbirciò l’orario, aggrottando le sopracciglia. « È un po’ diverso dal nostro » osservò confrontandolo con il suo.
« Beh, io sono praticamente nuova, forse alcuni corsi sono più bassi perché non ho le competenze necessarie » suppose alzando le spalle.
« Mmm… può darsi. Ma hai… perché hai Incantesimi alle 19? » chiese osservando una scritta a mano al di sotto delle normali caselle. « Non è orario di lezioni »
Edith si sporse per guardare e rimase sorpresa anche lei. La McGrannitt non le aveva detto che avrebbe dovuto seguire corsi diversi dai suoi compagni.
« Non ne ho idea. Lo chiederò alla McGrannitt, visto che devo andarci adesso »
riprese il foglio e si fece spiegare da Merope come arrivare all’ufficio della Preside.
Mentre tutti si dirigevano verso le varie aule, finita la colazione, Edith si incamminò verso il Gargoyle di pietra che stava a guardia dell’ufficio della McGranitt, il quale si attivò non appena lei vi si trovò davanti.
Bussò e rimase in attesa, finché una voce dura e ferma le disse di accomodarsi.
La professoressa McGranitt era dritta come un fuso, seduta dietro la scrivania d’ebano posta in mezzo alla stanza, indaffarata con strane pergamene e ceralacca rosso fuoco.
Un gufo maculato se ne stava appollaiato su un vecchio trabiccolo che stranamente non sembrava essere fatto apposta per lui.
« Voleva vedermi, professoressa? » chiese timidamente Edith avvicinandosi quel tanto che bastava per essere sentita.
« Sì, signorina Knight. Si sieda »
La sua voce era più austera di quel che ricordava, e per un attimo si sentì intimorita.
Si sedette su una delle due sedie davanti alla scrivania, sforzandosi di stare perfettamente diritta, come se temesse un qualche giudizio negativo.
« Dopo il nostro colloquio, ad Agosto, ho parlato con il professor Vitious, il docente di Incantesimi, e in seguito ad un’attenta analisi della sua condizione abbiamo ritenuto necessario che seguisse delle lezioni supplementari due volte a settimana, dalle diciannove alle venti » la informò con tono piatto.
Edith era sorpresa; non tanto per il fatto di dover seguire lezioni in più – quello le sembrava ragionevole, dal momento che non aveva mai studiato in una vera scuola di Magia e sicuramente aveva grosse lacune – ma perché il tono e lo sguardo della professoressa sembrava più duro del solito, come se fosse preoccupata.
Inoltre, non le aveva minimamente accennato alla possibilità di dover seguire lezioni diverse quando si erano parlate prima dell’inizio del semestre, nonostante Edith si fosse mostrata sorpresa del fatto che la McGrannitt non avesse nulla da ridire sulla sua formazione casalinga e fallace. Addirittura, quando lei aveva provato a dirle che forse sarebbe stato meglio se fosse stata assegnata ad un anno inferiore al suo, la Preside le aveva detto che non sarebbe stato necessario.
Forse aveva parlato troppo presto.
Eppure, le sembrava strano che una come lei potesse sbagliarsi.
« Inoltre, se non le è troppo di disturbo, gradirei vederla una volta alla settimana, diciamo il venerdì alle diciotto, per parlare con lei dei suoi progressi scolastici e assicurarmi che si ambienti al meglio qui a Hogwarts »
Alzò lo sguardo dai suoi fogli e le rivolse un sorriso tirato, ma apparentemente spontaneo.
« È tutto per ora. La sua prima lezione è tra mezz’ora, nei Sotterranei. Le suggerisco di non tardare. »
Detto questo ricominciò a scrivere frettolosamente su una delle sue pergamene, e Edith capì di essere stata congedata.
 
Come aveva previsto Merope, le ci volle un quarto d’ora buono per capire dove fosse l’aula di Pozioni, e quando la trovò vide da lontano che un uomo non troppo alto stava chiudendo la porta in quel preciso momento.
Si affrettò a raggiungerlo, correndo, e si aggrappò alla maniglia con tutta la forza che aveva, come per impedirgli di chiuderla. Da dentro, evidentemente sorpreso dal movimento strano, il professore lasciò andare la presa, e la porta si spostò violentemente contro di lei, colpendola in fronte e risuonando in maniera piuttosto forte.
Edith perse l’equilibrio e cadde a causa dell’improvviso cedimento del suo punto d’appiglio, finendo violentemente per terra.
« Ah, che dolore! » esclamò massaggiandosi la testa.
« Oh cielo, si è fatta male? » le chiese una voce piuttosto calda, mentre qualcuno si chinava su di lei.
