47.
Alle origini
Mi appiattisco con la
schiena contro la porta ormai chiusa dietro di me, anche se, inevitabilmente,
mi sembra di aver messo molto più di uno strato di legno tra me ed Eric. Il mio
cuore batte ferocemente, minacciando di uscirmi dalla schiena, dove urta contro
la superficie della porta.
Da dentro la stanza
che ho appena lasciato sento proveniere varie imprecazioni al
limite della decenza e anche qualche tonfo poco rassicurante ma, dentro
di me, sento sola una voce che ripete senza pietà una stessa e unica frase.
Non posso negare di aver perso tutto per colpa tua…
Uno strato di lacrime mi appanna la
vista e trattenerlo dentro gli occhi mi sembra l’unica soluzione, mentre mi
mordo il labbro e provo e restare in piedi, con un singhiozzio che mi sfugge
dal petto. Chiudo le palpebre e mi piego in avanti, cercando di non emettere
altri suoni e prendendo un profondo respiro.
-Cosa c’è bambina, hai litigato con il
fidanzatino?-
Spalanco gli occhi e guardo alla mia
sinistra dove, contro la parete che segna la fine del corridoio, i due ragazzi
di guardia sono ancora seduti per terra.
Sghignazzano in
risposta all’occhiataccia carica di lacrime che gli lancio e so bene che non
posso certo discutere con loro. Mi stacco dalla porta e mi avvio a grandi passi
verso le scale, voglio allontanarmi da qui prima possibile. Supero la stanza
che Camille e Jason si sono presi e passo rapidamente anche davanti a quello
che era lo studio di Max, non voglio che mi vedano.
In realtà non so dove andare, gli sguardi
che mi hanno trafitto in mensa mi sono bastati e non voglio correre il rischio
di farmi vedere da chi ucciderebbe Eric senza pensarci due volte.
Avevo creduto di essere tornata a casa,
che niente era peggiore del quartiere degli Eruditi, o che qui non avrei dovuto
nascondermi. Ed invece non è cambiato assolutamente nulla.
Mentre scendo le scale, mi accorgo che
il mio corpo mi sta portando verso una direzione e la motivazione è molto semplice.
Non sono stata in questa residenza troppo a lungo da sapermi muovere
liberamente, gli unici percorsi che conosco bene sono quelli per andare in mensa
o in palestra.
E poi c’è la strada che divideva la
camera di Eric dai dormitori, e quella l’ho imparata bene, riesco ad orientarmi
anche al buio. Ed anche adesso è buio pesto, è sera e a quanto pare hanno
deciso di rispettare le regole sul risparmio energetico e tutte le luci sono
state spente.
Scivolo silenziosa la prima rampa di
scale e poi le altre, accarezzo la roccia fredda dell’ultimo corridoio e
sparisco oltre una porta incastonata in un buco in ombra.
Al mio ingresso, ad accogliermi c’è la
lieve luce delle lampade d’emergenza installate ai quattro angoli della stanza
che, lunga e silenziosa, è fin troppo simile a come la ricordavo.
Letti singoli e cigolanti sono ancora sistemati in due file, l’una di fronte
all’altra.
Avanzo di un passo ma, come se avessi calpestato
un pulsante, al mio movimento, uno squittio squarcia il silenzio. Mi paralizzo,
per un attimo preoccupata, poi sollevo lo sguardo e,
proprio sotto un flebile fascio di luce celestina, appare inquadra una figura.
È un profilo esile e minuto, reso ancora
più piccolo dalla curva della sua schiena. È una macchia interamente nera e non
solo per i vestiti, ma anche per il color cioccolato della sua pelle e l’ebano
intenso dei suoi capelli arruffati.
Ancor prima di indovinare di chi si
tratta, realizzo su quale letto è seduta, ed è allora
che tutto ha un senso e non ho più dubbi su chi sia la ragazzina singhiozzante.
