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Autore: Cynthia_Arcati    20/08/2016    2 recensioni
'Quando la pazzia occupa la tua mente anche se parzialmente, è impossibile scacciarla completamente...'
Leggere per scoprire =)
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Lacrime.

Secondo alcuni sono salate, secondo altri insapori e per altri ancora dolci.

Io non rientro in nessuna categoria di questi. Secondo me le lacrime assumono il sapore del sentimento che stiamo provando. Le lacrime di gioia, per esempio, sono dolci, quelle di tristezza salate.

Avevo l’abitudine di assaggiare le mie lacrime quando piangevo e la mia mente confermava la mia ipotesi. Forse perché condizionata da questo strano pensiero.

Fatto sta, che erano lacrime insapori quelle che ora rigano le mie guance. Già, insapori, riflesso del mio sguardo vuoto, apatico, mentre guardo quella che doveva essere mia madre, ma che non si era mai comportata come tale. In realtà neanche mio padre si era mai comportato bene con me. Anzi, soprattutto lui. Non erano mamma e papà, erano Clarissa e George, coloro che mi avevano procreato. Punto. Niente di più. Capitava raramente che li chiamassi mamma e papà.

Non mi avevano mai rivolto un sorriso, da quando avevo memoria. Non una parola dolce, non una carezza. Niente.
Ricordo ancora gli sguardi indifferenti che mi lanciavano quand’ero bambina, mentre gli regalavo un fiore o un lavoretto portato dietro dall’asilo. Ricordo quando delusa, li vedevo il giorno dopo nel cestino. Ricordo le sberle quando prendevo un voto che non era 9 o 10 a scuola. Ricordo le lacrime salate che scorrevano a fiotti sul mio viso quando li sentivo litigare, affermando che io sono un errore. Lei non dovrebbe esistere, è solo per quell’aborto della natura che ti ho sposato!

Ricordando quelle parole fuoriuscite dalla perfetta linea retta che erano le labbra di Clarissa, urlate. Lo aveva fatto apposta. Voleva che io sentissi tutto. E da quel momento, che non mi riconobbi più.

Alternavo momenti di lucidità a momenti di folle pazzia, dove, nascosta nell’oscurità della mia stanza ridevo, mi facevo tagli sulle braccia con una lametta e piangevo. Ma non erano né salate né dolci, ma insapori, vuote.

Ogni volta riuscivo a controllare questi momenti di pura follia, grazie ad una sensazione che sentivo prima di perdere il barlume della ragione. Non era doloroso e non era nemmeno piacevole, era come se una specie di gorgoglio e di debole bruciore si unisse nel mio stomaco, formando un tornado di sensazioni che non saprei descrivere.

E allora mi chiudevo in stanza prima che perdessi la lucidità. E lì, nel buio con le persiane e vetri chiusi, seduta sul parquet ridevo e piangevo mentre quest’ultimo, perfettamente pulito, si sporcava di gocce del mio stesso sangue e il tornado nel mio stomaco infuriava e spazzava via tutte le mie emozioni.

Da allora andai poco e niente a scuola, anche perché da allora tutti mi tengono lontana, anche le poche amicizie che avevo. Capitava, a volte, di perdere il controllo durante la lezione e quindi mi scappava una risatina sadica o cose così.

Durante le ore mancate di scuola mi recavo in una radura al centro del bosco vicino casa, senza far nulla di particolare. Mi sdraiavo sul prato e chiudevo gli occhi, mentre canticchiavo con un sorriso malato sul volto.

Don’t cry my love
I’m here with you
Don’t cry my love
Or we’ re going to argue each other right now
Don’t cry my love
Everything will get ended right now
Don’t cry my love
Nobody will be sad anymore

Quella era una litania cantata, più che un motivetto. Essa non usciva più dalla mia testa. Aveva piantato le sue radici nella mia mente che scarseggiava di lucidità. Pian piano la sanità mentale mi abbandonò. Lo capii quando mi accorsi con orrore che i momenti di pazzia erano sempre più frequenti, sempre di più dei momenti di lucidità.

Questa mattina Clarissa si è accanita su di me mentre facevo ritorno a casa, accusandomi di aver marinato la scuola per settimane. Non so come lo scoprì, forse aveva tirato ad indovinare o forse mi aveva seguita di nascosto, chi lo sa.

Come sempre mi ha urlato contro, insultandomi e schiaffeggiandomi, facendo uscire fuori la peggior parte di me, stanca di quell’orribile routine.
Ho afferrato una mannaia che si trovava lì vicino, puntandola minacciosamente verso di lei, mettendola con le spalle al muro.

E quando vidi qualche lacrima di paura scorrere su quel viso perennemente accigliato, persi il controllo e la mia vista si appannò.