Spostò la mano da davanti al viso e si trovò davanti quello che doveva essere il suo professore di Pozioni: un anziano signore con i capelli grigi e bianchi, radi al centro della testa, e il volto piuttosto rugoso, con due occhioni spalancati che le ricordavano quelli del cane da caccia di sua nonna, Tobia.
« Ehm, non si preoccupi, è stata colpa mia, mi scusi. Ero in ritardo e… mi dispiace » balbettò, diventando rossa non appena si accorse che dietro di lui tutta la classe si era girata a guardarli.
« Oh, non si preoccupi signorina… » sembrò in difficoltà, come se si fosse reso conto solo in quel momento di non averla mai vista prima.
« Knight. Edith Knight. Sono arrivata quest’anno » si affrettò a spiegare lei tirandosi su e spolverandosi il mantello.
« Oh, allora è lei! » i suoi occhi si illuminarono come se le avesse detto di essere la figlia di Harry Potter, e allargò le braccia invitandola con un gesto ad entrare.
« Mi avevano detto che avrei avuto una nuova studentessa, sì, sì… » farfugliò chiudendo la porta dietro di lei. « Si sieda, si sieda. Stavamo giusto per cominciare »
Edith gli sorrise cordialmente, anche se il suo atteggiamento la inquietava un po’, e si sedette in silenzio.
« Te l’avevo detto che quest’aula è impossibile da trovare » le sussurrò all’improvviso qualcuno accanto a lei.
Si voltò e vide i grandi occhi verdi di Merope fissarla in un misto tra inquietudine e curiosità.
« Oh, ciao, non ti avevo vista » rise tra sé e sé portandosi una mano al petto per lo spavento. « Avevi ragione, i sotterranei sono inquietanti e veramente intricati »
« Come fanno i Serpeverde a non perdersi quaggiù? Hanno una specie di sesto senso? » rise, ma a Merope la battuta non sembrò piacere, perché si rabbuiò ancora di più.
« Io non ci scherzerei tanto sopra » ribatté severa.
« Oh, okay. Scusa, cercavo solo di sdrammatizzare »
La guardò qualche secondo negli occhi, prima che si rimettesse a scribacchiare concitatamente sulla sua pergamena, e decise di imitarla.
Il professore - che aveva scoperto chiamarsi Lumacorno -  sembrava piuttosto socievole, anche se tendeva un po’ a perdersi nelle nuvole mentre spiegava.
Per fortuna quella era una lezione di teoria, si disse; partire direttamente con le pozioni sarebbe stato alquanto difficile, dato che probabilmente lì erano tutti molto più esperti e bravi di lei e non voleva incendiare un’aula il suo primo giorno.
Quando si ritrovò con la penna in mano, però, si accorse di aver cantato vittoria troppo presto.
Edith era cresciuta senza usare la magia nella vita di tutti giorni, per cui anche le “usanze” dei maghi erano quasi del tutto nuove per lei.
Di conseguenza, il massimo con cui sapeva scrivere era una stilografica, non certo una piuma.
« Ehm, Merope, come si usa quest’affare? » sussurrò alla sua compagna non appena ebbe provato a scrivere la prima parola ottenendo solo una gran macchia sul foglio.
« Che vuoi dire? » le chiese lei voltandosi e osservando la pergamena dell’amica.
« Voglio dire, come faccio a scrivere senza combinare macelli e magari ad una velocità superiore a quella di un’anziana col Parkinson? »
Merope la guardò accigliata, come se avesse parlato in un’altra lingua.
« Con il cosa? »
« Lascia perdere, dimmi solo come si fa » insistette esasperata.
« Non hai mai scritto prima d’ora? » chiese vagamente scocciata, cercando di non perdere le parole di Lumacorno.
« Non con una piuma! A casa mia usiamo le biro, o al massimo le stilografiche » le spiegò gettando un’occhiata al professore, che nel frattempo stava scrivendo un elenco di strani ingredienti alla lavagna.
« Cosa sono le biro? » chiese di nuovo con la stessa espressione sorpresa.
« O mio dio, andiamo bene… » sospirò Edith arresa, finché una voce dal fondo dell’aula non la fece drizzare come un fuso sulla sedia.
« C’è qualche problema là in fondo? » domandò Lumacorno, voltandosi con aria confusa.
« Ehm, no professore, è solo che io… »
Edith si vergognava a dirlo davanti a tutta la classe, ma non voleva fare brutta impressione facendo credere di essere disattenta.
« Lei cosa, signorina Knight? »
Tutta la classe si girò a guardarla, in un silenzio così carico di aspettativa che credette di morire soffocata.
« Io… non so scrivere » mormorò arrossendo e guardando Lumacorno dritto negli occhi.
Una risata generale si diffuse nell’aula, e Edith incrociò lo sguardo di un ragazzo moro, qualche fila avanti a lei, dal lato opposto, che sembrava particolarmente divertito e non smetteva di fissarla.