Il letto era quello del mio amico Will,
che se n’è andato per sempre dopo aver legato particolarmente con la nostra
compagna d’iniziazione Christina.
E sono proprio gli occhi marroni di Christina quelli che mi inchiodano come fari
nella notte puntati contro di me. È solo un attimo, realizza chi sono e la sua
espressione teneramente sconfortata si trasforma in un connubio di rabbia e
odio. Si asciuga le lacrime con la manica lunga della felpa e compie uno scatto
atletico per alzarsi e aggirare il letto in un unico e fluido movimento. Mentre
guadagna l’uscita a testa bassa, ma non certo per timore, mi sfreccia accanto e
sparisce fuori dalla porta senza batter ciglio.
Mi accorgo di avere la bocca aperta,
come se avessi cercato di parlare ma qualcosa me lo
avesse impedito. So bene cosa mi ha zittita, è stato
il buon senso.
Will era anche mio amico, avrei potuto dirle, il primo vero amico fra gli Eruditi, ma a quale
scopo?
So bene cosa sono diventata, sono una
traditrice, una pazza che si è alleata a quei mostri
di blu vestiti che hanno causato la morte di persone innocenti con una folle
simulazione di massa.
Sono nella schiera dei cattivi.
Come una fitta in pieno petto, mi piove addosso la consapevolezza che per Christina, probabilmente,
sono responsabile della morte di Will.
E non è forse così?
Dov’ero io mentre il mio amico, guidato
da un computer manovrato dalla mia stessa sorella, agiva privo di volontà e si
faceva sparare in testa da una sua amica?
Io ero ferma, immobile, in piedi dentro
la sala di controllo degli Intrepidi, protetta dall’amore di Eric per me e
tenuta lontana dalla guerra. Io ero ad assistere, senza oppormi e senza fare
nulla di utile, mentre i miei compagni morivano.
Proprio io, che ho odiato Tris per
essere stata il braccio che ha sparato a Will, mi rendo finalmente conto che ho
più colpe io nella morte del mio amico che l’esecutrice stessa.
Solo adesso so di avere le mani sporche di sangue tanto quanto Eric,
per essere rimasta al fianco degli Eruditi senza fiatare, per aver visto mio
padre torture poveri Divergenti senza fare niente.
Solo adesso so di non essere innocente.
Mi merito ogni odio, ogni sguardo
inferocito e, soprattutto, merito di non avere più un luogo da definire casa.
Non merito di rimanere rintanata nella camera di Eric, come se esistessimo solo
noi.
Il nostro legame ha già causato troppi
danni e non voglio più chiudere gli occhi, sono cresciuta e non posso
illudermi.
Sono stata passiva, ero solamente la
compagnia di Eric, una muta complice.
Una muta colpevolezza che solo adesso
accetto.
Abbasso gli
occhi sulla branda davanti alle mie ginocchia, la prima vicino alla porta, il
mio letto. Mi ci lascio cadere sopra lentamente,
quasi timorosa di romperlo. Ero felice di avere il letto in uscita, così potevo
sgattaiolare da Eric nel cuore della notte, o rientrare all’ultimo minuto la
mattina, facendo credere a tutti di aver dormito lì. Ma
adesso, in mezzo a tutto questo buio, mi rendo conto che è una posizione ai
margini.
Sono sempre stata fuori, confinata nel
mio amore per Eric, ho messo tutto e tutti da parte, non mi sono goduta la mia
iniziazione e ho allentato i rapporti con gli amici. Ho cercato per tanto tempo
gli Intrepidi per sentirmi parte integrante di una società, considerando il mio
vissuto disastroso fra gli Eruditi, per ripetere gli stessi errori.
Ho tenuto alla larga gli Eruditi per poi
non tuffarmi nella mischia degli Intrepidi per starmene con il mio capofazione.
Sprofondo con il viso nel cuscino,
sperando che basti per nascondermi da me stessa, ma non posso scappare, questo
l’ho imparato.
Improvvisamente, odio Aria tanto quanto
ho detestato Ariana Grey e non so più a quale parte di me stessa appellarmi.