Ora si trova con lo stomaco squarciato in verticale da cui fuoriescono alcuni organi, le mani e i piedi mozzati sono posti vicino al suo corpo, gli occhi verdi spalancati e privi di vita, dopo aver ricevuto una pugnalata al petto.

Ritorno al presente, sentendo l’urlo di terrore di George. Ridacchio, mentre lui si inginocchia sul pavimento prendendo il cadavere di Clarissa tra le sue braccia, scoppiando in un pianto disperato.

Avevo visto con la coda dell’occhio mamma che stava piangendo silenziosamente ed ho voluto consolarla con un po’ di riposo. Non c’è niente di male a consolare la propria mamma quando è triste, giusto?

-"Oh, non piangere papà"- Sogghigno lanciandoli un sorriso a 32 denti. Il mio miglior sorriso.
Appena si accorge di me dall’altra parte della stanza, caccia un grido.

-"Ciao paparino, sono io, Elizabeth. Hai già notato i miei bellissimi tagli, a quanto vedo"- Il sogghigno si trasforma ben presto in una fragorosa risata, mentre alcune lacrime insapori e vuote mi rigano il volto, abbellito da uno smagliante sorriso.

Lotto per avere almeno un momento di lucidità per urlare a George di scappare, ma non ce la faccio. La follia si insinua nella mia mente quando meno me l’aspetto e quando succede, accade il peggio.

-"Non ti piacciono, papà?"- Chiedo ancora, godendo del suo sguardo sbalordito e terrorizzato allo stesso tempo. Oh, poverino, non riesce nemmeno a parlare sorpreso com’è dalla mia splendida idea.

-"Oppure sei sbalordito dal mio bellissimo vestito? Te lo ricordi, vero? E’ lo stesso per cui mi hai picchiato. Forse dovevo chiedere il permesso per prendere un po’ dei tuoi soldi per comprarmi questo vestito, ma ormai è fatta"- Non riesco a smettere di ridacchiare e piangere allo stesso tempo. E’ come se la quello che rimane della mia lucidità si mischiasse alla mia pazzia, che ormai ha preso possesso del mio corpo.

-"T-tu non sei mia figlia, sei solo un mostro!"- George afferra un coltello dal bancone della cucina e accecato dall’ira corre verso di me, mentre io continuo a ridacchiare in modo malsano.

Un mostro, ecco cosa sono per lui. Quando il mio cervello assorbe quella parola il mio sorriso vacilla e riacquisto le mie facoltà mentali per qualche prezioso istante. Sento un tonfo nel mio petto, mentre un nodo si forma nella mia gola. Ma guardando il suo viso disgustato e terrorizzato, la lucidità fece spazio alla follia, ancora una volta.

Guardo le sue mosse sorridendo folle e quando ci sono un paio di passi a dividerci abbasso di poco la testa schivando un fendente. Il mio sorriso non si riduce nemmeno un po’.

Continuo a schivare fendenti, calci e pugni facendo diverse capriole e salti, mentre ridevo sempre di più. Delle lacrime di frustrazione e dolore escono dai suoi occhi e il mio sorriso si spegne un po’. Non sopporto vedere le persone piangere.

-"Oh, papà, non piangere, tra poco tutto finirà, vedrai"-

Oh, vedrai papà, ora non soffrirai più. Tu ami Clarissa, no? Allora perché non mi aiuti a mandarti da lei? Poverina, si starà sentendo sola...
Avanzo verso di lui, disarmandolo con facilità grazie alla mia lametta mentre lui indietreggia spaventato.

-"Sta lontano da me, mostro!"-

Ouch

Un altro tonfo, stavolta più rumoroso. Continuo a sentirlo nella mia mente, associato al mio papà che continua a chiamarmi mostro.

Mostro, mostro, mostro...

Lo sento ripetutamente nella mia testa come se la mia mente fosse una grande stanza completamente vuota e mio padre lo ripetesse all’infinito, facendolo assorbire e espellere sotto forma di eco ai muri.

Mi da fastidio, mi fa salire le lacrime agli occhi e non voglio che le mie lacrime siano salate...

Mostro, mostro, mostro...

A causa di quell’eco quasi perde significato quella parola usata a volte dai veri mostri. Da piccola credevo che un mostro fosse una creatura grottesca, una massa informe verde o un drago a tre teste, ma crescendo ho notato che stavo sbagliando di grosso.

Mostro non è colui che è orribile di aspetto fisico, ma è una persona che si comporta male nei confronti degli altri, colui che si crede superiore agli altri. Colui che vuole il peggio per il prossimo.

Ma io non voglio il male degli altri! Voglio solo aiutarli, consolarli...

Sì, è così. Io non sono un mostro. Papà deve aver frainteso le mie intenzioni. Sì... è sicuramente così. Deve essere così.