Per qualche istante pensò di chiedergli quale fosse il suo problema, ma non volendo rischiare una punizione si limitò a sostenere il suo sguardo finché Lumacorno non parlò, costringendola a voltarsi. « Come sarebbe “ non sa scrivere “? »
« Intendevo con la piuma » si affrettò ad aggiungere, arrossendo sempre di più.
« A casa mia non usiamo la magia, di solito, io ho sempre frequentato scuole babbane e… lì non usano più le piume da circa un secolo » spiegò concitata, sperando di apparire un po’ meno stupida.
In realtà, si rese conto solo dopo qualche istante di aver peggiorato la situazione, insinuando involontariamente che a Hogwarts fossero retrogradi.
Una nuova risata, anche se più sommessa della prima, si fece largo tra gli studenti.
Lumacorno la ignorò, avvicinandosi a lei.
« Beh, in tal caso immagino… che possa prendere appunti con… qualunque cosa usasse prima, finché non imparerà » concluse, anche se dalla sua espressione e dalla sua voce si capiva che era leggermente confuso e forse anche offeso da quella sua ignoranza.
« La ringrazio » si limitò a ribattere Edith, facendo un cenno col capo e seppellendosi tra i suoi stessi capelli per evitare gli sguardi curiosi dei compagni.
 
       
                                                                                                                          ***
 

« Credo che mi sotterrerò » mormorò Edith mentre mangiava distrattamente il suo pollo.
« Vedrai che domani se ne saranno già dimenticati tutti. Anzi, secondo me già adesso nessuno ci pensa più » la rincuorò con un mezzo sorriso.
 
« Ehi, tu sei quella che non sa scrivere, vero? »
Una voce maschile la fece voltare, innervosendola ancor prima che potesse associarla ad un volto.
Il ragazzo da cui proveniva era lo stesso che aveva sfidato con lo sguardo in classe poche ore prima, quando lei aveva dato vita quel simpatico sketch.
« E tu sei il cretino che rideva, vero? » ribatté a tono, sollevando le sopracciglia.
« Uh, siamo anche permalosi » rise nuovamente lui, sedendosi disinvoltamente accanto a lei con aria divertita. « Da dov’è che vieni? » le chiese con il solito tono, come se si aspettasse una risposta assurda.
« Portobello Road, Londra, e tu? Da un negozio di palloncini? » chiese fingendo serietà. Merope davanti a lei li osservava interessata, con gli occhi più aperti del normale, come se stesse guardando un film.
« Cosa vorresti dire? » aggrottò le sopracciglia lui, dimostrando di non aver capito la battuta.
« Voglio dire che mi sembri un bel pallone gonfiato, ecco cosa. » spiegò lei bevendo un sorso di succo di zucca senza nemmeno guardarlo.
Per qualche secondo percepì il suo sguardo sottile su di lei, e la cosa la infastidì, ma fece finta di niente.
« Senti, non so perché tu ti senta così speciale da non poter sopportare qualche battuta, ma essere Babbani non è una scusa per tutto » ribatté freddo, e a quel punto Edith si sentì costretta a guardarlo negli occhi.
« Così come essere Purosangue non è una scusa per essere stronzi, immagino »
Per qualche istante calò il silenzio, e i due si fissarono senza dire niente.
« Non sono un Purosangue » mormorò a tono basso lui, senza smettere di fissarla.
« Beh, allora l’essere stronzo deve essere una tua dote personale e non ereditaria » continuò pungente Edith.
Di nuovo silenzio.
« E comunque nemmeno io sono Babbana » aggiunse.
« Mia madre è una strega, e anche i miei nonni lo erano, ma a casa mia la magia è caduta in disuso da quando sono nata. Ho sempre frequentato scuole Babbane, ho imparato la magia da mia nonna, non ho mai usato un gufo per spedire lettere e non ho mai scritto con una piuma, ma non credo che questo sia un grosso problema, visto che voi non avete idea di cosa sia un phon, una biro o un cellulare » concluse.
Riprese a mangiare senza guardarlo, probabilmente aspettando che se ne andasse.
Non sapeva perché si era giustificata o perché aveva preso così a cuore il commento di quel ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome, eppure sembrava che la sua risposta l’avesse lasciato senza parole.
« Te lo concedo » mormorò infine il ragazzo, alzandosi.
Edith lo guardò con la coda dell’occhio e vide che aveva un’aria soddisfatta, come se se stesse ridendo sotto i baffi. « In effetti qui sono un po’antiquati, ma hanno il loro fascino »
Lei continuò a mangiare in silenzio, ma lui si abbassò all’improvviso, avvicinandosi a lei più di quanto si aspettasse e fissandola intensamente.
« Se avessi bisogno di qualcuno che ti insegni a scrivere, comunque, sarà un piacere »
sorrise sghembo, ancora più divertito quando le guance di lei si tinsero involontariamente di rosso.