Chi sono io?
Sono Aria, la compagnia di Eric che non
ha mai voce in capitolo né coraggio di agire? O sono Ariana, la scontrosa
Erudita sempre incompresa e arrabbiata, succube di una vita non voluta?
Quando potrò essere davvero me stessa, capace di gestire il mondo che mi
circonda e smettere di scappare?
Prima sapevo solo lottare, poi ho
sperato di sparire, adesso desidero solo vivere.
Mi accorgo di essermi addormentata
profondamente solo quando qualcosa mi riscuote dal mio riposo senza sogni. Apro
gli occhi di scatto, mentre la consapevolezza della mia vulnerabilità mi
rigetta con violenza alla realtà, così faccio forza sulle braccia e mi sollevo.
Cerco di mettere a fuoco la stanza ma è
buio, tuttavia non mi serve molta luce per inquadrare il volto della persona
che si è seduta sulla mia branda, vicinissima a me. Sarà la vicinanza, oppure
il riflesso delle lucine azzurre del corridoio o, molto più semplicemente, il
fatto che conosco bene questo volto, ma so subito chi è.
Pelle luminosa, da bambolina di
porcellana, grandi occhi vividi color nocciola chiaro, naso
arrotondato e labbra morbide. I capelli dorati sono raccolti in una coda
di cavallo, ma l’elastico non impedisce a parecchi ciuffi lisci e ribelli di
scivolarle sulla fronte e incorniciarle il viso.
-Sasha!-
Il sussurro mi esce di
bocca con più incertezza di quanto vorrei, quasi come se avessi posto ad alta
voce una domanda e fossi in attesa di conferma.
Un timido sorriso le crea due fossette
sulle guance, ma i suoi occhi si abbassano trascinando giù anche qualche ciuffo
ribelle che la nasconde. È come se non avesse voluto sorridere, come se in
realtà avrebbe voluto insultarmi e magari era venuta qui
proprio per questo, ma l’attimo dopo scuote la testa e sospira.
-Aria?- Chiede ironicamente.
Assottiglio lo sguardo, mettendomi
lentamente seduta contro lo schienale del letto e mi prendo un attimo per
riflettere ma, nel caos della mia mente, i pensieri sono troppi e non riesco
che a pensare a una sola cosa.
-Sei
arrabbiata con me?-
Sasha non mi guarda, storce la bocca e
segue con gli occhi il contorno della stanza per poi scrollare le spalle.
-La risposta potrebbe essere lunga e complicata e magari non capiresti
del tutto, ma credo si possa riassumere con un no!-
Rimango per qualche secondo spiazzata,
poi spingo fuori dal naso l’aria in un sospiro liberatorio che assomiglia molto
a una lieve risata.
-Non mi chiedi come ho fatto a
trovarti?-
La osservo e, tra dubbi e pensieri
incompiuti, capisco che qualcosa non torna. È praticamente
impossibile che Sasha mi abbia trovato, insomma, non poteva sapere che avevo
litigato con Eric e che ero corsa a rifugiarmi qui sotto. Va bene l’amicizia,
ma non dovrei essere qui, non dovrei essere uscita
dalla stanza che fa da prigione del capofazione.
Per cui, senza grandi difficoltà a capirlo, l’unica risposta è che Sasha sia
stata spinta in questo puzzolente dormitorio dal mio stesso bisogno di pace e
chiarezza e che per una fortunata coincidenza ci abbia trovato me dentro a
dormire. D’altronde, quando sono arrivata, c’era già Christina e non credo si
fosse rifugiata qui solo per compiangere Will.
Il dormitorio è stata
la prima casa che noi iniziati trasfazione abbiamo trovato. Privati persino dei
vecchi vestiti, non eravamo altro che un branco di
giovanissimi sfollati senza famiglia e con un futuro incerto.
