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Autore: NightWatcher96    22/08/2016    1 recensioni
Ogni corvo deve lasciare il nido, prima o poi e volare verso il futuro…
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La palestra era più grande del solito, anche più luminosa. Fasci di luce penetravano dai finestroni laterali, mentre miliardi di granelli di polvere danzavano in essi senza alcun rumore.
Kageyama era fermo a poca distanza dalla porta socchiusa, la solita palla tricolore stretta tra le mani e l’aria più apatica del solito. Di tanto in tanto deglutiva, poi muoveva gli occhi affinché la sensazione di caldo umido negli occhi non lasciasse scivolare le pesanti lacrime.
Il suo petto era soppresso dal dolore, la rabbia incateva il cuore stesso e solo la sua lucidità mentale lottava disperatamente contro il vortice di ricordi che continuava a rivedere con occhi persi nel vuoto.
Tobio era un relitto, in realtà: l’espressione stoica, l’aria fiera e fredda, la mancanza di parole… tutto molto innaturale. Il motivo era semplice, però. Il vuoto che lo circondava aumentava di pari passi quello dentro di lui e non c’era nulla in grado di colmarlo.
Tobio inspirò, portandosi la palla verso la fronte, poi espirò e la lasciò cadere dalle mani, seguendo i rimbalzi amplificati dal riverbero. Non riusciva a giocare a pallavolo ora che tutto era così diverso.
“Tobio?”.
Il setter alzò di scatto la testa, voltandosi come un felino verso la porta: lo sguardo speranzoso che illuminò le sue iridi cobalto si mutò in un’espressione rammaricata. Non era chi aveva sperato, era solo Koushi. Il giovane senpai del terzo anno gli si avvicinò piano, cercando il suo sguardo e tentando di appoggiargli la mano sulla spalla, nel tentativo di rincuorarlo.
“Tobio, non sei ancora andato a trovarlo?”. Il setter si tese per un attimo e negò debolmente. “Dovresti, invece. Sai, manchi solo tu, dopotutto. Gli farebbe bene e anche a te”.
“Non serve a niente. Probabilmente già mi odia… in fondo, sono stato io la causa del suo…” replicò a voce bassa l’altro.
“No, sbagli. Non puoi saperlo se non ci provi” ribatté Koushi, avvicinandoglisi all’orecchio.
Kageyama si rilassò, contemplando ciò che aveva udito fino a quel momento e coraggiosamente annuì. Koushi, soddisfatto, gli regalò uno smagliante sorriso…
 

Una settimana prima…

 
Il Liceo Karasuno era momentaneamente in pausa. In ogni classe, i ragazzi delle varie sezioni e anni cominciavano ad alzarsi, smistarsi in gruppetti e a consumar la propria merenda. I corridoi erano più affollati, prima del suono della campanella, il brusio si levava dappertutto e spifferi di aria fredda entravano dalle finestre aperte per un po’ di corrispondenza.
Una testa a ciuffetti rossi ribelli, al contrario, che non si preoccupava di consumare il suo cibo, corse a perdifiato nella sezione dove un apatico Tobio era seduto ancora al suo banco, sorseggiando del succo alla pesca.
“KAGEYAMA!” urlò, zittendo all’istante il brusio della classe. Il setter ringhiò infastidito, piegando la testa con fare imbarazzato. Era appena stato ridicolizzato davanti a tutta la classe! “Esci con me!”.
“Ho già detto di no. Sei così noioso” replicò scocciato l’altro.
“Perché no?” lagnò Shouyou.
“Non posso solo dire così? Vuoi per forza una spiegazione?!”.
“Perché no! E poi sì! Voglio una spiegazione più dettagliata!” sbuffò Hinata, talmente vicino al suo viso che i fiati ne accarezzavano le labbra. “Non sono noioso, poi! Non mi arrenderò fino a quando non accetterai!”.
“Bene. Allora credo che ti stancherai da solo, alla fine”.
La classe non aveva sentito il loro curioso scambio di battute; inoltre, con tutto quel brusio neanche le parole si erano udite per chi non aveva prestato neanche attenzione. Eccetto per due noti senpai sghignazzanti, oltre che membri ufficiali del team. Yuu Nishinoya e Ryuunosuke Tanaka erano accanto allo stipite della porta e se la ridacchiavano sotto ai baffi.
“Cosa? Hinata che vuole ardentemente uscire con Kageyama? Questa è bella!” rise Tanaka, incredulo.
“Beh, Shouyou ha carattere e personalità, anche se in questo momento sembra stia implorando il suo perdono, come un poppante che ha fatto una marachella!” seguitò Nishinoya.
Solo Daichi e Sugawara sospettavano, da un po’ di tempo, che fra l’alzatore e l’esca c’era del tenero, in modo piuttosto nascosto dai continui litigi. Dopotutto, i due conoscevano molto bene la sensazione di sentirsi attratti anche se dello stesso orientamento sessuale, grazie a un legame fatto di amore e odio. Capitano e alzatore del terzo anno erano compagni, lontano dagli occhi del liceo.
Qualche ora più tardi, a un passo dall’entrata della palestra, Tobio si sentì strattonare per un braccio e trascinato in un posto più appartato, o meglio, il retro alberato della palestra! L’alzatore non poté che arrabbiarsi ulteriormente quando riconobbe nell’artefice di quel gesto il suo minuto Hinata.
“Che vuoi!” scattò, infilandosi poi le mani in tasca.
“Esci con me!”.
“Perché devi dire continuamente qualcosa di così stupido?” espirò il setter sebbene non gli passò inosservato le piccole lacrime agli angoli degli occhi arrabbiati.
“Te l’ho già detto! Perché tu mi piaci, ecco perché voglio uscire con te!” replicò deciso il più piccolo. “A te piaccio, Kageyama?”.
L’alzatore flesse leggermente un ginocchio in avanti, distribuendo leggermente il peso del corpo sull’altra gamba in un gesto di chi è totalmente scocciato. “Non è sul piacersi o no. I non voglio un appuntamento!” replicò deciso.
“Dire ciò non risolve la questione… almeno penso…” gemette Hinata, a capo chino. Poi lo rialzò con occhi terribilmente dolci. “Qual è esattamente la ragione per cui mi stai rifiutando?”.
Kageyama increspò leggermente il labbro superiore per l’esasperazione e si voltò a fissare altrove senza rispondere. Probabilmente avrebbe sicuramente rivelato che era imbarazzante vedere due ragazzi uscire insieme, controproducente e sicuramente avrebbe anche contribuito a diventare l’oggetto di scherno del liceo. E mentre ancora rifletteva, non si accorse dell’indice esile di Hinata raggiungergli il naso, in un gesto di sfida.