Prima che potesse ribattere qualunque cosa, però, la voce di una professoressa che non conosceva ancora lo richiamò, interrompendo la loro conversazione.
« Signor James, quello non è il suo tavolo, non può stare lì. Vada a sedersi »
« Sì signorina Kinnon! » annuì vigorosamente lui portando la mano alla fronte e facendo finta di mettersi sull’attenti.
Una ragazza, accanto a Edith, ridacchiò frivola, lanciandogli occhiate maliziose da dietro la spalla.
Evidentemente quel ragazzo doveva essere piuttosto “ famoso”, perché guardandosi attorno si accorse che il 90% delle femmine al loro tavolo lo stavano guardando, chi più chi meno palesemente, mentre i ragazzi ridacchiavano sommessamente tra loro, come apprezzassero la sua spavalderia.
Arroganza, vorrai dire, si corresse mentalmente.
La professoressa non rispose al tentativo di James di buttarla sul ridere, ma si limitò a fissarlo ancora più severamente, con entrambe le mani sui fianchi, aspettando che tornasse al suo posto.
« Ci vediamo » le sorrise divertito facendole l’occhiolino, prima di voltarsi e andarsene seguito dall’insegnante.
Edith lo seguì con lo sguardo per qualche metro, fino a quando non fu sufficientemente lontano da non sentirla.
« Qual è il suo problema? » domandò a voce alta, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
« Ah, nessuno, lascialo perdere, è sempre stato così » commentò senza troppa enfasi Merope, concentrata sul suo budino.
« E come mai nessuno gli ha mai dato un pugno sul naso? » chiese lievemente stizzita, tanto che l’amica davanti a lei alzò lo sguardo sorpresa.
« Scusami, è che ha una faccia che mi irrita proprio a pelle » spiegò continuando a cercare di guardarlo da dove era seduta, come se volesse osservarlo meglio per assicurarsi di detestarlo fino in fondo.
« Non sei l’unica, se la cosa ti consola. Aaron è il genere di ragazzo per cui le persone si dividono in due categorie: chi lo odia e chi lo ama » disse facendo un cenno con la testa ad indicare la ragazza che pochi minuti prima aveva riso come un’oca a quella scenetta penosa.
« Tu in quale categoria staresti? » domandò incuriosita assottigliando lo sguardo.
Merope ficcò il libro di Pozioni che teneva sulle gambe dentro la borsa e fece per alzarsi; le lezioni del pomeriggio sarebbero iniziate dopo poco e lei sembrava avere una certa fretta. « In quella che lo ignora per il buon della pace » disse infine.
« Purtroppo per me è difficile provare indifferenza per qualcuno » mormorò Edith imitando l’amica e alzandosi.
« Beh, potrebbe anche piacerti, magari. Se lo conosci un po’ non è così male… gli piace solo fare il cretino. Credo sia insito nel suo DNA » osservò.
Edith sorrise; era lieta che almeno avessero la stessa filosofia sugli uomini.
« Gioca anche a Quidditch » aggiunse Merope, come fosse un dettaglio importante.
« E..? »
Lei fece spallucce « Non so, di solito è un dettaglio che fa impazzire le ragazzine »
Edith rise e la guardò come se stesse farneticando « Ma per chi mi hai presa? »
« In ogni caso, dubito mi piacerà mai. Anzi, credo che potrei fare fatica persino a tollerarlo » aggiunse.
« In tal caso credo che il problema maggiore non l’avrai con lui, ma con mezzo dormitorio femminile » commentò l’amica con l’aria di chi prevede guai.
« Sta così simpatico a tutte? »
Merope si fermò, osservando Edith come se avesse appena fatto una domanda oltremodo stupida. « Non è che gli sta simpatico: loro lo venerano » sillabò lentamente, come se volesse sottolineare ulteriormente la cosa.
Edith sollevò le sopracciglia, pensando che esagerasse. Come si poteva venerare un tipo del genere? « E perché mai? » domandò incredula.
Merope sollevò di nuovo le spalle e si sistemò il berretto sulla testa; si stavano avviando verso la capanna del guardiacaccia, vicino alla quale si tenevano le lezioni di Cura delle Creature Magiche, e faceva già piuttosto freddo fuori.
« Non lo so. So solo che sono tutte innamorate di lui, chi più chi meno. Credo non ci sia una sola ragazza a Hogwarts che rifiuterebbe di uscire con lui » rifletté quasi con preoccupazione.
« Fino ad ora » mormorò tra sé Edith, serrando i denti.
Se mai Aaron James le avesse chiesto di uscire, era piuttosto sicura che l’avrebbe mandato a quel paese. Anzi, ripensandoci l’avrebbe fatto volentieri anche senza quella scusa.
   
 
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