Siamo umani, ma prima di tutto dei
semplici ragazzini, è normale che con tutto il trambusto successo ai piani
alti, cerchiamo un luogo extra tempo dove possiamo tornare ai momenti in cui
l’unica paura era quella di finire tra gli esclusi e
dove gli unici dolori che sentivamo erano quelli fisici dopo gli scontri copro
a corpo.
Ho più volte desiderato di tornare qualche
mese indietro, ma non è possibile.
Stringo un pugno e mi mordo il labbro
quando sento che le parole vorrebbero uscirmi da dentro come un fiume in piena.
Per un attimo ho pensato di essere io quella distrutta, ma è Sasha quella che è
stata catapultata in una simulazione che l’ha spinta ad attaccare la fazione
degli Abneganti, forse ha anche fatto fuoco, proprio lei che era una Pacifica,
per poi, quando tutto si è concluso per il peggio,
ritrovarsi sola.
Ho cercato per tanto tempo di farmi
degli amici da piccola senza mai riuscirci e, quando nella nuova fazione ne
trovo una, non posso certo dire di averla tratta al meglio.
-Sasha, mi dispiace! Io non ero dalla parte di Jeanine, te lo giuro!- inizio
a blaterare. -Ho seguito Eric e ti prego perdonami, mi sei mancata! Sapevo che
stavi bene, mi sono informata! E non volevo che avviassero la simulazione, non
c’entro con quella storia! Io…-
Improvvisamente non so più cosa dire e a
quale scusa banale appigliarmi, mi do un colpetto sulla fronte e getto il viso
sulla mano.
-Io sono un’idiota!- Borbotto.
-Su questo non c’erano dubbi!-
Sposto le dita per sbirciare la sua
espressione.
-Altrimenti non avresti cambiato fazione
e saresti ancora una cervellona!-
Chiudo gli occhi e mi tolgo le mani da
viso. -Tu non puoi immaginare quello che hai fatto per me, ti devo la mia vita!-
Quello che ho detto è la pura verità,
niente esagerazioni.
Quando sono scesa dal treno su cui mi
avevano caricata i ribelli, dopo essere scappati dallo
Spietato Generale, avevo come unico obbiettivo quello di uccidere Tris. Mi
avevano fatto credere che Eric era stato giustiziato e, carica di rabbia e
dolore, volevo punire Quattro per aver sparato e Tris per aver assistito alla
morte dell’uomo che amo. Avevo un coltellino nascosto sotto la giacca, nella
tasca della felpa e, approfittando del caos generale alla fermata del treno
dentro la residenza Intrepida, ero sgattaiolata tra la folla diretta verso la
mia vittima.
Avevo già la mano sulla lama e Tris
davanti a me, ancora un passo e avrei estratto l’arma per reciderle la gola,
attaccandola alle spalle.
Ma, come un miracolo divino, Sasha mi era saltata al collo in un lungo
abbraccio, che mi aveva dato il tempo di risvegliarmi del mio incubo omicida
giusto in tempo per far sì che Tris si spostasse. Era stata proprio Sasha a
riaccendermi il cuore, svelandomi che Eric era ancora vivo.
Se la mia amica non mi avesse fermata in tempo, avrei commesso un terribile crimine, sarei
stata giustiziata sul colpo e, la cosa più bella, sarebbe stata scoprire che
Eric invece era sano e salvo e che magari avrebbe dovuto assistere alla mia
esecuzione. E, ovviamente, mi sarei sporcata le mani di sangue innocente.
Un brivido enorme mi percorre la schiena
e mi fa sussultare.
-Lo so!- è la risposta che ricevo.
Rimango spiazzata, non c’è ironia nella
sua voce, ma serietà. Sa che non ho esagerato, che le
devo davvero la mia vita.
Indago inarcando le sopracciglia.
Lei ricambia in silenzio il mio sguardo
e un brivido, sta volta gelido, mi attraversa da parte
a parte.
È logico, perché non ci ho pensato
subito?