“Esci con me solo un giorno! Solo questo! E ti prometto che non te lo chiederò più! Anzi, non farò più niente per convincerti! Non rispondermi cose tipo -Ah, questo è ciò a cui stavi mirando- e cose varie perché la mia intenzione è solo quella di farti capire che i miei sentimenti per te sono veri! Mi farò piacere domani, vedrai!” mitragliò il giovane, mentre si avvicinava sempre di più e l’altro si schiacciasse al muro per non lasciarsi sfiorare.
Ormai stufo di quella situazione, Kageyama cedette. “Se questo proprio ti soddisferà, credo andrà bene”.
“Davvero? Whoaaaa!” esclamò incredulo la piccola esca. A un certo punto, Hinata sorrise dolcemente e saltellò sul posto. “E’ deciso, a domani! Ti manderò un messaggio con l’ora e il posto più tardi!”.
Tobio rimase a fissarlo in silenzio mentre l’amico riprendeva la bicicletta e saltava in sella. Chissà se domani si sarebbe… divertito. Eppure, con l’indifferenza in viso a mal celare la trepidazione di uscire con la zazzera arancione, un inquietante brivido gli attanagliava petto e schiena, all’altezza di cuore e polmoni.
Il setter tentò di lenire la costrizione con un massaggio ma fu tutto inutile: il brivido, in realtà, era un oscuro presentimento…
 
Per la giornata successiva, domenica, Kageyama aveva privilegiato dei semplici abiti, come una shirt nera, un paio di pantaloni colo caffè morbidi e una giacca scura con un cappuccio che ciondolava ad ogni suo passo.
Era assorto nei suoi pensieri, quelli in cui si chiedeva per quale ragione avesse accettato l’invito dell’esca del Karasuno, quando si sentì festosamente chiamare. Hinata era fermo accanto a una piccola fontana ed era talmente vispo oltre che raggiante da non riuscire a celarlo assolutamente. A Tobio non sfuggì l’abbigliamento: un paio di pantaloni marroni morbidi, le solite scarpe da ginnastica rosse e bianche che tra l’altro anche lui aveva privilegiato… eh, sì, uscire con gli scarpini da pallavolo lo facevano sentire completo; la solita borsa gialla che Hinata utilizzava come cartella penzolava trasversalmente e stranamente aveva la forma leggermente sferica, come se il suo contenuto fosse stato tondo. La parte superiore del corpo presentava una maglietta gialla con una simpatica scritta verde e una giubba bianca, dalle maniche a mo’ di mantellina che arrivavano solo alla piegatura delle braccia. Come facesse ad essere neutrale al freddo di quella giornata stando scollato e leggero era un mistero.
“Sono così felice che sei venuto! E sei anche in perfetto orario!” sorrise Hinata.
“Ah, sì. Ma perché? Tu a che ora sei venuto?” domandò l’altro, controllando effettivamente l’orario sul display del cellulare.
Shouyou si grattò la nuca con fare imbarazzato, poi rispose: “Beh… siccome ero tanto eccitato sono venuto circa un’ora fa!”.
“Sei uno stupido o cosa?” borbottò l’altro di rimando, anche se, tuttavia stava rendendosi conto che il suo buonumore era contagioso.
I due giovani fecero un primo giretto fra i negozi, ignorando la gelida brezza contro la pelle. Quante vetrine luminose a colorare una delle tante strade della prefettura di Miyagi. Tante occasioni, tante cose diverse che avrebbero richiesto un’intera giornata solo per visionare.
Parlavano, i due, delle imminenti partite che avrebbero giocato in futuro: Hinata sorrideva continuamente, Kageyama non si scomponeva e anche se tentavano di mantenere le distanze, entrambi passeggiavano piuttosto vicini e lentamente, come se il tempo non avesse più avuto importanza per loro, lasciarono i palazzi e le sfarzose vetrine per immergersi nel verde di un parco non molto distante da una fermata dell’autobus.
A un certo punto, quando si accorsero della solitudine nel verde che si erano trovati, Hinata si fermò e sorridendo ampiamente aprì la sua borsa, rivelando una palla da pallavolo. “Pensavi che non sarei uscito senza questa, vero?”.
L’altro si limitò a ghignare, ovviamente con orgoglio, e in pochi attimi già stavano giocando insieme. Fu come ritrovarsi in palestra o nel cortile della scuola: Tobio che alzava sempre splendidamente, Hinata che riceveva con un bagher meno imperfetto del solito o con un’altra alzata. Era piacevole percepire la leggera rugosità della palla colpire i polpastrelli e volteggiare nell’aria.
Ignaro di ciò, Tobio fissava il suo amico continuamente, fra un palleggio e l’altro. Erano occhi leggermente sognanti, scrutatori, attenti che registravano e imprimevano nella memoria a lungo termine ogni singolo particolare di quel corpo minuto graziosamente perfetto. Esattamente così. La perfezione in tutta la sua purezza era proprio quel ragazzino campagnolo tanto vispo.
A un certo punto, Hinata bloccò un ultimo palleggio tra le mani e crollò seduto sull’erba, con aria stanca. Tobio sollevò un sopracciglio e gli si avvicinò con le mani lungo i fianchi e l’aria leggermente preoccupata.
“Sto bene” fece il rosso, come avesse voluto rispondere alla domanda silenziosa dell’alzatore. “Sono solo molto affamato”.
“Qui intorno dovrebbe esserci un market. Compriamo qualcosa” profferì l’altro.
Hinata, però, scosse il capo. “Preferisco il mini ristorante che hanno aperto a pochi passi dal parco. So che fanno le migliori polpettine di polipo e okonomiyaki che tu abbia mai assaggiato!”.
Un leggero spolvero d’imbarazzo crebbe sulle guance di Tobio: inconsapevolmente, l’amico esca aveva risvegliato il gusto dei cibi preferiti. “Per caso fanno anche i dango?” chiese timidamente.
“Eccome! E poi ci sono i daifuku, i dorayaki e soprattutto i kuzumochi!” cinguettò Hinata, sollevando le braccia e il pallone sopra la testa.
“Offro io” si limitò a dire Tobio, girato di spalle. Tutto quel cibo gli aveva fatto venire l’acquolina in bocca ma per preservare una certa dignità si era voltato prima che la bava avesse cominciato a scorrergli da un lato della bocca… anche se istintivamente se la cancellò ugualmente con uno strofinio alle labbra con il dorso della mano.