Mi tiro i capelli scuri, sicuramente le due trecce che ho fatto con tanta cura si sono guastate, ma poco importa ora. Assaggio le mie lacrime e sentendole salate arrabbiata mi scaglio contro mio padre, che nel frattempo cerca di uscire dalla cucina.

Io faccio tanto per aiutarlo e lui mi ripaga facendomi piangere lacrime salate? Lo sa benissimo che le odio! Ma non importa, lo aiuterò lo stesso a raggiungere la mamma, io non sono un mostro come lui.

Gli salto addosso a cavalcioni sulla sua grossa pancia prima che attraversi la porta della cucina.

-"Ihihih, credo proprio che qui qualcuno non ha ascoltato il dietologo"-

Lo rimprovero ridendo, mentre lui scuote la testa cercando di liberarsi, ma io velocemente gli pianto la lametta nella gamba destra e subito dopo nella gamba sinistra con forza, tagliando i tendini.

George urla dal dolore e mi da un pugno sul viso, facendomi mollare la presa su di lui.

Sento il sangue scorrermi dal setto nasale ma asciugandolo frettolosamente afferro il braccio di papà che nel frattempo stava cercando di avvicinarsi al telefono di casa.

Non è collaborativo così però. E io che volevo un bel lieto fine, con i due sposini insieme, per sempre felici e contenti. Ma l’avranno, non importa se papà fraintende le mie intenzioni, un giorno mi sarà grato.

Trancio i tendini delle sue braccia ridacchiando mentre con l’indice che sposto a destra e a sinistra, schiocco la lingua contro il palato un paio di volte.
-"No no, non si fa"- Gli spiego mentre cerca di dimenarsi.

Approfitto della situazione per torturarlo un pochino canticchiando la mia bella melodia che ha come sfondo le urla disperate di papà.

-"Suvvia, cos’è un po’ di dolore, tra poco raggiungerai la tua bella, non c’è bisogno di urlare tanto. Non sarebbe carino svegliare i vicini che dormono!"-

Don’t cry my love
I’m here with you

Gli sorrido sadica mentre prendo la mannaia che era caduta per terra poco fa.

Don’t cry my love
Or we’ re going to argue each other right now

Gli trancio di netto le braccia, aiutandomi con la grossa mannaia.

Don’t cry my love
Everything will get ended right now

Gli trancio le gambe, mentre le mie lacrime insapori cadono, bagnando il viso di papà.

Don’t cry my love
Nobody will be sad anymore

Vedendo le sue lacrime fare capolino sulle guance, decido di farla finita.

-"Don’t cry my love"-

Con un potente colpo affondo mannaia e dita nel suo petto, tagliandolo come se fosse burro e i suoi occhi ghiaccio così simili ai miei si spengono definitivamente.

Mi alzo dall’ormai morto George sentendo le sirene della polizia. Sicuramente il vicino ha sentito le urla e ha voluto chiamare i soccorsi.

Corro via con in mano la mannaia, ormai diventata la mia arma prediletta.

E mentre guardo le mie ballerine bianche mi aggiusto le trecce, per quanto possibile, dopodiché mi addentro nella città ormai buia con il sorriso sulle labbra e le lacrime che solcano il mio viso, nascondendomi di tanto in tanto in vicoli bui per non dare nell’occhio, canticchiando.

Ed è in uno di questi vicoli bui che un dolore lancinante alla testa mi fa quasi piegare in due.

D’un tratto la pazzia abbandona la mia psiche precaria.

-"Oh, no... Cos’ho fatto... Mamma, papà... Allora sono davvero un mostro"- Lacrime consenzienti tracciano linee sul mio viso e i singhiozzi scuotono le mie spalle. Mi rannicchio con le ginocchia al petto in un angolo del piccolo vicolo ceco.

Cosa sono diventata? Io non volevo ucciderli! Non... Volevo...

-"Ciao! Perché piangi? Chi sei?"- Un bambino con un palloncino blu tra le mani si avvicina alla mia figura tremante.

Oh no, ti prego piccolo va via prima che sia...

-"Ciao, piccolo. Io sono Crying Lizzie. Tu come ti chiami?"-

...troppo tardi.

Nessuno sa cosa sia successo quella notte in quel vicoletto a quel piccolo moccioso. Ci sono solo alcune persone che hanno sentito un urlo soffocato e una risatina malsana, accompagnati da un palloncino blu che si dirigeva su per il cielo scuro. Si sono diretti nel vicolo, ma hanno trovato solo il bambino orribilmente. Nulla di più.

Nessuno sa cosa sia successo, apparte io.

Ora ho capito che qualunque gesto, anche il minimo insignificante gesto dettato dalla paura o dalla tristezza può infierire sulla mia sanità mentale.
Quindi non girarti, non guardare, non fare rumore.

Perché...

...Sono dietro di te.

   
 
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