Nessuno salterebbe al collo di una
persona che per un mese intero se n’è stata fra le schiere nemiche! D’accordo
essere state amiche, magari sentiva la mia mancanza, ma non si dimentica un
tradimento. Può aver compreso le mie motivazioni, ma non ha senso che si getti
ad abbracciarmi senza sapere se sono un’alleata o un’infiltrata erudita. Non ha
senso, va bene che Sasha era una pacifica, ma forse un abbraccio al volo era un
po’ troppo.
Tutto acquisterebbe maggiore senso se si interpretasse quel gesto di affetto come un placcaggio.
Sasha mi ha vista
arrivare, mi ha riconosciuta nel mare di teste, ha visto il mio sguardo perso e
ha capito il mio obbiettivo, forse ha persino intravisto la mia mano sotto la
giacca e ha immaginato cosa stringessi. E così, senza pensarci, ha sfruttato
l’euforia del momento e mi ha gettato le braccia intorno alle spalle, ma non
solo per abbracciarmi, ma soprattutto per fermarmi.
Mi verrebbe quasi da chiederle come mai
non sia fra gli Eruditi, ma la sua non è solo astuzia, quanto più coraggio.
Ci vuole coraggio a scegliere di salvare
una persona che ti ha voltato le spalle.
Ci vuole coraggio nel proteggere
qualcuno pronto a uccidere.
E, soprattutto, ci vuole un immenso
coraggio a perdonare.
Per quale ragione non lo so, ma un
angolo della mia bocca si solleva, forse c’è molta più ironia di quel che temo
in tutto questo.
-Tu non volevi davvero uccidere Tris,
giusto?-
La sua voce è calma, a differenza dei suoi
occhi che celano fiamme ardenti, fiamme pronte a
inghiottirmi oppure a lanciarmi una mano di salvezza.
Non ci penso neppure un momento.
-La risposta potrebbe essere lunga e complicata e magari non capiresti
del tutto, ma credo si possa riassumere con un no!-
Sasha continua a guardarmi, aspetta, poi
qualcosa cambia di scatto e le vedo sputare fuori dai denti una risata che
esplode senza che possa contenerla. Si volta un attimo, si copre la bocca con
la mano ma alla fine torna a guardarmi e inizia a ridere, prima a scatti come
se avesse il singhiozzo, dopo senza freni.
Inizialmente è per il suo modo goffo di
ridere, fatto sta che inizio a ridacchiare anch’io, tengo la bocca chiusa ma le
spalle tremano e cedo a una risata liberatoria.
Ci ritroviamo a non riuscire a smettere
di ridere, più ci guardiamo e peggio è, e temo che da un momento all’altro
arrivi un medico a portarci via a forza per chiuderci in psichiatria.
C’è pazzia nel suono cristallino di
risate femminili che echeggia nella caverna, ma mai quanta c’è n’è lì fuori.
Stiamo ridendo dopo aver parlato di
tentati omicidi e tradimenti, sarebbe più logico piangere ma quel tempo è
finito. Quale miglior modo di combattere angoscia e pazzia se non quello di
utilizzare altrettanta angoscia e follia?
Ridiamo ancora e ancora, per quanto non
me lo ricordo, so solo che quando sento che sto per piangere rido più forte e
non posso e non voglio smettere.
Varco la soglia con un grado di ansia
tale, che mi stupisco di essere ancora salda sui miei
piedi, invece di tremare come una foglia. Nemmeno il giorno della scelta ero
tanto tesa, avrei avuto mille occhi puntati addosso ma
mi sentivo fiera e forte come un leone.
E invece adesso, che devo semplicemente
continuare a camminare ed entrare in una semplice stanza, è come se un macigno
mi tirasse indietro.
Non sono più gradita qui, non dopo le
scelte che ho preso e quello che ho fatto, per cui sarò sotto accusa per ogni
frammento di secondo, sguardi o non sguardi. Non
importano le parole che sentirò, so già che avrò bisogno di ogni mio barlume di
forza per resistere.