“Che cosa?!” esclamò l’altro. “Non ci penso nemmeno! L’idea l’ho avuta io, quindi offro io! Altrimenti che mi sono portato a fare dei soldi in più?! Insisto, Kageyama!”.
Il giovane corvino non ebbe il tempo di ribadire: Shouyou, cocciuto, lo afferrò per una mano e se lo trascinò con determinazione fino a un grazioso ristorantino piuttosto gremito di gente dal quale si levava un odorino buono.
Per un attimo, ogni suono, mormorio e brusio divenne un silenzio assordante, con un rombo profondo davvero lontano. Il tempo stesso pareva essersi fermato per l’alzatore dallo sguardo sgranato dallo sgomento fisso sulla sua mano stretta in quella di Shouyou.
La giovane esca era eccitata mentre divorava a grandi falcate le poche centinaia di metri che ormai separavano entrambi dal negozietto lì vicino; il suo sorriso era smagliante, anche con quel leggero strato di bava gocciolante da un lato della bocca. Perfino la lingua che capeggiava tra le labbra rosee, la stessa che soleva tener all’intemperie quando si avvicinava una competizione fra giocatori.
Quello era un lato di Shouyou che Tobio non aveva mai visto in quei mesi di scuola. Sembrava che il suo amico brillasse di luce propria, splendeva tra le persone che svogliatamente trascorrevano la tarda mattinata domenicale.
Tobio deglutì un magone giù nella gola, lo sguardo fisso sempre sulla sua mano invasa dal calore di quella dell’amico: un batticuore mai provato cominciò a bussare contro lo sterno, apparentemente con l’intenzione di sfondarlo.
“Eccoci!” fu l’esclamazione di Hinata, lasciandogli la mano per tentare di farsi strada tra la gente che maleducatamente si ammassava all’entrata.
Kageyama non lo comprese totalmente ma ringraziò la sua facoltà di saper leggere il labiale, imparata nei primi mesi alle medie, quando non era certo di cosa il suo senpai Tooru mormorava di lui con l’inseparabile Hajime.
Una mano dell’alzatore volò contro il petto, all’altezza del cuore, per artigliare gli indumenti in un invano tentativo di lenire quella sorte di solletico fastidioso. Quel batticuore era così estraneo sotto la pelle, contro il tatto. Era una sensazione che, nel profondo della sua mente, riconosceva come errore.
-E’ questo che provano le ragazze quando hanno davanti chi amano?- pensò. Immediatamente spalancò gli occhi, scosso dal suo stesso pensiero. -Cosa mai vado a pensare! E’ inammissibile che io provi anche solo del semplice affetto per quell’idiota!-.
Il rossore sulle gote tradiva i suoi pensieri.
-Tobio, vieni! Sto per prenotare!- richiamò Hinata, saltellando come una cavalletta. Immancabilmente divenne l’oggetto di interesse della folla.
“Devo essere davvero un idiota se ho pensato quelle stupidaggini!” sbuffò con una nota d’imbarazzo e una mano contro il viso. Poco dopo, finalmente, si ricongiunse all’esca inseparabile che lo accolse con un sorriso celestiale.
I due si affacciarono a una delle vetrate che permettevano di godere sia di una buona panoramica interna sia esterna, sulla strada. I tavoli per mangiare erano disposti in forma quadrata, con il bancone sulla sinistra e dei morbidi sedili di pelle rossa che ricordavano la disposizione di quelli di un autobus. Molti affiancavano le vetrate così che mentre si consumasse il pasto si potesse dare un’occhiata alla bellezza serale della prefettura.
“Tobio, guarda! Ci sono i dolci in offerta, oggi!” esclamò felice Shouyou, tirandolo sempre per una mano.
Il cartellone rosso con kanji bianchi cubitali relativi a delle piccole foto dei piatti prodotti sventolava accanto all’entrata per ogni soffio di vento.
“Attento, Shouyou, ti sei appena scavato la fossa!” commentò malignamente Tobio.
“Perché?”.
L’esca l’avrebbe scoperto al termine del pranzo, con il conto. Tobio si era talmente rimpinzato di dolci da farsi esplodere la pancia. Questo era il piccolo segreto dell’alzatore, lui fin da bambino era sempre stato un amante delle dolcezze nipponiche artigianali ma crescendo si era reso conto che troppo zucchero avrebbe arrecato danni sia al suo corpo sia alla sua salute, così li aveva gradualmente abbandonati.
A tavola, Tobio non era stato troppo maleducato; aveva mangiato a bocca chiusa, prendendo i dolci con le bacchette e si era limitato ad annuire ai discorsi insensati di Hinata, mentre gesticolava per aiutarsi e darsi maggior enfasi possibile. Per una volta, tutte quelle parole mitragliate gli avevano catturato l’interesse.
-Mi sono comportato come un maiale…- pensò Tobio, a malincuore.
Eppure, mentre continuava a ripulirsi i denti con uno stecchino, rifletteva sull’abbuffata poco decorosa: era dispiaciuto per aver dimezzato di molto i risparmi dell’amico ma dall’altro era felice su una cosa… aveva potuto essere solo se stesso.
“Visto, Tobio? E’ più bello quando ci si mangia insieme!” fece notare Hinata, rinfoderando il portafogli a forma di pesce nella tasca della giacca. “Aspetta! Quasi dimenticavo!” esclamò subito dopo, tornando alla cassa.
-Che buffo quel portafogli…- pensò l’alzatore, ridacchiando un po’.
Era simpatico, in un certo senso… di un color nocciola, un piccolo orologio realmente funzionante al posto dell’occhio, una catenina con un anello che poteva fungere anche da portachiavi, e con una cucitura di un gradevole verde pastello che lo rendeva più buffo che mai. Forse era stato realizzato a mano.
Il suo sguardo meno torvo del solito ritornò su Hinata che farfugliava euforicamente qualcosa alla ragazza della cassa che annuiva con un certo disagio, un po’ incerta di comprendere a pieno la sua richiesta.
Tobio non comprese subito ma quando l’amico, felice di essere stato accontentato, saltò verso di lui, gli spinse sotto al naso un pacchettino bianco capì, o meglio, si lasciò folgorare.
“So che ti piacciono… beh, questo è mio modo per ringraziarti per essere uscito con me!” sorrise Hinata, dandogli un veloce abbraccio.