Ho accanto una persona importante,
dovrebbe farmi da roccia ed è così, ma se mi aggrappo a lei rischio solo di
trascinarla nell’abisso con me.
-Non ci noteranno neppure!-
Dovrei essere rincuorata, peccato le
bugie abbiano le gambe corte e corto sia anche il loro
affetto dolce.
-Dici?- ironizzo.
No, non è vero che passerò inosservata.
L’ultima volta che sono stata qui mi è parso di avere un riflettore
direttamente puntato contro. Nessuno mi ha detto nulla, bastavano le loro
occhiatacce a urlarmi nelle orecchie.
Non ho mai voluto essere famosa, per di
più non per qualcosa di brutto.
-Fai finta che non ci sia nessuno e non
fare la pappamolle!-
Predo un profondo respiro e seguo Sasha
per mettermi in fila, subito dietro di lei, per farci servire la colazione.
Adesso è mattina prestissimo e a quanto pare ho trascorso quasi tutta la notte
al dormitorio, fantastico!
Prendo il mio vassoio e, per quanto mi
scocci ammetterlo, cerco di nascondermi dietro Sasha e tengo bassa la testa. Il
trucco sembra funzionare, nessuno si è accorto di me, le due ragazzine alle mie
spalle sono troppo impegnate a chiacchierare fra loro per notarmi, perciò mi mimetizzo
bene e sembro una qualunque ragazzina. Almeno qualcosa di positivo.
-Due caffelatte, per favore!-
Sasha ordina per me e la donna con una
cuffietta bianca in testa, da oltre il vetro della mensa, non alza nemmeno lo
sguardo e ci porge due tazze fumanti. Ne approfitto e continuo a sfilare dietro
la mia amica, fino all’angolo aperto con i dolci a buffet. Sasha prende due
muffin al cioccolato e ne sistema uno sul mio vassoio mentre tiene l’altro per
sé.
-Non abituartici!- sorride.
Sorrido anch’io.
Quando ci voltiamo,
la scena davanti e noi è molto chiara.
Il primo tavolo vicino alla mensa è
quello che nessuno vuole mai, che è stato volentieri lasciato ai sorvegliati
speciali, di fatti ieri sera mi sono seduta lì con Jason e Camille. Poco più
avanti c’è il tavolo che occupavo da iniziata, dove vedo già sedute Lynn e
Marlene.
E mi fermo.
-Sasha, grazie ma ci dividiamo qui!-
Lei si volta a guardarmi e non batte
ciglio. -Vuoi sederti al tavolo incriminato tutta
sola? Così si che sarai al centro dell’attenzione!-
Non rispondo.
-Perché non vieni con me?-
Guardo il mio vecchio tavolo, pieno di
ricordi, e per un attimo ci rivedo tutti durante l’iniziazione e rivedo la testa mora di Will nel posto accano al mio. Mi si
chiude lo stomaco. Non sono degna di sedermi lì, per di più sono certa che
arriverà anche Christina e ho già capito di non essere gradita.
-Non posso…-
Sasha sospira. -Allora potrei sedermi
qui con te.-
La scena che mi si presenta adesso è
anche peggio. Già mi vedo Sasha sotto accusa, sguardi critici contro di lei,
per aver fraternizzato con il nemico. Non posso esporla tanto.
-Non se ne parla!-
-Non devi fare la martire per forza,
nessuno ti obbliga a sederti da sola!-
Invece sì, ma non so come spiegarglielo.
-Aria, se vuoi
possiamo semplicemente cercarci un altro tavolo vuoto e metterci lì-
-Meno ti vedono con me e meglio è!-
Sta per dire qualcos’altro, ma poi
sospira. -Sei sicura?-
Faccio un cenno convinto.