Hinata non aspettò una risposta, saltellò allegramente fuori dal locale, aggiustandosi un po’ meglio la giacca addosso. Dentro c’era un bel calduccio ma all’esterno non proprio.
-Mi ha fatto un regalo…- pensò incredulo Tobio, fissando ancora il pacchettino tra le mani. -E mi ha tenuto per mano… il mio cuore ha pulsato come all’inizio di ogni partita importante ma non per trepidazione… Che cos’è quella sensazione che solo Hinata mi risveglia?-. Abbassò lo sguardo reso più scuro dalla frangia che creava ombra, poi sospirò un po’, uscì e proprio come l’amico, tirò fino al collo la zip del cappotto.
“Fa freddino, eh?” commentò Shouyou, avendo cura di non guardarlo.
“Già. Ma tu non hai freddo vestito così leggero?”.
“No, per niente. Sai, mi scalda il cuore essere con te” commentò a voce più flebile. Tobio arrossì vistosamente ma non si pronunciò. “E’ la domenica più bella di tutta la mia vita e credo proprio che mi mancherà quando tornerò a casa mia… però, è un po’ stupido questo no? Tanto domani ci rivedremo comunque!”.
Un brivido gelido scavò nelle ossa di Tobio: il presentimento avuto in mattinata era appena tornato a infastidirlo con dubbi e domande senza risposte.
“Tobio, che ore sono?” domandò Hinata.
“Non volevi rimanere fuori ancora un po’ con me?”.
L’altro negò con un sorriso dolce: “Voglio sapere l’ora per capire quanto ancora ho a disposizione per restare con te”.
-Questo ragazzo vuol farmi morire!- pensò l’altro, rosso come un pomodoro. Brandì poi il cellulare dal cappotto e lesse l’ora. “Sono le cinque e mezzo”.
“Fra due ore sarò a casa… beh, bello lo stesso, Tobio!” commentò tristemente Hinata.
“Perché continui a chiamarmi per nome?” domandò improvvisamente l’altro, anche se non era infastidito. “Ti rivolgi a me con il cognome in ogni occasione. Forza, spiegami”.
“Beh, ecco… pensavo fosse più carino chiamarci per nome, sai? Non siamo a scuola, siamo liberi!”.
“D’accordo, se proprio ti fa piacere…” replicò atono, fissando altrove. “… Shouyou”.
Uno spolvero di imbarazzo crebbe automaticamente sulle guance dell’esca. Il suo nome pronunciato dalla bocca del ragazzo in cui nutriva qualcosa aveva un suono celestiale e il suo cuore ingranava la quinta ogni volta. Si mise a sorridere e timidamente gli prese ancora la mano.
“Hina… no, Shouyou, che cosa vuoi fare adesso?” domandò Tobio, dopo un attimo di incertezza.
“Non so… tu che cosa vorresti fare?”.
Tobio corrucciò la fronte, odiava quei piccoli giochi di parole. “Te l’ho chiesto prima io. Visto che è stata una tua idea uscire, fatti venire in mente un modo divertente per passare il tempo”.
Lo sguardo della giovane esca si illuminò improvvisamente a tal punto che nel pronunciare le parole gli risultò impossibile per la felicità improvvisa. Shouyou gli si avvicinò violentemente, quasi fino a toccare la punta del suo naso con la propria e Tobio, arrossito nuovamente, tentò di sottrarsi a quello sguardo folle quanto ipnotico inclinandosi esternamente.
“Oi! Smettila, baka! Ci guardano tutti!” commentò a denti stretti.
“Tu… trovi davvero che sia stato divertente tutto ciò che abbiamo fatto insieme oggi?”.
Tobio sbatté un paio di volte le palpebre con espressione inebetita ma almeno trovò il coraggio di annuire ed ammetterlo. La prossima cosa che sapeva erano le grida raggianti di Shouyou e di nuovo la sua mano stretta in quella più piccola e calda dell’altro. In pochi attimi già correvano a perdifiato verso una meta sconosciuta.
“Tobio, ti voglio bene!” esclamò Hinata, con voce tremolante.
“Lo zucchero ti ha dato alla testa? Shouyou ma che cavolo vai blaterando?!” scattò l’altro, sebbene fosse trepidante di gioia. “Beh… anch’io…” mormorò subito dopo, con voce decisamente meno incisiva.
“Facciamo una corsa fino in centro? Vorrei comprarmi un paio di ginocchiere nuove e qualcosa per la mia sorellina! E’ un negozio nuovo, ci sono tantissimi sconti che sicuramente faranno piacere anche a te!” commentò orgoglioso Hinata, lasciandolo dalla sua presa.
Tobio sogghignò oscuramente, come generalmente era abituato a fare quando si presentava l’occasione di utilizzare la veloce stramba o la schiacciata posteriore di Hinata. Ci stava… eccome se ci stava!
I due partirono allo stesso tempo, con un tempismo pressoché perfetto, entrambi con la voglia di prevalere sull’altro ma questa volta c’era una differenza: non volevano prevalere l’uno sull’altro, desideravano solo divertirsi con il solito modo con il quale competevano tutte le mattine.
“Muoviti, Tobio!” esclamò Shouyou, aumentando il ritmo della corsa.
Tobio fece per replicare qualcosa quando una terribile sensazione lo freddò sul posto, come un lampo bianco che gli attraversò brutalmente la testa. Una fitta dolorosa gli amplificò i sensi, tutto risultò più nitido e del torpore roseo in cui ea stato immerso fino a pochi attimi svanì scoppiando come una bolla.
Hinata si era fermato accanto a un semaforo, respirando affannosamente per la lunga corsa, per aspettare il verde per attraversare. Rivolse a Tobio, che nel frattempo si era avvicinato, un dolce sorriso e tornò a fissare le strisce pedonali che di lì a poco avrebbe attraversato di corsa. Il negozio era proprio a duecento metri più avanti e si distingueva dagli altri per le numerose vetrate illuminate da faretti a led freddi che risaltavano i capi firmati sportivi.
“Tobio, come mai quella faccia? Sembra tu stia per svenire da un momento all’altro!” ridacchiò Hinata.
“Zitto, baka!” obiettò l’altro.
Il suo cuore pulsava più rapidamente ma non di felicità bensì di terrore: l’alzatore era certo che sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole, anzi era imminente.
Il semaforo, finalmente, scattò: Hinata lo afferrò per mano, per la terza volta e si mischiarono nella moltitudine di persone che si era stallata all’angolo del marciapiede, ansiosa di attraversare la strada.