Ci separiamo ed io mi siedo tristemente
nel tavolo vuoto, notando la guardia nell’angolo che inizia a fissarmi. Ieri mi
sono sistemata a un capotavola, semplicemente perché Jason si era seduto
nell’altro e Camille accanto a lui, ed io non volevo stargli troppo vicina. Mi
risiedo allo stesso posso, così magari le guardie nell’ombra possono tenermi
d’occhio senza sforzo, non sia mai che mi venga voglia
di gridare viva gli Eruditi e
uccidere qualcuno.
Assurdo.
Osservo la mia colazione e intanto mi
chiedo come ho fatto a finire in una situazione tanto brutta. Certo, ho visto
di peggio, il fondo l’ho toccato quando Eric era stato catturato ed io ero
ancora nelle mani di Jeanine, ma anche adesso non sono nelle fasce d’oro.
Scarto il muffin e lo addento,
impressionata da quanto il sapore di cioccolato possa darmi sollievo,
rievocandomi le mie vecchie colazioni da iniziata. Forse devo davvero ritornare
al passato e, se anche non posso riportare in vita Will e se non posso cambiare
la mia scelta di seguire Eric dagli Eruditi, forse posso semplicemente
ritrovare la mia vera io.
Avrei tanto bisogno della bambina che
sono stata, di quella pazzerella che a sette anni prendeva a pugni i compagni
di banco a scuola che la fissavano un secondo in più. E di certo mi serve la
tostissima iniziata degli Intrepidi, quella che si è guadagnata
un posto per un addestramento alle armi da fuoco, quella che vinceva ogni incontro
senza batter ciglio e che ha pareggiato con Peter e che ha perso soltanto
contro Edward.
Sorrido, mi farebbe comodo tornare a
essere l’allieva prediletta del capofazione, anzi, riportare a quel preciso
momento il mio rapporto con Eric. Rivoglio l’alchimia, l’elettricità e la mia
sfacciataggine!
Non sono stata forse io a sfidarlo con
ogni mio sguardo e a provocarlo senza timore? Giocavo con lui quando veniva a
vedermi al poligono, l’ho seguito quando mi ha portata
con lui a fare quel sopraluogo per ruba bandiera e l’ho istigato fino a farmi
baciare. E non sono stata io quella che si è infilata con lui nella sua doccia,
senza un briciolo di pudore? Non sono stata io a gettarmi nel suo letto senza
nemmeno contare fino a tre?
Dove diavolo è finita
quell’intrepida?
Dove mi sono smarrita?
In altre parole, per ritrovare me stessa
e riavvicinarmi a Eric, devo ritornare alle origini.
Devo ritornare a quando tutto era solo
un gioco per me, una nuova sfida da vincere. È incredibile per me dirlo ma,
quella personcina orgogliosa e feroce che sto cercando, altro non è che Ariana!
Era lei che ha resistito per sedici anni
fra gli Eruditi, pronta a tutto per raggiungere gli intrepidi, è stata lei a
diventare un’Intrepida con caparbietà e forza.
Ariana era amica di Will e non si
sarebbe mai schierata con la fazione che lo ha ucciso.
Ariana era la ragazzina arrivata fra gli
Intrepidi, quella graffiante come un felino, ed è lei
che ha stregato Eric.
Quella che sono adesso è solo una
versione distorta di una persona insignificante che desidera
tanto e non raggiunge niente. Aria era la persona che volevo essere, la libera
Intrepida finalmente al suo posto, invece sono solo un mucchio di buoni
propositi e fallimenti colossali.
Nel cercare disperatamente Aria ho perso
Ariana, ma così ho solo ucciso me stessa.
Finisco il mio muffin e inizio a bere
dalla mia tazza fumante di latte caffe e, mentre il liquido caldo mi scende
dentro, sento crescere una forte sensazione di benessere. Ora so cosa devo
fare.
Aria è troppo succube di Eric e, per
quanto lo ami, non posso dargli il massimo se perdo tutta me stessa e nemmeno
lui può amarmi come un tempo se non sa più chi sono.
Per questo devo ripartire da capo,
tornare alle mie origini per andare avanti.
Per salvare Aria e riconquistare Eric,
devo scavare a fondo e andarmi a riprendere Ariana.