“Non vedo l’ora di curiosare!” esclamò Hinata. “E tu?”.
Tobio si sciolse in un dolce sorriso ed annuì. Improvvisamente, il tempo divenne troppo veloce per lasciarsi decifrare da occhi e mente: Shouyou spalancò gli occhi e notò un’autovettura avvicinarsi a gran velocità, sorpassando una dopo l’altra le altre coetanee metalliche colorate. Si voltò verso il senso opposto, sbiancando e reagì istintivamente: spintonò Tobio con una spallata violenta sul marciapiede, questo batté troppo duramente la testa contro un palo di ferro e l’ultima cosa che avrebbe ricordato sarebbe stato uno stridio di freni e uno schianto violentissimo contro un autobus fermo alla fermata più avanti…
 

Presente…

 
Il cielo era scuro.
Del bel tramonto sanguigno irradiatosi nel cielo della prefettura di Miyagi non c’era più traccia… al suo posto un ammasso corvino e grigio di nubi temporalesche delle diciannove e trenta. Il vento già soffiava impetuoso, scuotendo le cime dei sempreverdi più alti, i fari delle vetture imbottigliate nel traffico e delle vetrine rendevano più temibile la tempesta che si preparava. Mancava poco alla pioggia; l’aria era pesante e odorava di umido tutt’intorno.
Una piccola truppa vestita di nero, con qualche zainetto ciondolante su una spalla saliva le scale che accompagnavano all’ingresso di uno degli ospedali a Miyagi.
Erano silenziosi.
Era il Karasuno.
I ragazzi si erano dati appuntamento per recarsi in ospedale per alcune visite e pur di non perdere l’autobus si erano fermati dai consueti allenamenti circa quaranta minuti prima delle sette. Ukai e Takeda non avevano certamente avuto nulla in contrario, anzi, anche loro si erano uniti allo stesso gruppetto dove perfino Kiyoko e Hitoka si erano unite.
Qualcuno li fissava perplessi, altri mormoravano in sottofondo ma al Karasuno proprio non importava. Perfino Ryuunosuke non esibiva la sua solita faccia intimidatoria.
“Ecco…” fermò improvvisamente Kageyama. Il Karasuno si fermò e lo fissò in attesa che continuasse. “… grazie per-“.
“E’ a questo che servono gli amici” interruppe Yuu, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.
Kageyama sorrise leggermente. Il suo era un sorriso tirato, sforzato per trasmettere la sua gratitudine ma non era assolutamente paragonabile a quello che aveva dato a Hinata, circa una settimana prima.
Al semplice pensiero della terribile catastrofe domenicale, la ferita alla tempia sinistra di Tobio pulsò di dolore. Il giovane doveva portare ancora le garze ma pur non di mostrarsi debole agli occhi degli altri si era limitato a tenere il grosso cerotto e alcuni più piccoli sulle escoriazioni che la caduta sul marciapiede abrasivo gli aveva procurato sia ai palmi delle mani sia alle ginocchia.
Il male più grande e incurabile l’aveva al cuore, però.
-Non avrei mai avuto il coraggio di venire qui da solo…- pensò, fissandosi uno dei palmi cosparsi di cerotti che poi richiuse stringendo le unghie nella carne.
La stanza era la numero dieci.
Buffo il destino. A Shouyou era stato dato quel numero, lo stesso sulla maglia del Piccolo Gigante perché tutti pensavano che sarebbe stata meglio a lui. E adesso come allora Tobio era perfettamente d’accordo.
Daichi bussò un paio di volte ma non ottenne alcuna risposta. Guardò i suoi compagni alla ricerca di una soluzione ma Koushi passò ai fatti: appoggiò una mano sulla sua ed insieme girarono la tonda maniglia per aprire.
La stanza era impregnata dell’odore di medicinali e disinfettante ma almeno era la più silenziosa. C’era un solo letto con un paziente che dormiva profondamente con il petto fasciato e scoperto dove capeggiavano numerosi fili con elettrodi di metallo collegati a un monitor cardiaco affinché monitorasse i battiti del cuore.
Erano deboli ma almeno venivano visualizzati con quei picchi verdi costantemente.
Il suo pallidissimo petto era fasciato di bianco e lo faceva assomigliare a una mummia, molto più giovane… e bella. Su una delle guance capeggiava un cerotto grande simile a quello di Kageyama, un livido osava profanare la bianca pelle morbida dello zigomo sinistro.
Shouyou Hinata dormiva profondamente, con un sondino nel naso e una flebo nel braccio.
Al solo sguardo, Tobio chinò la testa con colpa. Era stato tempestato con quello stupido campanello d’allarme tutto il giorno, fin dal primo momento in cui aveva messo piede fuori dal letto eppure era stato troppo lento a reagire e adesso il suo Shouyou ne pagava le conseguenze.
“Proprio come allora… dorme…” mormorò afflitto Yuu, avvicinandoglisi. “Ciao, Shouyou. Siamo venuti a trovarti!” disse ugualmente, vicino al suo letto per prendergli una mano e stringergliela.
Il Karasuno era stato informato che Hinata aveva più dell’ottanta per cento delle probabilità di finire in coma e non risvegliarsi mai più. L’incidente era stato terribile ed era un miracolo che era ancora tutto intero ma nonostante ciò, i dottori che l’avevano trasportato assieme a Tobio in barella erano preoccupati riguardo le conseguenze che avrebbero potuto manifestarsi.
Cecità, coma, paralisi… ne erano soltanto alcune.
“Sembra un bambino piccolo, un angioletto…” commentò amorevolmente Koushi, avvicinandosi. Il suo debole sorriso mutò in un’espressione addolorata. Con una mano sfiorò i capelli ribelli dell’amico. “Svegliati, Shouyou… siamo tutti in pensiero per te…”.
Tobio si mordicchiò le labbra.
“E’ triste, vero?”.
Il Karasuno si voltò verso la porta: Tooru Oikawa e Hajime Iwaizumi erano lì, seguiti da Kuroo Tetsurou, Kenma Kozume, Kentaro Bokuto, Haiba Lev ma anche dagli ex-compagni delle medie di Hinata, come Izumin Yukitawa e Kouji Sekimukai. Sullo sfondo apparivano anche alcuni amici della Jozenji e Wakutani.
A parlare era stato Tooru, con un’espressione fra il dolce e l’addolorato. Il Chibi-chan gli era sempre stato simpatico e quando aveva saputo, nel Seijou, cos’era successo domenica grazie a Kunimi che si era portato nella cartella un quotidiano, una stretta al cuore lo aveva gettato nello sconforto.
“Abbiamo implorato tutti i medici di farci entrare. Ne eravamo in troppi” commentò il capitano della Jozenji, alias Yuuji Terushima.
“Già. Concordo. Almeno sono servite tutte quelle suppliche” ridacchiò quello della Wakutani, ovvero Takeru Nakashima.
“Sapere che Shouyou era stato vittima di quell’incidente ci ha richiamati. Non potevamo rimanere certamente neutrali” aggiunse mesto Kouji e Izumin annuì.
“In teoria mancherebbe qualcun altro ma non so se davvero si farà vivo” riprese Tooru, a braccia conserte accanto al letto dove Shouyou dormiva.
“Non pensare sia così cinico. Non sono un mostro” rispose una voce bassa e grave fuori dalla stanza.
Un lampo anticipò un violento rombo di tuono: per un attimo la luce andò via e quando tornò un gigante era fermo nella stanza. Ushijima Wakatoshi, capitano della Shiratorizawa non era apatico come al solito, nei suoi freddi occhi si leggeva una certa pena per l’esca del Karasuno.
“Ma va! Pensavo non saresti mai venuto!” sbuffò Tooru, con una mano sul fianco.
“Hinata Shouyou è un rivale. Merita il nostro appoggio” commentò.
L’attenzione ricadde nuovamente sul giovane dai capelli arancioni… era troppo silenzioso, così fragile, tanto minuto in quel mare bianco del letto. Così malandato…
“I suoi genitori sono venuti?” fece Asahi.
“Sì. Li ho visti uscire prima. Probabilmente se ne tornavano a casa. Sua madre era in lacrime. E sua sorella anche” rispose Keishin.
Tobio sospirò pesantemente. Era l’unico a non aver detto neanche una parola. In un certo senso si pentiva di essere qui, insieme agli altri, costretto a rivedere l’amico in un letto ma dall’altra fremeva per prendere parte a quella piccola discussione.
“Shouyou è forte” mormorò Kenma.
“Già. Ricordate che il piccoletto realizza delle veloci che fanno gelare!” annuì Bokuto.
“Qui non parliamo del suo talento! E’ solo Shouyou! Non l’esca numero dieci del Karasuno!” scattò improvvisamente Tobio. “Dovrei esserci io al suo posto! Se solo fossi stato più veloce! Ho visto Shouyou spingermi via e non avere il tempo di fare altrettanto! La macchina l’ha preso in pieno… poi quello schianto… il sangue! Le grida!”.
Ognuno non osò profferire nulla. Tobio doveva solo riversare fuori tutto il dolore provato.
“Mi hanno raccontato inizialmente ma poi ho ricordato!” gemette l’alzatore, a pugni stretti e occhi fissi su Hinata. “E’ stato doloroso… e queste ferite che ho riportato…”. Prese un respiro profondo, poi continuò. “… non sono nulla rispetto a quelle di Shouyou…”.
“Kageyama, quella domenica, che cosa vi siete detti?” chiese Koushi.
“Shouyou mi aveva detto che era… felice di essere…”.
Kuroo si strinse a sé Kenma.
Tooru prese per mano Hajime.
Daichi e Koushi si scambiarono uno sguardo affettuoso.
Avevano perfettamente capito.
“E a te ci è voluto tanto per capirlo, stupido?” infierì Tooru. “I sentimenti di Chibi-chan sono i più puri e semplici che esistano ma tu, accecato dalla pallavolo, non li hai compresi. Sei uno stupido!”.
Tobio chinò maggiormente la testa e la sua frangia celò le palpebre strette ma non abbastanza da bloccare le lacrime di dolore.
“Io ricambio!” esclamò a un certo punto.
Non ebbe il minimo imbarazzo ad ammetterlo principalmente a se stesso se tutti quei ragazzi gli avevano dimostrato qualcosa che era stato fonte di dubbio e preoccupazione in quella fatidica domenica.
Aveva capito i suoi sentimenti quando Hinata gli era stato intubato dinanzi, in preda a un arresto cardiaco. Tobio aveva protratto la mano disperatamente nell’ambulanza, gridando quel nome che tanto amava, poi era stato sedato perché, secondo un dottore che gli stava prestando soccorso, la sua frequenza cardiaca stava aumentando esponenzialmente.
“Tu gli vuoi bene o lo ami?” chiese Yuu, a un certo punto.
Perfino Wakatoshi lo fissò incuriosito.
Tobio rimase senza parole, ponderando la risposta ma questa gli apparve piuttosto chiara. “Lo amo!” pronunciò.
Improvvisamente un gemito si levò nell’aria. I membri delle varie squadre lì presenti si voltarono verso la fonte, ovvero il letto.
Hinata aveva girato la testa in direzione della finestra ma ancora dormiva. La speranza di rivedere i suoi begli occhi ambrati si assottigliò nel momento stesso in cui non accadde nient’altro.
“Ha sentito tutto. Sarà felice” commentò dolcemente Sugawara…
 
Kageyama fece una promessa una notte. Avrebbe speso tutto il suo tempo assieme a Hinata per essere la prima persona che avrebbe incontrato al suo risveglio.
Un’altra settimana frenetica volò; Tobio aveva fatto una conoscenza molto più profonda con la famiglia di Shouyou e più volte aveva mangiato a casa Hinata o fatto un salto assieme a quell’adorabile donna dai capelli corvini per prendere dei cambi puliti per il suo bambino.
Mai una volta gli avevano attribuito la colpa per l’accaduto, ma uno sguardo accusatorio. Nulla. Solo sorrisi, affetto e compagnia.
“Nii-chan è forte. Tu non lo sai, Kageyama-san ma il mio nii-chan è nato prematuro di tre mesi!” gli raccontò una volta Natsu.
Tobio si era limitato a spalancare gli occhi con incredulità e a trovare veridicità in alcune fotografie poste su alcune mensole appese nel soggiorno. Era per questo motivo che il suo amico era piccolo e minuto ma la voglia di vivere compensava la triste nascita.
“Kageyama-kun, Shouyou non fa che parlare di te ogni volta. Ti descrive come il miglior alzatore di tutto il Giappone e ti ammira come un eroe. Ti prego di non dirglielo mai… sai com’è il nostro Shouyou, credo che negherebbe tutto!” era stata la rivelazione della signora Hinata.