Mentre bevo e la tazza davanti al naso
mi oscura parte della vista, sento dei rumori vicino a me così abbasso di poco
la tazza e vedo Jason sedersi dall’altra parte del tavolo mentre Camille lo
raggiunge.
Non ho il tempo di mettere giù la tazza
che la sedia al mio fianco si sposta e un braccio muscoloso e tatuato mi sfiora
quando si piazza sul tavolo vicino al mio vassoio. Per un attimo mi perdo a
osservare il suo tatuaggio, poi studio le tre fette di torta al cioccolato nel
suo vassoio e infine salgo al suo viso.
Una mascella quadrata e fiera, barba
incolta, piercing sul sopracciglio e line scure stampate sul collo sono da
sempre il suo biglietto da visita e i lividi e graffi sparsi qua e la non lo
intaccano. Ma i suoi occhi sono sempre la mossa
finale, la zampata che ti arriva dopo e ti stende senza che tu possa difenderti.
Le iridi grigie sono dentro le mie, mi
sta fissando con intensità disarmante eppure non c’è ostilità in lui. Non mi
sta respingendo, mi sta assorbendo come faceva una
volta. È come se con questo suo sguardo stesse scrutando dentro di me e si
fosse già ricongiunto con Ariana.
Senza dire una sola parola, si impadronisce della mia tazza togliendomela dalle mani e
si beve il mio caffelatte, forse non aveva voglia di parlare con la cameriera e
infatti non ha nemmeno un bicchierino di caffè davanti. Quando ha finito, mi
rimette sul mio vassoio la tazza completamente svuotata e inizia a mangiarsi la
sua torta al cioccolato.
Impossibile, è uscito dalla sua
maledetta stanza e se ne sta qui seduto a fare colazione nonostante le tre
guardie dietro di lui che non si perdono un suo solo movimento, incurante
persino delle occhiatacce di chi ci passa accanto e sordo a qualche battutina
infelice che mi pare di aver sentito.
Nel frattempo si è spazzolato via tutti
e tre i pezzi di torta e torna a guardarmi, muto, eppure mi sembra che mi stia
dicendo di tutto.
Sorrido.
Continua…
Che dire? Sono passati
mesi, lo so, e mi sembrava sempre più impossibile riuscire ad aggiornare.
Cercavo di concentrarmi, di trovare tempo per scrivere anche
se non ne avevo, ma semplicemente non ero più “sul pezzo”, mi sembrava
di essermi allontanata del tutto da Aria e Eric e di non aver più nulla da
raccontare.
Poi, piano piano, le scene
sono tornate una ad una nella mia mente e adesso mi
sembra di non riuscire a pensare ad altro e mi sento nuovamente catapultata nel
loro mondo!
Spero che continui questa ondata di ispirazione e che riesca di nuova ad immergermi
in questa storia per continuare a scriverla.
L’unica novità è che temo
che i prossimi capitoli, a dispetto del ritmo fin ora stabilito, saranno dal
punto di vista di Aria senza alternarsi con Eric. Purtroppo, dopo tutti questi
cambiamenti ed evoluzioni dei personaggi, la mente di Eric è una porta chiusa e
forse è meglio così.
Ringrazio di cuore chi mi
ha scritto su Facebook per invitarmi a postare un nuovo capitolo, perché mi ha dato
una grossa spinta, forse è grazie a questo se ho
aggiornato!
Grazie infinite a Kaithlyn24
che mi appoggia sempre con chilometriche recensioni e consigli.
E poi che dire? Forse il
cambiamento emotivo di Aria segnala un nuovo inizio,
voi che ne pensate?
Sarò ripetitiva, ma
ricevere qualche vostro parere mi sarebbe utilissimo e mi spingerebbe a
continuare!
Grazie a tutti i lettori,
che non so più nemmeno se continueranno a seguirmi, e scusate per l’immenso
ritardo!
Spero a presto, baci!