“Ti devo ringraziare, ragazzo mio! Da quando è al Karasuno, Shouyou prende sul serio tutto! Forse dipende dalla competizione che mette nell’immaginarsi come tu compieresti qualcosa!” aveva mormorato il padre di Shouyou, con una grassa risata.
E Tobio aveva amato quella famiglia così unita. Quel ragazzino impertinente che aveva sempre schiacciato le sue alzate spericolate gli era riuscito a rubare il cuore.
Ora lo sapeva. Shouyou era suo.
Lo amava follemente.
“Dì un po’, quanto hai intenzione di riposare ancora?” sospirò una domenica piovosa, prossima alle venti. “Sono quasi tre intere settimane che dormi. Io mi sono scocciato di vegliarti e avere monologhi interiori!”.
Sulle labbra di Tobio c’era un sorriso dolce.
Hinata era dimagrito molto e appariva piuttosto pallido ma la bellezza che sprigionava era candida come quella di un angelo.
“Shouyou devo darti la risposta che volevi… ma ho bisogno che tu sia sveglio” sussurrò tenendogli una mano e portandosela alle labbra. “Ho tante cose da raccontarti che forse non ci crederesti neanche… ho bisogno dei tuoi occhi… di sentirti pronunciare il mio nome…”.
Hinata contrasse leggermente la mano e voltò il capo nella direzione della voce dell’alzatore. Quest’ultimo gli stampò un leggero bacio sulla fronte, sospirando gravemente. Forse Shouyou non si sarebbe più risvegliato…
 
Era buio. Oscuro. Corvino.
Si fluttuava senza sosta lì, dove non esisteva nulla, solo sfumature di bianco e di nero. Non c’erano suoni forti, solo molto ovattati e confusi. Qualche volta comparivano dei boccioli bianchi dal nulla, si aprivano e delle liane altrettanto candide attanagliavano e provocavano dolore accecante, violento, come scariche elettriche ad alto voltaggio.
Se si tentava di lottare, le spire stringevano maggiormente intorno agli arti, fino a lasciare un segno rosso e caldo e trascinavano verso un buco nero dove lo stesso bocciolo era sprofondato.
Quella volta, lottare contro le liane fu del tutto inutile… il bocciolo scomparve, il buco nero si ingrandì e lo risucchiò. Per un attimo l’aria gli mancò, non poté respirare, non servì a nulla gridare, poi la pace.
Un’esplosione di luce frantumò in miliardi di pezzi…
Era tornato!
 
Quando aprì gli occhi si rese conto che era buio, probabilmente la notte aveva dato il cambio al giorno e c’era una bellissima luna piena a splendere nel cielo. Il suo raggio argenteo entrava dalla finestra chiusa, scendeva per il pavimento, risaliva per il letto, allungandosi fino alla chioma nera appisolata con il braccio a mo’ di cuscino.
E l’altra mano stretta a una delle sue.
Kageyama Tobio era tenero mentre respirava piano: il suo petto si alzava e abbassava ritmicamente facendo rilassare con quel silenzioso dondolio. La fronte appoggiava leggermente sulla coperta marroncina di lana, quindi non avrebbe potuto leggere l’espressione sul viso dormiente ma già s’immaginava uno di quei bellissimi sorrisi che terminavano i suoi ricordi prima del grande buio.
Shouyou osservò confusamente la stanza dell’ospedale, tentando di ignorare i bordi della vista sfocati. Forse era stanchezza, forse delle gocce per verificare lo stato del fondo oculare o qualche commozione celebrale… sì, perché, dopotutto la testa gli faceva ancora molto male.
L’esca numero dieci diteggiò uno degli elettrodi sul suo petto e rabbrividì al freddo del metallo che dall’indice scavò un percorso gelido fino all’avambraccio.
Fece muovere le dita dei piedi e constatò, con grande sollievo, che queste ultime rispondessero in tempo reale. Stava bene. Tutto il suo corpo funzionava.
Quando la sua mano raggiunse la fasciatura all’addome che continuava fino al bacino, un dubbio lo rapì. Non capiva. Premette la mano sulla leggera macchia scarlatta all’altezza del fianco sinistro e gemette.
Quello era sangue e la presunta ferita aveva cominciato a bruciare, prudere e dolore. Non riuscì a tenere bloccato in gola un gemito e neanche una stimolazione nervosa che lo fece sobbalzare leggermente.
Questi due movimenti fecero destare Tobio.
“Shouyou…” sillabò con voce impastata, volgendogli gli occhi stanchi.
Si sarebbe aspettato di vedere la piccola esca ancora profondamente addormentata, in posizione immobile… e invece ciò che gli si presentò dinanzi lo gelò. Era un sogno?
I suoi occhi brillarono di sgomento, così ampi ormai, nel raggio argenteo lunare. Due lacrime calde rigarono le sue guance.
Shouyou sorrise gentilmente e gli scompigliò delicatamente i capelli.
“Shouyou…!” ripeté Tobio con un filo di voce.
L’altro annuì piano, tese dolorosamente le braccia e si lasciò inghiottire in un abbraccio fragile. Tobio eseguì meccanicamente, rapito da quell’ordine silenzioso che tanto aveva voluto nelle settimane precedenti. Si mosse a rallentatore e quando strinse contro il petto quel piccolo corpo, inspirando l’odore particolare ed indescrivibile che solo Hinata possedeva, chiuse gli occhi e lo cinse maggiormente a sé.
Non era un sogno…
“Shouyou…”.
“Non dire nulla, Tobio… lo so già…” zittì Hinata, giocando con la cerniera della sua giacca liceale corvina. “Sono così felice…”.
“Non t’immagini quanto lo sono io”.
Shouyou si staccò a malincuore e lo guardò acutamente, mentre l’altro lo faceva appoggiare ai cuscini sistemati come uno schienale.
“Tobio, qualunque cosa tu abbia pensato in tutto questo tempo, sappi che lo rifarei altre mille volte, anche se dovessi perdere la vita” fece Shouyou, calmo e tranquillo.
L’alzatore si mordicchiò le labbra e negò. “No, Shouyou… tu non sai quant’è stato terribile…! Vederti prima riverso in terra, in una pozza di sangue, mentre lottavo fra coscienza e dormiveglia! Poi sull’ambulanza… il tuo cuore si era fermato ed io… non sapevo che fare! Se ti avrei perso, senza poterti dire che ti amo e l’ho capito solo allora, mi sarei autodistrutto dai rimorsi!”.
Le lacrime gocciolarono ancora una volta lungo le guance e per una volta non gli importò dimostrarsi debole. Hinata doveva sapere che anche lui aveva un cuore e non era cinico.
“Va tutto bene. Sono vivo” sussurrò Hinata, diventando improvvisamente più debole. Il dolore al fianco si era intensificato e difficile stava diventando rimanere cosciente.
“Shouyou!” esclamò Tobio, chinandosi protettivamente su di lui.
L’altro tentò di sorridere ancora una volta, in un misero gesto di apparire solo stanco ma all’alzatore non sfuggì la macchia umida e scarlatta fra le garze.
“Shouyou, non preoccuparti! Adesso chiamo un dottore!”…
 
Hinata, in quell’incidente, aveva perso un quarto della milza e dopo quasi un intero mese di ospedale, fra cure, visite e soffocanti attenzioni, tornava al suo amato Karasuno.
Per la giovane esca tutto era cambiato. Il suo corpo si comportava diversamente, si stancava subito, rifiutava i cibi che fin da bambino gli erano sempre piaciuti e si spegneva in alcuni pisolini anche in posti od orari strambi.
Era felice di una cosa… Kageyama gli era rimasto sempre vicino e nelle notti di luna piena, quando non c’era nessuno di troppo, si scambiavano baci appassionati dove si raccontavano a vicenda tutto il dolore provato.
“Sono qui finalmente!” sorrise, inspirando l’odore della primavera.
L’aria era più tiepida, gli uccellini cantavano fra i rami e le nubi bianche si rincorrevano nel cielo cristallino.
Era fuori dalla palestra, sotto quel pergolato che riparava dalla pioggia e collegava la scuola alla palestra maschile quando si sentì afferrare per un polso e piroettare fino a trovarsi abbracciato a un corpo che aveva amato fin da subito.
Tobio lo strinse a sé, appoggiando il naso tra i capelli, senza dir nulla.
Hinata non poté fare a meno di arrossire dolcemente: il suo ragazzo era caldo, lo riscaldava, lo faceva sentire protetto. Era una sensazione stupenda. Era questo ciò che l’amore realizzava a un legame reso indissolubile nel tempo.
“Bentornato, Shouyou…” sussurrò contro la sua fronte.
“Mi sei mancato… tutto mi è mancato…” rispose l’altro, guardandolo con affetto.
Tobio fece un dolce sorriso, poi si chinò, accompagnando il piccolo viso pallido con una mano sulla guancia verso le sue labbra. Shouyou chiuse gli occhi, si arcuò leggermente indietro, sorretto da un braccio del compagno e si abbandonò al bacio.
Era il mio “bentornato” che avesse mai sperato.
E mentre si godeva l’esplosione d’amore della danza delle lingue gemelle, occhi curiosi e felici si godevano la scena dalle vetrate di uno dei corridoi che affacciava sul cortile secondario.
“Che cosa state facendo?”.
Ryuunosuke, Yuu e Asahi gelarono sul posto alla voce autoritaria di Daichi. Erano stati colti proprio in fragrante!
“Niente, capitano! Non stavamo facendo proprio niente!” mentì Yuu.
“Allora filate subito in palestra o al mio ritorno pretenderò cento schiacciate a turno. Sono stato abbastanza chiaro?!” rimproverò il capitano, portando le stesse braccia che aveva incrociato nel vedere i tre appiattiti contro il vetro con ghigni poco raccomandabili, sui fianchi.
“Signorsì, capitano!” esclamarono e in pochi attimi sparirono dal corridoio.
Daichi sospirò, scuotendo un po’ la testa.
“Non credi di essere stato un po’ troppo duro con loro?”.
L’espressione contrariata si sciolse in un dolce sorriso. Daichi non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere l’amato alzatore dei tre anni più belli del liceo. Koushi agganciò le mani sulla sua spalla e accoccolò la testa contro la sua guancia.
“Sono proprio teneri insieme. Io l’avevo detto fin dal principio che fra quei due era solo questione di tempo”.
“Sì, sono d’accordo. Un po’ come è accaduto a noi, ricordi?” confermò Daichi, avvolgendogli le braccia sulla vita.
“Oh, già! Come potrei mai dimenticare?” ridacchiò l’altro, accarezzandogli il petto con affetto.
“Ricordo di averti preso esattamente così e…”.
“… io ho allungato il collo…” continuò Sugawara, avvicinandogli alle labbra.
Si scambiarono un bacio tenero, lungo ed appassionato, facendo danzare insieme le loro lingue, mentre le mani si muovevano armoniosamente sui corpi caldi e frementi d’eccitazione.
“… io ti ho baciato…” sussurrò Daichi.
Il sorriso di Koushi brillò nel raggio di sole che illuminò il corridoio in penombra.
“Che dici, mio capitano? Li raggiungiamo i nostri kohai? O lasciamo il nido in solitaria?” ridacchiò il ragazzo dai capelli argentati.
Daichi non si stupì di vedere Kei e Tadashi passeggiare verso l’entrata della palestra. La squadra chiedeva di loro per essere completa.
“Andiamo ma per stasera ti voglio per festeggiare!” sussurrò Daichi, dandogli un ultimo bacio morbido sulle labbra.
Il solo pensiero del corpo stretto a quello muscoloso del suo capitano lo fece arrossire… ma tra l’altro non vedeva l’ora.
“Senza Shouyou, tutto è grigio” mormorò, guardando il giovane che correva assieme a Tobio verso la palestra, competendo in un modo più morbido fra loro.
“Sì. Hai ragione. Quando noi lasceremo questa scuola, saranno loro a guidare la nostra squadra verso la vittoria” furono le parole di Daichi.
Faceva un po’ male pensare al giorno in cui sarebbero andati all’università ma era il corso della vita, dopotutto.
“Ho intenzione di avere una camera vicino alla tua” fece sapere Daichi.
Questo bastò a cancellare l’insicurezza e la spinosa tristezza per quando avrebbero visto i loro piccoli corvi staccarsi dal nido e spiegare le ali verso il futuro.
 
The End 



Note dell'Autrice

L'one-shot più lunga riguardo Haikyuu!! che abbia mai scritto! Beh, spero vi sia piaciuta perché per me è stato un vero spasso scriverlo! A proposito, l'idea dell'appuntamento mi è venuta seguendo un doujinshi su internet che privilegia la KageHina. Inoltre, dango, daifuku e altri dolci che ho sottolineato con il corsivo solo dei tipici dolci giapponesi. :)
Un abbraccio e un grazie a chi mi legge, commenta o mi segue semplicemente.
  
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